Il dietrofront sulla quarantena per il personale sanitario entrato in contatto con un infetto o una persona a rischio è contenuto nell’articolo 7 del decreto legge 14 del 9 marzo scorso. Poche righe per dire, in merito alla sorveglianza sanitaria, che sono sospesi dall’attività negli ospedali solo coloro che manifestano “sintomatologia respiratoria” o che sono risultati positivi al Covid-19.
Per tutti gli altri, vale a dire gli asintomatici, non si applica più il decreto legge 6 del 23 febbraio: tutti in corsia. Quanto basta per aggiungere tensione alla tensione, per scatenare il panico tra medici e infermieri. “Basta con la retorica dell’eroismo. Qui ci mandano in prima linea senza alcuna protezione”, dice Carlo Palermo, il segretario dell’Anaao-Assomed, sindacato dei medici dirigenti, che ieri, con una lettera aperta al premier Giuseppe Conte e al ministro della Salute Roberto Speranza, ha annunciato la presentazione di emendamenti in sede parlamentare. “Il nostro più completo dissenso – dice Palermo – è legato al notevole aumento del rischio clinico, per il medico e per i pazienti, vista la grave e persistente carenza di dispositivi di protezione individuale e di tamponi. Carenza a cui si aggiunge il colpevole ritardo nell’eseguirli e nel processarli”. In pratica, denunciano i medici, il personale deve rientrare in ospedale anche se potenzialmente infetto. Con il pericolo di fare dei reparti una fonte di contagio, mentre all’esterno con le drastiche misure restrittive adottate si cerca di contenere la diffusione del virus. La questione riguarda i tamponi per l’esame diagnostico, di cui c’è carenza soprattutto nelle regioni del Nord, che devono fronteggiare l’alto numero di contagi.
In teoria dovrebbero essere eseguiti entro 72 ore (tre giorni) dal contatto con il soggetto a rischio o contagiato. Nella pratica, sostiene Anaao, vengono fatti anche dopo sei sette giorni. “Nel frattempo il personale sanitario può diventare un vettore del virus, infettare altri colleghi o i pazienti – prosegue Palermo –. Tra i medici ci sono già stati i primi decessi, altri sono in terapia intensiva: è evidente che qualcosa non funziona”. Sono tre i gradi di classificazione dell’esposizione al rischio: basso, medio e alto. Quello basso si ha quando il contatto avviene a oltre un metro di distanza con misure di protezione, come mascherine e guanti. Quello medio si genera quando si è stati esposti a un caso positivo senza indossare i dispositivi ma si è asintomatici. C’è infine il terzo grado, quello in cui, dopo un contatto con un contagiato in assenza di protezione si manifestano sintomi: e in questo caso si va a casa. Ciò che preoccupa di più oggi i medici è il livello medio, perché il virus è contagioso anche nella fase che precede l’apparizione dei sintomi. Ed è sempre più difficile che le aziende sanitarie riescano a far eseguire il tampone entro la scadenza prevista. Cosa che, secondo i sindacati, porta anche alla violazione della legge 81/2008, che impone ai datori di lavoro – in questo caso le Asl – di garantire la sicurezza dei lavoratori. Violazione che potrebbe indurre qualche medico a rifiutarsi di fare visite. Senza contare che il decreto 14 ha anche eliminato il tetto di lavoro massimo settimanale negli ospedali. Ma sullo sfondo c’è di più. Per il personale sanitario, Conte non sarebbe riuscito a opporsi alle pressioni delle Regioni – e a placare i timori del Mef – rispetto alle assunzioni a tempo indeterminato di altri medici e infermieri. “A partire dal Veneto, le Regioni – accusa Palermo –, non vogliono sistemare il deficit strutturale degli organici. Così ci propongono i contratti libero-professionali. Vale a dire: usa a getta”.