Da un lato, ne temiamo con terrore la scomparsa, paventiamo guerre globali per la sua conquista, temiamo le inondazioni e i diluvi. Dall’altro, però, non la conosciamo per nulla, infatti la diamo per scontata, non ci appassionano i dibattiti sul suo rapporto con i cambiamenti climatici, soprattutto non riusciamo a capire il suo nesso ineludibile con la politica e l’economia, né “vediamo come l’acqua determini la capacità di apprendimento di una bambina indiana o influisca sulla sicurezza energetica di uno Stato”. Il nostro incoerente rapporto con ciò senza cui non potremmo vivere è al centro di Oro blu. Storie di acqua e cambiamento climatico(Laterza). L’autore è Edoardo Borgomeo, un giovane specialista in idrologia, honorary reasearch associate ad Oxford e consulente Fao per l’acqua, il cui approccio verso il tema è originale e suggestivo: basta, dice, affrontare il tema dell’acqua solo come minaccia per la nostra vita e fonte di conflitti tra stati, più immaginati che reali. Basta anche parlarne solo in termini fisici, quanta ne abbiamo o non abbiamo, o concentrarsi sulle tecnologie da adottare per risolvere la crisi idrica. Anzitutto, va recuperato il nostro rapporto intimo, culturale, simbolico con l’acqua, provando “a capire meglio come vivere questo legame” e capendo che la gestione dell’acqua “non è solamente compito di ingegneri, economisti o ecologici”, ma di tutti.
Per studiare questa relazione, l’autore ha attraversato vari Paesi, raccontando storie di quella che lui chiama da un lato “idrofobia”, un cattivo rapporto con l’acqua, che ci porta a temerla, intrappolarla, utilizzarla nel modo sbagliato, perderla; dall’altro, invece, “idrofilia”: casi in cui l’acqua è vista come opportunità da accogliere senza temerla né sprecarla. Uno degli esempi più interessanti di questo secondo atteggiamento sono proprio, secondo Borgomeo, i Paesi Bassi. Qui l’acqua è stata sempre gestita democraticamente dai cosiddetti waterschappen, “parlamenti dell’acqua”. Inoltre, invece che costruire argini sempre più alti, inutili con l’innalzamento dei mari, gli olandesi hanno deciso di dare all’acqua la possibilità di prendersi parte della terra, facendola uscire parzialmente dal letto durante le piene. Una tecnica che viene esportata con grande profitto nel mondo. Ma idrofilia è anche, ad esempio, il riciclo dell’acqua di fogna, come avviene a Singapore, così come la lotta di chi si batte perché fiumi e laghi diventino soggetti giuridici, come è avvenuto, ad esempio, in Nuova Zelanda, dove un accordo tra il governo e gli indigeni Maori ha riconosciuto il fiume Whanganui come “persona legale”. Infine, come espressione di idrofilia l’autore cita anche l’azione di Danilo Dolci in Sicilia e la costruzione della diga sul fiume Jato, un esempio di come “le opere idrauliche si possano progettare in maniera collettiva e democratica”.
Purtroppo non mancano nel libro le storie di un atteggiamento distruttivo verso l’acqua. Sono casi avvenuti nel passato, come la “fascistizzazione” dell’acqua da parte del dittatore Franco attraverso la costruzione di centinaia di dighe, ma anche il genocidio compiuto da Saddam Hussein quando decise di prosciugare le paludi della Mesopotamia deviando il fiume Eufrate, costringendo la popolazione a fuggire e distruggendo per sempre un ecosistema. E poi ci sono le realtà di oggi. Un esempio è Città del Messico, “città avvelenata dai propri rifiuti e sull’orlo di una crisi idrica”, dove l’acqua arriva da fiumi lontani, trasportata superando montagne di mille metri con un costo energetico enorme e dove esiste un incredibile tunnel di 1.353 chilometri per convogliare le acque di scarico della città. Idrofobo è anche l’atteggiamento di chi malgoverna il martoriato Bangladesh – ma anche di noi che mangiamo gamberetti coltivati lì senza conoscerne il costo umano e ambientale – dove le maree e le inondazioni, causate dai cicloni tropicali purtroppo in aumento a causa del clima, inondano i campi di acqua salata, rendendo la popolazione sempre più povera e costringendola alla fuga. Ma sintomatico di un cattivo rapporto con l’acqua è anche il nostro consumo dell’acqua in bottiglia, essenziale per gli sfollati o per chi abita dove non ci sono sorgenti di acqua pulita, ma inutile per gli altri visto che, sottolinea Borgomeo, significa solo produrre una quantità immensa di rifiuti, consumare energia, arricchire le multinazionali.
Il libro ci conduce anche nelle fogne di Londra a conoscere i cosiddetti fatberg, iceberg fatti di oli vegetali, grasso, salviettine, preservativi, pannolini, avanzi, creme, feci e che, sebbene siano usati per produrre energia, molto ci dicono dello scarso rispetto verso l’ambiente di un popolo in teoria evoluto come gli inglesi. Ma Oro blu contiene anche la storia dell’architetta Perween Rahman, uccisa perché tentava di garantire una distribuzione più equa e affidabile al quartiere povero di Orangi Town di Karachi (Pakistan), a dimostrazione che l’acqua è diventata interesse della mafia, “perché più lucrativa della droga”.
Al termine del suo viaggio tra cattivi e virtuosi esempi, Borgomeo non lascia chi legge senza risposte. Non moriremo probabilmente di guerre globali per l’acqua o di siccità. Ma se da un lato occorre evitare sia il pensiero della catastrofe imminente, sia “il tecno-ottimismo”, il nostro rapporto con l’acqua va drasticamente cambiato. Da risorsa semplicemente fisico-quantitativa, questione per esperti, deve diventare parte integrante delle nostre vite ed essere considerata come una questione politica ed economica, ma anche etica e spirituale. Perché l’acqua è anche storia. Basti l’esempio della diga che l’Etiopia sta costruendo sul Nilo: nulla si capirebbe di quest’opera senza ricordare l’importanza religiosa del fiume per l’Egitto. E in fondo anche per noi.