L’esodo pericoloso (e occulto) dal continente alla Sardegna

E poi c’è la Sardegna. In fondo ai pensieri di tutti, lontana quel solito braccio di mare che pare infinito, preoccupazione di pochi e, con una pandemia in corso, occupazione di nessuno. Perché nessuno pensa alla Sardegna, alla fragilità di una regione che sembra più al riparo di altre e che invece ha paura.

Sono passati pochi giorni da quello sgangherato, incivile assalto ai treni che da Milano portavano al Sud e quel Sud era il fondo dello Stivale, compresi i 30 minuti che lo separano dalla Sicilia. Quel Sud anomalo, che sta verso occidente, quel Sud di cui ci ricordiamo solo quando prenotiamo le vacanze al mare e che il resto dell’anno se la vede da solo, nessuno s’è chiesto cosa faccia, come si prepari all’emergenza.

Eppure anche lì, anche in Sardegna è arrivato l’egoismo del “continente”, anche lì i medici pregano, tutte le notti, di non ritrovarsi il pronto soccorso affollato all’improvviso, di non dover combattere una guerra più disarmati che altri, più lontani di tutti. In migliaia, nei giorni in cui s’è capito che il virus era arrivato e anche dopo, quando non ci sarebbe stato più il tempo per scappare, sono scappati in Sardegna. Qualcuno – chi in Sardegna ci va in vacanza e si è potuto permettere la fuga benestante – ha giocato d’anticipo, occupando le seconde case i primi di marzo, popolando residence e paesini che d’inverno sono deserti, dalla Gallura ad Alghero al sud dell’isola.

Altri, quelli che “in continente” ci lavorano ma hanno le famiglie lì, hanno partecipato al grande assalto, quello finale e scomposto dei giorni scorsi e si sono lanciati sui traghetti con le macchine piene di pacchi e valigie o su aerei strapieni di cui nessuno ha scritto. È accaduto anche questo, sebbene nessuno ci abbia fatto caso. Dal Nord e resto d’Italia, in questi giorni lì si sono autodenunciati in 13.300 (sia residenti che non residenti), ma l’esodo era iniziato molto prima. Lo scorso weekend molte località tra cui Pula e Villasimius erano affollate come durante le vacanze estive. “Sono incavolato nero, se questo esodo l’avessimo fatto noi, ci avrebbero tirato le bombe”, ha commentato il sindaco di Villasimius, Gianluca Dessì. Certo, chi è arrivato negli ultimi giorni ha l’obbligo della quarantena, ma quelli arrivati prima? Le compagnie aeree e navali, le società di gestione degli scali sono obbligate a fornire alla Regione i nominativi dei passeggeri sbarcati dal 24 febbraio scorso, ma è evidente che quelli arrivati durante i primi flussi hanno potuto fare quel che volevano e metterli in quarantena, ormai, è del tutto inutile. E poi, ora che tutta Italia è zona rossa, chi sarebbero “quelli che arrivano dalla zona rossa”? “Se ne stavano in regioni in cui la sanità funziona, perché vogliono venire a morirsene qui?”, commenta Giada, uno dei tanti residenti che hanno assistito con rabbia all’assalto di quelli che chiama “continentali”. “È ingiusto, noi viviamo qui tutto l’anno in una regione difficile, c’è gente che se ne è venuta nella sua seconda casa da regioni in cui potrebbe usufruire della sua sanità e viene potenzialmente a usufruire della nostra, che è in difficoltà. Qui in Sardegna siamo furiosi”. A Carloforte, per dire, gli abitanti in questi giorni sarebbero raddoppiati e lì non c’è alcun presidio sanitario in grado di gestire eventuali urgenze. I sindaci sono così spaventati che in quasi tutte le città e cittadine sarde passa una macchina col megafono per dire alla popolazione di stare in casa. La voce spesso è quella di speaker locali che offrono il servizio.

Fatto sta che al momento i positivi al Coronavirus in Sardegna sono 38, di cui 16 contagiati solo nell’ospedale di Nuoro tra infermieri e medici. E qui il primo problema: i primari vogliono che l’ospedale venga chiuso, visto che è ormai un focolaio, ma si teme anche per le altre strutture, anche perché in Sardegna, ad oggi, i posti in terapia intensiva sono 120 in tutto. Certo, c’è un “piano strategico” per implementare i posti, ma questa è la situazione odierna. F., un anestesista presso l’ospedale di Oristano, afferma: “Tutti questi cittadini arrivati in Sardegna da zone a rischio e altre potenzialmente a rischio hanno popolato paesi fantasma, una scelta scellerata perché qui non siamo al Nord. È stupidità. Soprattutto per quello che poi combinano alcuni quando vengono al Pronto soccorso con quadri di insufficienza respiratoria. Mentono sull’anamnesi, non dicono niente e noi veniamo esposti al contagio. Tenere un anestesista adesso in quarantena vuol dire creare un danno enorme all’ospedale, specie in uno come quello di Oristano che ha 5 posti in rianimazione. Il più vicino con la rianimazione, se qui finiscono i letti in terapia intensiva, è Cagliari. Questa gente doveva capire che se non ci sono più posti qui, poi non c’è una regione confinante in cui portarli, si fa la fine dei topi. O pensano che trasporteranno i malati via in aereo? Io ho già dovuto fare una breve quarantena assieme ad altri colleghi e pure il tampone perché alcuni pazienti sospetti mi hanno nascosto contatti con parenti che arrivano dal Nord. Questo vuol dire che in caso di urgenza sono fuori gioco. Ho perciò deciso che non vedo più nessuno tra amici e parenti finché non finisce l’emergenza, farò la vita del lupo solitario”. Insomma, una situazione preoccupante, specialmente perché in Sardegna il menefreghismo dei connazionali in fuga è passato più inosservato che altrove. E perché se il numero dei contagiati dovesse crescere esponenzialmente come in altre zone d’Italia, le ambulanze, per quanto potranno correre da una città all’altra, a un certo punto si troveranno il mare davanti.

La pandemia aggrava una crisi già in corso

È pandemia. Troppo a lungo negata per mere questioni economiche, ma alla fine detonata in tutta la sua potenza, investendo con forza anche l’auto. La prima testa a cadere è stata quella del Salone di Ginevra, di cui in queste pagine raccontiamo le novità virtuali. Ovvero quelle che dagli stand del Palaexpo sono passate sul web e sui canali social dei vari costruttori, che si sono attrezzati in fretta con anteprime digitali e tavole rotonde in conference call. Del resto la timeline per il debutto commerciale dei nuovi prodotti è impietosa: non può slittare, altrimenti si bruciano soldi.

Cosa che avverrà, comunque, a fine anno. Perché è chiaro che la catena di approvvigionamenti di materiali e componenti continua ad avere anelli deboli. A partire dalla Cina, che rifornisce i costruttori di mezzo mondo, le cui vendite a febbraio sono crollate del 79%. Le fabbriche per ora marciano a ritmo ridotto, rischiando la chiusura. Gli analisti di LMC Automotive prevedono un calo delle immatricolazioni a livello mondiale del 4% a fine anno, cioè 3,7 milioni in meno rispetto ai 90 del 2019. A cui se ne potrebbero aggiungere altri due o tre, se le cose peggiorassero. Più consistente la battuta d’arresto in Italia, dove le prime stime parlano di un meno 15%: si passerebbe dai 1.926.000 veicoli del 2019 a circa 1.637.000. Ma la tendenza è verso la parte bassa della forbice e il ridimensionamento potrebbe essere più pesante. Nel primo bimestre 2020 il mercato italiano ha perso il 7,3%, ma non lasciamoci ingannare: il coronavirus c’entra poco o nulla, gli ordini erano stati fatti nei mesi precedenti. I veri effetti della pandemia si avranno sui numeri di marzo, visto che le concessionarie sembrano città fantasma.

La fuga dal diesel: il ponte dell’ibrido

L’auto ibrida sembra l’unica con il pollice opponibile, la sola exit strategy dall’era del gasolio. Il ponte transitabile al pubblico verso l’elettrificazione, e poi lo strumento praticabile per le case automobilistiche che vogliono attutire l’incubo delle multe imposte dalla Unione europea. Di quei 95 grammi a km di CO2 in emissioni che per fine anno danno brutte sensazioni. E così vincono le convergenze parallele dei due motori a bordo, tanto che nel Salone di Ginevra mai aperto s’è comunque chiuso un ciclo.

L’unica alternativa possibile, semmai, si distilla in gradazioni: dal mild hybrid che vale una limitata assistenza elettrica al motore a benzina, fino al full hybrid, l’ibrido vero, magari anche differenziato in una variante plug-in con batterie di maggior capienza che consentono percorrenze più lunghe in modalità ad emissioni zero. E chi ci arriva adesso, se ha capito o si è arreso, comunque ci investe per restare. Come Renault, impegnata nel lancio di Clio E-Tech con tecnologia full hybrid da 140 Cv e Captur E-Tech da 160 Cv con motorizzazione plug-in hybrid, la stessa che è destinata anche alla media Megane. Vetture di svolta, con un motore benzina aspirato da 1.6 litri è abbinato a due propulsori elettrici e a un innovativo sistema di trasmissione multimediale che può rappresentare l’alternativa di livello all’originario sistema Toyota. Lui, che nel frattempo è salito ancora nella scala evolutiva fino alla nuova Yaris 2020, che utilizza un motore 3 cilindri benzina da 1.490 cc e un propulsore elettrico da 91 Cv. Ha una potenza complessiva di 116 Cv, ma soprattutto tocca una soglia di consumi nell’ordine di 30 Km/litro, con 64 gr di CO2 emessi ogni mille metri. Potendo, Hyundai gioca la carta della semplicità, con la soluzione del mild hybrid sulla nuova i20, ovvero il tre cilindri mille a benzina da 100 o 120 Cv abbinato a un sistema a 48 Volt, quel che serve per fare la differenza tra le medie compatte. Lì dove c’è il mercato da rilanciare anche per il gruppo Volkswagen, che a Golf mild hybrid accompagna la nuova Seat Leon, pronta anche al salto da 204 Cv in plug-in hybrid. Nel nuovo che avanza anche Octavia RS iV, che approfitta della reputazione rampante del marchio Skoda e ci aggiunge un sistema ibrido plug-in da 245 Cv.

Più in alto, il lusso di Bmw che inventa una Serie 3 ibrida plug-in da 252 Cv battezzandola 330e Touring e poi contamina il diesel sei cilindri in linea da tre litri TwinPower Turbo a trazione integrale con un sistema mild hybrid: ed ecco M340d xDrive con i suoi 340 Cv. Mentre attende il decollo della sua linea a emissioni zero, Mercedes elettrifica Classe E, così come la berlina più compatta CLA ed i suv GLA e GLB, per altro con lo stesso sistema plug-in da 218 Cv di potenza complessiva già visto su A250e e B250e.

E sul finale, c’è l’ibrido che punta al cuore del mercato: i suv. Per questioni di peso e resistenza aerodinamica, superate finora con la spinta a bassi regimi dei motori a gasolio e che il benzina non ha, continuare a vendere sport utility significa ripensarli a doppia motorizzazione fin dalla radice. Come ha fatto Kia con la nuova Sorento, con un propulsore turbo a benzina di 1,6 litri accoppiato un elettrico per una potenza totale di 230 Cv. Arriverà anche la variante plug-in hybrid su cui Toyota punta forte per Rav4, con la trazione integrale Awd-i e una potenza totale di 306 Cv, ma soprattutto 65 km di autonomia in modalità elettrica e la possibilità di raggiungere i 135 km/h senza l’ausilio del motore a benzina.

Che diventa a tratti inutile anche sulla vettura meno immaginabile, cioè Touareg R, il maxi-suv a cui il marchio Volkswagen ha affidato la guida della sua gamma sportiva facendo conto sullo stesso sistema ibrido plug-in già visto su Porsche Cayenne E-hybrid. Viaggia per 48 km a zero emissioni ma ha una potenza totale di 462 Cv, accelera da 0 a 100 Km/h in soli 5 secondi. Il cambio è un raffinatissimo 8 rapporti: il pollice dell’ibrido ormai è anche prensile.

Il gioco delle piattaforme: ammogliati o scapoli?

I matrimoni sono anche una faccenda di dote, quell’equilibrio che Carlos Tavares e John Elkann stanno negoziando come i due padri delle spose. Sul costo del banchetto s’era deciso di mettere mano alla Borsa di Milano, Parigi e New York, con dividendi miliardari e straordinari verso Torino. Chi paga si sa già, ma poi c’è la vita in comune e peserà tra i genitori chi ha tenuto di più al benessere della nuova famiglia Psa-Fca. Quel gioco di piatti di bilancia da riempire e compensare che a Ginevra sarebbe scattato in tutta la sua evidenza, andato in scena a mezzo web. Assente il gruppo francese eccetto che con la divisione Ds, quello italiano non ha mancato di esibire il gioiello Alfa Romeo Giulia Gta, berlina sportiva alla potenza ennesima che serviva a certificare la capacità del suo pianale Giorgio a trazione posteriore, utile più che mai a progetti di espansione della nuova azienda negli States. L’altro polo era elettrico e mediatico, con una Nuova 500 sviluppata su una piattaforma inedita ad emissioni zero che vale una dichiarazione di indipendenza rispetto alle tecnologie che arriveranno dalle sinergie con Peugeot, Citroën e Opel.

Al pallottoliere, la galassia Psa-Fca conterà 14 marchi, ma poi Fiat ha tenuto a dire che saranno 15, con 500 destinata a diventare un brand modaiolo a se stante, cioè la Mini che a Tavares mancava. Dalle doti di nozze leggiamo anche di Tonale, il suv medio atteso come una manna nel listino del Biscione e di cui Fca ha sospeso lo sviluppo a gennaio, perché basato sul pianale di Jeep Compass. Sarebbe stato un segno di pace e reciproca convenienza mostrarne un prototipo pronto a nascere sulla piattaforma modulare Emp2, sulla quale Psa realizza ora berline come Peugeot 508 e un’intera gamma di suv medi e grandi declinati in tutti i suoi marchi, a partire da Peugeot 3008, fino a Opel Grandland X. È una base meccanica già pronta per l’ibrido plug-in, come il pianale francese Cmp lo è per l’elettrico. Già serve da Peugeot 208 a Opel Corsa con un’architettura per auto compatte valida anche per i crossover urbani, da Peugeot 2008 fino al B-Suv Alfa Romeo. E Jeep Renagade. Il lavoro fatto con la multinazionale di componentistica Gkn per ricavarne una variante ibrida plug in è come un vecchio fidanzato. Fa comodo ricordarlo, che si era piacenti anche da scapoli.

“Il futuro è qui, pronti per la svolta epocale”

È mancato il palcoscenico da addetti ai lavori, con il venir meno della kermesse ginevrina, ma non certo l’effetto mediatico. Anche perché la nuova 500 è stata svelata alla Triennale, in un capoluogo meneghino purtroppo al centro di ben altre vicende in questo periodo. “Con il sindaco Sala abbiamo pensato che con la presentazione di una novità così importante potremmo spostare in modo positivo l’attenzione su Milano”, ha dichiarato il numero uno del brand Fiat, Olivier François, la scorsa settimana, facendo debuttare la novità più attesa nella sua versione elettrica. Del resto, secondo Francois, “il coronavirus avrà un impatto sulle vendite ma siamo fiduciosi che sarà per breve tempo”. Ciò detto, la 500 che da giugno tornerà dopo 50 anni a essere prodotta presso lo stabilimento torinese di Mirafiori sarà una “svolta epocale, perché pronta per il prossimo decennio e per un futuro migliore. E non solo perché punta su una mobilità elettrica, anche se il fatto che sia così iconica probabilmente avrà un impatto sulla gente tale che darà voglia di fare il salto all’elettrico”.

In particolare, François ha chiarito che “lo stabilimento di Mirafiori di Torino, su cui sono stati investiti 700 milioni di euro, potrà produrre a regime fino 80mila 500 elettriche all’anno. Nel 2020 con la salita produttiva, sono previsti cinquecento nuovi esemplari a batteria per 28 Paesi europei per un totale di circa 14mila vetture”.

E a chi gli chiedeva se quella della nuova nata rimarrà un’avventura esclusivamente europea, il manager francese ha risposto così: “La macchina è vendibile negli Stati Uniti e, se c’è domanda, in particolare in California, siamo pronti a offrirla. Già nel 2021 sarà messa in commercio in Brasile”. Ma la nuova 500 che rapporti ha con quella attualmente in commercio? A chiarirlo è sempre Francois: “Nasce su un altro pianale, realizzato specificamente per la trazione elettrica, dunque non è la versione elettrica della 500 termica o a combustione. È una macchina diversa”. E, come tale, affiancherà la “vecchia” 500 nelle vendite almeno in una fase iniziale.

“La fusione con Fca al massimo tra 15 mesi”

“Auto elettriche? Le comprano solo i fanatici del green, per ora. Se alcuni Paesi cancellassero gli incentivi, la domanda crollerebbe”. A parlare (in conference call) non è un incallito sostenitore dei “vecchi” motori a combustione, bensì un uomo che ha dimostrato di credere nell’ibrido e nell’elettrico, con investimenti che hanno consentito di offrire ai consumatori diversi modelli a batteria, come Carlos Tavares. Che aggiunge: “Stiamo vendendo le auto elettriche agli appassionati, i clienti pragmatici non le considerano. La sfida sarà sull’accessibilità dei veicoli a emissioni zero da qui al 2025”. I motivi, per l’attuale numero uno di Psa, sono sempre i soliti: la mancanza di un network capillare di punti per la ricarica, l’autonomia ancora limitata, l’incertezza riguardo al prezzo dell’elettricità nel lungo periodo. “Ecco perché Psa ha deciso di sviluppare piattaforme flessibili, in grado di produrre senza problemi auto con powertrain termici, elettrici o ibridi. Così possiamo adattarci in tempi brevi a quello che ci chiedono i consumatori”. Argomento che non mancherà di riguardare anche il colosso industriale risultante dalla fusione di Psa con Fca, che sarà guidato dallo stesso Tavares. Il quale sui tempi di realizzazione è stato molto realistico: “Siamo in linea con le previsioni, ma per completare il processo di unione ci vorranno ancora 12-15 mesi. Tra la firma e la chiusura non possiamo andare più veloci perché dobbiamo attendere le risposte da parte di tutte queste entità e autorità”. Sono infatti ben 24 gli Stati, e le relative autorità, con cui si deve interagire e da cui attendere risposte e autorizzazioni. Una volta concluso questo iter burocratico, “Psa e Fca passeranno a ciò che vogliono fare insieme”, ovvero all’implementazione di tutte le sinergie previste. L’ultima dichiarazione di Tavares, infine, ha riguardato l’epidemia di coronavirus, che rischia di avere effetti pesanti anche sull’automotive: “Al momento non vedo problemi con la domanda, ma stiamo affrontando una battaglia quotidiana”. Che non si sa come finirà.

Il diavolo e l’acqua santa

Da un lato il colpo di coda di un Biscione ferito, tanto nel portafoglio – vendite europee 2019 a quota 54mila pezzi, giù del 35% rispetto al 2018 – quanto nell’orgoglio, per via di una strategia industriale assai ridimensionata. Dall’altro la conversione alla mobilità green dell’auto italiana più iconica. Sono le due facce che Fca era pronta a esporre a Ginevra, sotto l’ombrello dei marchi Alfa Romeo e Fiat.

Splendida la Giulia GTA, Gran Turismo Alleggerita. Basata sulla versione Quadrifoglio, presenta un’aerodinamica estremizzata, studiata per aumentare la stabilità di marcia alle alte velocità. Da notare i cerchi monodado da 20 pollici e le carreggiate allargate di 5 cm, che si abbinano a una nuova geometria delle sospensioni. Per gli insaziabili c’è pure la GTAm, ancora più maschia con lo splitter anteriore maggiorato e l’ala posteriore di carbonio. Sotto al cofano il V6 2.9 biturbo da 540 Cv di potenza, che canta da uno scarico di titanio. L’interno è un trionfo di Alcantara e sulla GTAm spariscono la panchetta posteriore e i pannelli porta mentre spunta un rollbar, come sulle vetture da corsa. Gli interventi di alleggerimento limano il peso di 100 kg rispetto alla Quadrifoglio: merito della fibra di carbonio, adoperata per albero di trasmissione, cofano, tetto, paraurti e passaruota anteriori.

La GTAm aggiunge sedili monoscocca di carbonio con cinture a 6 punti e finestratura laterale e posteriore di Lexan (resina della famiglia dei policarbonati). Il risultato è un peso che si attesta sui 1.520 kg. Il che rende la GTA un bolide che copre lo zero-cento in soli 3,6 secondi. Entrambe le versioni saranno costruite in una serie limitata di 500 unità, vendute a prezzi per pochi fortunati. Quasi un risarcimento morale su quattro ruote per il fatto che dall’ultimo piano industriale Alfa sono stati i modelli più emozionali, le sportive GTV e 8C, a essere sacrificati sull’altare della “razionalizzazione”. Sparita dai radar anche la compatta Giulietta, che non lascia eredi. Così come non ci sarà il suv di grandi dimensioni, più volte annunciato. Un brusco cambio di rotta, motivato dalla riduzione degli investimenti precedentemente preventivati, minore estensione globale del portafoglio prodotto e necessità di una ridotta sovrapposizione con altri marchi del gruppo Fca. Leggasi Maserati, brand potenzialmente più redditizio, su cui Fca ha deciso di puntare pure a scapito del Biscione. A dire il vero, l’unico modello realmente sovrapponibile sarebbe potuto essere il suv extralarge dell’Alfa, simile per impostazione e ambizioni alla Maserati Levante. Il piano prevede, invece, l’esordio dei restyling di Giulia e Stelvio nel 2021 e il debutto dell’attesissima Tonale, suv compatto che sarà proposto anche in versione ibrida plug-in (cioè ricaricabile alla spina), prodotto a Pomigliano d’Arco (Napoli) e che potrebbe rilanciare le vendite. Nel 2022 toccherà a un suv di piccole dimensioni, declinato pure in edizione 100% elettrica: alla luce del matrimonio Fca-Psa il modello potrebbe avere base tecnica francese.

La nuova 500 con motore elettrico, invece, ambisce a essere il manifesto tecnologico della Fiat del futuro. E sfrutta una piattaforma rinnovata: è più lunga e più larga di 6 cm, per 363 e 170 cm complessivi. All’interno la strumentazione digitale è affiancata dallo schermo da 10,3’’ dell’infotainment con comandi vocali. L’elettromotore eroga 118 Cv ed è alimentato dalla batteria a litio da 42 kWh alloggiata sotto al pianale: consente un’autonomia omologata di 320 km e, utilizzando la ricarica veloce, è possibile rifornire l’accumulatore all’80% in 35 minuti. E non manca la guida autonoma di livello 2: il veicolo può marciare mantenendo automaticamente il centro della corsia, frenare da solo in caso di potenziale impatto con altre auto o pedoni e seguire il traffico in colonna. Presentato in edizione Cabrio, il modello venduto insieme all’attuale 500 con motore termico mild-hybrid o gpl (la base tecnica rimane quella del 2007). L’allestimento di lancio, “La Prima”, completo di fari a led, rivestimenti in ecopelle e cerchi da 17’’, ha un prezzo di listino, al netto degli incentivi, di 37.900 euro comprensivo di wall box per la ricarica domestica.

Testimonial dell’auto è Leonardo DiCaprio, che parla di “reincarnazione” a batteria della 500 originale del ’57: l’estetica della nuova generazione è certamente un punto di contatto col modello primigenio. Anche se quest’ultimo nacque come prodotto economico destinato alla massa. Mentre il prezzo della 500 elettrica – si vocifera di un listino a partire da 25mila euro – taglia fuori quasi tutta la clientela tradizionale del “cinquino”. E un po’ lo ammette anche Olivier Francois, numero uno della Fiat: “Non è la versione elettrica della 500 a combustione. È una macchina diversa e il fatto che 500 sia così iconica, probabilmente, avrà un tale impatto sulla gente da spronarla a fare il salto all’elettrico”. La produzione inizierà a giugno a Mirafiori: l’obiettivo è produrne 80 mila l’anno.

“Leggo Carola e il Cazzaro verde. Mi è sfumato l’incontro amoroso”

Visto che dobbiamo “stare a casa” e viviamo un’esperienza mai successa prima, chi ha tempo libero e vuole spenderlo per raccontare la sua vita quotidiana in quarantena e condividerla con gli altri ha a disposizione le pagine de il Fatto.
Siamo una comunità e mai come oggi sentiamo l’esigenza di “stare insieme” e di “farci compagnia” sia pur a distanza. Come i giovani che, nel Decameron di Giovanni Boccaccio, si riunirono per raccontarsi novelle durante la peste di Firenze.
Inviateci foto, raccontateci brevemente cosa fate (anche con il telelavoro), quali pensieri e sentimenti vi attraversano, cosa inventate per non annoiare i figli e non allarmare i nonni, quali libri, film e serie tv consigliate all’indirizzo email lettere@ilfattoquotidiano.it. Ci sentiremo tutti meno soli.

 

Storia di una soldatessa in un ospedale del Sud

Sono una infermiera di 29 anni e lavoro in un reparto di malattie infettive di un ospedale del sud. Da me la sanità è stata depredata dalla criminalità organizzata. I vertici nominati dalla politica. Il diritto alla salute dei cittadini messo in secondo piano rispetto alle logiche degli interessi economici. Disorganizzazione e sciatteria era quella che vedevo prima senza emergenza e disorganizzazione e sciatteria vedo ancora oggi. Non siamo preparati a quello che sta per arrivare. Lavoriamo sotto di personale da tempo. Non riesco a fornire un’assistenza adeguata a tutti i pazienti. I presidi sono scarsi. Molti colleghi di altri reparti sono privi di mascherine idonee. Cerco di resistere il più possibile durante il mio turno con la tuta integrale e la mascherina senza poter usare il bagno, sudando tantissimo e senza poter togliere la mascherina per bere un goccio d’acqua. Sto vivendo in auto-isolamento in camera mia. Mia madre ha avuto un carcinoma l’anno scorso ed entrambi i miei genitori hanno più di 65 anni e diverse patologie. Io e il mio compagno non ci vediamo di comune accordo, e mi manca da morire il calore umano di un abbraccio o un bacio per alleviare lo stress a fine turno. Ho un turbine di emozioni dentro e mi sento come un soldato. Non ho però una preparazione militare. Farò il possibile. Sono però un essere umano, fallibile e non invincibile. Spero di non crollare.

State a casa.

Lettera Firmata

 

I miei consigli di lettura tra le pareti di casa

Sono un ragazzo di 22 anni e dopo le misure adottate dal governo, siamo costretti a rimanere a casa. Per passare il tempo, oltre a leggere il vostro quotidiano per informarmi sull’evoluzione del Covid-19, mi sto dilettando nella lettura di alcuni libri molto interessanti, i quali consiglio ai lettori, ad esempio: La notte della sinistra dell’autore Federico Rampini; Il cazzaro verde di Andrea Scanzi; Il mondo che vogliamo di Carola Rackete. Vi ringrazio per la possibilità che ci date

Francesco Fortunato

 

Bene lo smart working, ma restiamo umani

Il lavoro a distanza è utile. Chi conosce l’inglese o l’antipatico gergo aziendale lo chiama smart working; i francesi, che hanno sempre la puzza sotto il naso, télétravail. Noi italiani, che abbiamo la puzza sopra il naso, tele-lavoro. Non si fa che elogiare questo metodo dal retrogusto statunitense, sottolineando come sia pensato per agevolare la vita del lavoratore. Tutti questi termini sanno di freddo secco e temperature glaciali, più congeniali alle macchine. Poi, però, occorre far digerire tutto questo agli umani. Parlarsi al telefono o su Skype non sarà mai come stare a distanza di coronavirus. Confondere l’olezzo del toner con il soffritto alla cipolla non è mai una buona idea. Quindi, capisco l’utilità ma siamo essere umani semplici: ogni cosa ha i suoi spazi, i suoi tempi e i suoi significati.

Silvio da Monza

 

Aspetto che la natura compia un miracolo…

Scrivo per il Secolo d’Italia.
E chissà se in 15 giorni di chiusura dei barbieri mi ricresceranno i capelli…

Francesco Storace

 

Preparo lezioni per gli alunni

Preparo lezioni, mando messaggi e compiti ai miei bimbi della primaria. Passo la giornata al computer per non farli sentire abbandonati dalla scuola. Sono in quinta, quindi bravi a usare la tecnologia, fanno tutto quello che gli viene assegnati e poi me lo mandano con cuoricini e “ti voglio bene” e “mi manca la scuola”. Per loro dobbiamo avere la forza di seguire le indicazioni , non uscire e abbattere questo virus.

Tiziana

 

Al telefono con i nipotini

Siamo nonni di due nipotini di 7 anni e di 3 mesi. Le restrizioni sono il male minore, quello che ci manca è di non poterli vedere. Tuttavia ci siamo organizzati e ci facciamo almeno una videochiamata al giorno, a volte guardando insieme Avanti un altro e facendo a gara a chi risponde a più domande. Riempiamo così la nostra giornata. Ma passerà.

Ciro Chichierchia

 

L’amore svanito per l’epidemia

L’amore ai tempi del Corona. Lascio che sia la penna di qualche scrittore a trarre spunto da questo momento storico per narrare vicende sentimentali incise dall’irruzione violenta di una forza distruttrice, che rimane invisibile. Per quanto mi riguarda, posso solo riportare la mia inutile esperienza: una ragazza bellissima conosciuta su Tinder; ci saremmo dovuti incontrare sabato a Milano; già mi ero innamorato del suo bellissimo viso, della sua voce al telefono. Ma ovviamente è saltato tutto. Nel frattempo lei ha smesso di considerarmi con lo stesso apparente interesse mostrato agli inizi ed è svanita la mia illusione. Si vede che questo non era un vero Amore ai tempi del Corona.

Roberto

Peugeot 208 è l’Auto dell’anno 2020

“Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”. Peugeot quest’anno aveva deciso di disertare il Salone di Ginevra: e poco male, vista la riduzione digitale che è toccata alla kermesse per questioni di forza maggiore. Ma la casa del Leone si è comunque fatta notare con la sua nuova 208, che ha portato a casa il titolo di Car Of The Year 2020, accaparrandosi il favore della giuria con 281 punti, contro i 242 assegnati alla Tesla Model 3 e i 222 della Porsche Taycan, rispettivamente medaglia d’argento e di bronzo.

Una vittoria di Davide contro i Golia, ma soprattutto un riconoscimento importante che alle utilitarie mancava esattamente da dieci anni, cioè da quando nel 2010 il titolo lo vinse la Volkswagen Polo di quinta generazione. Un decennio più tardi, l’utilitaria trionfa anche perché è elettrica: la nuova 208, infatti, è offerta pure in una versione a batterie (capacità di 50 kWh, 136 Cv di potenza e 340 km di autonomia), che la rende, di fatto, la terza full-electric a essere eletta Car Of The Year. Nel 2011, infatti, fu Nissan Leaf la prima a rompere la timidezza e lo scetticismo verso un’auto a zero emissioni, mentre lo scorso anno è stata la volta della Jaguar I-Pace, accompagnata sul podio da Alpine A110 e da Kia Ceed. E anche l’anno scorso a vincere era stata una casa assente dalla kermesse ginevrina: Jaguar, così come Peugeot, aveva detto no alla sfilata nel Salone dei Saloni, che ogni anno continua a registrare defezioni, pandemie o meno.

Rallenta la “scossa”

Si è un po’ ridimensionato l’appeal generato dalla propulsione elettrica: problemi e costi dell’offerta rimangono quelli noti, ma fra le debuttanti a quel Salone di Ginevra che non c’è stato – l’elenco includeva prototipi e modelli di serie o quasi – brilla quella che, potenzialmente, potrebbe essere una outsider del mercato, la prima EV di massa per il vecchio continente. Volkswagen continua infatti il suo percorso di espiazione dei peccati pregressi (leggi dieselgate) con la presentazione della suv media ID.4, in arrivo nelle concessionarie entro fine anno. È lunga 465 cm e della più piccola ID.3 riprende le forme sobrie ed altri stilemi puliti. La vettura è basata sul pianale “Meb” – anch’esso condiviso con la ID.3 – e specificamente messo a punto per le auto a batteria. Motore e trazione sono posteriori, anche se le versioni più prestazionali hanno un secondo elettromotore installato all’avantreno in modo da poter contare sulle quattro ruote motrici. Le batterie, invece, assicurano fino a 500 km di autonomia.

Conturbante la concept Prophecy by Hyundai, esercizio di stile che rappresenta una finestra sul futuro delle future vetture a batteria del marchio coreano. Trattasi di una berlina-coupé dal piglio sportivo, sinuosa e minimalista, ispirata agli elementi della natura. Da notare lo spoiler posteriore in materiale acrilico trasparente, le luci posteriori con pixel verticali e quelle anteriori che integrano le prese d’aria. All’interno i comandi tradizionali sono rimpiazzati da due joystick con pulsanti integrati e la plancia è composta infatti da un unico display curvo. Insomma, più forma che sostanza, perlomeno per il momento, visto che il costruttore non ha fornito dettagli tecnici in merito alla meccanica del prototipo.

Più concreta la versione elettrica della Renault Twingo, ribattezzata Z.E.. È alimentata da una batteria agli ioni di litio da 22 kWh, sviluppata dalla LG Chem: assicura un’autonomia nel ciclo di omologazione urbano pari a 165 km – 200 la modalità di guida “Eco” – e può essere ricaricata anche tramite colonnine e Wallbox; in questo caso è possibile recuperare fino a 80 km di autonomia in circa 30 minuti. L’integrazione dell’accumulatore nel telaio della vettura non ha compromesso gli spazi dedicati a passeggeri e bagagli (che hanno a disposizione un vano di carico da 240 litri). Il propulsore elettrico eroga una potenza di 82 Cv e consente di raggiungere una velocità massima di 135 km/h. Inoltre, il propulsore può essere usato come un generatore di elettricità durante i rallentamenti e le frenate: il freno motore è configurabile su tre livelli di intensità. In quella massima è possibile gestire accelerazione, marcia e rallentamenti col solo pedale dell’acceleratore: sollevando il piede dal pedale, l’auto rallenta e si arresta.

Futuristica ma a un passo dalla produzione di serie la Concept i4, che anticipa il corso stilistico delle Bmw a venire: fanali sottili, dall’espressione accigliata e una calandra frontale dalle dimensioni extralarge. Si tratta di un coupé a quattro porte che arriverà su strada nel 2021, col nome di i4, e che si andrà ad affiancare a i3 e i8. La presenza della meccanica elettrica consente l’adozione di una griglia frontale chiusa, a tutto vantaggio dell’efficienza aerodinamica.

Il powertrain assicura una potenza di 530 Cv, buoni per scattare sul canonico 0-100 in 4 secondi netti e toccare una velocità di punta di oltre 200 km/h. L’autonomia, il dato tecnico più sensibile per la clientela delle auto a zero emissioni, è di ben 600 km omologati Wltp. Una cifra ragguardevole, specialmente alla luce della batteria, che ha una capacità di 80 kWh (pesa 550 kg). All’interno – finemente rivestito in pelle e tessuto – strumentazione e infotainment sono integrati in un unico display curvo, lo stesso che include le funzioni di climatizzazione e che ha permesso di ridurre drasticamente il numero dei comandi fisici.

Dulcis in fundo la Dacia Spring, primo modello elettrico del marchio romeno, in arrivo a listino nel 2021. Lunga 3,7 metri, non rinuncia a gruppi ottici full Led e a una livrea con dettagli sgargianti. L’autonomia dichiarata è di 200 km ed è lecito supporre che la meccanica sfrutti un motore da 45 Cv di potenza e batteria da 28,5 kWh, proprio come la gemella Renault City K-ZE, venduta in Cina. La Spring potrebbe arrivare sul mercato con un prezzo compreso fra 15 e 20 mila euro: il che la renderebbe un best seller alla spina.