Siamo stati noi o il pipistrello?

Le malattie infettive sono dappertutto. Rappresentano una sorta di collante naturale, che lega un individuo all’altro e una specie all’altra all’interno di quelle complesse reti biofisiche che definiamo ecosistemi.

Il meccanismo dell’infezione è uno dei processi fondamentali studiati dagli ecologi, come la predazione, la competizione, la decomposizione e la fotosintesi. I predatori sono bestie più o meno grandi che consumano le prede dall’esterno. I patogeni (cioè tutti gli agenti causa di malattie, virus compresi) sono per contro bestie assai piccole che le divorano da dentro. Le malattie infettive sono un argomento triste e terribile, certo, ma in condizioni ordinarie sono eventi naturali, come un leone che sbrana uno gnu o un gufo che ghermisce un topo. Però le condizioni non sono sempre ordinarie. Come i predatori, anche i patogeni hanno le loro prede preferite, abituali bersagli dei loro attacchi. E proprio come un leone, abbandonando occasionalmente il suo normale comportamento, può uccidere una mucca anziché uno gnu, o un essere umano al posto di una zebra, anche i patogeni possono scegliere un altro bersaglio. […]

Quando un patogeno fa il salto da un animale a un essere umano e si radica nel nuovo organismo come agente infettivo, in grado talvolta di causare malattia o morte, siamo in presenza di una zoonosi. È un termine vagamente tecnico, che a molti riuscirà insolito, ma ci aiuta a inquadrare i complessi fenomeni biologici che si celano dietro gli annunci allarmistici sull’influenza aviaria o suina, sulla Sars e in generale sulle malattie emergenti o sulla minaccia di una nuova pandemia globale. […] È una parola del futuro, destinata a diventare assai più comune nel corso di questo secolo. Ebola è una zoonosi, come la peste bubbonica. Lo era anche la cosiddetta influenza spagnola del 1918-19, che si originò in una specie di uccello acquatico selvatico e che, dopo essere passata da vari animali domestici intermediari, finì con l’uccidere 50 milioni di persone, secondo alcune stime, per poi sparire nel nulla. Tutti i tipi di influenza umana sono zoonosi. E lo sono anche il vaiolo delle scimmie, la tubercolosi bovina, la malattia di Lyme, la febbre emorragica del Nilo, la febbre emorragica di Marburg, la rabbia, la sindrome polmonare da hantavirus, l’antrace, la febbre di Lassa, la febbre della Rift Valley, la toxocariasi, la febbre emorragica boliviana, la malattia della foresta di Kyasanur e una strana malattia emersa di recente detta encefalite da virus Nipah, che ha ucciso maiali e allevatori di maiali in Malesia. Tutte derivano dall’azione di un patogeno capace di passare dagli animali all’uomo. […] Questo salto interspecifico è più comune che raro: si verifica abitualmente o si è verificato di recente nel 60% circa delle malattie infettive dell’uomo oggi note. […] Per fare un contro-esempio, il vaiolo non è una zoonosi. È causato dal Variola virus, che in condizioni naturali infetta solo gli esseri umani. […] Un’altra malattia non zoonotica è la poliomielite, che ha flagellato l’umanità per millenni, ma che (per ragioni paradossalmente legate alle migliori condizioni igieniche e al contatto tardivo dei bambini con il virus) assunse le dimensioni minacciose di una epidemia nella prima metà del Ventesimo secolo, soprattutto in Europa e in Nordamerica. […] Nel 1988 l’Oms e altre organizzazioni lanciarono una campagna di eradicazione globale, in seguito alla quale il numero dei casi è diminuito del 99%. […] Un simile risultato è stato possibile perché la vaccinazione di massa è relativamente economica, facile da attuare e ha effetti duraturi, ma soprattutto perché il poliovirus, scacciato dagli esseri umani, non ha altri posti dove nascondersi. Non è una zoonosi.

I patogeni delle zoonosi possono invece nascondersi. Ed è questo che li rende interessanti, complicati e portatori di problemi. […] Ovviamente questi patogeni non agiscono coscientemente: si trovano quel determinato ospite e si spostano in quel determinato modo perché queste soluzioni, trovate casualmente, si sono dimostrate vincenti in termini di sopravvivenza e successo riproduttivo. […] La strategia di più basso profilo è di annidarsi in quello che viene chiamato ospite serbatoio, o reservoir. L’ospite serbatoio (da alcuni definito ospite naturale) è un organismo vivente che porta con sé il patogeno, un parassita al quale dà asilo permanente, senza riceverne danno o quasi. Quando una malattia infettiva sembra dileguarsi tra un’epidemia e un’altra (come Hendra dopo il 1994), l’agente che ne è la causa dovrà pur essere da qualche parte, no? Forse è proprio scomparso dal pianeta, ma più probabilmente no. Forse si è estinto in quell’area specifica e ricomparirà solo quando i venti o i casi del destino ce lo riporteranno. O forse è lì intorno, dentro qualche ospite serbatoio. Un roditore, magari, o un uccello, una farfalla, un pipistrello. […] Quasi tutte le zoonosi vengono trasmesse da sei tipi di microrganismi patogeni: virus, batteri, funghi, protisti (creature microscopiche ma complesse, come le amebe, che un tempo venivano erroneamente classificate come protozoi), prioni e vermi. Il morbo della mucca pazza è causato da un prione, una proteina ripiegata in modo bizzarro che fa propagare lo stesso tipo di errore in altre molecole, come il frammento di “ghiaccio nove” dell’omonimo romanzo di Kurt Vonnegut, in grado di indurre una reazione a catena che trasforma l’acqua in ghiaccio. La malattia del sonno è causata dal protista Trypanosoma brucei, trasportato dalle mosche tse-tse e in grado di infettare mammiferi selvatici e domestici, oltreché l’uomo, nell’Africa subsahariana. Responsabile dell’antrace è un batterio in grado di starsene in letargo nel suolo per anni e poi, se scalzato dal suo luogo di riposo, di infettare l’uomo attraverso il bestiame che bruca l’erba. […]

I virus sono i patogeni che danno più problemi. Si evolvono con rapidità, non sono sensibili agli antibiotici, sono a volte difficili da trovare, possono essere molto versatili e portare tassi di mortalità altissimi. Ebola, febbre emorragica del Nilo, Marburg, Sars, vaiolo delle scimmie, rabbia, Machupo, dengue, febbre gialla, Nipah, Hendra, Hantan (malattia e fiume della Corea dove furono identificati per la prima volta gli hantavirus), chikungunya, Junin, Borna, influenze e hiv: sono tutti virus. Esiste anche un patogeno dall’evocativo nome di “virus schiumoso delle scimmie” (Simian Foamy Virus, o sfv) che infetta scimmie e umani in Asia. Il salto di specie avviene in quei luoghi (ad esempio i templi buddhisti e induisti) dove la gente viene a stretto contatto con popolazioni di macachi semi-domestici. E tra coloro che visitano i templi e regalano cibo alle scimmiette ci sono anche turisti stranieri, che in questo modo si espongono al rischio di contrarre sfv e si portano a casa un regalino aggiuntivo, oltre alle foto e ai souvenir. […] Nell’uso corrente in ecologia ed epidemiologia, lo spillover (che potremmo tradurre con “tracimazione”) indica il momento in cui un patogeno passa da una specie ospite a un’altra. Ogni spillover è come una lotteria, dove il patogeno compra un biglietto nella speranza di avere in premio una vita nuova in spazi più larghi. Ha una minima probabilità di non finire in un vicolo cieco, di andare là dove non è mai andato e di essere ciò che non è mai stato. Talvolta ha un colpo di fortuna. […] Secondo il grande specialista Stephen S. Morse “i virus non hanno organi locomotori, ma molti di loro hanno viaggiato in tutto il mondo”. Non corrono, non camminano, non nuotano, non strisciano. Si fanno dare un passaggio.

© 2012 David Quammen. First published by W.W. Norton & Company, Inc.

© 2014 Adelphi Adizioni S.p.A. Milano

Pacchi bomba, la pista: “Volevano colpire le università collegate al settore militare”

Unabomber di matrice anarchico-terroristica. È una delle ipotesi della Procura di Roma, che indaga sull’esplosione di tre pacchi bomba, indirizzati a tre donne tra domenica e lunedì. Il primo pacco ha ferito un’addetta al centro postale di Fiumicino, ma la busta era indirizzata a un’ex dipendente dell’Università Sacro Cuore (68 anni), con mittente l’università stessa. Il secondo plico ha colpito una dipendente Inail (54 anni), mentre il terzo un’ex docente di biochimica (56 anni) di Tor Vergata. In questi ultimi due casi il mittente era un’amica, e si sospetta che l’intestazione sia stata ricavate dai social. Un’unica matrice avrebbe preparato l’ordigno, sigillato in comuni buste gialle A4, in cui era nascosta una scatola con polvere pirica e un innesco che si aziona all’apertura. I pacchi recavano l’indirizzo di residenza delle vittime, e non strutture pubbliche o uffici, forse per colpire direttamente la persona interessata. La lotta contro le basi militari è uno dei temi apparsi in alcune riviste anarchiche, per questo gli inquirenti ipotizzano che l’obiettivo sarebbe stato quello di colpire figure universitarie delle strutture che hanno stipulato accordi con le forze armate. Per questo Tor Vergata, che coopera con l’Aeronautica Militare, e il Sacro Cuore per l’accordo con il Corpo d’armata di reazione rapida in Italia (Mrdc). Le autorità temono che ci possano essere in circolo altri ordigni, per questo sono stati aumentati i controlli sullo smistamento dei pacchi.

La bufala dell’olio sulle Alpi l’ha sfatata la mummia di Ötzi

La climatologia da osteria include la bufala del Medioevo caldo. È nata in tempi non affetti da negazionismo climatico, negli anni Trenta del secolo scorso, quando le ricostruzioni del clima antico muovevano però i primi passi sulla base di leggende e documenti storici e non disponevano di metodi geochimici più affidabili, non esisteva allora nemmeno la datazione al carbonio-14! In area alpina si riteneva che attorno all’anno Mille per qualche secolo i ghiacciai fossero stati molto più piccoli di oggi e la neve così episodica da consentire il fiorire di commerci transalpini e le migrazioni dei Walser, che l’olivo prosperasse tra gli alpeggi e la vite fosse coltivata in Inghilterra come oggi a Diano d’Alba.

Vero che quel periodo fu più mite rispetto alla Piccola Età glaciale che seguì dal 1250 al 1850, ma il recente dibattito scientifico ha ridotto l’importanza e la rappresentatività globale di questa fase di mitezza medievale, cambiando pure la nomenclatura da “Medieval Warm Period” a una ridimensionata “Medieval Climate Anomaly”, come puntualizzato da un variegato gruppo di ricercatori tra cui Michael Mann della Pennsylvania University, Jürg Luterbacher ed Elena Xoplaki dell’Università di Berna, nel lavoro The origin of the european Medieval Warm Period apparso nel 2006 sulla rivista Climate of the Past. Il progetto di ricerca PAGES (Past Global Changes), istituito nel 1991 con l’obiettivo di comprendere i passati cambiamenti ambientali e coordinato dall’Università di Berna, ha stabilito che “le elevate temperature estive sperimentate sulle Alpi durante la fine del XX secolo sono una novità almeno relativamente agli ultimi 1500 anni”. L’ultimo articolo pubblicato nel luglio 2019 dal consorzio PAGES su Nature Geoscience mostra un grafico aggiornato di ricostruzione della temperatura globale degli ultimi due millenni ottenuto da varie fonti, dagli anelli degli alberi ai pollini fossili, dove non compare alcun significativo riscaldamento medievale e dove si evidenzia il carattere del tutto inusuale dei caldi decenni attuali. Nemmeno dalle cronache dell’area alpina affiorano evidenze di un Medioevo caldo, come ha attestato il progetto “Archlim” che ho coordinato nel 2012 come Società Meteorologica Italiana insieme a Giuseppe Sergi del Dipartimento di Studi storici dell’Università di Torino su finanziamento della Compagnia di San Paolo.

L’analisi di un migliaio di testimonianze scritte di eventi passati (800-1400 d.C.) ha confermato che sono molto maggiori le segnalazioni di episodi meteorologici di freddo invece che di caldo. Tra il 1077 e il 1355 sono stati censiti 19 eventi di congelamento dei fiumi al Nord Italia, al punto da essere transitabili a piedi o con carri, in media uno ogni 15 anni, mentre oggi non assistiamo a un ghiacciamento esteso del Po e dei suoi affluenti da quasi un secolo, cioè dal 1929! I vigneti commerciali in Inghilterra sono attualmente oltre 400 mentre erano solo 46 quelli censiti nel Domesday Book dell’XI secolo. E gli olivi che si stanno diffondendo nel Nord Italia oggi lo fanno realmente per l’aumento della temperatura, mentre in passato erano incentivati per esigenze alimentari o religiose: negli statuti trecenteschi di Ivrea, si obbligavano i cittadini a coltivare almeno una pianticella di olivo o di mandorlo, il Comune prometteva per ogni pianta in stato fruttifero “un premio di soldi due”. L’olio d’oliva serviva soprattutto per alimentare la lampada perenne che ardeva sul tabernacolo della parrocchiale, e l’impiego per i riti religiosi poteva accontentarsi di una produzione d’olio di oliva scarsa e di mediocre qualità, ottenibile a costo di una forzatura in un periodo dal clima non favorevole a tale coltura.

Erano sporadiche coltivazioni medievali probabilmente spinte oltre i limiti fitogeografici naturali, per motivi economici, commerciali e rituali e non perché il clima fosse propizio, nel qual caso le sovvenzioni sarebbero state inutili e la coltura si sarebbe diffusa da sé.

D’altra parte il ritrovamento nel 1991 della nota mummia Ötzi sul ghiacciaio del Similaun in Val Senales, datata 5300 anni fa, conferma che il Medioevo alpino non è stato più caldo di oggi in quanto se allora i ghiacciai si fossero ridotti tanto quanto lo sono ora, la mummia con tutte le sue fragili suppellettili di legno, giunchi, pelliccia, si sarebbe degradata al punto da lasciare a noi solo le ossa. Un medioevo tiepido dunque c’è stato, se comparato con la fredda Piccola Età Glaciale che lo ha seguito, ma è ormai certo, non fu più caldo dei nostri anni attuali e non può essere usato come alibi contro il riscaldamento globale.

Ubi, nessuna censura ai nostri dirigenti

L’articolo dal titolo “UBI, in dubbio onorabilità e indipendenza dei vertici”, a firma di Gianni Barbacetto, pubblicato il 15 febbraio 2020 a pag. 15, è incentrato sulla eventualità, data quasi per certa, anche in assenza di conferme, dell’avvio delle verifiche da parte di Consob e di BCE su alcuni Amministratori e Dirigenti di UBI, perché asseritamente privi dei necessari requisiti di onorabilità e indipendenza, ad alcuni dei quali, perciò, sarebbero già pervenute lettere di contestazione, circostanza quest’ultima che non consta né agli interessati né a UBI Banca. Questo perché i presupposti di legge, su cui le contestazioni si fonderebbero, semplicemente non sussistono, nonostante l’articolo sostenga il contrario.

Nessun esponente di UBI, tra quelli elencati, ha mai riportato condanne penali o sanzioni rilevanti ai fini della perdita del requisito di onorabilità, né si trova in alcuna delle situazioni che ne compromettano l’indipendenza ai sensi delle vigenti disposizioni di legge e regolamentari (si vedano, in particolare, l’art. 26 del Testo Unico Bancario e la relativa disciplina attuativa, nonché la “Guida alla verifica dei requisiti di professionalità e onorabilità” aggiornata dalla Banca Centrale Europea nel maggio 2018 in linea con gli orientamenti congiunti sull’idoneità emanati da ESMA e ABE). In aggiunta, la verifica di detti requisiti è sempre stata effettuata nei tempi e modi previsti dalla normativa vigente ed i risultati della stessa sono sempre stati trasmessi alle Autorità di vigilanza.

L’articolo è, dunque, colpevolmente incompleto, essendosi omessi tali elementi che, se correttamente indicati, ne avrebbero messo in luce la parzialità, privando di ogni supporto la tesi di fondo che è stata diffusa, perciò, illegittimamente e ledendo l’immagine della Banca, dei suoi Dirigenti e dei suoi Esponenti.

“Merda”: gli insulti del fratello al testimone anti Casamonica

“Sono sconvolto, pensavo di dover aver paura solo dei Casamonica e, invece, ho paura anche dei miei familiari”. Christian Barcaccia di mestiere fa l’imprenditore a Roma, titolare di negozi di lampadari, vittima da anni del clan autoctono più potente del Lazio. Barcaccia al Fatto parla in esclusiva e confida le sue paure, il timore per quello che ora vive con poche parole: “Sedetevi voi in un’aula di tribunale mentre tutti i membri della famiglia Casamonica imputati sono collegati in video conferenza e sentono quello che dici”.

Barcaccia di recente, dopo non essersi presentato in aula la prima volta, è stato ascoltato in due udienze nel maxi processo contro il clan Casamonica che si svolge presso la decima sezione del Tribunale di Roma, presidente Antonella Capri.

Il giorno della testimonianza il fratello Fabrizio ha scritto su facebook: “Oggi è il grande giorno per sentire altre verità del manipolatore. Spero solo che le sentano anche quelli che fino a ieri hanno creduto che il marcio ero io e lui l’eroe”. Il 26 febbraio sui social scrive questo post che si accompagna ad un altro ancora più chiaro: “Porco lurido schifoso sei un falso schifoso bugiardo fai veramente schifo mi chiedo come fai a guardarti allo specchio la mattina come fai ad infangare ancora gli altri dopo tutto che hai fatto vigliacco dici che non vorresti stare lì io al tuo posto starei già da un pezzo sotto terra verme vai a fare terra per i ceci maledetto schifoso merdaaaaaa”.

A leggere i commenti sotto il tono non cambia, in uno scambio che coinvolge anche altri parenti dove Fabrizio aggiunge: “Col treno ci vorrei passare sopra”. Nel post di insulti e sputi verbali si fa riferimento proprio ad un passaggio della deposizione in tribunale, avvenuta il 17 e 26 febbraio, da Christian Barcaccia quando il testimone ha fatto capire che lui, se avesse potuto, avrebbe volentieri rinunciato a stare lì. Barcaccia è vittima del clan Casamonica da metà anni 2000, usurato ed estorto, nel processo in corso racconta quello che ha subito da Salvatore Casamonica e da Giuseppe Casamonica, detto mano monca e della moglie Rosaria, tutti e tre a giudizio con l’aggravante del metodo mafioso.

“Non me ne frega un cazzo, vedi quello che devi fare, ma devi portare i mobili a casa” gli dicevano i Casamonica, intercettazioni che hanno chiarito la strategia del clan. Mobilio e lampadari di pregio mai pagati, acconti trasformati in prestiti usurai, negozio occupato per giorni dai Casamonica mettendo in fuga clienti e la richiesta di aiuto a Luciano Casamonica, anche lui imputato per mafia, che Barcaccia considera “un vecchio conoscente”.

Mondi che sconfinano fino a togliere l’aria, “non è possibile uscirne vivi” aveva verbalizzato Barcaccia. Raggiunto dal Fatto, Fabrizio, il fratello, spiega così quelle frasi: “Ma quale paura prova? Di insulti ne ho ricevuti anche io in passato. Ho scritto quei post perché ha infangato me e mia sorella, scomparsa” e poi aggiunge: “Io ora questo cognome lo cambio” e racconta di rapporti finiti da tempo.

Barcaccia ha parlato, durante la testimonianza, di alcuni ordinativi, che la sorella aveva predisposto con alcuni Casamonica, ordinativi che, infatti, sono agli atti del processo. A questo si aggiungono le parole pronunciate proprio nel giorno della testimonianza. “Ha denunciato? Bravo, ma doveva farlo prima, non doveva averci a che fare, non doveva farli entrare, lui è un coglione, ci è cascato non una, ma due volte. È come quando vai dallo strozzino che denunci, denunciati prima tu coglione”.

Il coglione è quello che secondo la direzione distrettuale antimafia di Roma è, oggi, una vittima del clan Casamonica. Tornando alla deposizione Christian Barcaccia, a volte, si è trincerato dietro un “non ricordo”, poi ha ridimensionato alcune accuse verbalizzate davanti ai carabinieri.

I dubbi, i tentennamenti riguardano proprio alcune accuse mosse a Salvatore Casamonica, boss di primo piano dello scacchiere criminale dei Casamonica, in rapporti con Fabrizio Piscitelli e trafficanti di droga internazionali. Eppure quando la pubblica accusa, rappresentata dai pm Giovanni Musarò e Stefano Luciani, legge i verbali, Barcaccia, a fatica, ha confermato, in larga parte, quanto all’epoca dichiarato davanti ai carabinieri del nucleo investigativo di Frascati. Grazie anche alle intercettazioni è possibile ricostruire il potere di un clan, trattato per anni alla stregua di una banda di ladri di galline o di bulli di periferia e oggi a processo per associazione mafiosa.

Nuova accusa per Lotti: rivelazione di segreto

Il fatto è lo stesso, ma l’ accusa raddoppia. Oltre il favoreggiamento, l’ex ministro Luca Lotti e l’ex comandante dei carabinieri della Legione Toscana, Emanuele Saltalamacchia, rischiano il processo anche per concorso in rivelazione di segreto d’ufficio. Il punto è sempre quello di aver rivelato nel 2016 all’ex amministratore delegato di Consip, Luigi Marroni, l’esistenza di un’indagine sulla stazione appaltante. Per questa vicenda, Lotti e Saltalamacchia sono già a processo per favoreggiamento. Ma adesso a questo reato contestato rischia di aggiungersene un altro: quello di rivelazione di segreto d’ufficio commesso in concorso con “ignoti pubblici ufficiali” che “in violazione dei doveri inerenti alle loro funzioni o comunque abusando delle loro qualità, rivelavano” quella stessa notizia “che doveva rimanere segreta”.

È il nuovo capo d’imputazione formulato dai pm romani. Gli stessi che in realtà, nei mesi scorsi, proprio per questa accusa avevano chiesto l’archiviazione. Che però è stata rigettata dal gip Gaspare Sturzo.

Così la Procura, formulata la nuova accusa, ha chiuso le indagini, atto che di norma prelude a una richiesta di rinvio a giudizio. La circostanza è emersa ieri durante il processo in corso a Lotti e altri per favoreggiamento: tra gli imputati c’è anche l’ex comandante generale dell’Arma dei carabinieri Tullio Del Sette e l’ex manager Publiacqua, Filippo Vannoni. Ora in attesa che sul nuovo capo di imputazione per Lotti e Saltalamacchia arrivi la decisione di un gip (dopo una richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione dei pm), l’udienza è slittata al prossimo 30 giugno.

Tutto nasce dunque dall’ordinanza del 17 febbraio con la quale il gip Sturzo si è espresso su alcune richieste di archiviazione. Come quella per Tiziano Renzi. Il padre dell’ex premier era indagato in un filone dell’inchiesta Consip per traffico di influenze. Poi la Procura si è convinta che il suo amico Carlo Russo, quando faceva accordi con l’imprenditore campano Alfredo Romeo, offrendo in cambio influenze sui vertici Consip, millantava all’insaputa di Tiziano Renzi. Russo così è finito a processo per millantato credito e per Tiziano Renzi è arrivata la richiesta di archiviazione, rigettata (tranne per due episodi) dal gip Sturzo, che ha chiesto un’integrazione di indagine.

Rigettata anche la richiesta di archiviazione sull’ipotesi di concorso in rivelazione di segreto per Lotti e Saltalamacchia. “Secondo l’assunto del pm – scrive il gip nella sua ordinanza – la richiesta di archiviazione sarebbe supportata non dalla carenza di elementi fattuali della rivelazione della notizia dell’esistenza di un’indagine giudiziaria che, per legge, doveva restare segreta, ma da una valutazione in diritto circa la qualifica operativa del potere detenuto o la qualità soggettiva del rivelante la notizia”. Secondo la ricostruzione dei pm, quindi, non vi era “alcuna prova che Lotti e Saltalamacchia abbiano appreso le informazioni sensibili in ragione della loro qualità”. Ricostruzione per il gip “non condivisibile”. Così è stata formulata la nuova imputazione, in base alla quale – in sostanza – Lotti e Saltalamacchia avrebbero rivelato all’ex manager Marroni la notizia dell’esistenza di un’indagine su Consip, dopo averla appresa da “ignoti pubblici ufficiali” “in luogo e tempo imprecisato, comunque anteriore al 3 agosto 2016”.

Sarà un gip a decidere se questa impostazione sta in piedi e se quindi farla confluire nel processo già in corso.

Intanto ieri in udienza la difesa di Del Sette, rappresentata dall’avvocato Fabio Lattanzi, ha ottenuto la separazione della posizione dell’ex comandante generale da quella degli altri imputati, consentendo a utilizzare tutti gli atti del fascicolo del pm. Alla base di questa scelta – spiega Lattanzi –, c’è “l’interesse a una veloce definizione della sua posizione”. Del Sette è imputato sia per rivelazione di segreto che per favoreggiamento. L’accusa è quella di aver rivelato, stavolta all’ex presidente della Consip Luigi Ferrara, “l’esistenza di un’indagine penale avente a oggetto l’imprenditore Romeo e i suoi rapporti con gli organi apicali di tale società”. L’alto ufficiale sarà giudicato da un altro collegio.

II virus minaccia l’economia più della grande crisi del 2008

L’agenzia del governo americano incaricata di preparare il sistema sanitario Usa al Coronavirus, il Cdc, ha un problema: molte delle medicine e dei macchinari fondamentali arrivano dalla Cina e la catena di fornitura è minacciata proprio dall’epidemia. Ben 63 imprese con 72 stabilimenti in Cina che producono dispositivi medici che il Cdc considera “essenziali” sono colpiti dal virus, hanno lavoratori in quarantena e non sono sicuri di poter assicurare la produzione. Per ora non ci sono stati ritardi, ma quanto durerà?

Di solito le crisi economiche sono di domanda (mancano i clienti) o di offerta (mancano i produttori). Questa è una crisi di catena di fornitura, di supply chain: la Harvard Business Review la paragona agli uragani in Louisiana o alle tempeste di ghiaccio nel Kentucky, non alla crisi finanziaria del 2008 o alla Grande Depressione. La domanda c’è, l’offerta ci sarebbe pure, nel senso che non stanno fallendo imprese o banche per colpa di choc finanziari. Ma le aziende non riescono a produrre e a far arrivare i prodotti ai clienti, anche se questi sono disposti a spendere qualunque cifra. Ma non c’è nulla da comprare.

Ieri la Banca centrale americana, la Federal Reserve, ha tagliato i tassi di interesse di mezzo punto, per la prima volta dal 2008: la classica risposta monetaria a una situazione di incertezza. Tassi più bassi possono favorire gli investimenti, dare un piccolo sostegno agli indici di Borsa, ma non fanno arrivare i prodotti sugli scaffali. Nel 2008 l’economia era paralizzata da una crisi di fiducia: le banche chiedevano tassi esagerati per prestarsi il denaro tra loro perché non sapevano se la controparte sarebbe fallita o no di lì a poco. Nel 2011 molti Stati europei, Italia inclusa, rischiavano la bancarotta perché gli investitori privati alzavano il prezzo dei loro prestiti. Le Banche centrali hanno dato liquidità a prezzi bassissimi e hanno comprato i titoli che nessuno voleva. Ma oggi possono fare ben poco.

Altrettanto poco può fare la politica fiscale: le tipiche ricette keynesiane – creare posti di lavoro e domanda artificiale con soldi pubblici – non sono praticabili quando i lavoratori non escono di casa, i camion non circolano, gli stadi sono chiusi e la gente non prenota vacanze o viaggi di lavoro perché a casa malata o perché teme il contagio. A parte evitare crisi di liquidità alle imprese, sospendendo pagamenti di tasse e interessi alle banche, la politica è impotente. Non basta un decreto del governo a riorganizzare la catena di fornitura di imprese grandi o a evitare che i committenti tedeschi dei nostri contoterzisti in Veneto e Lombardia si rivolgano altrove, in attesa della fine dell’epidemia.

Governi e banche centrali possono evitare che una crisi di catena produttiva diventi una crisi di liquidità, arginando il rischio che banche e imprese falliscano perché non hanno cassa per affrontare pagamenti in scadenza. Ma non siamo in Unione Sovietica, la catena di fornitura è troppo globale e complessa, sfugge al controllo di ogni governo. Nelle prime due settimane di gennaio, la domanda di auto in Cina è crollata del 92 per cento su base annua. Il 20 per cento dei 21 milioni di automobili vendute in Cina lo scorso anno arrivava o per importazioni o per investimenti diretti nel Paese da costruttori tedeschi. Che, a loro volta, si riforniscono nei distretti italiani. Negli Stati Uniti il numero di citazioni del Coronavirus nei documenti sui fattori di rischio che le imprese sottopongono alla Sec, la vigilanza su Wall Street, è passato da zero a fine gennaio a oltre 500 in un mese. L’associazione delle autorità portuali americane prevede un calo dei volumi cargo nel primo trimestre 2020 del 20 per cento. Quale governo può affrontare questi problemi?

La Casa Bianca di Donald Trump non è riuscita neppure ad approntare i tamponi per i test sul virus, disponibili solo ad Atlanta, dove ha sede l’agenzia federale Cdc contro le epidemie. Il vicepresidente Mike Pence, incaricato di gestire l’emergenza, ha diffuso le foto del momento di preghiera con il resto del comitato anti-crisi: in effetti chi vive negli Usa, in questi giorni, si affida più a Dio che al governo federale. Se dopo la catena di montaggio del mondo, la Cina, si paralizza anche il più grande centro di consumo, cioè l’America, l’economia mondiale sarà bloccata come mai prima.

La produzione industriale italiana è ancora 23 punti percentuali sotto il livello del 2007, prima dell’ultima crisi. Non ci siamo mai ripresi. E questa crisi rischia di essere peggio, perché non è un problema di fiducia. Ma di organizzazione. Rischiamo di essere tagliati fuori dall’economia mondiale, che si riorganizza sacrificando le aziende e i Paesi vittime del virus.

“Crema non può essere il lazzaretto della Lombardia”

“Ieri ho lavorato dalle 7 del mattino all’una e mezzo di notte. Oggi sono riuscito a vedere qualche ora la mia famiglia”. Attilio Galmozzi, assessore comunale all’Istruzione e al Lavoro e medico presso l’ospedale di Crema (ospedale che l’assessore regionale Gallera ha definito “centro specializzato per il Coronavirus”), è piuttosto scettico riguardo le scelte della Regione Lombardia. Parla a nome del personale ospedaliero impegnato da giorni senza sosta: “Non capisco come questo possa essere un ospedale specializzato quando abbiamo sette posti in terapia intensiva più un ottavo d’emergenza. Abbiamo sei macchine per la ventilazione non invasiva. Soprattutto, in questo ospedale non c’è un infettivologo, l’ultimo se ne è andato due anni fa”.

E allora come mai la Regione ha scelto l’ospedale di Crema?

Guardi io e i miei colleghi l’avevamo capito da un pezzo che sarebbe finita così, che eravamo i predestinati, soprattutto quando hanno chiuso l’accesso alle ambulanze a Cremona e Lodi e i pazienti con problemi respiratori arrivavano tutti qui.

Una scelta precisa, dunque?

Noi saremo il grande lazzaretto. E infatti abbiamo già un anestesista di 51 anni ventilato in rianimazione e un’infermiera del pronto soccorso, una delle nostre colonne, anche lei giovane, ha soli 44 anni, intubata.

Avete pazienti giovani?

Assolutamente sì. Stiamo vedendo quadri clinici che io avevo visto solo nei libri di testo, forse nelle foto dei sintomi da Sars. Per il paziente diabetico, cardiopatico, bronchitico cronico, magari molto anziano se arriva addosso un virus così è chiaro che è il massimo della sfiga. Ma ci sono giovani in ottima salute che si ritrovano con problemi respiratori serissimi non gestibili a domicilio. E qui torna la questione iniziale: se arriva un paziente complicato e io non ho un ventilatore che faccio?

Perché proprio Crema sarà il “lazzaretto”, come dice lei?

L’impressione è che stiano creando una cintura intorno a Milano per proteggere la città che è il cuore economico e politico della regione, si sono detti “tanto lì il territorio è già contaminato”. Ma non si illudano che il virus non arriverà ovunque. Le attività economiche, le scuole riapriranno e da Crema la gente tornerà a Milano, ci sono migliaia di pendolari. C’è un problema globale e stanno pensando di risolverlo con un isolamento locale in una città di 35.000 abitanti, con un ospedale che ha 380 posti letto e non riuscirà a reggere. Io abito tra Crema e Lodi, sentiamo un andirivieni di ambulanze che ormai mio figlio mi dice “Senti papà, un’altra!”.

Quanti sono i medici lì?

Col primario siamo 13. In questo momento abbiamo 98 persone al pronto soccorso. Al San Raffaele di Milano sa quante ce ne sono ora? 47.

Altri problemi?

Oggi dopo aver passato il giorno a fare tamponi nell’area infetta, mi hanno messo all’unità di osservazione breve intensiva. Mi sono ritrovato con pazienti col coronavirus ma magari malati anche di Alzheimer non accompagnati da nessuno perché la moglie è a casa malata, senza figli, senza documenti… è una situazione difficile da gestire su più fronti.

Lei come sta?

Io ho avuto la febbre per due notti 3 o 4 settimane fa, ora sto bene e quindi non ho fatto il tampone, come da ordinanza.

Le mascherine e il materiale per proteggervi li avete?

Sì, abbiamo subito perfino dei furti, nel caos di venerdì sono spariti un paio di scatoloni di mascherine col filtro e chirurgiche. Abbiamo delle divise di ricambio, la lavanderia lavora 24 ore su 24, ormai metto anche le divise XS da donna, tanto sono magro.

Cosa sarebbe servito secondo lei per evitare questo caos negli ospedali?

Serviva una centrale operativa regionale che fin da subito agisse. Consideri che qui il primo paziente con problemi respiratori è arrivato il 17, in un momento ben lontano dal panico dei giorni dopo. Il tampone (positivo) l’ha fatto successivamente infatti.

Come va il morale del personale?

Sabato pomeriggio il nostro primario che è lì giorno e notte, fa i miracoli, a un certo punto nella tensione, mentre si decideva chi avrebbe fatto cosa, è scoppiato a piangere come un bambino. Gli abbiamo detto non crollare, “se crolli tu crolla il sistema”. Sente il peso della responsabilità, come non capirlo.

Avete tutti una grande responsabilità.

Siamo una grande squadra, formata soprattutto da donne. Tra di noi si stanno saldando anche rapporti che prima magari erano non facili. Speriamo solo di non ammalarci, sono in corso sette tamponi, e moltissimi tra il personale amministrativo.

Il caso più serio?

Un uomo di 57 anni che è entrato qui brillantissimo. Uno sportivo, persona distinta, che hanno intubato ieri, c’è stata un’evoluzione rapida del virus. Sembra uno scherzo, ma in compenso un signore di 98 anni con una tac che fa paura, non richiede neppure l’ossigenoterapia, i suoi parametri vitali sono normali. Cammina con le sue ciabattine, vuole tornare a casa dalla moglie. È una malattia imprevedibile.

Previsioni?

Se riapriamo tutti i luoghi di aggregazione a breve sarà un disastro. Sono per il modello Wuhan, con degli adattamenti.

All’ospedale di Crema le polmoniti sospette quando sono iniziate?

La polmonite in queste zone gira già da dicembre-gennaio. Quest’anno c’è stato un picco di polmoniti nei giovani, a gennaio ho visto un giovane trasportatore di una società che gestisce il trasporto pubblico con una polmonite bilaterale, ovvio che col senno di poi penso che potesse essere Coronavirus. Chissà quanti ne abbiamo mandati a casa con una pacca sulla spalla dicendo: hai un’influenza mettiti a letto, bevi e riposati.

Quindi queste polmoniti da Coronavirus nei giovani sono molto aggressive.

Noi solitamente la polmonite così la vedevamo in pazienti selezionati, nel paziente molto anziano, in chi soffre di bronchite cronica, nel paziente oncologico che fa chemioterapia e ha un sistema immunitario compromesso. Ora addirittura distinguiamo la polmonite interstiziale con la radiografia standard, che di solito trova quel tipo di polmonite con molta fatica. La tac del torace è più accurata, ma già dalla radiografia vediamo dei quadri così chiari che potremmo anche non farla. Ci troviamo davanti a queste radiografie con addensamenti e il classico quadro di rinforzo interstiziale di fronte alle quali anche i radiologi di 50 anni sono perplessi.

Sul fatto che non sia una semplice influenza ha ragione il professor Burioni, quindi?

Senta, sono dieci anni che sono in pronto soccorso e io di complicanze da influenza stagionale così non ne ho mai viste. Mi spiace, ma chi dice che questa è una normale influenza dice palle.

(Dalla giornata di ieri, dunque 24 ore dopo aver realizzato questa intervista, ai medici degli ospedali destinati a gestire l’emergenza Coronavirus è stato chiesto di non rilasciare dichiarazioni)

Amuchina Song, un gran ballo di mascherine e passa la paura

Teatri e arene concerti che chiudono, tournée e dischi in uscita che slittano. Mascherine sì o no, distanze di sicurezza, la mistica della quarantena. No panic, è l’urlo in controtendenza che si leva dal mondo della musica. Proliferano infatti le “instant songs” che sdrammatizzano il Coronavirus. Come i 18 secondi de La canzone dell’Amuchina su Tiktok: “Un’Amuchina mi son comprato, oh virus ciao, virus ciao, virus ciao, ciao, ciao / Con l’Amuchina so’ indebitato/ costa quanto un iPhone”. Cantanti e performer più o meno noti stanno esorcizzando Covid-19 a colpi di hip-hop, trap e filastrocche. E alcune sono diventate virali. Come la capostipite Corona Virus, 840 mila visualizzazioni su YouTube, del latinoamericano Youfrangel, reggaeton pseudo-demenziale ambientato in un’ambulanza. Ma l’Italia non sta a guardare. Trucebaldazzi aveva precorso qualsiasi intuizione, arrivando sul pezzo già il primo febbraio, quando Wuhan sembrava un incubo remoto. La sua Coronavirus ha colto e disintegrato l’attimo, con le sue liriche dritte e monocordi su base fuoritempo. L’ha commentata così la sua ultima fatica un fan del Truce nazionale: “Se l’ascolti all’incontrario, trovi la formula del vaccino”. La reazione di Bello Figo, rapper celebre per le sue ospitate nei salotti di Barbara D’Urso, si è concretizzata in Coronaovirus. “Noi vogliamo solo trombare / vedere le fighe twerkare / in discoteca a ballare /q ualcuno ci può aiutare” si dispera il situazionista, che si diverte un mondo a trollare i sovranisti. È ricorsa al palindromo la band pugliese Rimbamband, artefice di Virus Corona. Segnaliamo snche il debutto da cantante di Piero Delle Monache, sassofonista con collaborazioni jazzistiche internazionali, con Il ballo della mascherina: “Milano è deserta / giù tutti a Caserta / una nazione in allerta, sottocoperta / vivere non è igienico / vedi che mi viene il panico / evitare il luogo pubblico / siamo tutti in bilico”.

Mortalità al 3,4%. Stretta sull’Italia

“Alivello globale, circa il 3,4% dei casi segnalati di Covid-19 è deceduto”, ha certificato l’Oms, contro meno dell’1% della normale influenza. E l’altra grande differenza è che per quest’ultima ci sono vaccini e trattamenti, per il coronavirus no, anche se “sono sono in fase di sviluppo più di 20 vaccini”.

Intanto continua ad allungarsi la lista dei Paesi che chiudono le frontiere agli italiani e impongono limitazioni fino al blocco dei voli per l’emergenza coronavirus, una situazione definita “inaccettabile” dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che ha assicurato come la Farnesina, attraverso la rete degli ambasciatori, stia “protestando” in questi giorni per far rimuovere divieti “senza senso”. Mentre l’Oms ha lanciato un allarme globale sulla mancanza di mascherine protettive nel mondo, denunciando abusi e speculazioni. L’ultima a sbarrare le porte all’Italia è stata oggi l’India, che ha annunciato la “sospensione con effetto immediato dei visti” per gli italiani, inseriti in una blacklist assieme a cinesi, sudcoreani, iraniani e giapponesi. Mentre gli Stati Uniti – che già avevano invitato gli americani ad evitare viaggi in Lombardia e Veneto e sospeso tutti i voli delle principali compagnie aeree statunitensi per Milano fino al primo maggio – da oggi effettueranno controlli sul 100% dei voli che arrivano da Italia e Sud Corea.

Anche il Kenya ha sospeso da il permesso di atterraggio ai “voli provenienti da Verona e Milano” e diretti alle località costiere, meta turistica per eccellenza di molti connazionali. La Repubblica Ceca invece – alle prese coi suoi primi 5 casi di coronavirus, ricollegabili a contatti avuti in Italia – ha bloccato i collegamenti aerei con Veneto, Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, dal 5 fino al 18 marzo.

La Thailandia ha inserito l’Italia tra le “aree pericolose per le malattie trasmissibili” ed ha imposto a chiunque arrivi dal nostro Paese l’auto-quarantena. Quarantena obbligatoria anche per gli italiani che sbarcano a Pechino, con la Cina che ha registrato altri 7 casi di contagio di ritorno dall’Italia, aumentando i timori del Paese da cui tutto è partito e che in questi giorni registra invece una frenata consistente dell’epidemia. Così Di Maio ha protestato: “Lo stop ai voli è inaccettabile, va rimosso. La Farnesina è attiva da diversi giorni per chiedere a chi ha bloccato i voli per l’Italia di rimuovere il blocco in toto perché non ha senso. Posso capire le zone rosse messe sotto attenzione ma dire che si chiude tutto da e per l’Italia è inaccettabile”.

Mentre nel mondo l’epidemia di coronavirus ha superato la soglia dei 90mila contagi, con 3.117 vittime e 48.101 guariti, in Europa è la Francia il Paese dove la paura per il Covid-19 sta correndo veloce: i contagi hanno superato i 200 ed il presidente Emmanuel Macron ha messo sotto sequestro tutti gli stock di mascherine presenti nel Paese. Anche in Germania non va meglio, con i casi arrivati a 199, mentre la Spagna, dove i casi sono 151, con una vittima.

Per l’Oms non è ancora arrivato il momento di dichiarare la pandemia, sebbene l’epidemia, ha ammesso il dg Tedros Adhanom Ghebreyesus, “stia diventando sempre più complessa”. Walter Ricciardi, membro italiano dell’Oms, spiega: “Da noi il sistema di contenimento messo in atto finora sta funzionando”.