Il morbo è una guerra. Ma ad ucciderci sarà la burocrazia dei cavilli

“Ma ti rendi conto? Il ministro fa un provvedimento che apre ai processi via skype, e di notte, zac, una manina ci mette quello che vuole lei!”. È furibonda, la magistrata. Spiega come i tribunali siano gli ambienti più a rischio dopo gli ospedali. “Ci sono tutte le condizioni ideali del contagio. Noi lì, gli avvocati che vengono da posti diversi e frequentano ovviamente tutti i giorni clienti di ogni tipo, i parenti lo stesso, ancora più incontrollabili. Persone che fanno capannello. E le resse, uno attaccato all’altro, tutti che parlano animatamente. Per più processi al giorno. Alla fine il virus ti arriva addosso. Fra l’altro solo in Italia prevediamo le udienze aperte per certi processi, quelli civili, quelli amministrativi”. Ci sperava, la magistrata, nel decreto del ministro Bonafede. “Certo che servono udienze via skype. Qual è il problema, di fronte a quel che sta accadendo? Il guaio è che abbiamo una magistratura di formazione ottocentesca, giuristi imbalsamati che vivono di formalismo”.

E così la manina ha inserito un obbligo speciale. Sì ai processi via skype, ma i magistrati devono stare al loro posto, immobili al palazzo di giustizia. “Che è uno dei luoghi più infettati”, insiste lei. “Moriremo di burocrazia. Ma nel senso stretto del termine. Sai perché non potevano fare la prova del tampone? Perché la circolare ministeriale prescriveva che si potesse usare solo per le polmoniti di chi avesse avuto a che fare con la Cina. Non per le polmoniti sospette”.

Angosce e ribellioni di un’epoca mai immaginata e che sta cambiando le nostre abitudini in poche settimane. Dice che sembra di essere in guerra. Ma in guerra le persone diventano solidali tra loro. Per questo se ne esce migliori. Qui diffidano una dell’altra. Per nulla si guardano in cagnesco. Non si abbracciano e baciano più, anche se era ormai moda farlo dopo essersi conosciuti da due ore. Ho visto amici semisecolari non darsi la mano; o due persone presentate tra loro da una terza con la paura di dirsi “piacere”, la distanza prudente dell’uno finché l’altro lo terrorizza con la mano (l’arma chimica!) protesa verso di lui come da antica educazione.

Difficile raccontare le storie personali quando finisci in un fascio immenso di storie collettive, l’incertezza, la paura, l’odore forte dell’alcol che disinfetta le scrivanie di dipartimenti deserti.

Però vedi intorno a te persone impegnatissime ad assicurare la regolarità dell’anno scolastico, o accademico, che rischia di saltare. Angela, Gabriele, Ferruccio, Giovanni, Francesca. Altri. Uniti dall’idea di recuperare un giorno le lezioni. Di sabato, la sera, in luglio, in agosto, perché un Paese regge se tiene la sanità ma anche la scuola; neanche le guerre fanno chiudere le aule. Docenti che si danno consigli l’un l’altro su come fare le lezioni in remoto, altro che slide su un sito. Lezioni vere, interattive. Molti quasi digiuni di tecnologia ma con la voglia di non arretrare, di imparare in pochi giorni. “Guarda, se ce l’ho fatta io…”, per dire possiamo farcela, anche se questa peste che è una semplice influenza dovesse andare avanti per tutta la primavera.

È questo groviglio di paure e di generosità che sta riscrivendo il Paese, una sfida da vincere che a Natale, quando si brindava, nemmeno potevamo concepire. Chissà che davvero non ne usciremo migliori, più consapevoli delle nostre fragilità. Mi ha detto un collega: ho dovuto annullare tutti gli appuntamenti pubblici, tutti gli incontri, non pensavo che potesse esserci tanto tempo per leggere, scrivere, studiare. Come dire: non pensavo che potesse esserci tanto tempo per fare bene il nostro lavoro.

L’altra mattina sul tram 24 che porta al Vigentino, periferia sud di Milano, vuoto come tutti i mezzi pubblici, ho assistito al cambio del conducente. È sceso uno con la coda di cavallo, è salito un giovane riccio, la barba leggera, l’accento napoletano. Subito si è fatta avanti verso di lui una signora un po’ anziana, gli ha tossito preliminarmente in faccia poi gli ha chiesto un’informazione. L’ho squadrato. Prima la paura, la tentazione di gettarsi nel gabbiotto per sottrarsi alla possibile untrice. Mezzo passo indietro. Poi l’appello a se stesso, “restiamo umani”. Fermo davanti a lei, guardandola in faccia e spiegandole gentilmente dove scendere. Ho pensato che nel clima montante potesse essere la piccola parabola del “tranviere ignoto”. Un simbolo, come i fiori che sbocciano inconsapevoli o gli ultimi bambini con i coriandoli in mano. E ve l’ho raccontata.

Pescara, Pd e centrodestra uniti per la mozione contro l’aborto

Un albero per ogni bambino mai nato. Passa così la “mozione della vergogna”, senza che nessuno alzi un dito, senza che nessuno provi a porre qualche interrogativo. Passa per iniziativa del centrodestra ma anche con i voti del centrosinistra, del Pd, e persino della candidata sindaco di Articolo uno, Marinella Sclocco. Una donna, proprio così. Accade a Pescara, in Consiglio comunale: qui la maggioranza è di centrodestra, quella che qualche mese fa rifiutò la cittadinanza onoraria a Liliana Segre e che poi, una volta scoppiato il finimondo, fece una frettolosa marcia indietro. A presentare la mozione è Adamo Scurti, un consigliere ex centrosinistra, passato nel frattempo col centrodestra, che usa una legge dello Stato in ambito ambientale per attaccare la 194, la legge sull’aborto.

Il centrosinistra non se ne accorge, probabilmente, o forse sì: fatto sta che alcuni votano, altri non sono in aula, e comunque nessuno interviene. Eppure la mozione parla chiaro, e a parte la premessa col richiamo alla legge che invita a contrastare il disboscamento e a incrementare le aree verdi, ecco spiegato come e perché dovranno essere piantati i nuovi alberi: “L’interruzione di gravidanza spontanea volontaria o per morte in utero o improvvisa del lattante sono situazioni drammatiche che una donna e una famiglia vive sulla propria pelle, con riflessi significativi sulla propria vita”.

E così, il consigliere Scurti invita il sindaco a impegnarsi per piantare un albero “per ogni bambino mai nato” e a individuare “un’area sul territorio comunale da dedicare a nuova forestazione urbana o a integrare aree già destinate allo scopo”.

Insomma: un cimitero dei feti, tipo quello che andava propugnando tempo fa la destra anti-abortista, in versione green. È un apriti cielo, la Sinistra salta sulla sedia. Le associazioni femminili pure. Il primo a puntare il dito è il segretario di Rifondazione Maurizio Acerbo: “Una mozione che indigna. Questo voto è figlio non solo di un vuoto politico culturale enorme ma anche di una politica ridotta a far carriera. Non ci sfugge che a motivarlo non sono valori ma la ricerca del consenso dell’associazionismo cattolico più reazionario”. “Pescara non ha bisogno di amministratori che usino sofferenze private per scalate pubbliche, Pescara non ha bisogno di battaglie contro l’interruzione di gravidanza travestite da altro”, scrivono le donne di Cgil, Udi, Ananke, Margaret Fuller, Anpi, PescaraArcigay.

Loro, i partiti, non dicono nulla. Il Pd tace, non parla il segretario, non parla il presidente. Parla solo un circolo cittadino e Teresa Nannarone della direzione Pd, da Sulmona: “Quel voto è un errore gravissimo teso a cancellare anni di battaglie delle donne per il diritto all’aborto, legge dello Stato ormai da 42 anni”.

Mentre lei, la ex candidata sindaco, si difende così: “Nel dispositivo si parla solo dei bambini mai nati per i quali esiste una giornata mondiale, e che sono altro rispetto agli embrioni di cui alla legge 194”, commenta la Sclocco.

Una spericolata arrampicata sugli specchi.

Gli 11 anni di stragi: il filo nero, le bombe e i fantasmi di Moro

“I fantasmi sono morti che non riposano in pace e che non lasciano in pace nemmeno i vivi, perché continuano a manifestarsi chiedendo loro di onorare un debito, o di liberarli dalla maledizione che consiste proprio nel ritornare”. Così scrisse Giovanni Moro, figlio del presidente della Dc ucciso dalle Br. I fantasmi shakespeariani che inquietano la storia italiana recente sono i protagonisti di un libretto imperdibile per chi voglia capire che cosa è successo nel nostro Paese tra il 1969 e il 1980. Attentati, stragi, tentati golpe, pianificazioni segrete, logge misteriose. È stata chiamata “strategia della tensione” ed è “un caso unico nell’Europa occidentale dopo il 1945”, scrive Angelo Ventrone, curatore del volume L’Italia delle stragi, edito da Donzelli. Il più piccolo e prezioso dei libri usciti cinquant’anni dopo il primo atto di quella guerra, la strage di piazza Fontana.

Scritto, capitolo dopo capitolo, dai magistrati protagonisti delle inchieste che quasi mai sono riuscite ad arrivare alla condanna dei responsabili, ma sempre hanno raccolto materiali che oggi, accumulati e letti insieme, sono ormai sufficienti a proclamare la realtà storica. Piazza Fontana, il golpe Borghese, la strage di Peteano, quella alla Questura di Milano (Pietro Calogero), la Rosa dei venti, il “golpe bianco” di Edgardo Sogno (Giovanni Tamburino), piazza della Loggia (Gianpaolo Zorzi), la bomba dell’Italicus (Leonardo Grassi), la P2 (Giuliano Turone), la strage di Bologna (Vito Zincani), la continuità del progetto stragista (Claudio Nunziata). I racconti si sommano e s’intrecciano, a costruire la storia nera di una guerra segreta. Per custodire la memoria, per “salvare il passato”, come scrive Paolo Jedlowski, “salvarlo dal Tempo e dall’Oblio”.

C’è un filo nero: “Destabilizzare l’ordine pubblico, per stabilizzare l’ordine politico”, come ha sintetizzato Vincenzo Vinciguerra, autore dell’azione di Peteano e poi storico in carcere della storia nera d’Italia. Tenere in scacco la democrazia, sospendere la Costituzione, inquinare le istituzioni con poteri segreti. La democrazia, alla fine, ha tenuto, ma è necessario che di questa storia rimanga traccia, perché i veleni del passato non restino a inquinare il futuro. E allora teniamo questo libro nelle nostre case e apriamo, anche a caso, le sue pagine. Scopriremo schegge di verità sconvolgenti.

Pietro Calogero, che fu il primo magistrato a indagare sulla “pista nera” che portava da Padova a piazza Fontana, ricorda i “rapporti informativi” redatti da Guido Giannettini, giornalista fascista e agente del Sid (il servizio segreto militare).

Vi si legge il “programma” della strategia eversiva, con la “decisione” presa da “ambienti politici ed economici italiani, appoggiati anche da ambienti stranieri (fra cui sicuramente gli americani)” di procedere alla “sostituzione del centrosinistra in Italia con una formula sostanzialmente centrista”. Un “ritorno al centrismo” da attuare anche con “gruppetti isolati neofascisti” pronti a mettere bombe, finanziati da “gruppi industriali del Nord Italia”. Scritto in data 4 maggio 1969: all’inizio dello sciame di bombe, falsamente anarchiche, che porteranno al botto grosso di piazza Fontana. Gelli ha un ruolo di primo piano in questa storia. Uomo degli americani fin dagli anni Sessanta, “custode” dei tentati golpe dei Settanta (è lui che nella notte dell’8 dicembre 1970 dà il “contrordine operativo che paralizzò l’azione insurrezionale” del golpe Borghese), regista della penetrazione degli uomini P2 nei gangli del potere economico, politico, mediatico, militare negli Ottanta, depistatore e finanziatore (secondo un’inchiesta ancora in corso) della strage di Bologna.

C’è del metodo, in questa follia. C’è un piano. Da raccontare e conservare nella memoria, per acquietare i fantasmi del passato.

Pignapino

Distratti da questo fottutissimo coronavirus (che, detto fra noi, o si sta accanendo sui politici e i loro entourage più ancora che sugli anziani cronici, o ci nascondono qualcosa), abbiamo colpevolmente trascurato una notizia ben più decisiva per le sorti della Nazione: a Roma si è appena insediato un procuratore capo che è una via di mezzo fra Socrate, Salomone a Papa Giovanni. Il suo nome è Michele Prestipino Giarritta, 63 anni, romano di famiglia siciliana, allievo prediletto del suo predecessore Giuseppe Pignatone, che ha seguito come un’ombra da Palermo a Reggio Calabria alla Capitale. Qualcuno dirà: ma un anno fa, quando la commissione del Csm votò a maggioranza per il Pg di Firenze Marcello Viola prima di mandare tutto all’aria,l’obiettivo non era la massima “discontinuità” con la fallimentare èra Pignatone? E, quando il “caso Palamara-Csm” svelò che la Procura pignatoniana era un nido di serpi che si denunciavano e si dossieravano l’una con l’altra, cercando sponde politiche e giudiziarie per far fuori il vicino di stanza, non si era detto di spalancare le finestre per far entrare aria buona e soprattutto un nuovo capo che venisse da fuori, anzi dal più lontano possibile? Tutto dimenticato: ora la parola d’ordine è “continuità”.

Del resto basta leggere le sobrie biografie dei giornaloni su cotanto prodigio togato per comprendere che era inutile cercare l’erba del vicino quando la migliore era lì, in casa,a portata di chiunque volesse coglierla. Repubblica: “Il magistrato schivo che ama Goethe e tradusse i pizzini di Provenzano”, “Prestipino nel nome di Bachelet”. Corriere della sera: “Prestipino e la buona eredità”. La Stampa: “Il romano atipico e filosofo mancato che non ama la tv”. Perbacco. Chi sospetta un eccesso di servo encomio non sa di chi stiamo parlando. Repubblica invece lo sa: un “magistrato cresciuto a verbali e intercettazioni” (quindi unico al mondo nel suo genere); “capace di ascoltare e tradurre mille dialetti e poi rifugiarsi nella lettura del classici, da Goethe a Dostoevskij, appassionarsi alla filosofia e rituffarsi nei pizzini di Provenzano” (Umberto Eco gli faceva una pippa); ha “modi da gentiluomo d’altri tempi in un temperamento che a tratti tradisce una veemenza da sbirro” (ma solo a tratti); “i suoi interrogatori non sono una passeggiata…” (fa domande, per dire); “…nessun aggettivo fuori posto, ma dritti al punto” (solo verbi e sostantivi, al massimo qualche segno di interpunzione); “niente inutili tintinni (sic) di manette ma l’effettività della sanzione” (che non decide lui, non essendo giudice, ma fa niente).

Altri dettagli decisivi li regala La Stampa: “In realtà è un filosofo mancato e se avesse seguito l’inclinazione liceale oggi non correrebbe dietro a Spada e Casamonica, ma a Kant e Aristotele come il padre Vincenzo… o a Marx e Lukàcs come lo zio Giuseppe”, ma fortunatamente tutto quel bendidio non è andato disperso perchè il nostro conserva “il metodo analitico”, “il gusto della scrittura” e “la passione smodata per la parola”. Mica pizza e fichi. Peccato – lacrima Repubblica – per quella “stanza in piccionaia, un andito stretto, nella mansarda del palazzone” che gli assegnano quando arriva a Palermo, incuranti del suo essere “affabile, sorridente ma sempre rigoroso” e del suo lesinare sul desinare “se non per un panino al bar di fronte”. Uno dice: quando poi va a Reggio, un ufficio decente gliel’avranno trovato? Nossignori: “la sua stanza è in fondo a un dedalo di corridoi che passano anche per i bagni. Nell’angolo remoto di un edificio mastodontico ma deserto”. Una vita di stenti. Ma allora ditelo che ce l’avete con lui. Dev’essere un complotto delle mafie, che lui riconosce a distanza di migliaia di km. Ad Avezzano, dove debutta in pretura, ha “già il primo incrocio con le mafie” (le temibili cosche abruzzesi, per non dire di quelle molisane). A Palermo, precoce com’è, “si occupa già di Cosa nostra prima ancora di cucirsi addosso la carica di sostituto antimafia” (lui non lo nomina il Csm come gli altri: si cuce addosso la carica). E, da Reggio, già “avvista la mafia romana prima di trasferirsi direttamente” nella Capitale. Più che un pm, è un binocolo vivente, un telescopio ambulante. Peccato che poi Mafia Capitale, frutto dell’intuito della “coppia di fatto” Pignatone-Prestipino, l’abbia smontata pezzo per pezzo la Cassazione. Una sconfitta? Non sia mai: “Su Mafia Capitale ha incassato i mutati orientamenti della Cassazione. Ma senza gridare al complotto” (forse perchè al complotto avrebbero dovuto gridare gli accusati di mafia e assolti).
In compenso – rassicura La Stampa – dopo tanti umidi scantinati e soffitte muffite, gli han dato finalmente un “ufficio”, dov’è “primo entrare e ultimo a uscire”. Ma, si badi bene, “non è di quelli che a pranzo se ne sta in ufficio da solo”, eh no: “capita di vederlo arrivare al baretto di piazzale Clodio e aggiungersi alla tavolata dei pm, se c’è un posto libero” (sedersi su un altro pm pare brutto, al gentiluomo d’altri tempi). Per il brindisi post-nomina, solo “spumante nei bicchieri di plastica ‘e manco ‘na pizzetta’”. C’era pure il pensionato Pignatone, nuovo capo del Tribunale Vaticano che – spiega Repubblica – “ha ricordato i successi di questi anni”. Quali, non è dato sapere: forse il crollo di Mafia Capitale, o le assoluzioni di Marino e Raggi, o le archiviazione di Muraro, Woodcock e Sciarelli, o la Cassazione che fa a pezzi l’arresto di De Vito, o i gip che prosciolgono Scafarto e respingono l’archiviazione di babbo Renzi&Romeo, o le non-indagini su Renzi&De Benedetti. Viene in mente Totò a Capri quando scopre l’autore di un quadro orripilante (“imitation de Picassò”) ed esclama solenne: “Il talento va premiato!”. Poi gli sputa in un occhio.

“Zinga” contagiato: dem e governo a rischio virus

“Allora, è arrivato. Anche io ho il coronavirus”. Maglioncino grigio, aria un po’ abbacchiata, ma eloquio sicuro, Nicola Zingaretti posta su Fb il video con l’annuncio alle 12 e 46 di ieri. Un annuncio che viene dopo giornate densissime, riunioni negli ospedali, incontri a tutti i livelli. Come quello con i presidenti di Regione e il premier, Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, il 4 marzo. Il Covid-19 lambisce il cuore del governo, anche se lo staff di Zingaretti fa sapere che i medici hanno valutato di fare tamponi solo a chi è stato in contatto stretto con lui nelle 48 ore precedenti a ieri mattina. La vita frenetica di un segretario del Pd e per giunta presidente della Regione Lazio sembra un contrappasso per uno che qualche giorno fa aveva invitato tutti ad “abbassare il numero delle relazioni tra le persone”.

Nel video, Zingaretti dà le informazioni essenziali: “Sto bene, è stato scelto l’isolamento domiciliare, continuerò da casa a seguire quello che potrò”. E poi quelle di massima: “La Asl sta effettuando le verifiche del caso. Ovviamente ho informato il vicepresidente della Giunta regionale, Leodori, per mandare avanti il lavoro, così come il vicesegretario del Pd Orlando seguirà le attività politiche”.

Raccontano dal suo staff che Zingaretti si è svegliato ieri mattina con gli occhi rossi e la febbre e che per questo è stato sottoposto a tampone. Altre autorevoli fonti Pd sostengono che alcuni sintomi erano presenti da venerdì.

Anche se negli ultimi 10-15 giorni, il segretario ha incontrato tantissima gente, i tamponi fatti sarebbero una trentina, ad alcuni assessori regionali e al suo staff al Pd e in Regione. Forse hanno già un’idea di chi può averlo contagiato? Sia l’Iss sia il suo staff dicono di no.

Stando all’agenda ufficiale dai contatti delle ultime 48 ore, sono esclusi il premier e i ministri. E la Asl non ha chiamato né Virginia Raggi, né la prefetta di Roma, Gerarda Pantalone, che Zingaretti ha incontrato giovedì. Ma persone che lo hanno visto prima sono in auto isolamento volontario, pur senza sintomi.

Uno sguardo all’agenda. Il 4 marzo insieme a Conte a Palazzo Chigi c’erano altri presidenti di regione. Tra loro Giovanni Toti (Liguria), Alberto Cirio (Piemonte), Stefano Bonaccini (Emilia Romagna) e Nello Musumeci (Sicilia), quest’ultimo in auto-isolamento. Poche ore prima, Zingaretti si era anche affacciato alla riunione fra Conte e le parti sociali. E il 2 al Nazareno, aveva visto le parti sociali. Presenti il vicesegretario Orlando (anche lui in auto-isolamento), Roberto Gualtieri, Dario Franceschini e il viceministro Misiani. E Maurizio Landini (Cgil), Annamaria Furlan (Cisl), Carmelo Barbagallo (Uil). Per Confindustria il dg Marcella Panucci. E ci sono riunioni continue al Nazareno: i dipendenti del gruppo Pd al Senato hanno deciso di stare a casa domani. Nessuno del governo, per adesso, sembra aver scelto la strada della quarantena. Ma il silenzio che arriva da Palazzo Chigi e dai vari ministri, se da una parte risponde all’esigenza di non allarmare, dall’altra evoca una criticità. Peraltro, con Franceschini e Gualtieri, tra gli altri, Zingaretti ha una consuetudine continua. Ancora. Giovedì pomeriggio ha partecipato alla registrazione della puntata di Porta a Porta (la stessa che in altro segmento ha ospitato il leader Matteo Salvini). Bruno Vespa ha deciso di non cancellare il programma (tra l’altro, venerdì sera ha fatto uno speciale coronavirus con molti conduttori Rai): “Il suo portavoce mi ha chiamato per dirmi che vanno monitorate solo le persone che nelle ultime 48 ore sono state a 30 centimetri da lui per almeno mezz’ora”, ha dichiarato. Ma una decina di persone che erano lì, tra personale e pubblico, sono state messe in isolamento precauzionale. Incongruenze.

Poi ci sono gli eventi minori. Il 27 febbraio, Zinga è andato all’“aperitivo contro la paura”, a Milano, ai Navigli, insieme a Giuseppe Sala. Solo una decina di giorni dopo criticava la festa di Fondi, durante la quale nel Lazio in molti si sono contagiati (“Non andava fatta”). Il 2 marzo ha visto al ministero Infrastrutture, l’ad di Rfi, Maurizio Gentile, e il governatore dell’Abruzzo, Marco Marsilio (ora in auto isolamento), oltre al ministro Paola De Micheli. Lo stesso giorno l’incontro al Tribunale di Roma con il presidente Francesco Monastero e il preside di Giurisprudenza alla Sapienza, Oliviero Diliberto, e la dirigente dell’Ufficio esecuzione penale esterna, Patrizia Calabrese. Poi, una conferenza stampa al Nazareno giovedì e una in Regione venerdì. Tra coloro che hanno scelto l’auto quarantena dopo un incontro con Zingaretti ci sono Anna Ascani, Dario Nardella, sindaco di Firenze e la sindaca di Empoli, Brenda Barnini. Intanto, il Nazareno sarà sanificato. Possibile la chiusura. Le riunioni del Consiglio sono rinviate di 7 giorni, quelle in Giunta si faranno in streaming.

Paura all’Antimafia: hanno incontrato il prefetto malato

C’è chi si sfoga in chat e chi, pur con un occhio al termometro, non intende rinunciare al suo ruolo: dopo che il segretario del Pd Nicola Zingaretti è risultato positivo al test del Coronavirus è scattato l’allarme rosso tra gli inquilini dei palazzi della politica. Camera e Senato che per precauzione hanno già ridotto al lumicino l’attività, sono in subbuglio: amuchina e termoscanner agli ingressi non bastano più e così sono iniziate le pulizie a fondo, anche se Pasqua è ancora lontana mentre le chat di tutti i gruppi parlamentari ribollono. E non solo perché si teme che altri possano subire la stessa sorte di Guido Guidesi della Lega bloccato dal 21 febbraio a Codogno, zona rossa per via dell’emergenza. O della senatrice dem Tatjana Rojc, tutt’altra zona, in isolamento fiduciario per i contatti avuti con Igor Gabrocec consigliere della Regione Friuli-Venezia Giulia ricoverato in ospedale per via del Covid-19.

C’è proprio il timore che un colpo di tosse di un compagno di banco, magari confuso con un malanno stagionale, possa costar la pelle, oltre che mettere a rischio la democrazia rappresentativa. E così, data l’aria, il presidente della Giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama, Maurizio Gasparri gonfia il petto per confermare che a dispetto delle avversità, il 10 marzo si voterà eccome sulla richiesta dei magistrati di Palermo che vorrebbero processare l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini per la gestione dei migranti a bordo della Nave Open Arms.

Con buona pace di Gasparri però, anche tra i suoi colleghi di Forza Italia c’è chi confessa, almeno su Telegram, un certo timore, palpabile in vista della ripresa, seppur blandissima dei lavori a Palazzo Madama e a Montecitorio. Timori deflagrati da ultimo, ad esempio, alla notizia che il prefetto di Matera Rinaldo Argentieri è in ospedale perché contagiato dal Coronavirus: era stato ascoltato lo scorso 24 febbraio a Scanzano Jonico dai parlamentari della commissione Antimafia. “Sono ormai passati 13 giorni, direi che siamo fuori pericolo: io comunque mi sento bene” dice al Fatto Luigi Vitali senatore di Forza Italia che ha partecipato alla missione insieme ad Assuntela Messina deputata del Pd, Pasquale Pepe inquilino di Palazzo Madama per la Lega eletto in Basilicata e, naturalmente, il pentastellato Nicola Morra che della commissione bicamerale è presidente: per farla breve a San Macuto la preoccupazione è forte pure tra funzionari e addetti tutti reduci dalla visita lucana, anche se i giorni ormai trascorsi lasciano ben sperare.

Il tempo è il migliore alleato anche del ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli: sulla sua quarantena (dal 4 marzo dorme al Mise dopo l’incontro avuto qualche giorno prima con l’assessore lombardo Alessandro Mattinzoli risultato positivo al tampone) aveva fin da subito cercato di sdrammatizzare: “Da quando sono ministro sono qui 18 ore al giorno, quindi cambierà poco”. Stanno per terminare i “domiciliari” anche per il presidente della regione Lombardia Attilio Fontana, che invece non era stato affatto rassicurante con quella mascherina indossata per l’annuncio del suo isolamento, appena ricevuta notizia che una sua stretta collaboratrice era risultata contagiata dal Coronoavirus. I guai comunque non sembrano ancora finiti per la politica lombarda: il portone del Pirellone rischia di rimanere chiuso per un po’ per via di un dipendente del consiglio regionale positivo al tampone.

Quarantena volontaria anche per il vicepresidente del consiglio regionale delle Marche. Renato Claudio Minardi (Pd) per un contatto con una persona poi risultata contagiata, così come, a Pesaro, per l’assessore all’Urbanistica Andrea Nobili e per il consigliere comunale Andrea Marchionni. L’elenco si aggiorna e si allunga: da ultimo in isolamento i sindaci di Empoli e San Quirico d’Orcia: prima di loro il primo cittadino di Cesena, Enzo Lattuca per via dei contatti avuti con l’assessore emiliano-romagnolo Raffaele Donini, contagiato dal Coronavirus, e quindi costretto a casa come la sua collega di Giunta Barbara Lori. Positiva anche la sindaca di Piacenza Patrizia Barbieri decisa a onorare la fascia tricolore: continuerà a esercitare le sue funzioni in videoconferenza.

L’opposizione arranca e bussa invano a Conte

Anche negli auguri a Nicola Zingaretti Matteo Salvini riesce ad essere sguaiato. “Al segretario del Pd Zingaretti, positivo al virus, il mio augurio di pronta guarigione”. Bastava fermarsi qui con il tweet. E invece aggiunge: “Non è normale fare polemica quando c’è di mezzo la salute”. Strizzando l’occhiolino ai suoi elettori: vedete come sono bravo, non faccio polemica ma gli faccio gli auguri. Assai più sobria, invece, Giorgia Meloni, che si è limitata a un “In bocca al lupo a Zingaretti! Forza!”. Sta in fondo tutta qua la differenza tra i due leader del centrodestra. Con Matteo Salvini che non resiste dal cavalcare strumentalmente qualsiasi occasione e una Meloni che, senza rinunciare all’attacco anche violento, sembra più consapevole della serietà della situazione.

Se è assai complicato stare al governo in questi giorni di emergenza, del resto, lo è anche di più stare all’opposizione. Che è costretta a farsi venire qualche idea.

Così ecco arrivare la proposta boom: un bazooka da 30 miliardi da mettere in campo di fronte all’emergenza, hanno annunciato in Senato Meloni, Salvini e Tajani. Cifra al cui confronto i 7 miliardi e mezzo trovati dal governo paiono bruscolini. Ma a Palazzo Chigi quella dei 30 miliardi è sembrata solo quello che è: una sparata propagandistica. “Non si capisce dove si dovrebbero prendere questi soldi”, dicono dal Pd. Mentre la richiesta d’incontro all’esecutivo da parte dell’opposizione finora è caduta nel vuoto. “Non ho notizia di alcuna convocazione da parte della maggioranza”, dice Fabio Rampelli (Fdi). Che invece auspica un tavolo di confronto quotidiano per far fronte all’emergenza in maniera più unitaria possibile. Ieri sull’argomento è tornato anche Salvini: “Se prima dell’arrivo del decreto in Aula ci facessero una telefonata sarebbe un bel gesto. È frustrante leggere le notizie sui giornali”. Frustrante, per lui, dev’essere pure non avere più i riflettori puntati addosso dalla mattina alla sera.

L’opposizione, comunque, appare confusa: arrancare a tentoni e in ordine sparso. Basti considerare che il leader di Forza Italia in questi giorni è scappato dall’Italia per rintanarsi in Costa Azzurra con la sua nuova fiamma (la deputata Marta Fascina) perché “i medici gli hanno consigliato di stare lontano da Milano”. O l’atteggiamento ondivago di Salvini che, in un primo momento, ha proposto un governo di unità nazionale (forse per farsi dire di no), poi ha iniziato a inveire contro l’esecutivo e il premier Conte, poi ha frenato di nuovo “per senso di responsabilità verso il Paese”. Salvo poi, poche ore dopo, rilasciare un’incendiaria intervista a El Pais dove ha sparato a zero sul governo, e quindi, sull’Italia, “incapace di gestire l’emergenza coronavirus”. Arrivando, sempre sul quotidiano spagnolo, a chiedere elezioni immediate. “Ma come? Proprio adesso in piena crisi da contagio?”, la reazione incredula del cronista iberico. Infine, venerdì, si è rimesso la grisaglia d’ordinanza tornando a parlare di “spirito di collaborazione”, “volontà di condivisione”, “accoglimento delle parole di Mattarella”. Il tutto mentre i suoi sondaggi calano (la Lega è sotto il 30%) e quelli di Meloni aumentano. “Salvini è come un’automobile lanciata a gran velocità che però d’improvviso è costretta a frenare su un terreno bagnato. Inizia a sbandare e non tiene più il controllo del volante. Abbassare i toni e vestire i panni del politico dialogante lo mette in difficoltà, lo costringe a ripensarsi, e non è facile”, osserva il politologo Giovanni Orsina.

Intanto c’è da decidere cosa fare in Parlamento questa settimana. Con Fi e Fdi ormai orientati a votare sì al decreto del governo e la Lega che ancora nicchia. Ma sembra che Giancarlo Giorgetti l’abbia detto chiaro al Capitano: se votiamo “no” il Nord ci volta le spalle. L’ultima cosa che il leader leghista può permettersi in un momento che, anche per lui, è assai delicato.

Mamma Mediaset sistema a Forum la figlia di Verdini

Il centrodestra si riunisce nelle trasmissioni di Barbara Palombelli, idillio tra amore, lavoro e politica: dopo il “signor Meloni”, il compagno della leader di Fratelli d’Italia che è uno degli autori di Stasera Italia, arriva pure “miss Salvini”. Francesca Verdini, figlia del camaleontico Denis, nota alle cronache rosa per la sua storia d’amore con il capo della Lega, lavorerà per Forum.

Il tentativo di ritorno alla tradizione forzista, nei toni e nei gusti, a volte pure nei conduttori e negli ospiti, è stato solo una parentesi: Mediaset, un tempo potente cassa di risonanza del berlusconismo, è tornata ad essere il ruspante megafono del nuovo centrodestra a trazione leghista e vocazione populista. Non c’è giorno della settimana che Salvini e Meloni non facciano un’ospitata, un intervento, anche solo un piccolo cammeo nelle trasmissioni del Biscione. Dove possono trovare posto persino fidanzate e compagni dei due leader. L’ultima arrivata è proprio la giovane Verdini, nuova social media manager dello storico format che da oltre 30 anni inscena processi e accompagna le mattinate di casalinghe e pensionati italiani.

Il rapporto di lavoro formalmente non passerà da Mediaset ma da Corima srl, la società che co-produce il programma e vanta nel suo portfolio altri titoli storici, come La Corrida. E non sarà personale, ma tramite una delle sue aziende, “La Casa Rossa srl”, che si occupa di “attività di produzione cinematografica, video e programmi televisivi”, e con cui la Verdini sta muovendo i primi passi nel mondo della tv. Corima le appalterà la gestione della promozione web: in particolare, dovrà coordinare le attività sui social network e l’immagine di Giulia Campesi, alias Giulietta, la influencer da oltre 26mila follower che da settembre è entrata nel team di Forum. “A causa dell’emergenza Coronavirus stiamo andando in onda senza pubblico, quindi abbiamo bisogno di spingere di più su internet, per rimanere in contatto con tutti i nostri spettatori”, spiega la padrona di casa, Barbara Palombelli.

Dalle parti del Biscione c’è una certa curiosità di sapere se frequenterà gli studi Elios di Settecamini (periferia est della Capitale, non proprio il massimo della comodità) o la sua sarà solo una supervisione a distanza. Di sicuro è stata vista in sede negli scorsi giorni, per formalizzare l’intesa. Quasi una rimpatriata, visto che Francesca ha diversi amici nel team di Forum. Con la stessa Palombelli ha un rapporto personale: si sono conosciute a casa di Roberto D’Agostino (mr. Dagospia), alla presenza ovviamente di Matteo Salvini. “Mi ha fatto una buona impressione”, racconta la giornalista e conduttrice, anche se giura che la consulenza non è stata una sua idea.

Certe opportunità nascono e basta, non c’è nemmeno bisogno di spiegare come. “Abbiamo visto tante cose che ha fatto e ci sono piaciute”, spiega Stefano Bartolini di Corima. “È una ragazza molto valida, volevamo provare questa collaborazione”. Adesso la Palombelli potrà avvalersi anche dei suoi servigi, e del resto la Verdini non sarà nemmeno la prima fidanzata illustre a lavorare per lei: nell’altro suo programma,Stasera Italia, c’è anche la firma di Andrea Giambruno, compagno di Giorgia Meloni, con cui ha avuto anche una figlia. È uno degli autori del talk show che va in onda ogni sera in prime time su Rete 4. Anche qui la leader di Fratelli d’Italia imperversa con frequenza sempre maggiore, i teneri incroci dietro le quinte non sono più una sorpresa. Come diceva B. ai tempi d’oro, “l’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio”.

Domani Crimi sarà a Genova, il Pd “isolato” in Campania

Sarà a Genova per fare il punto sulle Regionali, e magari per incontrare il possibile candidato governatore Ferruccio Sansa. Coronavirus permettendo, domani il capo politico reggente del Movimento, Vito Crimi, è atteso nel capoluogo ligure per un incontro con i parlamentari e gli altri eletti locali. Dopo il sì degli iscritti alla trattativa con il Pd e con altri partiti, va costruita una delegazione per il tavolo con i dem.

Crimi potrebbe anche incontrare il giornalista del Fatto Sansa, la cui candidatura come governatore non convince alcuni big, primo tra tutti Luigi Di Maio. Ma lo stesso Sansa vuole capire sei ci sono margini per correre. Di sicuro rimangono aperte altre ipotesi, come l’ex vicesindaca di Milano Francesca Balzani, già eurodeputata del Pd, e la segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan, a cui non hanno ancora chiesto ufficialmente una disponibilità (ma esponenti di governo l’hanno sondata). Nel frattempo il M5S aspetta ancora che il Pd convinca l’attuale governatore Vincenzo De Luca a non ripresentarsi. I dem locali sostengono ancora la strada di un De Luca bis, però il tavolo che avevano convocato tre giorni fa sul programma è stato disertato non solo dai Cinque Stelle ma anche da Leu e da Italia Viva. Uno schiaffo che secondo il M5S “sta cominciando a smuovere il Pd”. Per il Movimento l’accordo con i dem può chiudersi solo con la candidatura dell’attuale ministro dell’Ambiente Sergio Costa, che domani sarà in Campania per un’iniziativa assieme alla capogruppo in Regione del M5S, Valeria Ciarambino.

 

Oggi le urne per le suppletive in Umbria

Sarà il primo test dopo le elezioni regionali di ottobre, vinte dalla leghista Donatella Tesei. Ed è proprio per prendere il posto al Senato della nuova governatrice del Carroccio che oggi si voterà per le suppletive in Umbria. Dopo le prime due elezioni nei collegi di Napoli (vinto da Sandro Ruotolo) e di Roma (dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri), circa 300 mila cittadini umbri oggi sono chiamati a scegliere l’ultimo seggio vacante a Palazzo Madama.

La corsa sarà a tre tra l’ex assessore alla Scuola del comune di Terni e oggi consigliera regionale Valeria Alessandrini (centrodestra), la dirigente scolastica Maria Elisabetta Mascio (centrosinistra) e Roberto Alcidi, operaio metalmeccanico oggi disoccupato, per il Movimento 5 Stelle. Il quarto outsider è l’avvocato civilista Armida Gargani, per il partito sovranista “Riconquistare l’Italia”. Dopo la storica vittoria di Tesei alle Regionali di ottobre contro il candidato giallorosa Vincenzo Bianconi, le elezioni suppletive di oggi sono viste come il primo test nei confronti della nuova giunta regionale a trazione leghista. A Roma invece sperano che a vincere sia uno dei due candidati giallorosa per puntellare la maggioranza al Senato. Negli ultimi giorni, prima delle disposizioni del governo sul Coronavirus, era tornato a farsi vedere in Umbria anche il leader del Carroccio Matteo Salvini con tre comizi a sostegno di Alessandrini a Todi, Orvieto e Foligno: “In Umbria c’è una bella squadra che sta mantenendo gli impegni presi” ha detto il segretario della Lega.

Pd e Verdi hanno scelto Maria Elisabetta Mascio: 54 anni sposata con tre figli, è stata insegnante di matematica e poi dirigente scolastico negli istituti in Provincia di Terni. Proprio per questo tutta la sua campagna elettorale è stata all’insegna delle proposte per il diritto allo studio e l’edilizia scolastica. Contro di sé però correrà l’agguerrita Alessandrini, la consigliera regionale donna più votata alle scorse elezioni (4.942 preferenze), la cui vittoria potrebbe rafforzare la giunta Tesei che ha già iniziato a traballare per le diatribe interne tra gli alleati di centrodestra: al posto di Alessandrini subentrerebbe il primo dei non eletti Enrico Malasecche che però è già assessore regionale ai Trasporti e per rimanere tale dovrebbe dimettersi da consigliere lasciando il posto a Manuela Puletti. In questo caso Malasecche resterebbe senza il paracadute del posto in consiglio.

Per il Movimento 5 Stelle correrà l’operaio Alcidi che è stato scelto a metà febbraio per essere stato tra i fondatori, nel 2009, del primo Meet Up a Spoleto: “Abbiamo fatto tanto in questi mesi, e non dobbiamo aver paura di raccontarlo” dice. Ex grillina è anche la candidata di “Riconquistare l’Italia” Gargani, già candidata con il M5S alle comunali di Terni nel 2014: vuole “riappropriarsi della Costituzione del ’48” che, a suo dire, significherebbe “uscire dall’Unione Europea”. Il voto che riguarda 60 comuni è a rischio flop in termini di affluenza per l’emergenza Coronavirus: secondo le nuove disposizioni nei 509 seggi dovrà essere rispettato l’obbligo di un metro di distanza, sarà assicurato il ricambio dell’aria per dieci minuti ogni ora e scrutatori e cittadini avranno a disposizione disinfettante per le mani.