Ora Macron finge di non vedere, però si prepara alla fase ultima del contagio

La Francia conta 1.784 contagi accertati di nuovo coronavirus (105 in rianimazione) e 33 morti, secondo il bollettino di ieri. È il secondo Paese più colpito in Europa, dopo l’Italia, e la propagazione accelera: circa 497 nuovi casi in 24 ore. Ogni giorno vengono fatti circa mille tamponi, ma i test non sono sistematici, si privilegia chi presenta i sintomi e il personale medico. A Parigi i contagi sono 44, numero che anche all’Agenzia regionale della salute sembra troppo basso per una città con più di 2 milioni di abitanti. Le zone “focolaio” ormai sono sette. Fino a ieri 190 scuole erano chiuse. Da oggi anche la Corsica chiude tutti i suoi istituti fino al 29 marzo e sono sospese le visite nelle case di riposo. “Siamo solo all’inizio dell’epidemia”, diceva Macron due giorni fa, ma è molto atteso il discorso televisivo che il presidente terrà stasera, il primo ufficiale dall’inizio della crisi. Per ora è prevalso il messaggio “prudenza, niente panico” per evitare la psicosi. Il neo ministro della Sanità, Olivier Véran, ripete che decisioni di confinamento o di chiusura delle scuole in tutto il Paese non sono in programma ma per la prima volta Macron ha aggiunto che “non sono da escludere”. I focolai non sono mai stati trasformati in zone rosse: le scuole chiudono per due settimane, chi può lavora da casa, si consiglia di limitare le uscite, ma si circola liberamente. Da giorni viene dato come imminente il passaggio allo “stadio 3” del contagio: vorrà dire che l’epidemia è ufficialmente presente su tutto il territorio. “È ineluttabile”, ha sottolineato Jéròme Salomon, il direttore della Direzione generale della Sanità, ma l’annuncio viene rinviato. A questo stadio sono vietati in Francia i raduni di più di mille persone, ma intanto in migliaia hanno manifestato per l’8 marzo. Sono ancora previste le prossime elezioni municipali. Air France e le compagnie low cost hanno cancellato i voli per l’Italia. Madonna ha annullato i concerti, e la finale della Coppa di Lega rinviata a maggio. Ma cinema, teatri e musei restano aperti, anche se il Louvre fa entrare solo chi ha la prenotazione. Macron si è fatto vedere a teatro appena qualche sera fa con la moglie Brigitte.

La Francia ha qualche giorno di margine sul contagio rispetto all’Italia per prepararsi. Il governo loda il sistema sanitario nazionale, “uno dei migliori del mondo”, più solido di quello italiano, ripetono. Nei laboratori si lavora per trovare un trattamento efficace prima che arrivi l’ondata di malati negli ospedali. Un test clinico partirà a breve al Bichat di Parigi. La Francia dispone di 5.065 posti letto in rianimazione e 7.374 in terapia intensiva. Un piano “bianco” d’urgenza è stato attivato negli ospedali per liberare posti. Ma i medici protestano da più di un anno denunciando la mancanza di mezzi e personale. È stato lanciato un appello ai medici in pensione e agli studenti di Medicina per supportare gli ospedali a titolo volontario. Il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, ha avvisato che l’impatto sull’economia sarà “severo”. Lunedì ha annunciato una batteria di misure, tra sgravi fiscali e rinvii delle tasse per le aziende in difficoltà. Ieri è stato anche sospeso il contestato progetto di privitizzazione degli Aeroporti di Parigi. In un’atmosfera di calma apparente, l’ansia cresce. “Dopo l’Italia, la Francia?”, scriveva ieri in copertina Libération.

Merkel, il grande dilemma: fermare prima l’epidemia oppure l’economia

L’obiettivo è per tutti lo stesso: contenere diffusione e impatto del contagio da Covid-19. Ma sul “come” i governi dell’Ue procedono ancora in ordine sparso. In primis i tedeschi, che rimandano le scelte drastiche fatte dall’Italia. “Secondo gli esperti potrà infettarsi fino al 70% della popolazione” ha detto ieri Angela Merkel. Senza vaccini e terapie “il contenimento” del virus e “il rallentamento” della diffusione sono le uniche strategie per evitare di sovraccaricare il sistema sanitario e proteggere le fasce deboli. “Significa guadagnare tempo e devono essere messe delle priorità” così che “tutti i livelli dello Stato possano continuare a lavorare in modo che la vita economica in qualche modo possa tenersi in piedi” ha detto Merkel. La via tracciata è questa: misure ad hoc, vigilare sugli sviluppi, informare e responsabilizzare la popolazione e qualche rinuncia. Come agli eventi con più di mille persone. Il ministro della Salute Jens Spahn ha dato indicazioni ai Laender di cancellarli. Dal governo federale, del resto, possono arrivare solo suggerimenti visto che Polizia, scuola e sanità sono competenze dei Land.

Alla spicciolata diverse regioni si sono adeguate, molte partite di Champions e della Bundesliga si giocheranno a porte chiuse. A chi polemizzava sulla soglia ancora alta il ministro Spahn ha replicato che “non dobbiamo per forza aspettare che qualcosa sia vietato ma possiamo decidere da soli e con responsabilità se è possibile rinunciare a qualcosa per proteggere le persone che amiamo”. Come frequentare i club e i locali notturni o i concerti.

Gli ospedali della federazione hanno attivato da lunedì “il piano di crisi” per adeguare le strutture in vista del picco che arriverà. Il Robert Koch Institut ha elevato il livello di rischio per la popolazione portandolo a “medio” e ad “alto” nell’epicentro di Heinsberg. I contagiati in totale sono 1850, e i test per il coronavirus tra il 2 o l’8 marzo (dati Kbv) sono saliti a 35mila. Il Paese è sulla stessa traiettoria dove era l’Italia una settimana fa. Ma si ritiene che il contagio si debba solo contenere senza fermare il Paese.

Sul fronte economico il governo ha stanziato 1 miliardo ma valuta altre misure, tra cui la cassa integrazione in deroga. Ieri la cancelliera ha aperto all’idea di non rispettare il feticcio del pareggio di bilancio: “È una situazione straordinaria e faremo tutto il necessario” e “anche tutto quello che possiamo per uscirne. Dopo vedremo che significato ha sul nostro bilancio”.

Sono in molti però a criticare la linea troppo morbida. A partire dai più influenti economisti tedeschi, che hanno presentato un documento durissimo: la politica agisca in fretta e con misure importanti, dicono, per evitare che una crisi sanitaria si trasformi in una crisi di fiducia su vasta scala. È meglio uno shock temporaneo e drastico che uno shock prolungato e di ampie dimensioni. Il conflitto tra obiettivi economici e medici è solo apparente: “Nel lungo termine, l’impatto economico di un approccio troppo permissivo al contenimento sarebbe notevolmente peggiore”, scrivono. Meglio fermarsi 2 mesi che aspettare che il sistema vada in panne. I costi sarebbero più alti e i tempi lunghissimi, dice l’ex consigliere economico del governo, Peter Bofinger.

Budget e frontiere chiuse: misure nel mondo

I tassi di crescita del contagio del coronavirus in Europa sono molto simili all’Italia. Un colpo d’occhio, come mostra la curva della propagazione (si veda il grafico in alto) che il professore Mark Handley dell’University College di Londra ha elaborato confrontando l’Italia con gli altri Paesi. Tanto che la Francia tra 8 giorni si troverà in una situazione molto simile alla nostra, alla Germania e alla Spagna serviranno 9 giorni e alla Gran Bretagna 13 con aumenti dei contagi giornalieri del 33% in tutti i Paesi. “Livelli allarmanti di inazione” che hanno spinto l’Oms a dichiarare la pandemia con diversi Stati che nelle ultime ore hanno preso misure d’emergenza, come lo stanziamento di fondi per arginare il contagio. Facciamo una panoramica in Europa e nel resto del mondo.

Ungheria. Il premier Orbán ha proclamato lo Stato di emergenza. Il numero dei casi accertati è salito a 13, ma il numero dei test è molto basso, appena 531, visto che c’è un solo ospedale di Budapest in grado di effettuarli. Università chiuse con il divieto di assembramenti di 100 persone al chiuso e di 500 all’aperto.

Gran Bretagna. Con 382 casi e 6 decessi, il governo di Boris Johnson non ha inasprito le misure restrittive ma ha stanziato 30 miliardi di sterline per “proteggere britannici, lavoro e imprese”. È risultata positiva al coronavirus la viceministra della Salute, Nadine Dorries.

Belgio. Pochi test e quindi pochi casi accertati: 314. Su 639 tamponi fatti il 10 marzo, 47 sono risultati positivi, con 3 decessi. Vige solo la quarantena domiciliare per chi è tornato da Cina e Italia.

Polonia. Scuole e asili chiusi per due settimane per 5,9 milioni di studenti e 700 mila insegnanti. Nel Paese sono 25 le persone contagiate. Il governo ha sospeso tutte le attività culturali, musei, cinema e teatri.

Austria. Sono stati reintrodotti i controlli di frontiera con l’Ue. È stata anche annunciata la chiusura dei valichi secondari con l’Italia in Carinzia. Nei prossimi giorni saranno bloccati i passaggi a Nassfeld e Plöckenpass.

Svizzera. Il numero di casi sta aumentando rapidamente: 645 positivi e 4 morti. Chiusi 9 valichi minori per canalizzare il traffico in quelli più grandi. Scuole chiuse e stop agli eventi sportivi.

Grecia. Chiuse scuole e università per due settimane. Sono 90 le persone positive al contagio.

India. Messi al bando tutti i turisti stranieri fino al 15 aprile e quarantena per chi torna dai Paesi più colpiti al mondo.

Usa. Confermati 31 morti e 1.025 casi di contagio. I militari contribuiranno alla prevenzione del contagio e consegneranno cibo alle persone in quarantena.

Australia. Divieto d’ingresso per chi arriva dall’Italia. Stanziati 1,3 milioni di euro.

Russia. Venti contagati, la maggior parte dei quali di rientro dall’Italia.

Tunisia. Quarantena per i passeggeri di un traghetto diretto a Tunisi.

Africa. Novantanove i casi registrati nel Paese dove si teme la fragilità del sistema sanitario e l’intensità dei contatti con la Cina.

La Ue si accorge dell’Italia, l’Oms dichiara la pandemia

“Siamo tutti italiani”. Se non portasse sfortuna lo slogan kennedyano scelto da Ursula von der Leyen per esprimere, con un video in italiano e inglese, la solidarietà della Commissione europea all’Italia, è di quelli importanti. Anche se è giunto a 20 giorni dall’inizio della crisi. Così come è giunta finalmente l’ammissione dell’Organizzazione mondiale della Sanità sullo stato di “pandemia” rappresentata dal Coronavirus. Una decisione presa soprattutto per sensibilizzare i vari Paesi ad agire con più determinazione.

L’appello di Von der Leyen viene accolto come un successo dal governo Conte, in particolare “la disponibilità della Commissione a esaminare le richieste italiane con un approccio aperto e costruttivo”.

Di aperto e costruttivo c’è già la disponibilità a non fare problemi sul sostanziale sforamento di bilancio che il governo ha promosso ieri, e il Parlamento ha approvato all’unanimità, e che si basa su uno stanziamento di 25 miliardi.

Quali leve verranno utilizzate sarà da vedere: difficile che si arrivi a quanto auspicato dall’economista Joseph Stiglitz, cioè la revisione del Patto di Stabilità. Ieri pomeriggio, il commissario all’Economia, l’italiano Paolo Gentiloni, si è spinto solo a un accenno alle regole “sugli aiuti pubblici”. L’italiana Irene Tinagli, che ha preso il posto di Roberto Gualtieri alla presidenza della Commissione per i problemi economici e monetari, sta lavorando per modificare la norma sugli aiuti di Stato. Sicuramente un segnale sarà dato sulla “flessibilità” visto che la Cancelliere tedesca, Angela Merkel, ha espressamente aperto su questo punto e venerdì ci sarà un incontro europeo per discuterne. Un altro segnale sarebbe anche il rinvio di ogni decisione sul Mes, ma su questo ancora non ci sono conferme.

E poi c’è il tema del coordinamento sull’epidemia che finora è stato inesistente, tanto che nessuno immagina chi sia il commissario alla Salute (per la cronaca, la cipriota Stella Kyriakides). Conte ha annunciato che sarà istituita una “task force per la ricerca sanitaria”, ma al momento pesa di più la denuncia del rappresentante dell’Italia presso la Ue, Maurizio Massari, che in una lettera pubblicata ha fatto notare che quando l’Italia “ha chiesto di attivare il meccanismo di protezione civile dell’Unione europea per la fornitura di attrezzature mediche, non un solo Paese dell’Ue ha risposto. Solo la Cina ha risposto bilateralmente”. La Cina più utile della Ue, questo sembra essere il messaggio che tende ad affermarsi e che nutre le ragioni del nazionalismo.

Fino a lunedì scorso a Bruxelles nessuno voleva fare alcunché ed è rimasto a guardare. La Francia voleva tenere la normale plenaria a Strasburgo e fino a quando il problema sembrava riguardasse un solo Paese nessuno ha ritenuto di doversene occupare. Sono prevalsi gli interessi di bottega, come il controllo delle merci ai confini in una evidente concorrenza sleale. “Contro l’epidemia da coronavirus una reazione dell’Unione europea più decisa sarebbe stata auspicabile”, dice con pacatezza e “a titolo personale” il direttore del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, Gianni Rezza.

Quello che ha fatto cambiare registro, in realtà, è proprio la Germania che si è accorta dell’entità del problema e l’ha ammesso con una dichiarazione della Merkel che ha fatto discutere il mondo intero (vedi articolo a fianco). Il timore che i contagiati europei arrivino al 60% della popolazione con i relativi impatti sul sistema sanitario cambia lo scenario e richiede misure importanti. Di fronte alla paura, la Ue si è accorta che non poteva tacere, per ora si muove solo con gesti formali.

Alimentari, farmacie, tabacchi ed edicole: cosa resta aperto dopo il nuovo decreto

L’ultimo decreto del presidente del Consiglio inasprisce le limitazioni agli spostamenti già attive da inizio settimana. Ieri sera il premier Giuseppe Conte ha annunciato in conferenza le ultime novità, appellandosi ancora una volta alla responsabilità degli italiani: “Se saremo tutti a rispettare le regole ne usciremo più in fretta. Il Paese ha bisogno della responsabilità di ciascuno di noi”. Ecco le principali misure inserite nel decreto.

Zona unica. L’Italia resta zona unica, senza distinzioni di zone rosse o arancioni. Gli spostamenti delle persone e le attività produttive sono dunque regolati alla stessa maniera in tutto il Paese.

I negozi. Il decreto dispone la chiusura di tutte le attività commerciali di vendita al dettaglio, a eccezione dei negozi di generi alimentari, di prima necessità, delle farmacie e delle parafarmacie. Restano aperte anche tabaccherie e edicole.

Eccezioni. Tra le altre attività al dettaglio che restano aperte, ci sono: commercio di computer e di elettronica in generale, compresi gli elettrodomestici; negozi di ferramenta; negozi di articoli igienico-sanitari; negozi per articoli di illuminazione; negozi per articoli ortopedici; negozi di prodotti per animali domestici; negozi di articoli di profumeria e per l’igiene personale; negozi di commercio di combustibili e per il riscaldamento; i distributori automatici.

Supermercati. I supermercati restano aperti, dunque non è necessaria – e anzi è da evitare – la corsa agli scaffali per acquistare cibo o altri beni.

Ristoranti e bar. Chiuderanno ristoranti, pub e bar. Chiudono anche i servizi di mensa che non garantiscono la distanza di sicurezza di un metro. Resta soltanto la possibilità per queste attività di fare consegne a domicilio. Aperti, invece, i bar delle aree di servizio in autostrada e quelli posti all’interno di stazioni, aeroporti e ospedali.

Parrucchieri. Chiusi anche i negozi di parrucchieri, i barbieri e i centri estetici. Chiusi anche i mercati su strada.

Aziende. Per quanto riguarda le attività produttive e le attività professionali, il decreto incentiva il lavoro agile, le ferie anticipate e i congedi retribuiti per i dipendenti. Le industrie potranno continuare a svolgere le attività a condizione che assumano protocolli di sicurezza adeguati a proteggere i lavoratori. Restano chiusi i reparti delle fabbriche che non sono indispensabili per la produzione.

Banche e trasporti. Restano garantiti i servizi pubblici essenziali tra cui i trasporti, i servizi bancari, postali, finanziari e assicurativi. Resta però la possibilità, da parte delle Regioni, di rimodulare orari e servizi dei trasporti anche con la soppressione di alcune tratte o la riduzione degli orari.

Agricoltura.Garantite le attività del settore agricolo, zootecnico e di trasformazione agroalimentare, comprese le filiere che offrono servizi legati a queste attività.

Il governo vede nero e stanzia più soldi: 25 miliardi

Le opinioni del governo sull’emergenza coronavirus, come quelle di quasi tutti, sono in rapida evoluzione in questi giorni: come si sono fatte più allarmate, e tradotte in provvedimenti più duri, quanto al contenimento dei contagi, così è accaduto anche al soccorso necessario all’economia italiana, destinata a una recessione abbastanza se non molto severa. Si era partiti, si ricorderà, dai 3,6 miliardi di maggior deficit concessi dall’Ue per le emergenze, s’era arrivati ai 7,5 miliardi liberati una settimana fa, ma il Consiglio dei ministri di ieri – anticipato da una lettera del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri spedita nella notte a Bruxelles – ci ha ripensato ancora, inviando al Parlamento una richiesta di scostamento dai saldi di bilancio 2020 pari a 20 miliardi (l’1,1% del Pil) che in termini di cassa diventano 25.

Una cifra assai simile a quelle chieste fin da subito da Lega e Fratelli d’Italia (non a caso lo scostamento è stato approvato all’unanimità dalle Camere) e che significa plasticamente due cose: 1) il Patto di Stabilità e i suoi zero virgola di deficit sono – momentaneamente? – sospesi; 2) il governo si muove nell’ipotesi che dall’Europa non arrivino aiuti diretti significativi, anche se continua a insistere, da ultimo nella lettera di Gualtieri ai commissari economici, che la Ue “dovrebbe rispondere a questa emergenza non solo con la flessibilità sui conti pubblici, ma anche preparando un pacchetto di stimoli fiscali coordinati che guardino in particolare agli obiettivi europei sulla crescita sostenibile”. Al momento, però, una risposta coordinata non pare una preoccupazione diffusa negli altri Paesi e non è escluso che maggiori risorse in deficit vengano approntate nel Documento di economia e finanza (Def) di aprile.

Torniamo ai soldi. Non tutti saranno spesi subito: il primo decreto economico, che dovrebbe vedere la luce domani, varrà circa la metà della somma, 12 miliardi, oltre due dei quali saranno destinati a potenziare la Protezione civile e il Servizio sanitario nazionale attraverso assunzioni a termine (circa 20mila tra medici, infermieri e personale socio-sanitario) e l’acquisto di macchinari e presidi sanitari utili contro il coronavirus. Questo anche con l’obiettivo, ha spiegato ieri Gualtieri in Parlamento, “di aumentare, a livello regionale, del 50% il numero dei posti letto in terapia intensiva e del 100% i posti letto nelle unità operative di pneumologia e di malattie infettive”.

Il resto degli interventi si muovono su tre direttrici: il lavoro, i mutui e il fisco. In sostanza, è previsto il finanziamento della cassa integrazione in deroga e del fondo di integrazione salariale per tutti, anche le imprese con un solo dipendente; un sostegno al reddito sarà dato anche a chi non può usufruire della Cassa come i lavoratori stagionali e a tempo determinato o gli autonomi; confermato anche il rafforzamento del congedo parentale e un contributo per le baby sitter nel periodo di chiusura delle scuole. Servirà poi la garanzia statale per assicurare liquidità a famiglie e imprese intervenendo sul Fondo per le Pmi, sulla sospensione dei mutui casa e sul rinvio delle scadenze di tutti gli altri prestiti (in questo la Bce potrebbe aiutare). Quanto alle tasse, bisognerà posticipare una serie di adempimenti per tutti e, per le imprese che abbiano visto crollare il proprio fatturato, sospendere tributi e versamenti contributivi.

Si tratta di provvedimenti tampone in attesa di quantificare il danno, che non sarà piccolo. Tanto più, lo ha spiegato ieri Gualtieri, che anche prima delle chiusure di questi giorni partivamo da crescita zero: nel Def “la revisione al ribasso da parte dei previsori indipendenti e l’effetto Cina avrebbe fatto scendere il tendenziale verso lo zero, ma non in territorio negativo”. Partendo da zero, ora siamo in recessione: “È ragionevole ritenere che la caduta del prodotto durerà almeno un paio di mesi, a prescindere dagli interventi messi in campo”. E non è neanche detto che si riparta di slancio alla fine della crisi: “Il rischio di un superamento dell’epidemia in Italia più graduale e di un più marcato impatto sui nostri partner commerciali è significativo”, senza contare quanto a lungo il virus impatterà sul turismo (l’11% circa del Pil). Insomma, è probabile “una rilevante contrazione del Pil in media d’anno”.

Da oggi tutt’Italia zona rossa: stop a bar, negozi e ristoranti

Non è la serrata totale, ma ci assomiglia molto. Alle 21:40 di ieri sera, il premier Giuseppe Conte ha dovuto annunciare nuove misure per il contenimento del coronavivirus, decisamente più aspre di quelle che aveva varato solo 48 ore prima. Troppo forti le richieste dei governatori di un ulteriore giro di vite, troppo alto il numero dei nuovi morti. Non è bastato fare di tutta l’Italia una zona “arancione”. Per fermare la pandemia, ufficialmente dichiarata ieri dall’Organizzazione mondiale della Sanità, bisogna chiudere tutto. E così, il decreto del presidente del Consiglio firmato martedì, alla mezzanotte di ieri viene aggiornato, va subito in Gazzetta ufficiale. Sarà in vigore fino al 25 marzo. E rende la notte più nera.

Ci eravamo già svegliati con quattro stabilimenti di Fca chiusi, con tutti gli alberghi di Venezia blindati, con i tir in fila per 80 chilometri a causa del check sanitario a cui vengono sottoposti i camionisti in uscita dal Brennero e con la polizia che a Milano aveva intensificato i controlli al punto da salire sugli autobus per verificare gli spostamenti dei cittadini. Ma è non bastato. La fotografia del Paese reale, come si diceva prima che il Coronavirus trasformasse la penisola in una landa desolata, ha imposto all’unità di crisi composta dai capidelegazione e da alcuni ministri fino a tarda sera rimasta in riunione a Palazzo Chigi di rispondere a quei 196 morti che solo nella giornata di ieri hanno aggiornato il tragico bollettino della Protezione civile: 149 di loro vivevano in Lombardia, la regione più colpita dal contagio. Ed è da lì, dalla Lombardia, che per prima era partita la richiesta al governo di usare il pugno duro: il governatore Attilio Fontana – e con lui, va detto, praticamente tutti gli altri presidenti di regione – da giorni chiede a Giuseppe Conte di non fermarsi ai divieti in larga parte affidati al buon senso dei singoli cittadini.

Ieri mattina, Fontana, lo ha messo per iscritto. E alle 21.40 il premier gli ha risposto: “Chiuse tutte le attività di vendita al dettaglio, escluse le farmacie e i negozi di generi alimentari e di prima necessità, chiusi anche i reparti delle aziende non necessari alla produzione, mentre le imprese – dice il premier, ringraziando gli italiani per quello che stanno facendo – restano aperte ma devono adottare protocolli per la tutela dei lavoratori”. Restano attivi i trasporti pubblici, le banche, le assicurazioni. Anche i benzinai, le edicole e i tabaccai. Spiragli nel buio, che rendono la scelta del governo comunque diversa dalla “serrata totale” di cui il centrodestra parla da giorni e che il Pd della Lombardia era arrivato a bollare come una “espressione più propagandistica che reale”.

Ma la verità è che i numeri di ieri e la “pandemia” decretata dall’Oms hanno rotto ogni argine, anche quello di tentare di non assestare un colpo irrimediabile all’economia del Paese e di mettere a rischio perfino l’ordine pubblico: la “retorica del modello Wuhan”, dicevano i giallorosa, “non regge: lì ha chiuso una regione, mentre il resto della Cina a continuato a produrre normalmente”. Ma qui, in Italia, la corsa era già partita. Alberto Cirio, a capo del Piemonte, aveva già fatto sapere di volersi uniformare alla Lombardia. Altri stavano già procedendo con misure di contenimento, sulla falsariga di quelle prese dalle regioni più colpite. Jole Santelli, presidente della Calabria, ieri aveva chiuso barbieri, parrucchieri e centri estetici fino al 3 aprile. Il pugliese Michele Emiliano si annunciava bellicoso contro “la bolgia della battaglia che sta per scatenarsi”. Questa mattina tutti i governatori torneranno a riunirsi in videoconferenza con il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia. Ma per valutare gli effetti sul contenimento del contagio dei provvedimenti, ammette Conte, ci vorranno “due o tre settimane”. Prima, è probabile che i contagi aumenteranno: è anche per gestire questa mole di pazienti che il premier ha deciso di nominare l’amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri come commissario “per potenziare la risposta delle strutture ospedaliere all’emergenza sanitaria”.

Arcuri, spiega il premier, “avrà ampio potere di deroga e lavorerà soprattutto per la produzione e la distribuzione di attrezzature per terapia intensiva e sub intensiva”. Non è proprio il supercommissario che voleva il centrodestra. Ma alle opposizioni va benissimo così. “Sono molto contenta – commenta subito Giorgia Meloni – perché abbiamo dimostrato che le nostre proposte erano sensate”.

Fantavirus

Siccome gli sciacalli da tastiera e i virologi da poltrona sono tutti intenti a dare retta ai due Matteo e a raccontarci quanto staremmo meglio con un altro governo, possibilmente di destra o comunque con la destra, secondo le formule del governissimo di unità nazionale o di salute pubblica (battutona), o direttamente del supercommissario-dittatore, li prendiamo sul serio. Come gli autori di quei romanzi che immaginano come sarebbe il mondo se la Seconda guerra mondiale l’avesse vinta Adolf Hitler.

Ipotesi del primo tipo. L’estate scorsa, dopo la crisi del Papeete, il Pd segue gli amorevoli consigli di Repubblica-Espresso-Stampa-Messaggero-Corriere. I 5Stelle, anziché a Grillo, danno retta a Paragone. Mattarella si attiene alla scuola di pensiero costituzionale di Sallusti-Feltri-Sgarbi-Maglie-Capezzone. E si va alle elezioni anticipate a novembre. Salvini vince e forma il suo primo governo con B., Meloni e i loro statisti. Sorvolando sull’esercizio provvisorio, l’aumento dell’Iva, la procedura d’infrazione Ue, le figure di merda nazionali e internazionali, si arriva alla crisi coronavirus. Salvini disdetta subito Schengen e chiude le frontiere, levando le castagne dal fuoco ai governi europei più anti-italiani che ci trattano da untori e non vogliono più farci uscire dall’Italia. Poi chiude i porti, salvo accorgersi che non arriva più un immigrato neppure a pagarlo (gli scafisti sono i primi a mettersi in autoquarantena). E rimpatria con un ponte aereo verso la Cina tutti i cinesi in Italia, che contano ben due positivi al virus contro migliaia di italiani. Le regioni dei due focolai, Lombardia e Veneto, leghiste ma amministrate da gente un po’ meno insensata di lui, adottano misure restrittive per contenere il contagio, che c’entra poco con cinesi e africani e molto con i padani. Ma il premier, convinto dagli amici Trump e Johnson che il Covid-19 sia un’invenzione dell’Oms, del Mes e delle Ong, tesi confermata dalla rivista scientifica Libero (“Virus, ora si esagera”, “Veneti e lombardi: ‘Fateci lavorare, basta con le restrizioni’”), sale al Quirinale e dice: “Riaprire, riaprire tutto: palestre, musei, gallerie, stadi, bar, centri commerciali, fabbriche, negozi, discoteche”. Fontana e Zaia chiedono ai virologi se per caso il coronavirus attacchi anche le vie cerebrali, poi si rassegnano all’evidenza del tampone: il premier è negativo al coronavirus, ma positivo al cazzarovirus, e non da ora. Infatti i contagiati sono 1 milione, i morti a 50 mila e persino gli scienziati di Libero insultano chi minimizzava (cioè se stessi) e chiedono di chiudere tutto.

Al che Salvini dichiara: “Ho sempre detto che chiudere la Lombardia non basta e la zona arancione in tutt’Italia neppure. Subito serrata di tutto il Paese e zona rossa per l’intera Europa”. In preda allo sconforto, Fontana s’iscrive al Pd e Zaia ai 5Stelle.

Ipotesi del secondo tipo. Il 25 febbraio, dalle fertili menti del Cazzaro Verde e del Cazzaro Innominabile, nasce il governissimo Draghi (non Mario, che ha cortesemente declinato, ma Matìas, portiere della squadra di calcio argentina Estudiantes de Mérida), sostenuto da tutti i partiti fuorché i 5Stelle. Un governo del fare. Un governo smart-trendy- smile-friendly-choc, che ha pure il pregio di liberarci da Conte, notoriamente poco serio. Infatti, fra i nuovi ministri, svettano Salvini all’Interno, B. alla Giustizia, l’Innominabile agli Appalti Consip e Famiglia (la sua) e Sala all’Expo-Salute e Retrodatazione Appalti. Il quale Sala rilascia un’intervista a Repubblica: “Riapriamo Milano”, “non si può spegnere tutto, iniziamo dai musei”. E lancia l’hashtag #milanononsiferma, con apposita t-shirt bianca e video di gaia normalità, subito rilanciato dall’Innominabile (“ripartire si può, tutti insieme. Lo dimostra questo bellissimo video su Milano che mi piace condividere con voi”). Appena sei giorni dopo, Sala aderisce all’hashtag #iostoacasa e invita i milanesi a non credere al sindaco cazzaro che li esortava a non fermarsi: “Rimanete in casa il più possibile”. Ammirato da tanta coerenza, Salvini gli regala la tessera ad honorem della Lega.

Ipotesi del terzo tipo. Pressato dai due Cazzari e dalla stampa al seguito, Conte nomina Guido Bertolaso supercommissario con pieni poteri all’emergenza coronavirus. Ma i due Cazzari ripetono in stereofonia che “Bertolaso non basta”, così arriva anche un secondo supercommissario, con pieni poteri fratto due: Gianni De Gennaro, con delega alla repressione dei renitenti alle prescrizioni. Memore della radiosa esperienza del G8 di Genova 2001, con particolare riferimento alle scorribande indisturbate dei black bloc e delle botte da orbi ai manifestanti inermi che dormivano nella scuola Diaz o venivano interrogati nella caserma di Bolzaneto, Supergianni fa subito manganellare chi sta a casa propria, mentre chi gironzola e socializza senza motivo non ha nulla da temere. Dal canto suo, Superguido richiama in servizio la squadra vincente che aveva ben meritato sul terremoto in Abruzzo e sull’altro G8, quello fissato alla Maddalena e poi traslocato all’Aquila. E cioè Bernardo De Bernardinis, che minimizza l’emergenza virus con le stesse parole usate alla vigilia della scossa mortale del 6 aprile 2009: “Bevetevi un bel bicchiere di Montepulciano”, possibilmente tutti dallo stesso bicchiere. Balducci e De Santis invece si occupano dell’appalto per le mascherine e i respiratori. Ma purtroppo vengono riarrestati nel giro di mezz’ora per averlo affidato a un’impresa di pulizie e giardinaggio dell’amico Diego Anemone, ovviamente senza gara. Così Bertolaso può annunciare trionfalmente a reti unificate: “Finalmente l’Italia è tornata alla normalità”.

Il cervello di Einstein, più sviluppato soltanto perché più curioso

Che cervello Albert Einstein! Ma vi siete mai chiesti che fine ha fatto questo cervello? Partiamo dalla fine: il 18 aprile del 1955 di colpo – Sbatabum – ad Albert venne un coccolone: rottura di un aneurisma dell’aorta. Fu così che, in New Jersey e all’età di 76 anni, la mente più brillante del xx secolo ci abbandonò. Quando il corpo di Albert fu portato all’ospedale di Princeton, la famiglia fu molto chiara riguardo cosa fare delle spoglie. Albert stesso aveva chiesto: “Aho, peppiace’, se schioppo fatemi cremare che io della gente non mi fido”. Il patologo di turno, il dottor Thomas Harvey, aveva un solo compito: accertarsi delle cause della morte di Albert. Ma una volta entrato nella camera mortuaria… ebbene sì, il caro patologo si imboscò il cervello. In quel periodo eravamo nel bel mezzo della Guerra fredda. Già dagli anni Venti gli scienziati stavano effettuando studi anatomici per identificare cause e caratteristiche di un cervello “geniale”. I sovietici avevano messo insieme un mucchio di cervelli celebri da sottoporre a minuziosi test. Tra questi, anche quelli di Lenin e Stalin, per dire. Thomas Harvey però aveva il cervello di Einstein! Vittoria sicura!

C’era solo un piccolissimo ostacolo al suo piano… Harvey non aveva idea di come si studiasse un cervello. Per prima cosa lo fotografò insieme a un righello da ogni angolazione possibile, per mostrarne le dimensioni. Dopodiché portò il cervello all’Università della Pennsylvania e lo affidò a Marta Keller, che, anche lei inesperta, si limitò a seguire le pratiche dell’epoca: lo affettò. Otto mesi a dissezionare porzioni di corteccia e alla fine ecco una meravigliosa collezione di 240 cubetti di cervello in celloidina (un materiale plastico trasparente usato a quel tempo per la conservazione) e circa mille fettine di tessuto colorato, montate in dodici serie di vetrini da microscopia. Un bel pezzone non dissezionato, invece, Harvey se lo mise in un barattolo e se lo portò a casa. L’ospedale di Princeton iniziò a chiedersi dove fosse finito il campione; Harvey non era autorizzato a portarlo fuori, ma la pensava diversamente: il cervello era suo, punto e basta.

Rifiutandosi di riportare i campioni in ospedale, fu licenziato e la sua licenza di esercitare ritirata.

Intanto la moglie lo aveva lasciato portandosi dietro i figli. Rimasto solo con i suoi campioni di tessuto, nel 1960 Harvey fece le valigie e si trasferì nel Midwest, dove trovò lavoro in una fabbrica che produceva pezzetti di plastica. Il cervello di Einstein fu messo in una ghiacciaia portatile, di quelle che gli americani usano per le birre allo stadio e lì rimase per venticinque anni. Di Harvey e del cervello rubato si perse ogni traccia fino al 1985. Per fortuna un giornalista riuscì a ricostruire la sua vicenda, trovandolo e recuperando pochi reperti. Marian C. Diamond, dell’Università della California (Berkeley), richiese quattro blocchetti da studiare. Aveva già osservato in uno studio sui topi che l’esposizione a un ambiente ricco di stimoli arricchiva il cervello di cellule gliali, aumentando il rapporto tra cellule gliali e neuroni. Che il cervello di Albert avesse una simile caratteristica? Analizzando i blocchetti notò che uno di questi aveva proprio una maggior proporzione di cellule gliali. Il suo “genio” era dovuto a questo tratto? No! Dire “Albert Einstein era un mutante, un X-Man”, sarebbe molto comodo. Invece non ci possiamo proprio giustificare. L’alto numero di cellule gliali significava che quel tessuto era stato maggiormente usato. Le cellule gliali erano l’effetto dell’uso del cervello, non la causa dell’intelligenza. Era un po’ come se Einstein andasse nella palestra dei cervelli ogni giorno! C’è poco da cercare il genio in un mero tessuto organico. Fu Einstein a dire: “Non ho nessun particolare talento. Ho solo un’appassionata curiosità”. Volete anche voi un cervello mutante come quello di Albert? Non c’è bisogno di iniettarvi uranio impoverito nelle vene: basta essere curiosi. Ad esempio, potreste andare a vedere la collezione personale di Harvey, con fotografie e 500 vetrini, donata al National Museum of Health and Medicine nel Maryland.

“La Aniston dovrebbe essere uccisa”. Firmato: Weinstein

“Jennifer Aniston dovrebbe essere ammazzata”. A scriverlo sarebbe stato Harvey Weinstein in una email dell’ottobre 2017. Proprio mentre si consuma l’atto finale dell’epopea giudiziaria del sessantasettenne Harvey Weinstein (già giudicato colpevole di stupro di terzo grado e di atto sessuale criminale di primo grado a febbraio al processo di New York), la notizia proviene da una serie di documenti giudiziari, mail e messaggi telematici mandati da lui e i suoi, che offrono uno sguardo sulle sue prime settimane dell’ottobre-novembre 2017, all’inizio dunque della tempesta del #MeToo.

I legali difensori di Weinstein li avevano mantenuti sotto sigillo presso la Corte Suprema di Manhattan nel tentativo di impedire ai pubblici ministeri di usarli durante il processo, ma che adesso sono stati resi pubblici, divulgati e che di certo verranno tenuti in considerazione in vista della sua (prevista) condanna oggi a Los Angeles.

Secondo quanto riportato dai rotocalchi americani, le cose tra la Aniston e Weinstein sarebbero andate così: Sallie Hofmeister, allora dirigente della società di pubbliche relazioni Sitrick, informa Weinstein che, tramite il National Enquirer, Jennifer Aniston stava pianificando di denunciare il produttore per averla aggredita sessualmente nel 2005, in occasione di un film che la vede tra le protagoniste, Derailed. Nella sua email, Hofmeister scrive: “Jennifer ha confidato a un amico che durante la promozione del film, Weinstein l’ha aggredita sessualmente premendosi contro la sua schiena, afferrandole le natiche”. In più, leggiamo, una fonte vicina alla Aniston dice che “Harvey era così infatuato di Jennifer da parlare costantemente di quanto fosse sexy.”

Venuta fuori questa storia, che l’Enquirer non ha mai pubblicato, Stephen Huvane, il portavoce dell’attrice, ha negato che il signor Weinstein l’abbia mai aggredita. In un comunicato di questi giorni, ha dichiarato: “Non le è mai stato abbastanza vicino da toccarla, in più non è mai stata sola con lui. Riguardo all’email, non abbiamo nessun commento da fare dato che non l’abbiamo ricevuta noi.”

Eppure, lo scorso anno a Variety la Aniston aveva dettagliato il “comportamento da porco” di Weinstein durante la cena della prima per Derailed. “Ricordo che ero seduta a tavola con Clive Owen, i nostri produttori e un mio amico” aveva dichiarato la Aniston. Poi Weinstein “si avvicinò al tavolo e disse al mio amico di alzarsi” come fosse un suo diritto legittimo.

Staremo a vedere se il nodo di questa controversia (non legale) verrà dipanato.

Ma è interessante perché la email in cui si augura la morte della Aniston si insinua, come un lampo di verità, in un grande sforzo, soprattutto condotto per email in quelle settimane del 2017, in cui Weinstein e i suoi volevano costruire l’immagine di un uomo distrutto da un probabile abuso sessuale subito da piccolo che desiderava correggere i propri errori.

In più porta a galla una verità: i membri del consiglio della Weinstein Company volevano farlo fuori.

Così, lui ha avocato a sé l’aiuto di un gruppo di amici ricchi, tra cui Ronald Meyer (vicepresidente della NBC Universal) e Jeff Bezos (mr. Amazon). Tra tutte, spicca la risposta di Anita Dunn (veterana agente democratica, attuale consigliera di Joe Biden): “Dovresti accettare il tuo destino con grazia, e non cercare di negare o screditare coloro che il tuo comportamento ha influenzato”.