Il virus, i concorsi e De Luca. Prove svolte in Campania: “C’è la ressa. E l’emergenza?”

 

Cara Selvaggia, ti scrivo per segnalarti l’incresciosa situazione che stiamo vivendo, noi candidati al concorso della regione Campania per i Centri per l’impiego. Le prove sono cominciate giovedì 5 marzo. Trovo vergognoso che in un clima d’emergenza sanitaria nazionale, il presidente Vincenzo De Luca disattenda completamente le regole nazionali ostinandosi a portare avanti un concorso al quale parteciperanno centinaia di persone da tutta Italia. Non mi riferisco solo al rischio che si corre nello stare in fila per entrare nei padiglioni, e nemmeno al padiglione in sé, che ospiterà centinaia di persone. Hai presente cosa significa prendere un treno o una metropolitana immediatamente dopo una prova concorsuale? Le file interminabili all’uscita dal padiglione? Le strade affollate? Le attese al semaforo per attraversare la strada? Gli ingorghi per salire sul treno? E quelli per l’acquisto del relativo biglietto? Hai presente quanti campani ‘emigrati’ al nord torneranno a sostenere la prova per tentare di riavvicinarsi alla propria terra e alle proprie famiglie? Chi ci garantisce che queste persone non siano entrate in contatto con chi è risultato positivo al Coronavirus? Chi ci garantisce che non lo siano anche i residenti in Campania, visto il numero di contagi che cresce di ora in ora in varie zone della Regione? Ognuno dei partecipanti ha bambini e parenti anziani; oppure, tra i familiari, malati oncologici, immunodepressi, che potremmo a nostra volta contagiare. Non è così scontato, ma chi ci garantisce che non succeda?

Dinanzi a questa situazione le alternative sono solo due: accettare il rischio, con tutte le conseguenze che potrebbe comportare; oppure non presentarsi alla prova, privandosi della ‘possibilità’ di cambiare le proprie condizioni di vita. Ho studiato per questo concorso ed è mio interesse affrontarlo il prima possibile, ma non così. Non a queste condizioni. Non se in Italia c’è un’emergenza sanitaria nazionale e il nostro Consiglio dei ministri decide di adottare misure straordinarie chiudendo scuole, teatri, cinema, sospendendo partite e gare sportive; non se si decide di vietare qualsiasi forma di aggregazione. Mentre si consiglia di “lavarsi le mani”, “starnutire coprendosi con il gomito” e non “salutare calorosamente” gli altri. Il presidente De Luca sta violando deliberatamente queste regole, e così facendo non ci tutela. A questo punto, non posso che dare ragione a quanti sostengono che la sua ostinazione sia dovuta alla volontà di chiudere il concorso prima delle imminenti elezioni regionali, per dimostrare quanti posti di lavoro sono stati attribuiti in Campania durante il suo mandato. È l’unica soluzione logica che riesco a dare al suo deliberato menefreghismo. Non si scherza con la salute delle persone. La sua irresponsabilità di fronte a questa problematica è sconcertante. L’ho toccato con mano proprio giovedì: ingressi affollatissimi, metropolitane stracolme, distanze di sicurezza ovviamente inesistenti. E sai come ci “tutela” il presidente De Luca? Con un’autocertificazione in cui dichiariamo di non venire dalla zona rossa e non avere sintomi. In questo modo scarica su di noi ogni responsabilità.

Mirella

 

Cara Mirella, gli atteggiamenti del governatore De Luca hanno smesso di stupirmi da molto tempo. Speriamo almeno sia la goccia che fa traboccare il vaso.

 

“Ho il cancro e vi dico: violare le regole sanitarie è crudeltà”

Ciao Selvaggia, è difficile raccontare la paura. Ma ci provo. Sono Raffaella, ho 38 anni e combatto da 2 anni contro un tumore. La percezione della vita, delle priorità, è completamente cambiata. Vivo lottando come un leone per mia figlia che ha solo quattro anni. La preoccupazione di ogni genitore non è infatti quella di poter morire, ma di lasciare soli figli che nessuno amerà e proteggerà come noi. Dopo le terapie, come ben sai, ci sono da fare i controlli. Già normalmente i controlli fanno paura, immagina dover affrontare tutto in questo momento così delicato. Ho paura, soprattutto dell’egoismo e della mancanza di empatia che vedo in giro. Leggo costantemente di gente che ironizza sulla situazione, che si pavoneggia per non “cedere” alle restrizioni che (giustamente) ci vengono imposte. Mi fa paura questa indifferenza, mi incupisce pensare che il mondo che viviamo sia diventato davvero così povero. È triste pensare che la lotta che molti di noi combattiamo per sopravvivere, venga ignorata da una massa di “rivoluzionari”. Spiegatemi: cosa c’è di rivoluzionario nell’essere diventati crudeli? Sì, perché qui è crudeltà. Girano ancora nei centri commerciali, si riuniscono per studiare, partecipano allegramente alle feste. Il mondo sta implorando di fermarci e invece si continua a correre per il gusto di trasgredire. Noi malati oncologici abbiamo bisogno dei nostri medici, angeli a cui dobbiamo la vita. Vederli in affanno, inascoltati, stremati mi causa tanta sofferenza. L’emergenza sarebbe potuta diventare l’occasione per dimostrare che nonostante tutto, qualcosa di buono in noi è rimasto. Ad oggi, mi sembra che sia andata sprecata.

Sandra

 

Ciao Sandra, proprio mentre stavo leggendo la tua lettera, ho ricevuto un messaggio da una persona delle tante che hanno pensato fosse divertente organizzare un’affollata festa al ristorante. Mi ha scritto: “Si faccia i cazzi suoi”. Ma d’altra parte è il metro con cui, stando ai dati elettorali, amiamo rapportarci con i più deboli. Ti abbraccio.

 

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La scoperta scientifica made in Italy: il pensiero è una mappa, come lo spazio

Il luogo dell’immaginazione è un pezzo di carne. Il cervello fa uso delle stesse aree per navigare gli spazi e il pensiero; la corteccia mediale prefrontale si attiva ugualmente se deve rappresentare un luogo fisico o la distanza tra concetti astratti. È il risultato del lavoro di due ricercatori dell’Università di Trento, Simone Viganò e Manuela Piazza, pubblicato sull’ultimo numero del Journal of Neuroscience, a darne prova sperimentale.

La risonanza mediatica è stata modesta; la scoperta è stata interpretata come l’esistenza di un sistema Gps del cervello, e subito archiviata come uno dei tanti ritrovati delle neuroscienze. Eppure le implicazioni filosofiche sono radicali. È finita la contrapposizione tra reale e immaginato, e si avvera quindi l’intuizione di un terzo mondo, l’imaginalis corbiniano, che è per sua stessa definizione un munudus, quindi un ordine di realtà. Di tutte le dimensioni, è la distanza ad essere rappresentata nel cervello. Lo studio del Journal of Neuroscience lo afferma chiaramente: che si tratti di luoghi o di concetti, distanza è sempre la stessa cosa, rappresentabile cartesianamente. È forse uno dei risultati più platonici delle neuroscienze contemporanee.

La spiegazione immediata è, ovviamente, un’altra. Affidandosi all’evoluzione, la sovrapposizione è presto risolta: le regioni cerebrali e i meccanismi usati negli altri mammiferi per codificare le posizioni spaziali, vengono “riciclate” nell’uomo per rappresentare uno spazio concettuale multisensoriale. Che sia questione di riciclo o meno, l’imaginale si impone. Se lo stesso meccanismo si attiva nel concreto e nell’astratto, che differenza si può allora assumere tra i due? Da una prospettiva fenomenologica è nulla, ed è anzi capzioso interrogarsi ancora di fronte alle origini distinte di una medesima esperienza. I risultati non sono da interpretare come un parallelo tra mondo fisico e mentale, ma come l’esistenza di un solo mondo.

Edvard Moser, neuroscienziato norvegese, fu il primo a ipotizzare che il cervello faccia uso delle mappe spaziali anche nel pensiero. L’idea gli giunse dopo essersi ritrovato a scoprire nel cervello sempre nuovi moduli dedicati al movimento, quando si credeva ne esistesse uno solo. “Abbiamo quattro sensi di posizione”, fu la sua prima dichiarazione, osservando con sorpresa che ciascuno operasse in maniera indipendente. “Magari ne abbiamo dieci” concluse, nel 2012, guardando i ratti nel suo laboratorio, nei quali aveva impiantato elettrodi per registrare l’attività cerebrale, e trovandosi spiazzato da sempre nuovi moduli, sempre nuove mappe. Due anni dopo riceverà il premio Nobel.

La mente fa del pensiero un luogo. Da scoprire, e nel quale muoversi. La lezione arriva da Cicerone quando, nel De Oratore, arriva alla certezza: “Usiamo i luoghi come fossero cera, e le immagini come lettere”. Fedele alla vocazione pratica latina, Cicerone non si abbandona alla teoria, ma ne fa immediatamente tecnica: “Si scelgano luoghi ben illuminati, in posizioni ordinate, a intervalli moderati, e immagini inusuali, che hanno il potere di penetrare la mente”. Da Cicerone il metodo passa a Quintiliano che la perfeziona, e la tecnica dei loci diventa essenziale per ogni buon retore medievale. Della tecnica oratoria, la tecnica neuroscientifica mostra il segreto: sono fatti di una sola carne, il luogo e il pensiero. Sono cera e sono lettere, sono gli spazi e diventano immagini.

La memoria (im)perfetta di una bimba alla Olivetti

Sfogliando Memoria imperfetta di Antonella Tarpino, Einaudi, vi accorgete di avere fra le mani uno strano libro. Il luogo è Ivrea, il tempo è Adriano Olivetti, i personaggi sono gli ingegneri che stanno per creare qualcosa di totalmente nuovo; e gli scrittori, economisti, poeti, disegnatori, architetti che li accompagnano nel fare e nel credere che il nuovo stia per venire, anzi sia già nelle loro mani. Come dire che un lettore già interessato alla frequentazione olivettiana, ai nomi di ingegneri e poeti di un momento breve e grandissimo della creatività italiana, si sente subito a casa e sa di avere già vissuto questa avventura.

Invece l’autrice introduce un fatto nuovo che darà al libro su Olivetti (cioè tecnologie, persone e idee nuove anche oggi) qualcosa di inatteso in più. Il nuovo nel nuovo è questo. Tutto ciò che è stato scritto di Olivetti arriva da 2 vie: la memoria di chi c’era e vuole testimoniare della vita incredibile nella fabbrica; oppure da persone giovani che ripercorrono carte, disegni, fotografie, usano testimonianze e testi, mostrano prodotti, per convincersi e convincere che un tempo così c’è stato e stava per spostare in avanti il mondo del lavoro e della tecnologia italiana.

Qui, all’improvviso, Memoria imperfetta riserva al lettore una sorpresa: da un lato garantisce un’informazione nuova e diversa sul mondo Olivetti; dall’altro chiede al lettore di spostarsi 2 volte nel tempo. Siamo negli anni ’50–’60 in cui il lavoro italiano dispiega una forza creativa mai avuta e che non sembra possa tornare, ma anche nell’età della narratrice. Antonella Tarpino era una bambina (portata a Ivrea dal padre ingegnere) che sgambettava fra Volponi e Fortini e viveva la fabbrica del nuovo come Alice nel paese delle meraviglie. Le sue meraviglie avevano forma di quadrati e rettangoli (i tetti delle case nuove), perfetti nel paesaggio severo delle colline di Ivrea e lungo le rive del fiume Dora, sempre troppo affannato (flutti bianchi che sbattono ovunque) e sempre imbronciato. Ma la fabbrica del nuovo risponde in un suo modo allegro, forse perché è vissuta dai bambini, e una di loro racconta.

La trovata dell’autrice, però, non è un esercizio d’infanzia ritrovata. Usa la bambina, sveglia e viva nella sua memoria, come Benjamin Britten o Stockhausen usano i cori di voci bianche per allargare lo spazio della musica. Qui le voci bianche servono a mostrare con sguardi festosi, che vengono molto prima della critica e dell’apprezzamento della cultura, la bellezza allegra del nuovo a mano a mano che si compone (opera di ingegneri, sociologi, scrittori, poeti, architetti a cui i bambini hanno dato soprannomi). I tetti bianchi piatti, ad angolo retto, della città nuova, per esempio, sono visti come una casbah avventurosa dove la novità si sgancia dal dal passato. Di lì parte l’avventura.

Eppure il libro non è una storia di bambini e non è la trovata di cambiare il punto di vista. La tecnica sembra quella del cinematographer Carlo Di Palma, che ha cambiato i film di Woody Allen attraverso la tecnica della camera che gira, senza tagli o montaggio, intorno alla stessa persona e alla stessa scena, consentendo allo spettatore di “vedere tutto”. In Memoria imperfetta, la scrittura di Antonella Tarpino gira intorno alla figura di Adriano Olivetti (dei suoi occhi “azzurro lago” e delle camicie troppo bianche) e ai suoi compagni d’avventura; in quel Camelot bellissimo e breve, l’autrice ci fa vedere tutto, dallo sguardo furbo e incantato dei bimbi alle riflessioni della politica, della cultura, della sociologia e dei tempi cambiati. Il libro è rigoroso e, dove occorre, esatto. Ma c’è un che di fiaba che lo fa diverso.

Voglio fare l’astronauta: il palco c’è?

Sono nata nel ’66 e domani compirò 30 anni. Fin qui può essere una notizia di scarso interesse per il Paese reale, ma per me la giornata di domani avrà un importante significato. Compiere 30 anni significa tempo di bilanci. Io non sono scontenta di ciò che ho fatto, mi sono divertita, ho avuto delle soddisfazioni e anche qualche piccolo successo. Ma questo vale finché hai il 2 davanti, anche a 29 anni puoi definirti una ventenne, ma da domani il 2 sparirà e mi troverò in compagnia di un inesorabile 3. Come Joseph Conrad scriveva nel suo capolavoro: “La linea d’ombra è quella che ci avverte di dover lasciare alle spalle le ragioni della prima gioventù. Alle prime avvisaglie di giovinezza finita, il protagonista decide di lasciare il mare e i tropici, ma gli si presenta la grande occasione, assumere il posto da capitano su una nave orientale”. Questo capitava a Conrad, ma nel mio caso è difficile che mi offrano il comando di una nave in rotta per l’Oriente, al massimo mi chiederanno di guidare un pedalò a Riccione. Incarico che non garantisce nessuna continuità, considerando l’utilizzo esclusivamente estivo del suddetto pedalò. Allora cosa potrei fare per garantirmi una certa sicurezza nella mia vita futura? Un concorso in banca. Io però non so fare i conti, sbaglio gli zeri negli assegni, mi licenziano il primo giorno. L’unica cosa che potrei fare in banca è una rapina, ma anche lì è un mestiere incerto e senza futuro. E allora potrei recuperare i sogni di quando ero bambina: il pompiere, meglio l’astronauta, ma poi sull’astronave che fai tutto il giorno? Spazi ristretti, assenza di gravità, sbatti la testa in continuazione, cibo in pillole e noia totale. L’unica cosa che potrei fare su una nave spaziale, è allestire un piccolo spettacolo a bordo, ho già il titolo: “Polvere di stelle”!

(Ha collaborato Massimiliano Giovanetti)

Laura, 40 chili di tecnica: “Scalare è concentrazione”

Sulle mani di ognuno di noi l’astrologia ha creato una letteratura: il monte di Giove, che sorge sul palmo sotto l’attaccatura dell’indice; la linea del cuore, che dal suddetto monte ha origine; e ancora il Monte di Venere che copre il palmo dall’attaccatura del pollice fino al polso, lambito dalla linea della vita e quella del destino; e infine la linea della felicità, di cui non tutte le mani sono provviste. Sulle mani dell’arrampicatrice Laura Rogora (romana, classe 2001), però, poco importa se sia marcata la piega dell’intuito o quanto pronunciato risulti il Monte di Mercurio alle pendici del mignolo. Colpiscono le piccole ferite, le numerose escoriazioni non ancora del tutto rimarginate, le unghie cortissime e i calli, anch’essi con la pelle smangiucchiata dal continuo e doloroso sfregare su pareti rocciose all’aperto e pareti attrezzate in palestra.

“Le ferite alle mani, ma anche su braccia e cosce, o sulle ginocchia, non hanno mai il tempo di rimarginarsi completamente perché mi alleno ogni giorno, anzi, mi diverto ogni giorno, perché per me l’arrampicata è questo: divertimento allo stato puro!” spiega Laura, con il sorriso da irriverente monella, nei suoi dolci occhi cioccolato e i capelli acconciati in una coda. Quando dopo i Giochi di Rio 2016, è stata ufficiale la notizia che l’Arrampicata sportiva sarebbe appartenuta al novero delle discipline olimpiche per i Giochi di Tokyo 2020, ogni nazione è corsa a ricercare i propri rappresentanti. Per la sezione femminile, già dall’anno scorso quando di anni ne aveva soltanto diciotto, Laura si è qualificata tra le prime venti al mondo (unica italiana) ai Campionati di Tolosa, in Francia, a novembre 2019. “È stata un’emozione unica. Era la seconda tornata per qualificarsi. Avevo mancato la prima e quindi ce l’ho messa tutta. Passavano soltanto le prime sei e uno di quei posti doveva per forza essere mio”.

La determinazione è la firma di questa piccola grande atleta, che si adopera con il suo corpo aderente ora alla roccia ora alla parete attrezzata, che si mimetizza al tessuto che deve scalare come il più intelligente e acuto tra gli animali. Il medagliere di Laura è assai gremito: dal 2015 inizia ad aggiudicarsi molte tappe degli Europei giovanili di arrampicata. “Da quel momento, ho iniziato a percepire che potevo sognare in grande”.

Poi nel 2016 vince la medaglia d’oro ai Campionati del mondo giovanili e l’argento nell’edizione del 2018. Le sue specialità sono la lead (classica salita su parete da 15–25 metri in cui le difficoltà aumentano progressivamente fino alla cima, chiamata “top”) e il boulder (l’altezza diminuisce, si parla di un percorso di 4 metri da portare a termine in capo a 5 minuti senza imbragature, e si esegue con movimenti limitati). “A Tokyo,” ci spiega Laura, “non ci saranno le discipline singolarmente ma una combinata di tre differenti percorsi, che prevede sia queste due prove, sia un’altra su cui ho iniziato ad allenarmi, chiamata speed, che è un’arrampicata più facile nel percorso, ma dove conterà moltissimo la rapidità e la tecnicadi esecuzione”.

E pensare che aveva iniziato con la ginnastica artistica per emulare il suo mito Vanessa Ferrari (prima italiana a vincere un Campionato del Mondo di Ginnastica). “Poi la passione per l’arrampicata, che mi è stata trasmessa dall’amore che mio padre ha per la montagna, ha prevalso e così ho scelto di proseguire la mia scalata sportiva non sul tappeto o sulla trave, ma in verticale sulle pareti”. Per i grandi risultati, la giovanissima Laura lo sa, ci vogliono sacrifici e rinunce: sveglia presto, sei ore di allenamento quotidiane, la dieta per essere leggera (pesa appena 40 chili) ma il giusto apporto dei nutrienti per essere abbastanza forte, e poi molta molta tecnica. “Sbaglia chi crede che l’arrampicata sia uno sport di forza fisica, è soprattutto uno sport di tecnica e concentrazione”.

Fino a qui tutto giusto. Ma a Laura, che annovera nei genitori e nella sorella i suoi più grandi sostenitori, manca uscire la sera, avere un fidanzatino e un po’ di vanità per la sua sbocciante bellezza? Sorride imbarazzata e con candore ammette: “La sera, di solito, sono così stanca dopo gli allenamenti, che ad uscire nemmeno ci penso”.

La grande bellezza: privilegio di pochi paperoni

Per Dostoevskij, “la bellezza salverà il mondo”. Ma non ha salvato il Salone di Ginevra, vittima illustre del Coronavirus, che doveva essere il palcoscenico di supercar belle e impossibili; perlomeno per chi, finanziariamente parlando, è un semplice normodotato. Bolidi come la Bentley Mulliner Bacalar, fuoriserie nata per celebrare i 100 anni del marchio e venduta a soli 12 clienti, alla cifra di 1,8 milioni di euro. La Bacalar è un trionfo di materiali nobili, come i legni Riverwood, la lana inglese e la vernice con gusci di riso, pensata per abbinare brillantezza ed ecosostenibilità. Particolari che relegano quasi in secondo piano la meccanica con propulsore W12 biturbo di 6 litri, da 659 Cv di potenza, connesso alla trasmissione automatica e 4×4.

La bellezza è un concetto soggettivo, certo, ma è facile farsi stordire dalla nuova Aston Martin V12 Speedster: è inglese e barchetta, come la Bacalar, con due posti separati da una sorta di ponte che unisce idealmente avantreno e retrotreno. Sotto al cofano figura un V12 biturbo di 5,2 litri, in grado di erogare 700 cavalli. Le prestazioni sono in linea col fascino: lo 0–100 km/h è completato in 3,5 secondi mentre la velocità di punta è limitata elettronicamente a 300 km/h. Ne verranno realizzate appena 88 unità, vendute al prezzo di circa 900 mila euro ciascuna. Secondo Oscar Wilde, “la bellezza è una forma del genio, anzi, è più alta del genio perché non necessita di spiegazioni”.

Ma la Imola, la versione più performante della Huayra, nata dal genio di Horacio Pagani, qualche spiegazione la necessita, eccome. Trattasi di un mezzo dedicato all’utilizzo in pista e messo a punto fra i cordoli dell’autodromo da cui riprende il nome. Cinque esemplari, sei milioni di euro cadauno.

Dalle altre Huayra la Imola riprende la sofisticata monoscocca in carbo–titanio e l’aerodinamica attiva, composta da quattro ali mobili che cambiano incidenza in funzione dei frangenti di guida. In aggiunta, c’è una nuova ala posteriore e un’inedita geometria delle sospensioni, pensate per scaricare a terra la potenza erogata dal V12 biturbo di 6 litri e 827 Cv.

La mission dell’italiana è simile a quella della Bugatti Chiron Pur Sport, nata per il puro piacere di guida di appena 60 clienti, che dovranno scucire tre milioni di euro ciascuno. Tasse escluse, naturalmente. Il peso scende di 50 kg rispetto alle altre Chiron e sale la sofisticazione di aerodinamica e assetto. A spingerla rimane il classico W16, 8 litri biturbo da 1.500 Cv di potenza massima, accoppiato a un cambio dai rapporti accorciati del 15% e alla trazione integrale. “La bellezza ci può trafiggere come un dolore”, asseriva Thomas Mann. Ci trafigga tutti, dunque.

500 elettrica: il testimonial è Leonardo DiCaprio

E se la bellezza fosse pure tramandabile e sostenibile, per ambiente e portafoglio? Ipotesi avvalorata dalla nuova Fiat 500 elettrica, arrivata alla sua seconda reincarnazione dopo quella del 2007, a sua volta generata dal modello originale del 1957. “Più lunga, più larga e abitabile con un pianale nuovo, sviluppato per l’elettrico, non è la versione elettrica della 500 termica o a combustione. È una macchina diversa”, evidenzia Olivier Francois. “Il fatto che 500 sia così iconica, probabilmente spronerà le persone a compiere il salto verso l’elettrico. Ha un’autonomia di 400 km in città e 320 km in uso misto, ricarica veloce e guida autonoma di livello 2”. La produzione inizierà a giugno a Mirafiori (TO), dove per l’occasione sono stati investiti 700 milioni di euro: inizialmente ne saranno sfornate 14mila unità, ma l’obiettivo a regime è di produrne 80mila. L’edizione “la Prima”, con carrozzeria Cabrio, costerà 38 mila euro, ma le altre dovrebbe scendere a circa 25 mila euro. Per lanciare l’auto, Fiat ha chiamato un testimonial d’eccezione, il premio Oscar Leonardo DiCaprio, scelto perché “da oltre 20 anni è impegnato nella lotta ai cambiamenti climatici e alla difesa della biodiversità”, spiega Francois. “La Terra sta attraversando un momento cruciale della sua storia, un momento in cui il vero lusso è il tempo”, dice l’attore nel cortometraggio dedicato alla 500 elettrica: “Se vogliamo salvare questo posto che chiamiamo casa non possiamo impegnarci a metà, ma dobbiamo farlo fino in fondo. Dopo tutto, la posta in gioco è troppo alta, dobbiamo giocarci tutto: non è una semplice opzione, ma l’unica strada che abbiamo”.

Coronavirus: vendite giù, ma il lusso non muore

Il lusso che raccontiamo in questa pagina è quello che, per antonomasia, resiste ad ogni crisi. E forse pure al Coronavirus. Se c’è una costante nell’auto, e anche nel Salone di Ginevra saltato da poco, sono le supercar da ammirare ma non toccare. Quei fascinosi oggetti di culto da centinaia di migliaia, spesso milioni, di euro in edizioni limitatissime. Che diventano appannaggio di collezionisti e ricconi di tutto il globo, immuni da ogni virus che ne dreni le finanze, ancor prima di essere messe ufficialmente in vendita.

E se è ancora troppo presto per avere dati disaggregati riguardo all’impatto dell’epidemia su questo iperuranio a quattro ruote, cominciano invece ad arrivare le prime valutazioni sul mercato dei comuni mortali. Nello specifico, la Conferenza delle Nazioni Unite su Commercio e Sviluppo (UNCTAD) ha fatto sapere che dopo la Cina, il cui export subirà perdite complessive per 50 miliardi di dollari, a rimetterci di più sarà l’Unione europea, con 15 miliardi e mezzo di esportazioni in meno. L’automotive è il terzo settore più colpito dall’escalation del Coronavirus, anche per la sua stretta dipendenza dalla componentistica cinese: il che significa che la contrazione nelle esportazioni di auto dall’Europa costerà due miliardi e mezzo di dollari. Non proprio una buona notizia per il Vecchio continente (e l’Italia), che sta già facendo i conti con immatricolazioni in calo dopo l’introduzione delle nuove norme sui limiti alle emissioni. L’anno bisestile colpisce ancora.

Arriva la lotteria degli scontrini che fa felice i clienti e il fisco

Un po’ la tradizionale estrazione del 6 gennaio, un po’ un concorso a premi, un po’ una riffa: tutto questo sarà la lotteria degli scontrini che, varata nell’ultima manovra e dopo tre anni di attesa, vedrà la luce, o meglio la prima estrazione mensile, venerdì 7 agosto. La novità, che ha l’obiettivo di limitare l’evasione fiscale, promette ai cittadini premi mensili tra 30mila e 100mila euro e un’estrazione annuale di 1 milione per gli acquisti fatti in contanti, che sale a 5 milioni per i pagamenti con carta di credito e bancomat. Possono partecipare tutti i maggiorenni residenti in Italia che dal primo luglio acquisteranno beni e servizi, di importo pari o superiore a 1 euro. Ogni euro speso dà diritto a 1 biglietto virtuale, fino a un massimo di 1.000 biglietti per un acquisto pari o superiore a 1.000 euro. Prima dell’emissione dello scontrino è però necessario chiedere all’esercente di abbinare allo stesso il proprio “codice lotteria”, cioè il codice alfanumerico che si ottiene accedendo da mezzogiorno di oggi all’area pubblica del Portale lotteria (www.lotteriadegliscontrini.gov.it). Non serve alcuna registrazione: basta digitare il proprio codice fiscale per ottenere il codice messo a disposizione dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli che insieme al ministero dell’Economia, Sogei e all’Agenzia delle Entrate hanno fissato le regole del gioco sul quale il Garante della Privacy ha espresso parere favorevole. Vediamole insieme, come spiega la guida pubblicata dall’Agenzia delle Entrate.

Come funziona. Per partecipare alla lotteria occorre mostrare al negoziante, al momento dell’acquisto, il proprio “codice lotteria” che verrà abbinato allo scontrino che genera un numero di biglietti virtuali della lotteria pari a un biglietto per ogni euro di spesa, con un arrotondamento se la cifra decimale supera i 49 centesimi (per esempio, con 1,50 euro si ottengono due biglietti). Maggiore sarà l’importo speso, maggiore sarà il numero di biglietti associati che vengono emessi, fino a un massimo di 1.000 biglietti per acquisti di importo pari o superiore a 1.000 euro. Poi l’esercente, attraverso un lettore ottico collegato al registratore telematico, effettua il collegamento tra lo scontrino e il codice lotteria del contribuente e trasmette i dati all’Agenzia delle Entrate, in pratica come accade in farmacia con la tessera sanitaria. Ogni contribuente può partecipare con uno stesso scontrino a un’estrazione settimanale, a una mensile e a una annuale.

Chi si registra sull’area riservata del Portale lotteria, inoltre, può controllare i propri scontrini, come pure il numero dei biglietti virtuali a essi associati e il numero totale di biglietti della prossima estrazione. Spetterà all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli comunicare al consumatore l’eventuale vincita. Non occorre, quindi, conservare gli scontrini per partecipare alla lotteria o per riscuotere i premi.

Gli esclusi. Nella fase di avvio non sono coinvolti nella lotteria gli acquisti documentati con fatture elettroniche e quelli per i quali si richiedono detrazioni e deduzione, come le spese effettuate in farmacia, parafarmacia, ottici, laboratori di analisi e ambulatori veterinari, per i quali si comunica il codice fiscale.

Premi. Per il 2020 le estrazioni saranno mensili, con un’ulteriore estrazione annuale. Per le tre estrazioni mensili sono previsti tre premi da 30mila euro ciascuno ogni mese. Per l’estrazione annuale il premio previsto è pari a 1 milione di euro. A partire dal 2021 verranno attivate anche estrazioni settimanali con 7 premi da 5 mila euro ciascuno. Con un provvedimento di prossima emanazione (al vaglio del Garante della privacy) verranno definite anche le regole dell’estrazione aggiuntiva “zero contanti” riservata a chi esegue gli acquisti con pagamenti elettronici (carte di credito e bancomat). Insomma, cashless si vince di più e ad essere premiato sarà anche l’esercente. Per l’estrazione annuale, infatti, il premio sarà di 5 milioni per il cliente e di 1 milione per l’esercente; per quelle mensili ci saranno ogni mese 10 premi da 100mila euro per i cittadini e 10 premi da 20mila euro per gli esercenti; per le estrazioni settimanali (dal 2021) sono previsti, infine, 15 premi da 25mila euro per i cittadini e 15 premi da 5mila euro per gli esercenti.

Vincite. I fortunati vincitori saranno informati tramite raccomandata con ricevuta di ritorno oppure via Pec e sms (se hanno comunicato questi dati nell’area riservata del portale lotteria). Mentre accedendo nell’area riservata del Portale lotteria, accessibile tramite Spid, credenziali Fisconline/Entratel o Cns, si riceverà subito una notifica che segnala la vincita, senza necessità di controllare.

Borse, non c’è vaccino per il contagio. Il placebo del taglio dei tassi non basta

La prima fase di uno shock economico-finanziario andrebbe denominata Momento Don Ferrante. Si confuta l’esistenza del problema e si arguisce che, seppure esistesse, non danneggerebbe il sistema produttivo. Si asserisce che in ogni caso durerà poco perché le autorità hanno approntato difese insormontabili, prezioso frutto delle esperienze passate. Nel rito conclusivo si recita il salmo apotropaico: “Questa volta è tutto diverso”.

Poi si sviluppa la fase “Collisione con la Realtà”, durante la quale si valutano i danni dello shock, si individuano le vittime e si stima l’estensione finale della devastazione. A stretto giro di posta parte il Contagio Finanziario: i listini di Borsa precipitano perché si calcolano freneticamente i mancati profitti, gli aumenti dei debiti e gli interessi da pagare a fronte di ricavi (e i margini) assottigliati. Chi è esposto verso le imprese colpite dalla crisi va in panico e la liquidità nei settori a rischio (specie le obbligazioni societarie di bassa qualità) si prosciuga. Le istituzioni finanziarie non si fidano l’una dell’altra, chi detiene cash se lo tiene stretto e l’erogazione di credito si arresta. Per saldare i creditori si vendono i titoli che ancora hanno mercato e la pressione al ribasso si diffonde. Nel mezzo del marasma arriva l’invocazione all’intervento di governi e banche centrali. Ma il taglio dei tassi di interesse a breve non ha proprietà taumaturgiche: non affronta le cause, al massimo attenua i sintomi. Quello operato dalla Fed (su pressione di Donald Trump) e quelli della Banca centrale cinese infatti hanno fornito un sostegno effimero. La Bce e la Banca del Giappone non hanno nemmeno provato ad intervenire. Forse si riservano di farlo quando si toccherà il minimo. Ma questo minimo al momento non si intravede. I grandi fondi hanno disperatamente tentato di arrestare la frana della Borsa, ma un’ondata di vendite ha travolto ogni tentativo di riscossa. Insomma al momento siamo in piena fase acuta.

Questa crisi da corona virus in effetti è diversa, nel senso che, dopo aver aleggiato per settimane su un mercato in piena bolla, all’improvviso ha provocato nell’indice S&P500 il calo a doppia cifra più veloce di tutti i tempi. Lo smottamento per fortuna finora è stato minore di quelli registrati nel 1929 e nella crisi post Lehman del 2008. L’ordine di grandezza è in linea con il crollo delle dot.com nel 2001 e del venerdì nero dell’ottobre 1987.

Tuttavia fintanto che non si troverà un vaccino, una cura o un argine solido al contagio, il flusso di notizie negative sarà impossibile da contrastare. Ci attendono settimane di fibrillazioni: allo scoppio di una bolla finanziaria causato da uno shock nell’economia reale non esistono rimedi rapidi. E per di più, le autorità preposte a prevenire le bolle, da 30 anni le provocano.