La festa nel centro anziani, in 80 ora rischiano

La festa di carnevale organizzata dal centro anziani di Fondi, nel sud pontino, si è trasformata nel veicolo per un possibile focolaio di Covid-19 in provincia di Latina. Mentre a Pomezia, la cittadina alle porte di Roma abitata dal 53enne poliziotto “paziente 1” ricoverato in terapia intensiva dal 2 marzo, è stata avviata una maxi-indagine epidemiologica con oltre 400 persone intervistate, nel tentativo di contenere l’epidemia. Con la situazione dell’ospedale San Giovanni di Roma – dove giovedì si è registrato il primo decesso nella capitale di una persona positiva al Coronavirus – definita “non preoccupante”, a tenere con il fiato sospeso il Lazio è l’impennata di contagi in provincia di Latina, dove ieri sera la Asl locale contava 19 dei 54 positivi in tutta la regione.

A contribuire a questi numeri, secondo il governatore Nicola Zingaretti e l’assessore Alessio D’Amato, una cena tenutasi il 25 febbraio in un ristorante di Fondi, alla quale avrebbero partecipato “persone da altre zone del paese”. Una festa di carnevale organizzata dal centro anziani della cittadina. Chi non è risultato positivo è finito in isolamento domiciliare, monitorato dai medici della Asl. “Eravamo circa 80 persone – ha raccontato al Fatto Ennio Di Fazio, vicepresidente del centro –. Ne facciamo tanti di eventi così. Non è vero che c’erano persone di altre città, in realtà alcuni soci hanno i figli che lavorano al nord Italia”.

Sotto osservazione è anche il caso di Pomezia. Finora sono risultati positivi 6 familiari del poliziotto e un compagno di scuola del figlio. Ma da giovedì sera il pronto soccorso del Sant’Anna è chiuso per mancanza di personale. Per due giorni, infatti, sono stati ricoverati un 51enne e una 90enne positivi al virus e gran parte del personale è in quarantena. Va aggiunto un militare in servizio presso la base di Pratica di Mare. La task-force regionale ha richiamato ben 400 persone per capire link ed eventuali sintomatologie con le persone infette. Non solo. L’agente fra il 25 e il 26 febbraio ha passato la notte al Policlinico romano di Tor Vergata. E ieri Zingaretti ha riferito che sono “tutti negativi” i tamponi effettuati a personale sanitario e pazienti che hanno incrociato il poliziotto. Tuttavia, fonti qualificate del Fatto, indicano in 10 le persone contagiate, tra cui 8 fra medici e infermieri e 2 familiari.

Alle 18 di ieri nel Lazio i casi positivi erano 53, di cui 8 in terapia intensiva e 26 ricoverati. Secondo i numeri ufficiali, la città di Roma presenterebbe una decina di casi in tutto. In via Condotti, una nota boutique di calzature ha avviato la sanificazione del negozio per la presenza di una “commessa a rischio”. Ieri, l’assessore D’Amato ha esposto il decreto regionale che individua nella clinica Columbus, adiacente al Gemelli, il secondo “Covid Hospital” dopo lo Spallanzani, e 157 posti in terapia intensiva dedicata, con altri 6 ospedali che potranno fare il primo tampone (ed evitare un altro caso Tor Vergata). Da oggi, poi, si ridurrà il personale sanitario in quarantena: “Gli asintomatici dovranno continuare a lavorare”, ha dichiarato D’Amato, annunciando l’assunzione “immediata” di altre 474 unità.

“Qui la rianimazione è satura, così pagano tutti gli altri pazienti”

“L’epidemia di Coronavirus è un problema, certo, ma c’è una cosa che mi preoccupa molto di più: stiamo bloccando la strada ai pazienti in pericolo di vita non affetti da Coronavirus”. Il professor Mauro Salizzoni, 71 anni, direttore del Centro trapianti di fegato dell’Ospedale Molinette di Torino dal 1990 al 2018 oggi consigliere regionale del Piemonte del Pd, sposta l’attenzione dall’emergenza Coronavirus all’altra faccia della medaglia, quella della sanità “ordinaria” cannibalizzata dall’epidemia.

Professore, ci stiamo concentrando troppo sul Covid-19?

Troppo no, è evidente che la situazione necessita di una risposta straordinaria, ma cominciano ad accadere fatti preoccupanti.

Per esempio?

So per certo che la scorsa notte, in un ospedale italiano, un paziente in attesa di un intervento salvavita, un trapianto di fegato urgente, ha ricevuto un organo da un donatore proveniente dal Piemonte, ma non ha potuto essere operato subito poiché i posti in rianimazione erano tutti occupati da pazienti contagiati da Covid-19. Questo episodio deve farci riflettere. I pazienti sono tutti uguali, dobbiamo tenere aperte tutte le strade, a tutti può capitare un politrauma, un aneurisma, un’epatite fulminante. Non possiamo permetterci di essere impreparati.

Quindi, che fare?

Bisogna ampliare le terapie intensive per il Coronavirus dirottandole su circuiti diversi da quelli centrali. Se possibile, la rianimazione di un reparto di cardiochirurgia deve essere lasciata alla cardiochirurgia. Di fatto il Coronavirus è una polmonite, in questi casi serve soprattutto un Ecmo (macchinario per l’ossigenazione extracorporea, ndr) che può essere trasportato con facilità.

Esistono le risorse per uno sforzo simile?

Bisogna trovarle, almeno nelle zone dove l’incidenza dell’epidemia è più elevata, o tra 20 giorni, per perdita di tempo, ci troveremo ad aver perso per strada pazienti. Ripeto, trasportare un respiratore è un’operazione tecnicamente semplice.

Torniamo al Coronavirus. Lei ha lavorato per 30 anni alle Molinette di Torino, dove giovedì una coppia di anziani è risultata positiva dopo un normale ricovero per sintomi influenzali. Com’è potuto accadere?

È accaduto, com’è noto, che questi pazienti, ricoverati tre giorni prima, abbiano omesso di dichiarare al personale sanitario di avere un figlio che lavora a Lodi con cui erano venuti recentemente a contatto. C’è da chiedersi se la procedura di non fare i tamponi all’ingresso sia efficace.

Negligenza?

Direi di no, ci sono delle direttive precise. Il tampone viene fatto solo in presenza di sintomatologie evidenti. A chi arriva al pronto soccorso con complicanze respiratorie andrebbe fatto immediatamente il triage, sempre. In presenza di Coronavirus, se necessario, il paziente va messo in rianimazione centrale. Alle Molinette ce n’è una perfettamente dedicata e funzionante.

Professor Salizzoni, da medico: è preoccupato per questa epidemia?

Premesso che non sono un virologo, anche se ho avuto a che fare con virus e batteri tutta la vita, l’idea che mi sono fatto leggendo e parlando con i colleghi è che i malati siano certamente molti di più di quelli dichiarati.

Quindi la situazione è più grave di quel che crediamo?

Che i malati siano di più non è necessariamente un fatto negativo. Se la mortalità rimane su questi livelli, significa che il dato reale è ancora più basso. E poi, più gente si ammala (e guarisce) e più anticorpi si sviluppano. Gli anticorpi sono il vero semaforo rosso, il muro contro cui va a sbattere un virus. Non, come sento dire, il caldo e le stagioni. Il virus si indebolirà quanto più troverà muri sulla sua strada.

Il governo italiano sta agendo bene secondo lei?

Limitare al massimo i contatti di massa è utile. Condivido la chiusura delle scuole, significa contenere uno dei principali fattori di movimento nelle nostre città. In questo momento ci vuole coraggio. Le faccio un esempio da chirurgo: oggi serve una resezione epatica di tre minuti, quella in cui il paziente perde molto sangue in poco tempo. Ci sono anche tecniche per fare la stessa cosa in 12 ore, il sanguinamento è molto lento, ma non per questo è di minore entità. Bisogna agire in tre minuti.

Reparti di rianimazione, servono fino a 900 posti

In un articolo sui numeri del Coronavirus, il primo da tenere in considerazione è il numero 14. Ieri sono scaduti i primi 14 giorni da quando è stato rivelato il caso del “paziente 1” di Codogno e quindi un tempo utile per capire alcune cose. Quattordici giorni è il tempo essenziale per calcolare un possibile contagio. Infatti “il collegamento epidemiologico – si legge sul sito del ministero della Salute – può essere avvenuto entro un periodo di 14 giorni prima o dopo la manifestazione della malattia nel caso in esame”. Con i dati di ieri, quindi, qualche idea possiamo farcela.

Idea parziale, basata su numeri che vengono disposti su un foglio bianco senza pretesa di scientificità. Numeri che però dicono che in Italia la progressione dei contagiati è particolarmente pesante. Dai 79 del 22 febbraio si è passati a 157 il secondo giorno, 322 il quarto, 650 il sesto, 1128 l’ottavo giorno. Fino a qui un raddoppio ogni due giorni. Poi si è passati a una progressione un po’ più lieve: i contagi complessivi sono raddoppiati dopo 2,5 giorni, con 2502 casi il 3 marzo e i 4637 casi di ieri dicono che il raddoppio supera i tre giorni. La progressione è simile a quella cinese che è andata avanti a un tasso medio del 23% per oltre un mese.

L’andamento dei morti, invece, parte in modo più lieve raddoppiando ogni tre giorni (sono sette il 25 febbraio, 17 il 27 febbraio, 34 il 1º marzo). Dal 2 marzo si impennano e raddoppiano ogni due giorni: da 52 a 107 tra il 2 e 4 marzo e ieri arrivano a 197. Infatti, rispetto al tasso medio di letalità stimato dall’Oms su scala mondiale del 3,4% in Italia si passa al 4,25%. Se questo ritmo non scenderà, si possono stimare 3000 morti nel giro di una settimana.

Stesso dramma per le terapie intensive che dal 1º marzo raddoppiano ogni tre giorni. In questo modo si possono stimare a 900 posti il 9 marzo e a quasi 2000 tra il 12 e il 13 marzo.

Si torna però al 14. In questo lasso di tempo sono state prese misure, la zona rossa al Nord, poi le scuole chiuse e le altre che stanno sopravvenendo. Basteranno? In Cina, come abbiamo visto, la curva dei contagi inizia a scendere solo dopo il 15 febbraio e se si prende a riferimento il 20 gennaio, come fa il grafico dell’Oms, si tratta di 25 giorni. Quindi c’è ancora tempo per una crescita esponenziale.

In questo senso sono particolarmente istruttivi grafici come quello elaborato dagli studiosi Enrico Bucci ed Enzo Marinari ampiamente citati in vari riepiloghi. Il grafico applica il modello esponenziale e quindi realizza una stima applicando i tassi di incremento finora registrati. È chiaro che ogni nuovo aggiornamento con dati che smentiscano il grafico basato sull’estrapolazione comporterebbe una notizia positiva, cioè una riduzione della progressione.

Per indirizzarsi verso scenari davvero molto allarmanti queste curve di cui stiamo discutendo non dovrebbero mai scendere. È quanto sembra presupporre il sociologo Luca Ricolfi che si è spinto a immaginare “2-300 mila decessi”. E come si arriva a una cifra così terribile? Un tanto al chilo: “Ove avessimo 8 milioni di infetti (come in una comune influenza), dice Ricolfi, il numero di morti sarebbe compreso fra 160 e 240 mila”. Il punto non è che non si possano avere 8 milioni di contagiati da Coronavirus, il punto è che l’attuale tasso di letalità del 4,25% è basato sul rapporto tra i decessi e i contagiati accertati. Se davvero i contagiati fossero di più quel tasso sarebbe molto più basso. Nulla oggi induce a pensare che i malati possano essere diversi milioni, se non i numeri che riguardano le “normali” influenze. Secondo i dati degli ultimi anni, dell’Istat, in media circa il 9% della popolazione italiana contrae il virus dell’influenza. Tra il 2007 e il 2017, i morti “diretti” per influenza sono stati in media 460 l’anno; mentre le stime per i decessi “indiretti” vanno dai 4 mila ai 10 mila l’anno. Al di là delle ipotesi catastrofiche è chiaro però che il Coronavirus ne farà senz’altro di più.

Ginecologa e ostetrica positive alla Mangiagalli

A quindici giorni dall’inizio dell’emergenza la Lombardia resta la regione italiana più critica e che in 48 ore ha fatto registrare poco meno di 800 contagi in più arrivando ieri sera a quota 2631 e 135 morti. Criticità si rilevano in tutti i presidi ospedalieri. Ultima e decisamente allarmante quella registrata alla clinica Mangiagalli di Milano che rientra nel polo ospedaliero del Policlinico. Qui, a ieri sera, erano due i casi positivi al Covid-19, una ostetrica e una ginecologa della Bergamasca. Immediato è scattato l’ordine per gli operatori sanitari di sottoporsi al tampone che in larga parte sono risultati negativi. L’allerta però resta alta anche perché, viene spiegato al Fatto, la ginecologa risultata positiva nei giorni scorsi si trovava nell’ambulatorio affollato da diverse donne in gravidanza.

La disposizione della direzione prevede da due giorni l’uso tassativo delle mascherine per gli operatori. Insomma, una zona rossa che si è allargata in queste ore anche alle altre strutture del Policlinico. Qui le aree sono state già divise in zone bianche e zone rosse con la disposizione di formazione professionale per coloro che saranno mandati nelle zone rosse e in particolare per l’uso dei caschi per l’ossigeno e per l’assistenza del paziente in ventilazione assistita. Da ieri sono stati aggiunti 36 letti di terapia intensiva. Undici le persone attualmente intubate. Come in buona parte degli altri ospedali lombardi è partita la corsa alle assunzioni. Molte vengono proposte a partita Iva e moltissimi hanno rifiutato. Allo stato sono stati assunti 10 infermieri, 4 fisioterapisti e 10 operatori socio-sanitari. Da lunedì, poi, al Policlinico tutte le attività ambulatoriali saranno chiuse garantendo solo l’assistenza ai pazienti oncologici. La voce circola da giorni tra i reparti: aspettiamoci il peggio. Dalla direzione generale arrivano indicazioni per altri due mesi di emergenza. Anche Milano, quindi, rischia di finire nell’emergenza.

Ieri i casi in città sono arrivati a 116, mentre in tutta la provincia sono 267. I due mesi restano un arco temporale minimo che ieri è stato spiegato dallo stesso assessore alla Sanità Giulio Gallera. “Se non adottiamo atteggiamenti radicali – ha detto durante il quotidiano punto stampa –, rischiamo che non ci sia un picco dei contagi da coronavirus ma solo una crescita dei casi”. E ancora: “O veramente assumiamo un atteggiamento individuale molto responsabile, oppure non siamo in grado di valutare quando arriverà la discesa”. Insomma il rischio di una crescita esponenziale dei malati è più che concreto.

Numeri alla mano e con circa 800 contagi ogni 48 ore in poche settimane si potrebbe arrivare a 10mila positivi. Il presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss) Silvio Brusaferro ieri ha messo sul tavolo l’ipotesi di un allargamento importante delle zone rosse in Lombardia. “C’è un incremento particolare in aree più che in altre – ha spiegato ieri –. La Regione ha sottoposto questo tipo di problematica e il comitato tecnico scientifico sta lavorando attentamente per capire se ci sono eventuali provvedimenti da adottare”. Scenario riconfermato dallo stesso Gallera che ha parlato di “velocità fulminea” per la diffusione del virus.

Il contenimento è decisivo. In particolare in alcune zone come la bassa Valseriana. Per la Regione e per l’Iss i check point dovevano esser già partiti, così come comunicato tre giorni fa al Governo. “Ancora oggi – ha detto Gallera – ragioniamo sul fatto che quella zona è, dopo la zona del Lodigiano, quella che ha la maggiore incidenza di casi per abitante”. Oggi è attesa la decisione definitiva del Governo. Ieri nella provincia dei Bergamo i nuovi casi sono stati 86 per un totale di 623. Tra questi il Prefetto e il Questore di Bergamo.

Già da giorni comunque i cittadini di Nembro e di Alzano Lombardo si comportano come fossero già dentro una zona rossa. Il sindaco di Nembro ha costituito una unità di crisi: “Stiamo predisponendo gli elenchi dei volontari per i servizi essenziali ai cittadini come la distribuzione dei pasti a domicilio”. Il sindaco di Alzano ha invece messo in piedi il coordinamento per l’assistenza alle persone sole e con fragilità. “La gente è spaventata dal coronavirus – ha spiegato -. Quando una cosa non si conosce si ha più paura. Comunque siamo pronti ad affrontare tutto, l’importante è avere la certezza e sapere se istituiscono la zona rossa”.

Salgono ancora i morti e i pazienti più gravi. Corsa per i ventilatori

Sono cinquemila gli apparecchi di ventilazione che la Consip cerca di reperire con urgenza sul mercato per le terapie intensive e subintensive. I posti già scarseggiano in Lombardia e in altre regioni del Nord e la progressione esponenziale dell’epidemia di nuovo coronavirus fa pensare che il picco non sia ancora dietro l’angolo e che altre aree del Paese possano ritrovarsi presto in emergenza.

Non c’è tempo da perdere. Il bando della centrale acquisti è partito ieri per 185 milioni di euro (la scadenza per le offerte è fissata al 9 marzo). Secondo diversi addetti ai lavori il governo, ministero della Salute in primis, potrebbe aver già perso giorni preziosi anche se tutti ufficialmente assicurano che nessuna Regione, finora, ha chiesto l’intervento di quelle confinanti. Ora però si punta a poco meno di un raddoppio dei mezzi a disposizione per la terapia intensiva (oggi 5.300 posti in tutta Italia). I pazienti in terapia intensiva sono al momento 462, pari all’11,7 per cento del totale di 3.916 contagiati attuali e aumentano al ritmo di un terzo al giorno.

Colpisce un dato tra quelli diffusi ieri, nel quotidiano aggiornamento a 14 giorni dai primi casi scoperti a Codogno (Lodi) e Vo’ Euganeo (Padova), dal direttore della Protezione civile Angelo Borrelli: diminuiscono i pazienti meno gravi, quelli cioè che hanno contratto il virus ma sono tenuti a casa in isolamento perché i medici non ritengono necessario il ricovero in ospedale. Erano infatti 1.065 contro i 1.155 di giovedì, il calo è dunque dell’8,2 per cento in un giorno. Per il resto tutto continua ad aumentare nell’ordine del 20 per cento in 24 ore, i decessi e i casi gravi crescono in misura ancora più consistente.

Ieri il bollettino ha dato conto di altri 49 morti che portano il totale a 197, più 33 per cento. A Sessa Aurunca, nel Casertano, non ce l’ha fatta un uomo di 46 anni di Mondragone, secondo le prime informazioni diabetico. Dovrebbe essere il più giovane tra i positivi fin qui deceduti, la cui età media è di 81 anni secondo un primo parziale studio dell’Istituto superiore di Sanità. A quanto si apprende ricorreva spesso al Pronto soccorso per problemi vari, era ricoverato in Medicina e nessuno gli ha fatto il tampone finché era vivo. Quindi ora c’è il rischio dell’ennesima infezione ospedaliera e ci sono almeno 15 persone tra medici, paramedici e altri pazienti in quarantena.

Il tasso di letalità del virus nel nostro Paese sale così al 4,25 per cento, ben superiore al 3,4-3,8 per cento indicato nei rapporti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a livello internazionale e al 3,8 per cento registrato giovedì. “È vero, il numero delle vittime fa impressione di per sé – ha detto all’Ansa il presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss) Silvio Brusaferro, a margine della consueta conferenza stampa alla Protezione civile –, ma va valutato in un arco di tempo, non va solo visto in maniera istantanea. Stratificando per fasce di età vediamo che la mortalità da coronavirus in Italia è inferiore rispetto ad altri Paesi, come la Cina e altri”.

I malati in terapia intensiva sono 462 contro i 351 di giovedì (l’11,7 per cento del totale, più 31,6 per cento in un giorno), di cui 309 nella sola Lombardia (erano 244 l’altro ieri), 53 in Emilia-Romagna (contro 32), 30 in Piemonte (contro 17), 27 in Veneto (contro 24), 20 nelle Marche (contro 19) mentre il dato è almeno per ora trascurabile per tutte le altre Regioni. I ricoverati in ospedale, quindi meno gravi, sono 2.394 conto i 1.790 di giovedì (504 in più pari al 20,1 per cento). Solo 1.060 sono in isolamento domiciliare.

Il totale dei contagi avvenuti nel nostro Paese, secondo le informazioni di ieri pomeriggio, è arrivato a 4.636, con un aumento di 778 casi (più 20,1 per cento) rispetto ai 3.858 registrati giovedì. Per arrivare ai 3.916 attualmente in trattamento sanitario bisogna ovviamente sottrarre i 197 decessi, ma anche i 523 guariti che sono l’11,28 per cento del totale delle persone colpite dal virus e hanno avuto un significativo aumento anche ieri: 109 in un giorno più 26,3 per cento.

Renzi “l’Étoile” fa flop pure in televisione

Nel quartier generale di Italia Viva devono averci pensato a lungo. Per rimediare agli ultimi sondaggi disastrosi, hanno pensato a una operazione simpatia (un’altra?) che rilanci finalmente l’immagine di Matteo Renzi. E quale idea migliore di mandarlo in tv in piena crisi sanitaria a parlare dei suoi inizi nei boy scout, del rapporto coi figli e di quando dovette rinunciare alla festa dei 40 anni per partecipare alla commemorazione per Charlie Hebdo? Una mossa da far rimpiangere i fasti di Jim Messina. “Vi è mai capitato di conoscere il vostro idolo?”. Così viene introdotto Matteo Renzi a Rivelo, trasmissione di Real Time condotta da Lorella Boccia – nuora di Lucio Presta, agente dei vip e amico di Matteo – andata in onda giovedì sera.

L’inizio è solo un tiepido assaggio dei 48 minuti di coccole all’ego dell’ex premier. La Boccia ricorda l’incontro con una stella della danza: “Ero agitatissima, pensavo a come dovevo rivolgermi a lei, poi mi ha detto di chiamarla semplicemente per nome. Ho capito che le grandi star non hanno bisogno di dimostrare nulla, basta esserci per fare la differenza. E anche l’ospite di questa sera non ha bisogno di presentazioni”. È Matteo Renzi. “Ammetto di essere un po’ emozionata”. “Ma io non sono un étoile”. “No?”. No. Si parte: “Voglio disorientarla con una domanda che nessuno le ha mai fatto”. Perché non si è ritirato dalla politica dopo il referendum? Perché bombarda un governo che lui stesso ha voluto? Meglio: “Le piace ballare?”.

Matteo è a suo agio. Racconta dei soprannomi da bambino: “Nessuno mi ha mai chiamato il Bomba. Al massimo ero il Matto”. Allora va meglio. Poi è l’ora del libro Cuore, qualcosa a metà tra le frasi da Baci Perugina e i discorsi rubati agli anziani fuori dal cantiere: “I bambini non giocano più per strada”; “A volte per far star bene le famiglie di tutti fai star male la tua”; “Il lusso non è un’auto blu o un volo privato, ma condividere relazioni umane”. Se poi si condividono relazioni umane da sopra un Air Force One in leasing per 168 milioni, tanto meglio.

Ma c’è spazio pure per i ricordi politici, col consueto basso profilo: “Sono stato il primo sindaco presidente del Consiglio. L’unico a realizzare la parità di genere nel governo. Il premier più giovane. Se vedo un tricolore mi inchino e ringrazio”. “Le fa molto onore”.

Ma è quando tutto sembra calmo, quando ci si sbottona la camicia e si allungano i piedi sul tavolo che Renzi infila il pizzino politico. Verso i titoli di coda arriva un messaggino da non sottovalutare: “Renzi, ci faccia una rivelazione”; e va bene: “Matteo Salvini è un mio rivale, ma c’è un rapporto personale, umano ci siamo sentiti più volte. Dopo il referendum mi ha scritto per dirmi che mi avrebbe aspettato presto in battaglia, e così ho fatto io ad agosto”. “Questo è un messaggio importante per gli italiani”. Purtroppo sì. E c’è anche la morale finale: “Il rischio è che ti trasformi in un codice, serve avere passione per non vivere da numerini”. I numerini, appunto. Tipo il dato Auditel della serata: 0,36 per cento. Poco persino al confronto dei sondaggi di Italia Viva.

Liguria, Rousseau ha detto sì Parte la trattativa tra Pd e M5S

Ora potranno davvero provarci a costruire una coalizione, ciò che diversi big del M5S non volevano ma gli attivisti sì, eccome. Anche se la discussione sul candidato è una strada piena di incognite. Però c’è almeno una certezza: in Liguria, il Movimento potrà trattare con “il Partito democratico e con altre forze civiche e politiche” in vista delle prossime Regionali, perché così hanno deciso gli iscritti liguri del M5S sulla piattaforma web Rousseau, con il 57,7 per cento di sì. In 960 hanno dato il via libera a fronte di 704 contrari, per un totale di 1164 voti: molti di più rispetto alle votazioni con cui era stata scelta come candidata presidente del M5S Alice Salvatore, capogruppo in Regione, contrarissima all’intesa. E ad alimentare la partecipazione è stata anche la sfida interna tra Salvatore, vicina a Casaleggio, e molti eletti. Ma al Pd va benissimo così. “Il sì su Rousseau è un segnale che accogliamo con soddisfazione, un importante passo in avanti”, commenta Caterina Bini, responsabile degli Enti locali per i dem.

Però ora serve un tavolo tra i partiti, su cui incideranno vari fattori. Per esempio la partita in Campania, su cui il capo politico reggente del Movimento, Vito Crimi, ha garantito un’analoga votazione su Rousseau “nei prossimi giorni”, spiegando che la condizione per un accordo con i dem in quella regione è la candidatura del ministro all’Ambiente, Sergio Costa. Una mossa per spingere il Pd a costringere al passo di lato l’attuale governatore Vincenzo De Luca, per ora deciso a ripresentarsi.

Un gioco a incastri che avrà ripercussioni sulla Liguria. Ma il primo nodo era ed è il candidato governatore, con il giornalista del Fatto Ferruccio Sansa che resta l’opzione più in vista. Per il vicesegretario dem, Andrea Orlando, è il nome giusto: ma in diversi nel Pd la pensano diversamente. E di certo il suo nome divide il M5S. Gran parte dei parlamentari liguri spinge da settimane per Sansa (“Spero sia lui il candidato” conferma il senatore Matteo Mantero), E alcuni lavorano per un incontro tra lui e Crimi da qui a breve. Ma il reggente è freddo rispetto alla candidatura del giornalista.

Soprattutto, l’ex capo politico Luigi Di Maio è contrario, mentre il facilitatore nazionale Danilo Toninelli ha tentato di impedire l’accordo con i dem. Così restano assolutamente in piedi altre opzioni. Come Paolo Comanducci, rettore dell’Università di Genova, gradito a molti dem. E tornano a circolare voci su Francesca Balzani, già assessore al Bilancio a Genova tra il 2007 e 2009, ex vicesindaco a Milano nella giunta di Giuliano Pisapia ed eurodeputata del Pd. Sul tavolo c’è anche il nome della segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan: ma per i 5Stelle pare difficile da deglutire. “Ora non dobbiamo tralasciare la nostra identità rispetto ai temi della tutela ambientale, della legalità e dei beni comuni”, avverte il deputato del M5S, Simone Valente. Invece il presidente della Commissione Politiche Ue della Camera, Sergio Battelli, dal Fatto lancia un messaggio interno: “Il voto degli iscritti dimostra la volontà del M5S di giocare per vincere, chi ci voleva già perdenti in partenza avvii una profonda riflessione”. E prosegue: “Il Movimento vuole essere il motore trainante di questo progetto, credo che si debba proporre un modello Genova anche per le Regionali”.

Ora la palla passa a Crimi, che deve comporre una delegazione per il tavolo con i dem della prossima settimana (ma della partita vuole essere anche Leu, mentre Italia Viva pare sull’Aventino). In diversi fanno muro contro l’inclusione tra i delegati della Salvatore: “Non voleva l’accordo”. Mentre dovrebbero esserci il facilitatore regionale Marco Mes e il deputato Marco Rizzone. E si partirà “dai temi”, giura il Movimento.

“Se si vota insieme sul deficit in più è un segnale all’Ue”

“Il nostro primo obiettivo è bloccare il contagio per non saturare le terapie intensive”. Francesco Boccia, ministro degli Affari regionali, in prima linea nell’emergenza coronavirus, risponde a una telefonata ogni tre minuti. Ma ci tiene a dire: “Riusciremo a capire davvero come sono le curve, quando cominceranno a finire le prime quarantene dopo le due settimane dal contagio. Per ora, nessuno può prevedere come vanno le cose”.

Nel frattempo avete messo in campo risorse ingenti.

Sì, 7.5 miliardi che devono essere autorizzati dal Parlamento perché correggono il rapporto deficit/pil dello 0,35%. Auspico un voto unanime e una presa d’atto da parte di tutti che si possono prendere risorse dal nostro bilancio senza litigare con tutti. Gualtieri non ha dovuto sbattere i pugni sul tavolo con nessuno in Europa. Alle Camere serve la maggioranza assoluta: ma se ci fosse l’unanimità, saremmo un bell’esempio per la Ue. Vorrei dire alle opposizioni che è inutile che sparino cifre a caso: Conte ha ascoltato tutte le parti sociali e alla fine nessuno è stato in grado di dire quanti soldi servono.

In che senso Gualtieri non ha dovuto litigare?

Quando sei credibile e non minacci nessuno le ragioni della politica prevalgono sempre. E poi anche per le regole europee in caso di emergenza si possono avere risorse aggiuntive. Ieri la riunione di Roberto Speranza con i ministri della Salute Ue è andata bene.

Però non c’è un protocollo comune e Germania e Francia hanno bloccato l’export delle mascherine.

Sta cambiando tutto. Si è fatta la task force e si va avanti insieme.

Come spenderete questi soldi?

Ci stiamo lavorando, faremo un decreto dopo il voto sullo scostamento del bilancio. Ci saranno misure per lavoro, credito, famiglie, imposte. Ognuno di noi ha una cartellina con le proposte dei partiti di maggioranza e di opposizione. Se serviranno altre risorse, come è probabile, potremo discuterne insieme in occasione del Def ad aprile.

Che cosa farete per le terapie intensive?

Abbiamo già previsto un miliardo per la sanità. Bisogna aumentare del 50% i 5324 posti nelle terapie intensive. E non chissà quando, ma in questo mese: ieri Zingaretti ha annunciato 150 posti in più. Ogni Regione nel frattempo deve trovare delle risposte. Abbiamo disposto 20 mila assunzioni. Ogni Regione poi valuterà trasferimenti con territori limitrofi e sul richiamo dei pensionati. Sto scrivendo a ogni presidente di Regione: alcuni di loro volevano attingere al fondo di emergenza di Bruxelles direttamente, ma la competenza è della Protezione civile.

A proposito di Regioni: ci sono stati vari contrasti con il governo nazionale in questa vicenda.

L’organizzazione territoriale della sanità è regionale, ma in casi di emergenza nazionale le linee guida le dà lo Stato. Dal Dpcm del 1° marzo c’è stata l’unificazione del percorso: e ogni decreto del Presidente del Consiglio omogenizza sempre più le regole. Questa vicenda ci deve far riflettere

Vuol dire che ci sarà un maggiore accentramento statale?

In casi in cui c’è un’emergenza nazionale decide lo Stato e ora è chiaro a tutti. È scolpito nella nostra Costituzione. Ma non si deve pensare che un servizio pubblico locale lo faccia meglio lo Stato perché rappresentano lo Stato anche le Regioni e i Comuni. Ma nella gerarchia sulle emergenze deve essere chiaro chi decide.

E la sanità privata?

Pesa un quarto della sanità italiana e sta dando una mano importante ma la salute in Italia è un diritto universale e dobbiamo essere orgogliosi della nostra sanità pubblica. Qualcuno sta già dando una mano.

In questa fase, decidono gli scienziati o il governo?

Gli scienziati fanno le loro ipotesi. Sul blocco delle attività eravamo tutti d’accordo. La decisione è stata presa sulla base di quelle valutazioni, alcune molto molto dettagliate. Alcuni erano meno convinti di altri. Ma poi alla fine, l’ultima parola deve essere della politica

Non crede ci sia stata una overdose di comunicazione da parte di Conte e anche degli scienziati?

Un’overdose di trasparenza. Conte ha parlato per rassicurare gli italiani sulla base di decisioni prese da tutto il governo. Per quanto riguarda gli scienziati, gli stiamo consigliando di fare il lavoro che sanno fare meglio, ovvero gli scienziati. E se rappresentano le istituzioni devono evitare di farsi trascinare troppo davanti ai microfoni.

Salario, suolo e querele: le leggi in quarantena

Dal salario minimo al nuovo codice della strada, dal consumo di suolo all’orario dei negozi. Con il Parlamento a scartamento ridotto, col freno a mano tirato, non è stato rinviato solo il referendum sul taglio dei parlamentari, ma numerose leggi finiscono in quarantena: l’Ufficio di presidenza di Montecitorio ha deciso che per tutto il mese di marzo l’aula si riunirà un solo giorno a settimana, il mercoledì, per esaminare solo “atti urgenti e indifferibili”. A Palazzo Madama, invece, la prossima settimana è prevista seduta martedì e mercoledì, quando verrà esaminata l’autorizzazione allo scostamento di bilancio in vista del varo del provvedimento economico sul coronavirus, i famosi 7,5 miliardi messi sul piatto dal governo Conte. Poi, probabilmente, anche il Senato si riunirà solo il mercoledì. Così molti provvedimenti, tra le commissioni e l’aula, finiranno in una sorta di bolla, in attesa che passi l’emergenza Covid-19 e il Palazzo torni a pieno regime. “Uno dei problemi saranno le audizioni: per ora faremo solo quelle che riguarderanno i provvedimenti sull’emergenza virus, per le altre o troveremo il modo di farle via Skype oppure verranno sospese”, osserva Loredana De Petris, senatrice di Leu e capogruppo del Misto.

Restando a Palazzo Madama, uno dei provvedimenti più importanti in discussione è quello sul salario minimo garantito. In Commissione Lavoro la diatriba ruota intorno a 4 disegni di legge, su cui però non è ancora stato trovato un accordo. La soglia minima dovrebbe essere quella dei 9 euro lordi l’ora, proposta dalla ministra Nunzia Catalfo, ma ora tutto si ferma, nella speranza di riprendere al più presto. Un’altra legge importante, in Commissione Ambiente, è quella sul consumo di suolo, ovvero la norma del Pd contro la cementificazione, che vuole limitare al minimo i terreni destinati alla costruzione, per arrivare al “consumo suolo zero” entro il 2050, uno degli obiettivi posti dall’Ue. Un provvedimento già pronto per l’aula è, invece, quello sulle liti temerarie del 5S Primo Di Nicola, che si pone l’obbiettivo di porre un freno alle azioni civili con richiesta di risarcimenti economici ai danni dei giornalisti. Di pari passo viaggia la legge Caliendo (FI) sulla diffamazione, su cui però ci sono ancora forti divisioni tra politica, editori e rappresentanti dei giornalisti. Passando a Montecitorio, in Commissione Attività produttive è in discussione il progetto di legge sugli orari dei negozi, che dovrebbe introdurre una nuova disciplina sulle aperture, anche domenicali. La maggioranza sta lavorando a un testo base su cui ancora non c’è accordo: la chiusura domenicale è una delle battaglie storiche del M5S, che però al momento vede le obiezioni di Pd e Italia Viva. Altre leggi in via di ibernazione, alla Camera, sono quelle sull’assegno unico, ovvero l’assegno conferito alle famiglie in difficoltà per i figli fino ai 18 anni di età. Sempre a Montecitorio erano iniziate le audizioni per arrivare a una legge contro le fake news, di cui si discute da tempo, con parecchie divisioni tra le forze politiche. In discussione, in Commissione Trasporti, anche le nuove norme sul codice della strada. “In realtà alla Camera, per i problemi interni alla maggioranza, già si stava lavorando poco. Nelle ultime settimane le giornate passavano senza provvedimenti da esaminare. Ora, almeno, andremo al rallentatore per un motivo valido”, osserva il forzista Simone Baldelli. Che parla con qualche ragione.

Calendario alla mano, infatti, a gennaio l’aula di Montecitorio ha convertito due decreti e un disegno di legge. Il resto delle sedute è stato dedicato a tre informative ministeriali, tre ratifiche di trattati internazionali e una decina di mozioni. Scorrendo l’agenda di marzo, oltre alle norme sul coronavirus, ci sono altri due momenti importanti: mercoledì 18 si voterà per eleggere 2 componenti di Agcom e dell’Authority sulla Privacy, mentre mercoledì 25 è previsto l’esame del ddl sulla riduzione del cuneo fiscale, già approvato in Senato.

Sanità: 1,5 miliardi e 20 mila assunti. Lombardia chiusa

Idecreti per l’emergenza coronavirus seguono, per così dire, il corso dei contagi: aumentano ogni giorno che passa. Nella tarda serata di ieri – il Consiglio dei ministri è appena iniziato mentre andiamo in stampa – il governo dovrebbe averne approvati altri due e stamattina è atteso invece un terzo Dpcm: il primo decreto dà la possibilità ai capi dei tribunali di bloccare le udienze non necessarie; il secondo rafforza il Servizio sanitario nazionale in particolare attraverso 20mila assunzioni (secondo indiscrezioni 5mila specialisti, 10mila infermieri e 5mila operatori socio-sanitari); il terzo rende l’intera Lombardia, la provincia di Piacenza e quella di Pesaro Urbino “zone gialle”. Quest’ultima disposizione, confermata al Fatto da più fonti, è la più sorprendente: tra le restrizioni della zona gialla, per capirci, c’è anche quella di uscirne. Da oggi la Lombardia è chiusa.

Atteso,ma non così in fretta, il decreto sulla alla sanità, che sarà finanziato con circa un miliardo e mezzo dei 7,5 miliardi stanziati l’altroieri (il Parlamento, però, deve approvare la modifica del bilancio mercoledì). Quei soldi, via assunzioni e non solo, dovrebbero servire anche ad aumentare in tutta fretta del 50% i posti letto in terapia intensiva, il vero punto debole del sistema in caso di crescita esponenziale dei contagi: ad oggi in Italia sono circa 5.300 e alle Regioni è già stato chiesto nei giorni scorsi, ognuno per la sua parte, di attivarsi per predisporne almeno 2.600 in più (Consip ha già pubblicato il primo bando per le attrezzature).

Come detto, la novità di giornata è il massiccio piano di assunzioni che dovrebbe dar respiro al Ssn, falcidiato da un decennio di tagli in cui il personale a tempo indeterminato è diminuito di oltre 42mila unità: i nuovi assunti saranno divisi in base al fabbisogno indicato dalle singole Regioni. Così fosse – ma si tratta di numeri non definitivi – alla Lombardia andrebbero 570 medici, 150 infermieri e 500 operatori socio-sanitari (Oss), all’Emilia Romagna 250 medici e 600 infermieri, al Piemonte 700 medici, 2.200 infermieri e altrettanti Oss, alla Sicilia 900 specialisti e mille infermieri, alla Puglia 400 medici, 900 infermieri e 400 Oss, etc.

Per velocizzare le procedure in modo da rispondere all’emergenza in corso si dovrebbe ricorrere (anche) a contratti di lavoro autonomo di sei mesi: sarà possibile reclutare medici all’ultimo anno di specializzazione e anche personale “medico e infermieristico” già in pensione. Una mano sarà chiesta anche al settore privato: le Regioni potranno acquisire “ulteriori prestazioni” dalle strutture convenzionate e non, le quali potranno anche essere anche chiamate – se necessario – a mettere a disposizione tanto il loro personale sanitario che i locali o le apparecchiature almeno in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Non bastasse, sarà possibile – in deroga alle normali procedure autorizzative – creare reparti temporanei sia all’interno che all’esterno degli ospedali. Sempre se dovesse servire, i prefetti sono autorizzati a requisire alberghi idonei a ospitare persone che non possano svolgere la quarantena in casa.

In mezzo a molte altre cose – dagli incentivi per la produzione di mascherine (50 milioni) alla deroga sull’orario massimo di lavoro per i medici, dalla possibilità di fermare i ricoveri non urgenti alle strutture di risposta domiciliare per i non ospedalizzati – c’è una previsione dal forte contenuto politico: se una Regione non attuasse i provvedimenti previsti dal decreto, Palazzo Chigi potrà diffidarla a provvedere entro 10 giorni e, nel caso, nominare coi ministeri competenti un commissario ad acta, “anche nella persona del capo della Protezione civile”.

Quanto al pianeta giustizia, la bozza di decreto legge entrata in Consiglio dei ministri prevede che fino al 30 giugno i dirigenti degli uffici giudiziari possano, tra le altre cose, decidere di fermare le udienze non necessarie o far svolgere quelle che si terranno a porte chiuse: ovviamente si procederà come da programma per le udienze che riguardano provvedimenti cautelari o persone in stato d’arresto, le cause di competenza del Tribunale dei minori o quelle che debbano decidere sull’espulsione, l’allontanamento o il trattenimento di migranti. Queste norme restrittive si sono rese necessarie dopo i diversi casi di contagio registrati negli uffici giudiziari.