Dal giovedì di Mattia al cordone sanitario. Poi l’invito a ripartire

C’erano stati i due turisti cinesi ricoverati a Roma il 30 gennaio e il giorno dopo il blocco dei voli diretti da e per la Cina, seguito dall’invio di aerei militari speciali per recuperare gli italiani rimasti a Wuhan e nelle regioni della Repubblica popolare più colpite dal nuovo Coronavirus. Però l’Italia entra davvero in emergenza con Mattia, il 38enne di Codogno (Lodi) con una sospetta polmonite trovato positivo la sera di giovedì 20 febbraio. Era andato dal medico di famiglia e già una volta in ospedale, ma allora le direttive del ministero della Salute e della Regione sollecitavano solo a chiedere ai pazienti se fossero rientrati dalla Cina o avessero avuto rapporti con persone provenienti da lì: Mattia ha risposto di no. Intanto si sono infettati il medico di famiglia e cinque tra medici e infermieri dell’ospedale. Succederà anche altrove. Solo dopo arriveranno disposizioni più rigide, come quella di non far avvicinare i pazienti agli ambulatori.

Mercoledì 19 la moglie di Mattia, sollecitata da un medico, ha finalmente spiegato che il marito è stato a cena con un amico manager, rientrato il 21 gennaio da Shanghai. L’uomo viene prelevato nella notte e sottoposto ai controlli: non ha gli anticorpi, quindi non può nemmeno essere stato contagiato senza sintomi ed essere guarito spontaneamente, come pure accade. Non è lui il “paziente zero” che ha contagiato Mattia. E peraltro oggi sappiamo che quest’ultimo, indicato come “paziente uno”, non è stato realmente il primo in Italia.

Il giorno del grande allarme è venerdì 21 febbraio. A Mattia, tuttora in terapia intensiva al San Matteo di Pavia, si aggiungono subito altri contagi nel Lodigiano. Emerge un focolaio in Veneto, tra Vo’ Euganeo (Padova) e l’ospedale di Schiavonia a Monselice. La sera i contagiati sono 17 e c’è il primo morto: Alberto Trevisan, 78 anni, di Vo’ Euganeo. La sera di sabato 22 febbraio il governo chiude le “zone rosse”, le forze di polizia e poi l’esercito blinderanno undici Comuni, dieci nel Lodigiano e uno Veneto. Ci vivono 50 mila persone, nessuno potrà entrare o uscire. La parola d’ordine è “contenimento”, sabato sera i contagi sono oltre 60. Scuole chiuse in diverse Regioni.

A criticare il governo non sono solo la destra – con Matteo Salvini che chiede di “chiudere tutto” – e il virologo star Roberto Burioni. Walter Ricciardi, consigliere esecutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità, bacchetta l’esecutivo per aver bloccato i volti diretti e non aver sottoposto a quarantena chi rientrava dalla Cina. Lunedì 24 il ministro della Salute Roberto Speranza nomina Ricciardi suo consigliere. Martedì 25 Ricciardi e l’Oms approvano le misure del governo italiano.

L’Italia supera i 200 contagi lunedì 24. Si estendono al Piemonte e all’Emilia-Romagna, alla Liguria e ad altre regioni ma sembrano tutti derivati dal focolaio lombardo. Non ce ne sarebbero altri. I morti sono sette e si moltiplicano casi di provenienza italiana in Europa. Così cominciano i provvedimenti restrittivi dei viaggi dal nostro Paese: Israele, Serbia, Croazia e Irlanda. Lunedì 24 arriva l’attacco del presidente Giuseppe Conte sulla presunta inosservanza dei protocolli all’ospedale di Codogno, i cui responsabili replicano, tra l’altro, che le mascherine adatte non c’erano. Dal ministero della Salute sostengono che le linee guida per le malattie trasmissibili impongono mascherine di protezione ai pazienti con sospette polmoniti, anche in assenza del nuovo Coronavirus, ma tutti sanno che non sempre sono rispettati. Conte avverte anche le Regioni, che hanno un ruolo chiave nel sistema sanitario e procedono in ordine sparso su test e trattamenti, fino al divieto di entrare in Basilicata per i lombardi e alla chiusura delle scuole nelle Marche dove non c’è nemmeno un caso. Il giorno dopo intesa con le Regioni.

Il panico da virus sale, martedì 25 sono gli scienziati, da Ricciardi a Silvio Garattini dell’Istituto Mario Negri a molti altri, che invitano alla calma tenendo conto degli indici di mortalità relativamente bassi. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, Speranza e il ministro degli Affari europei Vincenzo Amendola incontrano ambasciatori e rappresentanti dei governi europei e non solo per evitare misure troppo drastiche che facciano apparire l’Italia come il Paese “untore”. Ci riescono con i parter dell’Ue, che non chiudono i confini. Meno con altri: venerdì anche gli Usa sconsigliano i viaggi in Italia. Mercoledì 26 Conte ribadisce: “La vita deve continuare”. Si decide di fare meno tamponi, escludendo chi non ha sintomi.

Premono le imprese, le conseguenze economiche del blocco sono pesantissime. Giovedì 27 Salvini va al Quirinale sperando in un governissimo con un altro premier. Respinto. Ora che Palazzo Chigi invita a ripartire anche lui, che diceva “chiudere, chiudere”, dice “aprire, aprire”. E venerdì 28 il governo vara le misure di sostegno alle imprese. Intanto la Lombardia è in emergenza: oltre alle mascherine mancano i medici e il personale, i posti letto e quelli in terapia intensiva. Si parla di possibile “disastro sanitario”. Ieri si supera quota mille contagi, i morti sono 29. L’epidemia cresce anche in Europa.

Il runner Gallera adesso corre anche dietro a Sala

C’è stato un momento, nel pieno dell’emergenza, in cui ha avuto il tempo di farsi una risata. Parliamo di Giulio Gallera, l’assessore lombardo alla Sanità. È successo alla conferenza stampa di giovedì scorso, sempre sul Covid-19, quando il governatore Attilio Fontana gli ha mostrato un messaggino d’incoraggiamento di Matteo Renzi. “Mi ha scritto anche Renzi…”, dice Fontana. “Siamo arrivati proprio… È più forte l’odio di Renzi per Conte…”, risponde Gallera, sorridendo. Un momento d’ilarità durante giornate drammatiche. Da cui, però, l’assessore lombardo è uno di quelli che sta uscendo meglio. Almeno in quel di Milano, dove abbiamo visto Fontana, appunto, protagonista della gaffe della mascherina, che ha terrorizzato mezzo mondo. E Beppe Sala sorprendentemente in affanno, incerto sulla strategia da seguire. Un passo indietro, invece, c’è lui, Gallera. Al contrario sicurissimo di sé. Al punto da rispondere a brutto muso a Giuseppe Conte sull’ospedale di Codogno. “Parole inaccettabili da parte di una persona ignorante”, ha replicato l’assessore.

Così, in Forza Italia, dagli scranni di Regione Lombardia fin lassù, tra le colline di Arcore, si è cominciato a dire: “Però, questo Gallera… ma se lo candidassimo a sindaco…?”. Ovvero come sfidante di Beppe Sala, il sindaco che al momento è una macchina da guerra. Secondo un recente sondaggio, piace al 69% dei milanesi. Ma dopo il Coronavirus sarà ancora così? L’ipotesi è più di una suggestione. Certo, bisognerà attendere la fine dell’emergenza, ma finora Gallera è riuscito in un’impresa non da poco: oscurare l’uomo che piace a tutti, Sala per l’appunto. “Fare il sindaco di Milano è il suo sogno nel cassetto. E se la potrebbe anche giocare…”, osserva Alessandro Cattaneo, altro punto di riferimento dei forzisti lombardi. “Giulio ha coraggio e visione. E poi è uno che approfondisce, studia e ascolta. Non è cosa da poco”, il giudizio dell’azzurra Valentina Aprea, che ha lavorato con lui nella giunta di Roberto Maroni.

E dire che l’estate scorsa Gallera stava per lasciare Fi. Il suo malcontento contro il vertice era noto. Con Paolo Romani, Giovanni Toti e Mara Carfagna era in prima linea nel reclamare un cambiamento. Quando Toti decide la scissione, era già con lui, salvo ripensarci all’ultimo minuto. Ma la sua frustrazione non si è sopita. Come dimostra un durissimo scontro avuto di recente col neo coordinatore lombardo Massimiliano Salini, che avrebbe chiesto la sua testa. Di rimando, non facili sono i suoi rapporti con Mariastella Gelmini, plenipotenziaria lombarda per oltre un decennio, che invece di Salini è grande sponsor.

Tra i fondatori di Fi in Lombardia a metà anni Novanta, Gallera, che viene dai giovani liberali, nei lunghi anni a Palazzo Marino veniva sempre visto come una promessa mancata, un enfant prodige destinato a restare tale. “È un po’ scialbo, gli manca il carattere”, si diceva di lui. È in Regione, invece, che trova la sua dimensione, prima con Maroni (sfruttando anche i guai giudiziari di Mario Mantovani) e poi con Fontana. Alle ultime regionali, nel marzo 2018, è stato il più votato con 11.700 preferenze.

Tra gli ostacoli sul suo cammino, però, c’è soprattutto la Lega. Che dovrà essere disposta, nel caso, a cedere il candidato milanese. Con grande scuorno di Matteo Salvini: Milano è la sua città, il suo pallino, e vorrebbe provare a conquistarla con un candidato leghista. Ma Beppe Sala resta fortissimo e per avere una qualche possibilità “ci vuole tutto tranne che un leghista, perché Marco Formentini è stato un lampo, poi in città la Lega non ha più toccato palla…”, dicono gli azzurri. Sarà Gallera a correre? Chissà. Per adesso corre per davvero: è un runner esperto e la prossima maratona cui parteciperà sarà il 3 maggio, a Praga. Covid-19 permettendo.

“Salvini è spiazzato dall’emergenza: ora attaccare non paga”

La mascherina sul volto del governatore lombardo Attilio Fontana, i cinesi che divorano topi nelle parole del governatore veneto Luca Zaia. Il Coronavirus ha fatto sbandare gli amministratori della Lega, e magari non è un caso. “Questi episodi raccontano la difficoltà attuale del Carroccio” commenta Roberto Biorcio, sociologo, docente presso l’università Bicocca di Milano, che sulla Lega ha scritto libri e pubblicazioni.

Perché il Carroccio sarebbe in affanno?

Perché deve collaborare con il governo contro l’emergenza, ma nel contempo cerca di differenziarsi, di mantenersi critico. E non è affatto semplice trovare un equilibrio.

Eppure Matteo Salvini ha invocato più volte un governo di unità nazionale (anche se ieri su Facebook ha negato: “Mai con il Pd”).

La proposta è parsa subito improbabile. Voleva fare le scarpe a Giuseppe Conte, di fatto. Ma non è la fase giusta: non a caso Matteo Renzi ha smesso di criticare il governo in questi giorni. E nello stesso centrodestra Giorgia Meloni e Forza Italia stanno di fatto sostenendo le misure dell’esecutivo. Hanno capito che non è il momento per attaccare, non in una situazione di emergenza come questa.

Salvini ha sbagliato mossa quindi?

L’esplodere del virus lo ha un po’ spiazzato. Tanto è vero che in questi giorni si è fatto da parte, esponendosi meno di quanto faccia abitualmente.

Ma anche i governatori Fontana e Zaia sembrano molto confusi…

Certo, perché loro scontano in prima persona la contraddizione di dover collaborare con l’esecutivo e contemporaneamente di criticarlo. Non riescono a gestirsi, a leggere una situazione che per loro è oggettivamente difficile, visto che l’emergenza è scoppiata nelle loro regioni. E forse avvertono anche una responsabilità per questo.

Magari pensano che sia popolare mantenersi critici verso il governo, no?

Credo che tutto sommato la maggioranza degli italiani ritenga che il governo stia facendo quanto deve sul Coronavirus.

Esiste un problema di classe dirigente troppo fragile per la Lega?

Il Carroccio non ha alternative rispetto agli esponenti storici, che sono tutti del Nord. In questi anni Salvini ha lavorato per espandere la Lega in tutta Italia, ma nelle altre regioni non si è ancora consolidato, quindi altrove non ha nomi su cui puntare. Dopodiché c’è un nodo più generale.

Cioè?

L’ex ministro dell’Interno non riesce più a gestire come prima la sua leadership. Una parte della Lega, a cominciare da Giancarlo Giorgetti, vuole una linea meno aggressiva.

E Salvini sta cercando di adeguarsi?

Come ho detto prima, in questi giorni si è meno esposto. Lui ha costruito i successi elettorali della Lega sulla capacità di tenere assieme la tradizione e i contenuti storici del Carroccio a trazione Nord con la capacità di dare voce alla gente e di parlare di certi filoni molto popolari a destra, come la riduzione delle tasse, la sicurezza e l’immigrazione. Ma nel momento in cui la forza della Lega al Nord viene scalfita, uno dei fattori viene chiaramente a mancare.

Le scivolate sulla comunicazione degli ultimi giorni possono davvero costare voti e consenso in prospettiva?

Occorre del tempo perché certo elettorato abbandoni il Carroccio. Bisogna aspettare qualche settimana e guardare i sondaggi.

Cosa farà ora il segretario della Lega?

Potrebbe anche aver compreso che adesso fare una forte opposizione può togliergli consenso.

Epidemia di boiate: uomini e topi (vivi), rifiuti e mascherine

Di fronte a un’emergenza, lo sanno tutti, escono fuori i veri statisti, si mettono da parte le divisioni e si lavora insieme per uscire dai guai. È così, no? Guardate l’Italia del Coronavirus: tutti contro tutti, uomini con la mascherina, interventi pubblici sui cinesi mangiatori di topi, proclami apocalittici, isteria generale.

La sindrome della boiata – virus potentissimo – ha colpito soprattutto a nord: sindaci, governatori, amministratori locali, consiglieri. È il festival della sparata padana. Un’epidemia da bestiario.

Cucina etnica. “Sapete perché in una settimana noi abbiamo solo 116 casi positivi e ne abbiamo solo 28 in ospedale? L’igiene che ha il nostro popolo, i veneti e i cittadini italiani, la formazione culturale che abbiamo, è quella di farsi la doccia, di lavarsi, di lavarsi spesso le mani, di un regime di pulizia personale particolare. Anche l’alimentazione, le norme, il frigorifero, le date di scadenza… Che c’entra? C’entra perché è un fatto culturale. La Cina ha pagato un grande conto di questa epidemia perché comunque li abbiamo visti tutti mangiare i topi vivi o questo genere di cose”. La sobria dichiarazione del governatore del Veneto Luca Zaia ha fatto il giro del mondo. L’ambasciatore di Pechino si è detto “offeso” e “basito”. Ieri quindi Zaia ha tentato una goffa marcia indietro: “Chiedo scusa se qualcuno si è sentito offeso”. Lui non è razzista, si è vantato anzi di aver inaugurato personalmente il primo ristorante cinese nel trevigiano, che però “usava prodotti locali e cucinava a vista”. Ma il dettaglio più divertente è che lo stesso Zaia il 26 novembre 2018 scriveva questo su Facebook: “Topi messi ad essiccare a Belluno durante ‘l’an de la fam’, l’anno della fame. Questa straordinaria immagine è esposta, insieme a moltissime altre, nella straordinaria mostra su Belluno durante la Prima guerra mondiale. #Venetodaamare”. Segue appunto fotografia di un mucchio di topi “edibili” che hanno sfamato il povero popolo veneto.

L’uomo mascherato. L’altra più celebre fotografia della sobrietà leghista al Nord è quella del governatore lombardo Attilio Fontana che indossa una mascherina sanitaria, con la stessa grazia con cui Mario Balotelli si infila un fratino da calcio. È lo stesso Fontana che invita alla calma: “Niente panico. Il nostro lavoro prosegue con realismo e concretezza”. Come non dargli credito?

Rifiuti umani. Saggio e misurato il consigliere regionale di centrodestra, Niccolo Fraschini (senza accento sulla “o”) su Facebook : “Noi lombardi veniamo schifati da gente che periodicamente vive in mezzo all’immondizia (napoletani et similia), da gente che non ha il bidet (francesi) e da gente la cui capitale (Bucarest) ha le fogne popolate da bambini abbandonati. Da queste persone non accettiamo lezioni di igiene: tranquilli, alla fine di tutto questo, i ruoli torneranno a invertirsi”. Un vero signore, un uomo di una pulizia morale…

Ed è subito strage. Il sindaco di Saronno (Varese) si è avventurato in una stima sul rischio dei mortalità nel suo comune. Non proprio accurata: “La città di Saronno ha poco meno di 40mila abitanti e qualora, nel caso peggiore, venissero tutti contagiati, stando al 3% di decessi, avremmo 1.200 decessi”. La peste in confronto era una gita di salute.

Orgoglio padano Sono in tanti, secessionisti fino all’altro ieri, ad essersi profondamente offesi per l’improvvisa “chiusura dei confini” delle altre regioni ai padani “migranti” a causa del virus. Per esempio Fabio Altitonante, consigliere lombardo di recente tornato in libertà dopo i guai per l’inchiesta sulle tangenti regionali, ha vergato su Facebok questo grido di dolore: “Milano e la Lombardia si sono sempre dimostrate generose con i cittadini delle regioni del Sud Italia. Quanti sono venuti qua per curarsi? Adesso qualche politicante cialtrone vuole chiudere i ‘confini’ con le regioni del Nord… vergogna!”. E ancora: “Siamo alle comiche… Qualcuno ci diceva che non potevamo bloccare le frontiere, ma ora siamo noi i respinti”. Il contrappasso.

Champagne! In Lombardia c’è anche l’ex berlusconiana Silvia Sardone, ora passata alla Lega. Non le manca il senso delle priorità. Su Facebook denuncia uno degli effetti collaterali di questa brutta faccenda del virus: “I francesi vogliono boicottare il prosecco!”.

La svolta! Il consigliere lombardo (e leghista) Simone Giudici ha la soluzione alla crisi: “In questa fase difficile per la Lombardia, il sindaco Sala faccia di tutto per portare a Milano il tribunale dei brevetti”. Poi sarà tutto in discesa.

Chiudete tutto! Il leghista veneto Fabrizio Boron polemizza con Conte: “La responsabilità è sua perché non ha chiuso porti e aeroporti 25 giorni fa, merita solo una risposta! SEI INUTILE!”. Traffico aereo, traffico navale… e che invece le strade le lasciamo aperte?

Infermiereee. La consigliere lombarda Federica Epis ha un alto senso delle istituzioni e dell’unità nazionale: “Quale Governo può insegnarci come dobbiamo agire, quando finora abbiamo fatto tutto da soli??!! Se serve un’ambulanza andiamo a prenderlo subito…”. Con foto del presidente del Consiglio. È un bel clima.

Giuseppe Conte: “All’Italia serve unità: chi ne approfitta per tentare spallate è irresponsabile”

Presidente Conte, a che punto è la notte? Quanto tempo ci vorrà, secondo la sua analisi e i suoi dati, per dire che l’emergenza è superata?

É una previsione difficile, anche per gli esperti. Tra alcune settimane avremo un patrimonio informativo che consentirà ai nostri esperti previsioni più plausibili.

Quali precauzioni erano state adottate dal governo, a livello ospedaliero-sanitario, dopo lo scoppio dell’epidemia in Cina?

Già il 22 gennaio il ministro della Salute, Roberto Speranza, aveva diffuso una circolare che ha fornito tutte le indicazioni necessarie a individuare e a gestire i “casi” sospetti di contagio.

Veniamo alle critiche dei governatori del Nord. La prima è quella di aver lanciato accuse infondate ai loro sistemi sanitari. Cosa risponde?

Con i presidenti delle Regioni del Nord stiamo lavorando con spirito di piena collaborazione. Ci sentiamo anche più volte al giorno nella consapevolezza che per le decisioni che ci spettano non possono contare colori politici o arroganze territoriali.

Il governatore lombardo Fontana l’ha attaccata per il suo collegamento col programma di Barbara D’Urso in piena emergenza. Non erano troppe le sue 16 dirette tv di domenica?

Vado di rado in televisione: quattro partecipazioni in diciotto mesi. La scorsa domenica ero in Protezione civile: la sera prima, insieme a tutti i ministri, avevamo deciso di disporre una cintura sanitaria per i 10 paesi del Lodigiano e per Vo’ in provincia di Padova. Una misura straordinaria decisa con decreto-legge per mettere in atto una terapia d’urto e cercare di contenere la diffusione del contagio, come ci avevano suggerito gli esperti. Il Paese aveva bisogno di parole chiare, di un indirizzo fermo e di un’assunzione di responsabilità da chi quel decreto l’ha sottoscritto. Sono sceso nella sala stampa della Protezione civile, dove c’erano tv di tutto il mondo e mi sono collegato alle varie trasmissioni domenicali, dedicando a ciascuna quei pochi minuti necessari a spiegare ai cittadini cosa stava succedendo e a rassicurarli che le misure adottate avevano una base scientifica ed erano adeguate e proporzionate all’emergenza che si stava sviluppando. Per fare questo ho interrotto i lavori di coordinamento delle varie attività per una quarantina di minuti.

Quali elementi aveva per dire che all’ospedale di Codogno si è commesso un errore? Ci sono protocolli che non sono stati rispettati?

Non volevo certo mettere sotto attacco i medici e gli infermieri dell’ospedale di Codogno. Tutt’altro. L’altroieri, insieme al ministro della Difesa Guerini, abbiamo chiamato il direttore generale dell’azienda sanitaria di Lodi e il responsabile del Dipartimento emergenze dell’ospedale per esprimere la vicinanza del governo a tutto il personale sanitario che si sta profondendo in uno straordinario impegno professionale. Purtroppo proprio nel Lodigiano si è prodotto, diffondendosi anche in ospedale, il focolaio più insidioso che abbiamo in Italia e questo spiega l’improvvisa impennata, nel giro di pochi giorni, del numero dei contagi. Ma non è il momento di distribuire encomi o demeriti, bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare assieme per vincere questa sfida.

Quali misure di protezione avete messo in atto per tutelare i medici di base e gli infermieri che potrebbero essere vettori di diffusione? Il Fatto ha raccontato che alcuni operatori della zona rossa sono stati rimandati al lavoro senza avere i risultati del tampone. Superficialità imbarazzante…

Esistono protocolli standard che tutelano bene il personale medico e infermieristico e vengono anche rafforzati in base al tipo di rischio.

Altra critica: il blocco dei voli diretti da e per la Cina che avrebbe impedito i controlli sui passeggeri di ritorno dalla Cina con voli indiretti.

A parte che l’una cosa non esclude l’altra, anche se la seconda è un’utopia perchè nella società globalizzata è impossibile controllare chiunque si muova e impedire a un virus di diffondersi, gli esperti in quelle prime ore drammatiche insistevano per il blocco. Ne abbiamo discusso molto con Speranza, Di Maio e Gualtieri e abbiamo deciso. E nessuno può dire che sia stata una misura dannosa, anzi ha fatto crollare i passeggeri dalla Cina, che prima erano circa 40mila al mese. In altri paesi europei le compagnie di bandiera effettuano voli diretti con la Cina e dunque i governi hanno lasciato a quelle l’onere di cancellarli. Alitalia invece non fa voli diretti e gli italiani che vanno in Cina usano altre compagnie: così abbiamo dovuto assumerci noi, come governo, la responsabilità di annullarli in tutti gli aeroporti italiani.

Quali strumenti pensa di utilizzare per evitare che le Regioni continuino ad andare in ordine sparso, con decisioni discordanti tra loro? E cosa pensa del governatore delle Marche, Ceriscioli del Pd, cioè di un partito suo alleato, che disattende addirittura la sospensiva del Tar sulla chiusura delle scuole?

Con i presidenti delle Regioni ho fatto un discorso molto chiaro: il Paese sta fronteggiando una emergenza sanitaria che ha carattere nazionale, con un sistema della sanità che invece è strutturato su base regionale. Anche i sindaci hanno il potere di adottare ordinanze in caso di emergenze sanitarie. Insomma abbiamo un assetto giuridico che mal si presta a gestire, con coerenza, rapidità ed efficienza emergenze come questa. Perciò ho invitato tutti a coordinarsi con noi, a evitare scarti e deviazioni che garantiscono sicurezze illusorie, ma che in realtà contribuiscono a generare confusione tra i cittadini.

State pensando di rinviare il referendum del 29 marzo?

Al momento rimane fissata quella data, ma ci riserviamo di prendere una decisione definitiva nei prossimi giorni.

Da noi il numero di contagiati è ovviamente aumentato nel momento in cui si sono intensificati i controlli. Non tutti gli altri Paesi hanno adottato la stessa misura. L’Italia ha sbagliato per eccesso di tamponi? O per la comunicazione dei contagiati in tempo reale, senza distinguere i positivi e i malati?

Quando in Italia è iniziato a salire il numero dei contagiati si è manifestato un eccesso di zelo, con un ricorso indiscriminato al test del tampone, ben oltre le raccomandazioni dell’Istituto Superiore di Sanità. Il ministro Speranza ha sempre costantemente mantenuto i contatti con i ministri della Salute degli altri Paesi europei, per condividere informazioni e strategie di contrasto. Abbiamo sempre avuto consapevolezza che questo virus, al pari di tutti gli altri, attraversa i confini e richiede misure condivise. Quanto ai numeri dei contagiati, sin dalla prima riunione in Protezione civile ho chiarito che le autorità regionali dovevano trasmettere i numeri a noi, in modo da rendere il database della Protezione civile, in collegamento con l’Istituto superiore di sanità, lo strumento ufficiale di controllo.

Ieri la Regione Lombardia ha paventato il rischio di un “disastro sanitario” per il sovraccarico degli ospedali pubblici. Che potete fare come governo? Chiedere medici e personale in prestito da altre regioni? O autorizzare l’ingaggio di medici e infermieri pensionati da poco?

Vedremo se sarà necessario. Ma al ministero della Salute esiste già un piano per fronteggiare un’eventuale progressione dell’epidemia, con differenti scenari di rischio. Sicuramente in questo momento l’attenzione massima è concentrata per rafforzare gli strumenti necessari a far fronte alle complicanze respiratorie, inclusi i presidi e il personale per la terapia intensiva e sub-intensiva.

Da Sala a Fontana a Zaia, è tutto un appello a “riaprire” e allentare le misure di emergenza, che poi però vengono confermate dagli stessi amministratori. Non sono richieste un po’ contraddittorie? Che si può cambiare?

I governatori e gli amministratori territoriali vivono questa emergenza affrontando mille problemi. Subiscono intense pressioni dagli altri amministratori locali e dalle comunità territoriali. La Regione Lombardia ha chiesto e ottenuto, per la prima settimana di applicazione, misure in parte anche più rigorose di quelle del Veneto. Noi cerchiamo di assecondare queste richieste, le facciamo vagliare dal comitato tecnico-scientifico, dove abbiamo raccolto i massimi esperti del settore. L’importante è che queste richieste non compromettano l’efficacia complessiva della risposta e la necessaria omogeneità, in modo da avere trattamenti simili per situazioni assimilabili.

Si parla molto di un nuovo governo con una nuova maggioranza allargata a Salvini e a tutto il centrodestra. Il centrodestra in maggioranza sarebbe utile?

Le formule proposte in questi giorni – governo di unità nazionale, governissimo eccetera – suonano logore ed equivoche. Quando il Paese affronta sfide così impegnative, bisogna che tutti facciano la loro parte, responsabilmente. Approfittarne per tentare di dare spallate o proporre ammucchiate è irresponsabile. Questo è il momento di raccogliere tutte le forze per tutelare la salute dei cittadini e per preservare il nostro sistema produttivo preparandolo al rilancio. Il coinvolgimento delle forze di opposizione va fatto, ma nel rispetto dei ruoli, come ho fatto io quando ho convocato a Palazzo Chigi, nei primi giorni di crisi, i capigruppo di tutte le forze parlamentari, di maggioranza e di opposizione. Li convocherò di nuovo la settimana prossima. E devo dare atto che alcuni di loro, in particolare i leader di Forza Italia e di Fratelli d’Italia, mi hanno comunicato un grande senso di responsabilità nell’affrontare questa sfida nazionale.

Salvini l’ha poi sentito?

Ha chiamato lui, è stata una telefonata molto breve, la prima dopo la crisi di agosto. Gli avevo scritto solo una volta, durante la campagna in Umbria, quando era stato ricoverato per un malore: per augurargli di rimettersi presto in salute, visto che già mi mancavano i suoi insulti… Ma anche allora non aveva risposto. Ora mi ha preannunciato le sue proposte per rilanciare l’economia: in gran parte vaghe o già previste dal piano che stiamo elaborando.

Si aspettava maggior solidarietà dal suo alleato Renzi, almeno in questa fase?

La solidarietà e il senso di responsabilità me li aspetto, in questo periodo di emergenza, da esponenti dell’opposizione. Dal leader di una forza di maggioranza mi aspetto molto di più: lealtà, spirito di collaborazione, disponibilità a sacrificare interessi personali pur di raggiungere un più ambizioso obiettivo comune.

Non teme che le misure restrittive contro il contagio abbiano ripercussioni troppo pesanti per l’economia?

Disponiamo le misure restrittive di settimana in settimana, pronti ad attenuarle non appena il comitato tecnico-scientifico ci garantirà che iniziano a misurarsi gli effetti contenitivi dei nostri interventi. Sarei la persona più felice se potessi alleggerirle subito. Ma ho la responsabilità di garantire la salute ai cittadini, che è il bene più prezioso. Al contempo stiamo lavorando intensamente per mitigare l’impatto negativo sull’economia e per sbloccare il Paese facendolo al più presto ripartire con una terapia d’urto che dovrà scuotere il nostro sistema burocratico e amministrativo dalle fondamenta.

Oltre alle misure economiche già predisposte per le zone rosse, ne avete in programma altre di sostegno ai settori e alle imprese che subiranno ricadute a causa dell’emergenza? Anche sforando il tetto del deficit?

Sì, stiamo già lavorando al secondo decreto che conterrà finanza aggiuntiva, ma abbiamo bisogno dell’autorizzazione del Parlamento per ampliare il deficit. E chiederemo di poterlo fare, in accordo con le autorità europee. Con un terzo intervento, ancora più complessivo e sistematico, faremo ripartire l’intera economia, con accelerazione della spesa per investimenti e una poderosa opera di semplificazione. Metteremo tutte le nostre energie fisiche e mentali per vincere questa sfida e mostrare al mondo il nostro orgoglio di essere italiani.

Secondo un sondaggio di qualche giorno fa, meno del 50% degli italiani ha fiducia nel governo per come sta affrontando l’emergenza. Come se lo spiega?

Ho visto quel sondaggio, ma è stato superato da altri molto positivi. Comunque non sono i sondaggi a guidare la mia azione di governo. Fermo restando che, anche nelle situazioni di maggior difficoltà, per temperamento non perdo mai la lucidità: non mi sono mai abbandonato ad allarmismi, né adesso sottovaluto l’emergenza sanitaria ed economica che stiamo affrontando. Insieme ai ministri ci siamo sempre mossi con equilibrio e determinazione, non perdendo mai di vista le raccomandazioni della comunità scientifica più accreditata.

Il Fatto chiede al governo di chiarire le sue intenzioni sulla riconferma (la terza) di Descalzi al vertice Eni, alla luce del processo per corruzione internazionale e dei conflitti d’interessi della moglie. Gli standard etici dei suoi due governi, che l’hanno portata ad allontanare un sottosegretario indagato per corruzione e a non accettare ministri imputati o indagati per reati gravi, non valgono per l’Eni?

L’unica cosa che ora posso dire è che, sulle nomine più importanti come questa, non è stata ancora presa alcuna decisione. Appena avrò tempo, studierò anche questo dossier e poi decideremo insieme ai ministri competenti, alla luce dei nostri principi di etica, trasparenza e competenza. E anche di un principio che applico da sempre, anzitutto a me stesso: tutti sono utili, ma nessuno è insostituibile.

Mazzettavirus

La vera notizia dell’ultima retata al Comune di Palermo per tangenti in cambio di concessioni edilizie non sono gli arresti del capogruppo di Italia Viva, Sandro Terrani (commissione Bilancio), e del consigliere comunale Pd Giovanni Lo Cascio, (presidente della commissione Urbanistica, lavori pubblici ed edilizia privata). Il tasso di inquinamento della classe dirigente del Pd ha poco da invidiare al centrodestra. E la campagna acquisti dell’Innominabile a destra e a sinistra per accaparrarsi il peggio che c’è sul mercato farà presto di Italia Viva un partito con più indagati che elettori. Dunque nessuna sorpresa per il blitz di ieri: anzi, ci si meraviglierebbe del contrario. La notizia riguarda i funzionari e i professionisti, di cui poco si parla, ma che sono le architravi del sistema della corruzione, a metà strada fra imprenditori corruttori e politici corrotti. Presenze costanti e da tutti vissute come ineluttabili: i politici passano, o almeno c’è sempre la speranza che vengano trombati, anche se i più ladri hanno più chance di essere rieletti; ma i dirigenti pubblici restano fino alla pensione. Ora l’ordinanza del gip Michele Guarnotta sfata questo luogo comune, spedendo ai domiciliari pure i funzionari municipali Mario Li Castri (Riqualificazione Urbana) e Giuseppe Monteleone (Attività Produttive), e il progettista architetto Fabio Seminerio.

Quest’ultimo nel 2016 presentò per conto di vari imprenditori tre progetti per lottizzare aree industriali dismesse e realizzare 350 alloggi in deroga al piano regolatore. Ad avviare e istruire la pratica provvide Li Castri (in parte insieme a Monteleone), malgrado il suo palese conflitto d’interessi che lo rendeva incompatibile per essere stato – secondo gli inquirenti – socio in affari di Seminerio. In cambio, gli imprenditori avevano promesso di affidare la direzione dei lavori a Seminerio, che a sua volta avrebbe girato a Li Castri una parte dei profitti, mentre ricompensavano i consiglieri comunali compiacenti con “regali”. Non solo: nel marzo 2018 i funzionari Li Castri e Monteleone erano stati condannati in primo grado a 2 anni di reclusione, insieme ad altri 19 fra dirigenti, tecnici e imprenditori, per una lottizzazione abusiva nel borgo marinaro di Mondello (nella strada dove entrambi risiedono e dove i giudici han confiscato 12 villette). E i politici? Un anno fa Emilio Arcuri (non indagato), allora vicesindaco e ora assessore della giunta Orlando, confessava bellamente in una conversazione intercettata di aver autorizzato la modifica al piano regolatore “col mal di pancia” su pressione di Li Castri.

Cioè di un dirigente che non solo non avrebbe dovuto essere ascoltato, ma non neppure essere dirigente, per la condanna e il conflitto d’interessi. E invece continuava a fare il bello e il cattivo tempo nel Comune guidato da un simbolo della legalità come Orlando, anche lui molto, troppo “distratto”. Se Orlando&C. fossero intervenuti per tempo col bisturi, ora non si troverebbero nell’imbarazzo di doversi giustificare in quanto corresponsabili per culpa in eligendo e in vigilando di condotte così gravi e abituali da far dire al giudice: “Per gli indagati la corruzione è un vero e proprio habitus mentale che ne connota l’agire quotidiano. I pubblici ufficiali coinvolti hanno palesato in modo inequivoco la propria infedeltà agli apparati pubblici in cui si trovano incardinati, interpretando i rispettivi munera quali appetibili beni da mettere sul mercato onde conseguire continui vantaggi indebiti. Contestualmente, i costruttori e i professionisti coinvolti parrebbero pacificamente vedere nella corruzione un costo necessario dei rispettivi lavori, stabilmente preso in considerazione al fine di acquistare gli indebiti favori di pubblici ufficiali”. E ancora: “Colpisce la naturalezza con cui i protagonisti addivengono a continui e reiterati accordi corruttivi… passaggio obbligato per il compiuto svolgimento delle rispettive attività professionali”.

Orlando e gli altri politici non possono affermare che non sospettavano nulla o che, come dice comicamente il sindaco, “l’indagine non scredita l’amministrazione”. Invece la scredita eccome, per la totale incapacità persino di un uomo onesto ed esperto come lui di far pulizia intorno a sé. Infatti – osserva il gip – i due dirigenti, con quel po’ po’ di conflitti d’interessi e quella condanna, “continuano a godere di un’ampia fiducia all’interno degli organigrammi comunali, sicché, in assenza di un’adeguata misura cautelare potranno continuare a beneficiare di incarichi apicali”. E sarebbe “pericoloso per il buon andamento della macchina comunale continuare ad affidare funzioni di rilievo a due soggetti palesemente inclini a delinquere”, come si è fatto finora, malgrado i due fossero già al di sotto di ogni sospetto: quanto bastava almeno per metterli in quarantena. La condanna per lottizzazione abusiva dimostra la loro “indifferenza per i beni pubblici legati alla tutela dell’ambiente e al buon governo del territorio”. E invece “Li Castri continua a tutt’oggi a vantare un inusitato potere decisionale in relazione all’intera organizzazione comunale”, anche per “la strettissima contiguità che, nonostante le recenti vicende giudiziarie, continua a legarlo all’assessore Arcuri”. Fatti e parole che spazzano via le giaculatorie sulla presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva (il pubblico ufficiale non è un privato cittadino: dopo una condanna in primo grado per certi reati va almeno sospeso) o sull’“invasione di campo” della magistratura nel “primato della politica”. Il primato dei primati è quello della Legge. Se poi i politici vogliono esercitare il proprio, inizino a tenere lontani almeno i condannati e gli affaristi. Altrimenti la piantino di strillare se alla fine arrivano i carabinieri.

“Io? Schiavo della bellezza. Mai fatto outing: si capiva”

Un po’ come Achille Lauro alla prima serata del Festival, anche Enzo Miccio in Pechino-Express si è spogliato dei panni inamidati e incravattati e all’improvviso ha esplicitato una grinta, una cattiveria, un mors tua vita mea che ha entusiasmato gli spettatori.

Miccio non fa prigionieri.

E da guru della neo-pedagogia televisiva (ha condotto programmi dal titolo inquisitorio, tipo Ma come ti vesti?), da metro di paragone per scrittori come Walter Siti (lo cita per la critica al libro di Roberto Saviano) e da massimo esperto di matrimoni in quanto wedding planner, ora ha scoperto ulteriori orizzonti.

Cattivo, insomma.

Forse un pizzico, e forse lo sono diventato per il mio lavoro: quando si organizzano matrimoni è impossibile non scontrarsi con i tanti elementi che compongono la festa, e io pretendo la perfezione.

Nel programma fa coppia con la sua assistente, e in molti segnalano una certa durezza con lei.

È in gamba, sa incassare, sa sostenermi quando divento isterico, sa accettare le mie follie, come gli attimi di depressione.

È un precisino.

Totale, se qualcosa non è in perfetto ordine, impazzisco.

Casalingo.

In parte sì, poi ho un cameriere che tra poco licenzio: ho trovato della polvere (Squilla il cellulare, è il lavoro, e il suo tono è molto deciso).

Il Coronavirus mina le certezze degli sposi?

Ancora no, i primi problemi stanno arrivando alle aziende, come quelle che dovevano partecipare al Salone del Mobile (posticipato).

Torniamo al programma: come vive le critiche?

Alcune sono utili, ma il punto è un altro: spesso critico me stesso, non mi mollo mai, mi fustigo e mi obbligo a eccellere; mi innervosisco solo quando leggo di gente che dà aria ai polmoni a prescindere dalla sostanza.

Qui c’è un però…

Sono felice, mi sto divertendo per tutto questo, non cado in depressione.

È la seconda volta che la nomina, la depressione.

Per fortuna so reagire, so tirami su, ma resto una persona soggetta ai momenti di bassa, e mi picco per delle piccolezze.

La consapevolezza aiuta.

Ho dentro un senso di responsabilità che arriva dall’educazione familiare: a casa mia era implicitamente ed empiricamente vietato portare problemi dentro le mura domestiche.

Lei è di San Giuseppe Vesuviano.

Un posto tranquillo, sotto controllo, mai un pericolo.

Giocava a pallone?

Mai una volta.

A Milano le hanno dato del terrone?

Tuttora può capitare, e mica mi spaventi per così poco, se accade ‘mando a fanculo’.

È rissaiolo?

Purtroppo qualche schiaffo l’ho dato. E sottolineo purtroppo, non ne vado orgoglioso, sono attimi di debolezza non giustificabili.

La sua prima volta.

(Ci pensa e resta zitto) Tema troppo delicato, preferisco non rispondere.

Il suo mito da bambino.

Assolutamente Mina.

E poi?

Sophia Loren, forse perché napoletana come me, non per le sue doti d’attrice, mi piace proprio come donna, per l’eleganza.

I vip le chiedono consigli sull’abbigliamento?

A ripetizione; il problema è che non tutti hanno lo humour per sopportare le mie risposte, qualcuno ci resta male.

C’è stata un’occasione nella quale ha deciso l’outing?

Mai, non è servito: è da sempre talmente palese che tutti l’hanno dato per scontato. Anche in casa non ho mai affrontato il discorso con mia madre (ci pensa); a volte è più utile l’outing con se stessi.

Complicato?

Non è mai semplice, e oggi la situazione è migliorata, mentre quando ero ragazzino venire additato era abbastanza frequente.

Anche per lei?

Ripeto: per fortuna no, eppure da piccolo giocavo con le Barbie, non con le macchinine.

Un vizio.

Sono condannato al bello.

Vuol dire?

Un esempio? Scelgo il ristorante in base all’apparenza non al menu; insomma sono schiavo della bellezza, dell’estetica, e se in casa trovo un oggetto fuori posto, vado fuori di testa e sto male.

Sempre povero il cameriere.

Lo sa.

Fobia.

La morte: ci penso tutto il giorno e in ogni occasione, pure le più imprevedibili, e non solo per me, anche rispetto alle persone che amo.

Cioé?

Sopra il letto non ho attaccato alcun quadro, ho paura si possa staccare e colpirmi nel sonno.

Gioca alle lotterie?

Non credo nella fortuna.

Lei è autoironico.

Altrimenti non andrei in televisione, e l’autoironia è una conquista, arrivata insieme alla consapevolezza di me stesso.

La fama secondo lei.

È l’affetto delle persone, quando mi fermano sono felice e a volte mi chiedo se lo merito.


Pechino-Express
ha amplificato il suo personaggio.

A dismisura, ed è stato veramente una faticaccia, ma ne è valsa la pena.

Chi è lei?

(Qui inizia una lunghissima serie di riflessioni, poi aggettivi, aggiunte, fino alla conclusione…) Un uomo responsabile (silenzio). Un favore.

Ci dica…

Non mi faccia uscire palloso o vecchio, sono solo molto pignolo. E pienamente consapevole…

Buon compleanno Mina. 80 anni di Voce nazionale

La lungagnona. Che in una sera dell’autunno ’58, con indosso un abito sottratto alla mamma, debutta in un locale dietro casa, a Rivarolo del Re, e in un amen rottama la musica italiana felpata e ammuffita, Flo Sandon’s e Natalino Otto ascoltano con gli occhi sgranati la ragazzina, e capiscono che non saranno mai più in cima al cartellone. Spazio a Baby Gate, più tardi diventerà Mina, nessuno terrà testa alla lungagnona: in una manciata di anni sarà Voce nazionale incoronata, intrigante e sensuale, ironica e beffarda, inarrivabile e spregiudicata.

Fra trionfi, scandali, i rotocalchi che la flagellano come rovinafamiglie, fino al colpo di genio della sparizione in vita. Leggenda e spettro carnale dalla sera dell’ultimo bis alla Bussola, Mina che si fatica a pensare ottuagenaria, il 25 marzo prossimo. I colleghi che l’hanno avvicinata nell’arco dei decenni ne hanno subito il fascino, la maestosa autorevolezza. Bobby Solo ricorda una passeggiata milanese in sua compagnia, alla Galleria del Corso: “Ce lo chiese la casa discografica, perché firmassimo autografi. Indossavo un maglione di cachemire bianco con i polsini neri, ero giovane, bello e magro. Ma Mina, pur simpatica e alla mano, mi metteva soggezione. Mai avrei potuto tentare di conquistarla. Ero timido. Restavo al palo con tutte. Una volta, in ascensore, Ornella Vanoni prese a sbottonarsi la camicetta, chissà se faceva sul serio. Arrivammo presto al piano”. Figurarsi sedurre Mina. “Fui suo ospite a Studio Uno. Prima di andare in onda si fece un cicchetto con lo Stock 84. Un’altra volta la vidi dalla tv, era lì con Mastroianni che parodiava la mia Se piangi se ridi accanto a un cocker ululante”.

Se piangi se ridi, il classicone all’americana con cui Bobby vinse Sanremo ’65. “Ero già a cena davanti agli spaghetti allo scoglio: quelli della Rai mi richiamarono d’urgenza. Bofonchiai un grazie davanti alle telecamere, Mike Bongiorno replicò: ‘Un vero cowboy, di poche parole!’.” Mina non perse l’occasione di incidere quella ballata. “Una versione stellare. Quando la registrai io, invece, feci buttare un sacco di soldi alla Rca. Dissi ai discografici: ‘Elvis non vuole i violini!’, e rinunciai all’orchestra. Ero un montato. Presi dalla mia Mercedes Pagoda la Stratocaster, imitammo il suono del basso con i pedali dell’organo Hammond, catturai negli studi due dei 4+4 di Nora Orlandi, allungai 50mila lire al batterista che voleva tornare dal bambino febbricitante. Prima dell’alba avevo chiuso il pezzo, praticamente da solo”.

Con Mina non sfuggi mai dal confronto, ma ogni sua cover è una medaglia. Anche per Don Backy, il capolavoro L’immensità. “Ascoltandola da quella voce capii che era destinata a diventare una canzone che avrebbe attraversato il tempo e lo spazio”. Avevano fatto amicizia sotto un temporale. “Eravamo da qualche parte nel Veneto. Pioveva che Dio la mandava, la nostra serata fu annullata. Riparammo nella macchina dell’impresario Elio Gigante, Mina smoccolava per l’ingaggio sfumato. La rividi nelle estati a Riccione. Soggiornavo in albergo con il mio complesso, I Fuggiaschi. Un giorno i ragazzi stavano discutendo su accordi e tonalità. Mina leggeva un giornale, sembrava distratta, d’improvviso li fulminò: ‘Ma quale La minore, serve un Fa diesis!’”. Anni dopo lei lo richiamò. “Sono sicura che nel cassetto hai un brano pronto per me”, disse a Don Backy. “In realtà avevo solo dei testi da lavorare”, ammette il cantautore toscano, “ma al ritorno da un concerto mi ispirai a lei per comporre Nuda. Andai a Milano nel suo studio, in una basilica sconsacrata, e cantai il provino. Registrai anche un brano che era stato sempre rifiutato da tutti, Sognando fumo: parlava di disagio mentale. Mina mi telefonò: ‘Bellissimo, lo faccio’. ‘È il tuo ritratto’, risposi pensando si riferisse a Nuda. E lei, stranita: ‘Mi stai dando della pazza?’. Quando fu il suo turno di incidere i due brani, ebbe problemi per l’arrangiamento di Nuda. Ero nel ristorante di Arlati sui Navigli, Mina mi trovò lì: ‘Devi scrivere subito altre due strofe’, urlò nella cornetta ‘altrimenti salta tutto’. Gli amici mi imboccavano mentre scrivevo le aggiunte su un tovagliolo, presi al volo un taxi e a notte fonda ero davanti a lei, appena in tempo”.

Quando Mina chiama, si scatta. Gianni Donzelli degli Audio 2 partiva da Napoli con il primo treno verso Lugano per aggiungere voci in extremis. Ne valeva la pena, in una collaborazione iniziata nel ’92 e proseguita fino ad Acqua e Sale incisa dalla Tigre con Celentano. “Cominciò con un colpo di fortuna: io e il mio socio Enzo Leomporro mandammo una cassettina con dei pezzi, ricevuta di ritorno a Mina e Massimiliano. Lei telefonò a casa mia ma non c’ero, mia moglie mi fece una scenata di gelosia: ‘Chi è questa?’ Nessuno credeva fosse la divina. Nacque un fruttuoso incontro tra i nostri dischi e i suoi. Una volta, con mia sorpresa, si prestò a fare da corista per il mio Dentro ad ogni cosa. E fece un cazziatone al fonico perché aveva alzato troppo il volume della sua voce. ‘Qui il protagonista è Gianni!’, disse”. Gli Audio 2 sbancavano le classifiche con Donzelli che ricordava da vicino Battisti. “Pani le fece uno scherzo la prima volta, non disse alla madre che quelli erano due giovani napoletani: ‘Finalmente quel deficiente di Lucio ha scritto qualcosa per me, sono dieci anni che glielo chiedo!’. Mi diceva: ‘Tu sei intonato, lui no’. Ovviamente lo amava. Una sera mi raccontò del provino rozzo che Battisti le aveva inviato per Ancora tu. A Mina non piacque e lo rifiutò. Quando ascoltò in radio la versione definitiva lo richiamò incavolata: ‘Lucio, accidenti a te! Così funziona!’”.

“Israele ostaggio di Bibi, premier disperato”

“Ho 83 anni e mai fino a ora avevo visto una situazione così folle: un intero paese tenuto in ostaggio da un solo uomo, il primo ministro Benjamin Netanyahu, che gode di un potere mai visto prima in Israele e lo usa per evitare di finire in galera”. Avraham Yehoshua, il più noto tra gli intellettuali israeliani, non usa mezzi termini per spiegare come mai Israele lunedì prossimo andrà al voto per la terza volta in meno di un anno e il primo ministro uscente, pur in attesa di processo, sia favorito sul rivale Benny Ganz.

I sondaggi danno Netanyahu avanti di due punti. Come lo spiega?

Potrei fare la stessa domanda a voi italiani. Come spiegate le vittorie di Berlusconi nonostante i processi, le condanne e il Bunga Bunga? Molti israeliani pensano che Netanyahu sia stato comunque bravo a governare e ritengono che i crimini di corruzione, per cui verrà processato il 17 marzo, non siano determinanti.

Se alle elezioni vincesse per soli due punti il partito di Netanyahu, il Likud, il presidente Rivlin gli ridarà l’incarico?

Non credo. Il capo dello Stato difficilmente ridarà l’incarico di formare il nuovo governo a Netanyahu proprio a causa dell’imminente processo. Questo non significa che Netanyahu accetterà di uscire di scena.

E quindi?

Se, come sembra, nessuno avrà i numeri per formare una coalizione di governo, e Netanyahu non si farà da parte per sfuggire alla giustizia, probabilmente si andrà di nuovo al voto.

I programmi dei partiti e dei loro candidati non contano per gli elettori allo scopo di decidere per chi votare?

In queste ultime due elezioni, il dibattito lo ha imposto Netanyahu e non ha mai riguardato nè questioni ideologiche, nè l’agenda interna ed estera dei candidati. Ripeto, Bibi ha monopolizzato tutto il dibattito nello sforzo di essere rieletto per tentare di evitare la condanna della magistratura e, di conseguenza il carcere .

Ritiene che verrà condannato?

Sì, si tratta di accuse gravi di corruzione che Netanyahu sa di aver commesso. Per questo sta facendo di tutto per mettersi al riparo.

A costo di bloccare il Paese?

Bibi Netanyahu è ormai una persona disperata per la propria situazione e non si fa alcuno scrupolo pur di salvarsi . Il suo scopo è di far cambiare la legge sull’immunità dai prossimi parlamentari del suo partito e da quelli del blocco della destra nazionalista e religiosa a cui ha promesso poltrone importanti .

Perché il Likud ha scelto nuovamente Netanyahu come leader e candidato nelle primarie di qualche mese fa?

Primo per la fascinazione che il premier emana agli occhi di chi odia i palestinesi. Inoltre perchè terrorizza e ricatta i suoi colleghi di partito e anche per il fatto che Netanyahu viene percepito ancora da molti elettori come un baluardo contro la sinistra o quella che viene chiamata sinistra e contro i palestinesi.

Ma Benny Gantz non è certo di sinistra.

Ma non è neanche di estrema destra. Stando così le cose, tanto vale, pensano gli israeliani, votare ancora per Netanyahu. Inoltre non va dimenticato che Netanyahu è appoggiato da Trump e da alcuni paesi arabi di enorme peso, in primis l’Arabia Saudita. Questo conta per gli israeliani che temono l’Iran.

‘Piano di pace israelo-palestinese del secolo’ e annessione della Cisgiordania promessa da Bibi: cosa ne pensa?

Il piano di pace statunitense-saudita-israeliano è ridicolo e offensivo, nessun palestinese potrà mai accettarlo . Per quanto riguarda l’annessione della Cisgiordania attraverso le armi , non credo avverrà. Ma il silenzio dell’Europa sta mettendo una pietra tombale sulla soluzione dei due Stati per due popoli a favore di una sorta di soluzione di un unico Stato.

La Nato difende Erdogan, ma lui protegge al Qaeda

I bombardamenti siriani-russi con l’uccisione di altri 32 soldati di Ankara (58 dall’inizio del mese) hanno determinato la replica del presidente Erdogan con la minaccia di inviare nuove truppe per fermare l’offensiva di Damasco contro l’ultima roccaforte siriana dei jihadisti; tra loro quelli legati ad al Qaeda e all’Isis, finanziati ed equipaggiati dai servizi di Ankara durante questi nove anni di guerra devastante. Ma proprio questa aggressività fra crescere in Turchia la contrarietà alla politica estera del capo dello Stato in Siria e Libia e la conseguente paura che l’artiglieria di Damasco possa lanciare un attacco missilistico contro la provincia turca di Antiochia, appena al di lá del confine siriano. Una parte della popolazione turca ieri mattina si è svegliata convinta che Antiochia fosse già stata bombardata e con il terrore che la Russia decida di rompere gli accordi stabiliti con la Turchia sulla Siria.

L’escalation tra Damasco – spalleggiata da Russia, Iran, hezbollah libanesi – e Ankara, membro Nato, nella provincia siriana di Idlib vicina al confine nord occidentale tra i due paesi rivali, sta stressando giorno dopo giorno anche le relazioni tra Washington (leader della Nato) e Mosca, oltre a coinvolgere l’Europa relativamente alla questione dei profughi e per il fatto che molti paesi europei sono anche membri Nato legati dall’obbligo sancito dall’articolo 4 e 5 di proteggere ed eventualmente correre in aiuto di un alleato dell’Alleanza in difficoltà. Ma c’è un “ma”, anzi più d’uno. Se è vero che i soldati di Assad assieme ai russi e agli iraniani stanno bombardando la cosiddetta zona di demilitarizzazione stipulata con la Turchia ad Astana e a Sochi lo scorso anno, è anche vero che è stato Erdogan ad invadere il territorio di una nazione sovrana e non viceversa. Nel 2018 Ankara invase il cantone curdo-siriano di Afrin per rimpiazzare i curdi con le proprie milizie turcomanne e l’anno scorso fu sempre Erdogan a invadere l’altro cantone curdo-siriano, a est del fiume Eufrate, dove i curdi avevano stabilito una sorta di protostato autonomo che la Turchia teme possa allargarsi ai propri confini sud orientali a maggioranza curda.

Con il pretesto della difesa della sicurezza nazionale, Erdogan sta insediando i propri miliziani islamisti siriani in tutta la fascia settentrionale della Siria. Ma i curdi siriani, così come i siriani arabi non hanno mai lanciato attacchi volontari contro la Turchia. In realtà Erdogan mette a rischio la pace mondiale per la sua smania di sedere al tavolo dei negoziati di pace, e ottenere di fatto una lunga fascia di territorio siriano allo scopo di annichilire i curdi e sostituirli con i tre milioni e mezzo di profughi siriani provenienti da altre zone del paese, e attualmente rifugiati in Turchia. Il Sultano cerca di fare la voce grossa con Putin perchè sa di avere alle spalle la Nato, nonostante l’abbia tradita acquistando l’anno scorso il sistema di difesa antimissile russo S-400 anzichè i Patriot dell’alleato americano. Insomma Erdogan gioca da tempo su due tavoli. Questo giochetto però sa di non poterlo fare con la stessa disinvoltura al Cremlino, e infatti il Sultano nel pomeriggio di ieri si è affrettato a chiamare il presidente Putin per confermargli di non avere intenzione di attaccare i soldati russi in Siria. Anche sul sostegno della Nato Erdogan non può essere certo dato che sta cercando di mettere in crisi un altro membro dell’Alleanza, ossia la Grecia dopo aver caricato pullman interi di profughi scaricandoli al suo confine. La decisione di lasciar fuggire i profughi in Europa viola l’accordo del 2016 sottoscritto con la Ue per tenere i tre milioni di profughi in Turchia, in cambio di 6 miliardi di euro, di cui 3 sono già stati versati nelle casse del Sultano.