Ho letto della polemica intorno al Premio Tenco e all’associazione che lo promuove, il Direttivo del Club omonimo, che è stato accusato di perpetrare gravi “deviazioni” rispetto ai principi e alle linee guida stabiliti dal fondatore. In difesa del Direttivo sono intervenuti 150 artisti e operatori del settore, da Gianni Amelio a Renzo Arbore e Gianna Nannini. Chi ha davvero ragione tra gli eredi del cantautore e gli organizzatori?
Luciana Semprini
Cara Luciana, le braci che covano da anni sotto il Club Tenco non hanno mai smesso di ardere, e un nuovo incendio è puntualmente scoppiato. Qualcuno confida di spegnerlo sventolando carte bollate, in una battaglia che immalinconisce. Gli eredi di Luigi esigono che il Club non si avvalori più del nome del cantautore, lamentando la mancanza di una “documentata trasparenza” per le attività dell’Associazione che gestisce il Club, nonché la presenza di “conflitti di interessi” per via degli aderenti legati al Festival di Sanremo, a etichette e management, che alimenterebbero una linea editoriale “commerciale” e speculativa, distante dalla concezione originale del Club, che era una kermesse alla buona, meravigliosamente d’élite, ai tempi del fondatore Amilcare Rambaldi. Il neopresidente del Club, Sergio Staino, si è detto “sorpreso e addolorato” dall’iniziativa della famiglia Tenco e auspica un incontro per trovare un punto d’intesa. Gli è stato prontamente risposto di voler “strumentalizzare” gli artisti che hanno firmato la lettera di solidarietà con il Direttivo del Club: tra questi, storici sodali di Rambaldi come Guccini, Conte, Vecchioni. Non se ne esce. La disputa, pur legalmente valutabile, è dannatamente anacronistica. Cambiare nome al Tenco o indirizzarne dall’esterno i progetti per il sospetto di una “distorsione dalla storia del cantautorato” sarebbe una iattura. Ogni altro colpo di bombarda al castello della musica italiana può farlo crollare definitivamente. Non è chiaro come e quando si uscirà dall’incubo-coronavirus, ma già ora, tra tour annullati od ottimisticamente rimandati, album impossibili da promuovere davanti ai fan e impresariati sull’orlo del crac, l’ultima cosa che serve è una crociata dietro al vessillo di Tenco. La filiera perde milioni ogni giorno, si rischia di non alzare più il volume. Sulla buona musica come sul pop da stadio. E sulle rassegne che hanno preservato la memoria del nostro tesoro culturale. Aggiornandosi ai tempi che viviamo. Anzi, che vivevamo, fino a due settimane fa.
Stefano Mannucci