Pochi giorni fa, una delle prime decisioni della Regione Piemonte, attraverso l’assessore all’Innovazione e ai servizi digitali, è stata mettere a punto un piano per fare lezione in videoconferenza. La proposta è arrivata dall’assessorato, ha coinvolto il consorzio per la diffusione delle connessioni e quello per lo sviluppo dei servizi informatici. Poi, insieme al governatore e all’assessore all’Istruzione, si è deciso di chiedere 32 milioni di euro di fondi di sviluppo e coesione per attivare nelle scuole regionali la banda ultra larga e mettere a disposizione la rete regionale “Wi-Pie” per i collegamenti da casa. Una storia perfetta, come per i molti casi di eccellenza che emergono di ora in ora. Ma come sa chi frequenta le scuole italiane quotidianamente non tutta l’Italia è il Piemonte.
A raccontarlosono già i dati raccolti nelle zone rosse dall’osservatorio di skuola.net, esemplare da cui partire per fotografare la situazione: in 7 casi su 10 nella ‘zona rossa’ gli istituti si sono attrezzati con l’insegnamento a distanza. La partecipazione del corpo docente si è attestata intorno al 60% (seppur con un miglioramento rispetto all’inizio dello stop, quando 1 studente su 5 aveva ricevuto indicazioni) e nei casi in cui l’istituto non ha una prassi coordinata, i professori si sono organizzati autonomamente con compiti via mail e in chat. Una spia della condizione di alfabetizzazione digitale generale, però, è che se solo un mese fa in queste regioni più dell’80 % delle famiglie era riuscito a compilare autonomamente la procedura di iscrizione online, la media nazionale si fermava al 70% a causa dei minimi del 40% in regioni come Campania, Calabria e Sicilia. E a meno che, da un giorno all’altro, studenti e docenti e genitori non diventino esperti e le dotazioni non si moltiplichino, lavorare sarà molto difficile. Le scuole, infatti, si stanno appoggiando agli strumenti già a disposizione. Per quasi la metà degli studenti (47%) lo “smart learning” avviene via registro elettronico, dotato di funzioni specifiche. Nel 36% dei casi sono state adottate piattaforme per le lezioni interattive e in video-conferenza, ma solo se già usate in precedenza e con dotazione adeguata che, a settembre, al Nord era appannaggio di uno studente su 3. Meno di un quarto dei docenti svolge lezioni in diretta e solo il 4% può contare su video-lezioni registrate e caricate online dalla scuola. Per uno studente su 5 sono arrivate anche interrogazioni e verifiche ‘a distanza’.
D’altronde, la connessione in Italia e soprattutto la dimestichezza di alunni e docenti con gli strumenti informatici sono uno dei maggiori problemi della “scuola digitale”. L’ultima rilevazione dell’Agcom mostra come il 3% degli edifici scolastici risulti ancora privo di qualunque connessione, soprattutto le primarie nel sud Italia: la conseguenza è una didattica “impreparata” e non basata su questo tipo di organizzazione. Sempre secondo il rilevamento, la metà dei docenti utilizza metodi di insegnamento digitale, che solo nel 29% delle scuole sono usati per verifiche e valutazioni. Ancor meno diffuse le attività di condivisione digitale tra docenti e scolari. “Queste evidenze – si legge – suggeriscono che la propensione del corpo docente all’utilizzo del digitale risulta troppo spesso circoscritto all’interno della classe, lasciando poco spazio all’utilizzo di tecnologie innovative finalizzato all’apertura delle classi, allo scambio e alla collaborazione trasversale tra docenti e studenti, fra classi dello stesso istituto e di istituti diversi”. Il ministero dell’Istruzione ha intanto attivato due call per chi voglia mettere a disposizione gratis soluzioni tecnologiche, di software e di hardware. Sono arrivate molte proposte, una trentina, da pubblici e privati, e si stanno valutando i requisiti tecnici mentre la ministra ha ribadito che “la scuola è in classe”.
E fino ad allora, per i genitori che non possono contare sui nonni (il vero pilastro del welfare italiano, ai quali è però stato richiesto di restare a casa) o sulle chat di scuola in cui mamme e papà si organizzano per tenere a turno gruppetti di bimbi, non resta che avere pazienza. Le misure allo studio del governo per aiutare le famiglie, e promesse già da mercoledì, arriveranno solo la prossima settimana, quando saranno stanziati 7,5 miliardi, di cui parte andrà per ferie, permessi, congedi parentali e smart working dei genitori fino a quando le scuole resteranno chiuse. “Sto pensando a reintrodurre i voucher per le baby sitter”, ha detto la ministra per la Famiglia Elena Bonetti, confermando al termine del Consiglio dei ministri di ieri che “già la prossima settimana ci sarà qualche proposta da mettere in campo”. Ma il contributo economico ci sarà solo per le famiglie con redditi medio bassi. Previste anche misure straordinarie di congedo parentale per madri e padri per un numero congruo di giorni da utilizzare per quei genitori che hanno figli minori fino ai 12 anni. Insomma, un’aspettativa non retribuita anche per quanti hanno esaurito il congedo parentale per età del figlio (10 mesi in totale tra entrambi in genitori). Sul tavolo anche un aiuto per i coniugi degli operatori sanitari impegnati nell’emergenza per provvedere alla cura dei figli. Insomma, misure che restano allo studio visto che il governo ha bisogno di tempo in più per riuscire a far quadrare i conti. Basta pensare che la manovra 2020 sul fronte dei bonus alle famiglie ha stanziato solo 600 milioni di euro per bonus bebè e asilo nido che vengono però erogati con il vincolo dell’Isee, limitandone la platea.