Terrore: Scalfarotto minaccia l’addio

Beato il governo che non ha bisogno di Scalfarotto. Nel senso di Ivan, sottosegretario renziano agli Esteri, una delle tre figure di Italia Viva titolari di una poltrona nell’esecutivo (insieme alle ministre Terranova e Bonetti).

Ieri il fragile armistizio tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi è andato a un passo dall’infrangersi proprio per l’orgoglio di lui, Ivan Scalfarotto, che è stato a un passo dall’annunciare le sue dimissioni. Le ragioni le ha illustrate egli stesso su Facebook, spiegando come il ministro degli Esteri Luigi Di Maio abbia “rinnegato gli accordi assunti al momento della formazione del governo”. Il problema sono le deleghe: Scalfarotto non ha ottenuto le competenze sul Commercio internazionale, attribuite invece al Cinque Stelle Manlio Di Stefano, grillino della prima ora molto attivo in materia di rapporti con la Russia di Putin. A Scalfarotto è rimasta una parte residuale delle competenze (dazi e adozioni internazionali). E dunque, per il torto subìto, era pronto a far esplodere l’ennesima mina sui precari equilibri del governo.

Ma non l’ha fatto. E il merito – come ha avuto la premura di sottolineare la comunicazione di Italia Viva – è di Matteo Renzi. È stato l’ex premier in persona a trattenere il suo sottosegretario e a dirgli di aspettare almeno fino alla fine dell’emergenza coronavirus, perché “ora non è il momento”. E perché altrimenti i suoi avversari avrebbero strumentalizzato il gesto di Scalfarotto, sostenendo che fosse un altro sabotaggio renziano alla tenuta della maggioranza.

L’obiettivo politico di Italia Viva è abbastanza palese: si rende pubblica l’ennesima controversia con i Cinque Stelle e ci si prende il merito di aver evitato, con enorme senso di responsabilità, di portare la questione alle estreme conseguenze.

Nel frattempo la comunicazione renziana “ufficiosa” lavora di fino sui social network, gli account legati a Italia Viva si dilettano su Twitter e affini con messaggi di questo tipo: Di Maio ha penalizzato “l’unico competente” del governo; Scalfarotto è l’uomo che ha evitato all’Italia i dazi Usa; “il Pd sta facendo di tutto per costringere Renzi a farlo cadere”, e via scrivendo.

Il risultato finale è che non succede nulla, ma si fa tanto rumore. E il livello di tensione rimane alto. La resa dei conti è solo rimandata. Lo scrive lo stesso Scalfarotto: “Illustrerò le mie decisioni e le ragioni delle stesse spero al più presto possibile, non appena l’attenuarsi di questa terribile emergenza nazionale me ne darà la possibilità e la dialettica politica e istituzionale sarà finalmente tornata alla normalità”. Sarebbe a dire: le dimissioni saranno presentate quando sarà finito l’armistizio indotto dal Coronavirus.

A quel punto i renziani si toglieranno i guanti. Il loro leader ha già annunciato un piano di quattro riforme da sottoporre a Conte. Sono tutte politicamente irricevibili per gli alleati di governo, in particolare per i Cinque Stelle. Quando non ci sarà più nessuna emergenza nazionale, insomma, si apriranno le danze. E le dimissioni di Scalfarotto saranno l’ultimo dei problemi.

Un tavolo da poker con quattro giocatori per sostituire Conte

Più che a una cabina di regia assomiglia a un tavolo da poker (peraltro virtuale) il “gruppo” che sta lavorando alla sostituzione di Giuseppe Conte. Matteo Renzi e Matteo Salvini, che hanno in comune tendenza ad esagerare, tempismo non proprio azzeccatissimo, attitudine ad accentrare, tra un bluff e l’altro sembrano essere arrivati a un punto di contatto: dopo Conte va bene lavorare a un altro esecutivo, non per forza votare.

Il “merito” è soprattutto di Giancarlo Giorgetti, trasversale sia per rapporti che per credibilità, che da tempo spinge per un governissimo. La variabile è rappresentata ancora una volta da Denis Verdini, l’impresentabile per antonomasia, che studia tutte le variabili dei vari piani in campo.

Lo scenario reale potrebbe essere, allora, un esecutivo di centrodestra con l’appoggio di Matteo Renzi. L’ideologo numero 1 del patto tra Renzi e Salvini è proprio Verdini. Vicino all’ex premier da sempre, è entrato in stretta relazione con il leader della Lega per il rapporto tra costui e sua figlia Francesca. In questa fase ha le sue idee. Dopo l’ennesima porta sbattuta in faccia all’idea del governo di unità nazionale, soprattutto da parte di Giorgia Meloni, del Pd e di Leu, l’ipotesi su cui lavorare dovrebbe essere quella di un esecutivo di centrodestra.

La cosa non è senza ostacoli. Prima di tutto, bisognerebbe convincere la Meloni a entrare in una maggioranza nella quale c’è Renzi. Forse sarebbe più facile che indurla a dare il suo appoggio a un governissimo con dentro tutti.

Poi c’è la questione della tenuta di Italia viva, che potrebbe spaccarsi. “Noi non ci stiamo a ipotesi alternative a Conte”, dicono voci interne ai renziani del Senato. E dunque si pone un problema di numeri. A Palazzo Madama, Lega, Iv, Fi e Fdi fanno 156. Comunque sotto la maggioranza, anche volendo scommettere su una compattezza che non ci sarà. E che però dovrebbe essere compensata da altri arrivi: parte dal Misto, parte dalle Autonomie, parte pure dai Cinque Stelle.

La convinzione di chi lavora a questo dossier è che molti nel Movimento abbiano nostalgia del governo gialloverde. E che tra questi ci potrebbe essere anche Luigi Di Maio, la cui rivalità con Conte non è un mistero per nessuno.

In casa Lega, intanto, ieri tenevano i toni bassi. Ma certo per loro non finisce qui. Sono quasi tre mesi che Giorgetti lavora a un’ipotesi di governo di unità nazionale, arrivando persino a offrire un tavolo di riforme. Fino a un certo punto, Salvini non era convinto. Poi, invece, gli ha dato ragione. E la conferma che l’evoluzione di questo tavolo può portare anche ad altri esiti, arrivava anche dalla Lega. Perché adesso si aspetta di vedere come l’emergenza coronavirus si intreccia con l’evoluzione del quadro politico.

In molti sono convinti che abbia messo un “tappo” alle tensioni nella maggioranza. Ma anche che di fronte a uno scenario che continui ad apparire fuori controllo, il premier non possa reggere. Come di fronte a segnali sempre più inquietanti per l’economia.

D’altra parte, Salvini a parlare con Sergio Mattarella ci è andato. E anche se non gli ha prospettato cambi di maggioranza, ha comunque dato un segnale di disponibilità a farsi carico di una fase difficile.

Raccontano – un po’ scherzando – che il Presidente a questo punto tenda a fidarsi persino più di lui che di Renzi. Ma per chiunque conosca l’ex premier, questo genere di mancanza di considerazione è un motivo in più per cercare di farsi spazio. Sa che la strada è stretta e che la maggior parte dei ponti sono per lui bruciati. Una mossa al momento sbagliato proprio non se la può permettere. E dunque va avanti per stop and go, minacce e rassicurazioni. “Rinnovo l’invito a tutti, soprattutto agli amici di Italia Viva: non cadiamo nelle polemiche dei soliti noti o nei consueti retroscena interessati. Ora è il momento della massima collaborazione con tutti”, scriveva ieri su Facebook. Fino alla prossima puntata.

Emergenza economica, il tampone del governo

Manca solo il “fate presto” di confindustriale memoria per dare il senso della pressione sul fronte dell’economia. Una pressione collettiva, guidata da Confindustria e dai più importanti giornali per “far ripartire l’economia”.

Ieri il Consiglio dei ministri si è riunito dopo le 20 per discutere la bozza del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri (candidato domani al collegio 1 di Roma per le suppletive alla Camera). “Un primo passo” ha assicurato l’ex parlamentare europeo che dovrà servire a dare risposte puntuali a coloro che hanno subito le conseguenze del Coronavirus.

Quello di ieri sera è stato il primo decreto per l’emergenza, ma ne è già pronto un secondo dalle ambizioni più ampie, quasi un “decreto Crescita” che vorrebbe offrire il profilo concreto di un esecutivo che ormai da troppo tempo appare imbambolato dalle divisioni interne. La nomina degli economisti Mariana Mazzucato, teorica dell’intervento dello Stato e dell’ecologista Gunter Pauli va in questa direzione.

Turismo. Nella bozza presentata da Gualtieri, composta da 26 articoli, si prevedono misure ad hoc per il turismo con la sospensione di ritenute fiscali e contributi previdenziali per il settore in tutta Italia.

Pmi. Rivendicato dal capo politico provvisorio dei 5Stelle, Vito Crimi, il documento prevede il rafforzamento per 50 milioni del fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. Potranno accedervi a titolo gratuito anche le piccole e medie imprese che non hanno sede nella zona rossa, ma in zone limitrofe o appartenenti “a una filiera particolarmente colpita”.

Bollette e mutui. Vengono poi sospese per due mesi le bollette di acqua, luce, gas e rifiuti e vengono sospese fino al 30 aprile (prima era fino al 31 luglio) le rate delle assicurazioni; sospeso per un anno, poi, il pagamento delle rate dei beneficiari di mutui agevolati; sospese le cartelle esattoriali.

Cig. Si procede alla semplificazione delle richieste di Cassa integrazione per le attività produttive collocate nella zona rossa. L’istanza può essere presentata anche da aziende che hanno unità produttive al di fuori dei comuni interessati, per i soli lavoratori residenti o domiciliati nei Comuni interessati. Prevista anche una norma “salva stipendio” per i dipendenti pubblici: “Per i periodi di assenza per malattia” dovuta al Covid-2019, non si applicherà “la decurtazione del trattamento economico accessorio”.

Telelavoro. Viene poi riconosciuta un’indennità mensile pari a 500 euro per un massimo di tre mesi (e comunque parametrata all’effettivo periodo di sospensione dell’attività lavorativa) in favore dei collaboratori coordinati e continuativi, dei titolari di rapporti di agenzia e di rappresentanza commerciale e dei lavoratori autonomi o professionisti e, ancora per i dipendenti pubblici, si procede alla messa a disposizione di personal computer e tablet come misura per “difendersi dal Coronavirus” tramite il televoro o “lavoro agile”.

Europa. Il governo, quindi, mette un tampone alla situazione sapendo bene che è solo un primo passo. Le ricadute complessive della situazione di emergenza non sono state ancora ufficialmente valutate, ma la riduzione del Pil potrebbe essere nell’ordine dello 0,1%. Sempre che la situazione non peggiori. Il problema di un eventuale ricorso alla flessibilità sul deficit di bilancio, e quindi di un ricorso all’Unione europea, resta sul campo. Del resto, come pubblicato dal Fatto, è stato anche il Financial Times a farsi portavoce di questa posizione. Il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, ha lasciato intendere che la strada può essere percorsa, tanto più che il problema del contagio si sta diffondendo in tutta Europa.

Come evidenziato, le soluzioni del governo sono state attaccate frontalmente dal leader della Lega. Salvini ha infatti chiesto di estendere “a tutta Italia lo stop alle cartelle esattoriali, ai versamenti e agli adempimenti fiscali e burocratici”. Quando si sente la parola condono, in effetti, nella Lega non sanno contenersi.

Virus, governo ladro

C’è un solo mestiere più ambìto del ct della Nazionale e del virologo: il premier. Fior di editorialisti, comodamente assisi sulle rispettive poltrone, insegnano ogni giorno a Conte cosa si deve, anzi non si deve fare ai tempi del Coronavirus. Cosa farebbero al suo posto non lo dicono, ci mancherebbe: mica spetta a loro. Ma non dubitano che il premier dovesse fare e dire l’esatto opposto. “Un governo che non governa non serve a niente” (Andrea Malaguti, Stampa). “Aiuto! Salvateci! Si salvi chi può!”, “Si poteva, si doveva fare qualcosa di diverso? Certo” (Marcello Sorgi, Stampa). “Nel passaggio dalla pochette al maglione, Conte non ci ha guadagnato nulla” (Massimo Giannini, Repubblica). “Conte: la lotta è tra il Morbo e Io e a vincere sarà il sottoscritto” (Mario Ajello, Messaggero). “Il premier ha sfoggiato una varietà di ‘mascherine’… confermando l’attitudine da Zelig” (Massimiliano Panarari, Stampa), “Un governo arrivato al capolinea” (Giovanni Orsina, Stampa), “Precauzioni eccessive per non prendersi la responsabilità” (Luciano Fontana, Corriere), “Il governo ha letteralmente chiuso la vita pubblica ed economica del Centro-Nord” (Maurizio Molinari, Stampa).

L’Editorialista Unico rende ingiuste le accuse di allarmismo peloso e catastrofismo strumentale a Salvini e ai giornali di destra. Non perché Conte sia infallibile o incriticabile, anzi. Noi, per dire, lo sollecitiamo da giorni (in beata solitudine) a rispondere sulle gravissime questioni che rendono indecente l’intenzione di confermare Claudio Descalzi all’Eni. E anche sulla gestione del virus le critiche sarebbero benvenute. Ma a patto che si indicasse un solo atto o una sola frase di Conte che abbia agevolato il contagio o il panico. Invece nessun critico entra nel merito. Era sbagliato blindare la zona rossa con l’esercito per evitare che qualche svitato (com’è accaduto) fuggisse per infettare un po’ di gente in giro? Limitare le occasioni di affollamento per ridurre le possibilità di contagio? Autorizzare il telelavoro e lo smart working? Usare il pugno di ferro coi governatori regionali in fregola di originalità? Andare in tv, anche nei programmi più pop, a spiegare ai cittadini cosa fare e cosa sta facendo il governo con parole e toni tutt’altro che allarmistici ed esagitati, mentre i Due Cazzari seminavano panico e sfiducia? Boh. Molto meglio dire “Virus, governo ladro” e tenersi sul vago, a parte le giaculatorie contro il “populismo virale” (che stavolta non c’entra una mazza) e i soffietti sulla “saggezza quirinalizia” (Panarari, Stampa).

Così non si deve spiegare come mai l’Organizzazione mondiale della sanità si complimenti con Conte&C. per bocca del direttore europeo Hans Kluge: “Le autorità italiane stanno attuando misure in linea con la strategia di contenimento a livello globale. Per farlo, hanno dovuto prendere decisioni risolute ma corrette”. Idem il commissario Ue alla Salute, Stella Kyriakides: “Grazie al governo italiano per le misure messe in campo, molto veloci, per ridurre la minaccia del virus”. Elogi ignorati anche dai tromboni che hanno sempre l’Onu e la Ue sulla punta della lingua. Gli stessi che fino all’altro giorno la menavano con la “barbarie” e l’“ergastolo processuale” della blocca-prescrizione e ora oscurano le lodi della Commissione europea alla “benvenuta riforma Bonafede”, alla Spazzacorrotti e alle misure anti-evasione del governo Conte.

Col senno di poi, Fontana (quello del Corriere, senza mascherina), ripete il mantra che non bisognava “bloccare i voli diretti dalla Cina senza controlli ferrei di quelli che utilizzavano scali intermedi”: ma non spiega che danno avrebbe fatto il blocco dei voli diretti (al massimo è stata una precauzione inutile, ma si può dirlo solo oggi e non quando fu adottata e si ignorava che il virus fosse già arrivato in Italia), né come si possa scovare chiunque sia tornato dalla Cina con scali intermedi (mission impossible per tutto il mondo, infatti nessuno ci ha neppure provato). Sorgi invece avrebbe “bloccato anche i voli indiretti” (come se Conte avesse giurisdizione su aeroporti e compagnie di tutto il resto del mondo). Fontana, all’unisono con l’omonimo in maschera, deplora l’“uscita improvvida del premier sulla sanità lombarda”, protetta come il Papa dal dogma dell’infallibilità malgrado le falle scoperte nel sistema sanitario by Formigoni&C. e pure nell’ospedale di Codogno (dal Paziente 1 ai posti letto mancanti, agli infermieri rispediti al lavoro prima di sapere se sono infetti). Giannini, in perfetta sintonia con Sallusti, accusa Conte di non aver “saputo esercitare la sua ‘auctoritas’ con le Regioni” (e che doveva fare, oltre a trascinarle alla Consulta: bombardarle col napalm?). E di aver “dato fuoco alle polveri” dell’allarmismo in tv col suo tipico linguaggio incendiario. Intanto i pompieri di Repubblica spegnevano il fuoco con titoli sobrii sugli “untori”, “Paralisi da virus”, “Mezza Italia in quarantena” e “Italia? No grazie”. Per evitare lo stridio di tante unghie sui vetri, sarebbe molto meglio dirla tutta, e cioè che Conte non piace all’Editorialista Unico perché non fa marchette né insider trading agli editori (come qualche predecessore) e non proviene dai circoletti politico-affaristici che hanno prodotto tanti premier intoccabili del recente passato. Fortuna che Giovanni Orsina svela serafico il movente dei signorini grandi firme: il sogno, anzi l’incubo, di un’“ampia convergenza emergenziale”, cioè un inciucione che apra “una finestra di opportunità per Renzi” e naturalmente per Salvini, affinché siano loro, dopo le elezioni anticipate, a eleggere “il nuovo capo dello Stato”. Ve li meritate, i Due Cazzari. Il guaio è che poi ce li ciucciamo noi.

Giò Ponti: la città ideale va al Maxxi

Con i suoi 127 metri di altezza per 33 piani (due dei quali sotterranei) in calcestruzzo armato, il grattacielo Pirelli a Milano – altrimenti noto come Pirellone – divenne sin da subito icona del progresso industriale post-bellico. Punto riconoscibile dell’opera di quel genio centrifugo (capace cioè di allargarsi in mille flutti) di Giò Ponti, quando venne eretto (1956-60) è stato dal suo avvento e per qualche anno anche il palazzo più alto d’Europa, fino cioè alla costruzione della Tour du Midi di Bruxelles nel ’66. Ma soprattutto – svettando come l’apparizione di una spada di cristallo a fendere la distesa del cielo – rappresenta l’acuto di quello stile noto come Razionalismo italiano, come prese forma nella nostra architettura la corrente del Movimento Moderno. Ponti fa sue le parole di colui che resterà per sempre un suo maestro, Le Corbusier e la sua visione biologica di una “città radiosa”. Soprattutto, quando il maestro svizzero sostiene che “al vuoto del secolo della macchina, bisogna reagire con l’effusione ineffabile di un ambiente che culli e inebri con dolcezza”: la dolcezza della struttura della Concattedrale di Taranto che, con le doppia facciata che raffigura una vela che si specchia sull’acqua, fonde la religiosità con la tradizione marittima della città.

Capace di far convivere innovazione e classico, il Ponti architetto (fu anche fine designer, art-director, scrittore) è oggi festeggiato dalla mostra di attitudine purista al MAXXI Gio Ponti. Amare l’architettura (fino al 27 aprile, a cura di Maristella Casciato, Fulvio Irace, Margherita Guccione, Salvatore Licitra, Francesca Zanella). A un’installazione di stendardi sospesi che riproducono facciate di grattacieli – per instillare la visione di un’ideale città pontiana –, si passa ai progetti per le case, dove Ponti abolisce alcune stanze cardinali quali la sala da pranzo o il salotto per gli ospiti, suggerendo l’idea di una casa conviviale (dove vivere insieme) e non solo ospitale.

Completano il percorso espositivo le committenze in Italia e all’estero come Villa Planchart a Caracas dalle grandi vetrate e il celebre Hotel Parco dei Principi di Sorrento. Si diceva centrifugo all’inizio per via delle ceramiche, la sedia ultraleggera e i sanitari. Esposto infatti anche il progetto di un’auto chiamata “Diamante” (del 1953, e di cui è stato realizzato un modello a scopo espositivo per il Grand Basel 2018), che usa “le scomposizioni delle varie parti come intersezioni dei volumi uno sull’altro”, che riprenderà nella forma diamantata del Pirellone.

 

Gio Ponti. Amare l’architettura

Maxxi, Roma

Fino al 27 aprile

Buoni o cattivi? Forse è solo un gioco di apparenze

Rossana Campo torna alla ribalta, con una nuova edizione a colori de La gemella buona e la gemella cattiva. Peppa e Ada sono due gemelle identiche, bellissime, ma molto diverse tra loro. Peppa è “cattiva”, sempre imbronciata, mentre Ada è adorabile e fin troppo tranquilla. A cambiare improvvisamente le carte in regola è l’incontro con Marcantonio, alla festa del loro settimo compleanno. Mentre Ada è felice di scartare i regali in mezzo a tutti i suoi amici, Peppa è seduta in un angolo, per i fatti suoi. Marcontonio, coraggioso cacciatore di tigri, decide di avvicinarsi a Peppa, che reagisce in malo modo, cacciandolo via.

È in quel momento che il bambino prova ad avvicinarsi ad Ada, l’identica copia di Peppa, ma la trova tanto noiosa da lasciarla sola. È a scuola che Marcantonio e Peppa si rincontrano e scoprono di piacersi, sotto lo sguardo incredulo di Ada che, con gran sorpresa, esplode di rabbia. Le due gemelle si accorgono, così, di essere diverse da come apparivano: Peppa non è più arrabbiata perché si sente finalmente accettata e Ada non è più noiosa, perché ha imparato ad arrabbiarsi. In questo sottile gioco di apparenze, magistralmente illustrato da Emanuele Olives, Rossana Campo invita a riflettere su un fatto per nulla scontato: “Cosa significa essere buoni, e cosa significa essere cattivi?”.

 

La gemella buona e la gemella cattiva

Rossana Campo

Pagine: 36 Prezzo: 15

Editore Momo

Nella provincia dimenticata, l’arrivo degli Dei egizi non è l’incubo peggiore

Ogni volta che capita di leggere un fumetto della coppia Taddei & Angelini nel lettore si affermano sentimenti contrastanti: da un lato ammirazione per il talento di questi due fumettisti, dall’altra disgusto per quello che raccontano. Perché i loro fumetti sono appiccicosi come carta moschicida, come una maglietta sudaticcia che non si riesce a rimuovere. Il loro ultimo volume, Enrico, ci riporta nel mondo che abbiamo conosciuto con la serie iniziata con Anubi. Una provincia italiana ancora più spietata di quella narrata da Gipi, così indifferente a tutto che anche la comparsa di antiche divinità egizie in cerca di lavoretti non fa alzare alcun sopracciglio. Nella provincia di Marco Taddei e Simone Angelini, uno di Vasto, l’altro di Pescara, si può vivere, morire, drogarsi o cercare riscatto senza che nessuno se ne accorga, senza aiuti, in una versione estrema ma realistica di una società fatta soltanto di individui. Enrico è quel compagno di classe che abbiamo avuto tutti, che a 16 anni è quello ammirato, il più fico del gruppo, a 20 il romantico custode delle trasgressioni giovanili che lui – da solo – continua a riproporre, a 25 è un relitto, a 30 o è sparito dal nostro orizzonte di persone inserite e socializzate oppure è morto, in un vicolo o nel cesso di un bar, dopo l’ultima dose. Il loro precedente lavoro – Quattro vecchi di merda – era forse brillante ma eccessivo fino a diventare illeggibile, con Enrico Taddei & Angelini tornano al loro registro più familiare. Un giorno, quando qualcuno vorrà davvero capire l’innesco di certe mutazioni sotterranee dell’Italia (anche politiche), troverà molto più utili i fumetti di Taddei & Angelini che tutti i talk show degli ultimi dieci anni.

 

Enrico Taddei e Angelini

Pagine: 136

Prezzo: 17

Editore: Coconino Press – Fandango

 

La Milano criminale degli anni Venti, dove i delinquenti sono in camicia nera

Rivive per la seconda volta, grazie alla penna “apocrifa” del bravo Luca Crovi, il commissario Carlo De Vincenzi, personaggio partorito in epoca mussoliniana dallo scrittore antifascista Augusto De Angelis. Il poliziotto è noto come il “poeta del crimine”: “Viviamo nella terra dei Borgia e di Ezzelino da Romano, di Bava Beccaris e Mussolini, quindi il crimine da noi ha davvero le sue canzoni, le sue rime, i suoi cattivi maestri”, dice De Vincenzi. E insieme al commissario, protagonista è la Milano di quei tempi, dove la “milanesità” è ancora un carattere prevalente. Non a caso in questo secondo noir devincenziano, L’ultima canzone del Naviglio, c’è molto dialetto meneghino, con malnatt e pulé che si rincorrono nella lotta tra il bene e il male, ma si rispettano anche in alcuni casi.

A differenzadel primo noir, L’ombra del campione, Crovi accentua la divisione in singoli “quadretti” della narrazione, dove ogni capitolo ha un accurato riferimento storico di fatti e personaggi di quegli anni. Si parte dal fatidico Ventidue dell’ascesa al potere del fascismo e il romanzo si apre con l’inaugurazione dell’autodromo di Monza. È la scoperta di una città invasa dalle automobili e dall’odore della benzina. Così l’amato Naviglio, antica via di comunicazione, viene sopraffatto dalle esigenze dei nuovi mezzi e interrato. I delitti risolti da De Vincenzi hanno sullo sfondo la corruzione del regime di Mussolini. I gerarchi di Milano fanno affari con appalti, coca e bordelli e il commissario riuscirà persino a dare una lezione a sette squadristi in camicia nera, colpevoli anche di aver rubato la bacchetta del maestro Arturo Toscanini.

 

L’ultima canzone del Naviglio

Luca Crovi

Pagine: 236

Prezzo: 18,50

Editore: Rizzoli

Letteratura e amore: due salotti da bruciare

“L’amore realizzato distrugge se stesso. Non c’è vero amore se non nell’impossibilità”. Luca Ricci tira il filo della sua ossessione narrativa quasi fino a un punto di rottura. Gli estivi – fresco di stampa per La nave di Teseo – mette in scena, in una Roma incastrata tra fasto perduto e modernità cafona, lo stesso milieu borghese del precedente Gli autunnali: un intellettuale benestante e disincantato, una moglie viziata e delusa, un’amante giovane e idealizzata. Ricci non smette di scavare, a mani nude e con furia da iconoclasta, nel terreno dei rapporti di coppia. L’io narrante è un funzionario Rai e scrittore di mezza età che davanti al mare del Circeo vive tutta la impotenza creativa e sentimentale. Non riesce più a finire un romanzo e non riesce a essere fedele alla moglie. C’è tutto il cinismo di un uomo a mollo nella sua introspezione, ma è il cinismo di chi ha abusato troppo delle sue illusioni. È la coscienza di un maschio “sprovvisto della Storia”, che convive con le sue scorie, che senza reticenze reputa ogni istante dell’amore cambiali pagate all’oblio “perché dopo ogni saluto, ogni orgasmo, ogni incomprensione, si provava il medesimo scacco, quello di aver perso qualcosa che non sarebbe tornato mai più”. C’è una spudoratezza in questo io narrante che non è solo il rovello del disamore a essere esplorato. Come tagliole ben disseminate, lungo il percorso del romanzo irrompono passaggi feroci sui vizi del microcosmo editoriale. Lo scrittore che parla nel romanzo – con la complicità dialettica del suo editore Lello – incrudelisce sui colleghi per cui “i personaggi sono i tuoi compagni di viaggio, e adesso che il libro è finito mi mancano come persone vere”. Così come il termine “Letteratura” in un sogno diventa parola impronunciabile alle orecchie dei manager assettati di commissari e omicidi di provincia. Con la sentenza “Omero, Dante, e Shakespeare non ne hanno mai frequentata una”, sbertucciate anche le scuole di scrittura. Sferzanti le declinazioni delle tre categorie di scrittori, critici, lettori.

Ecco un’antologia minima: lo scrittore insicuro che fa un giro di telefonate chiedendo a quale corrente letteraria può appartenere, lo scrittore ruffiano che scrive pagine e pagine di ringraziamenti in coda ai suoi romanzi, lo scrittore pompato che invia ai vari giornalisti critici e influencer più libri di quanti possa venderne… il critico parassita che mangia tutta la vita su un unico capolavoro, il critico d’avanguardia che per restare tale sposa la filosofia del like, il critico opportunista che si occupa solo dei libri delle case editrici per cui pubblica anche lui… il lettore ingenuo che si lascia abbindolare dai primi dieci in classifica, il lettore scafato a cui bastano tre righe per giudicare, il lettore vincente che si dedica a un solo libro l’anno: il premio Strega, il lettore scambista che presta i libri che ama, il lettore immaginario a cui basta leggere la quarta di copertina… Si prende un azzardo Luca Ricci in questo ritratto al vetriolo del suo stesso ecosistema ma come si legge ne Gli estivi “l’etica non è distruggere qualcosa lontano da sé, ma qualcosa che si conosce davvero bene, che ci riguarda. Non bisogna fare la morale, bisogna farsela”.

 

Gli estivi

Luca Ricci

Pagine: 229

Prezzo: 18

Editore: La Nave di Teseo

“I Am Not Okay With This”, la parte già vista dell’adolescenza

“Caro diario… Vai a farti fottere”. Comincia così I Am Not Okay With This, il nuovo teen drama di Netflix tratto dall’omonimo fumetto di Charles Forsman (da un’altra sua graphic novel la serie The End Of The F***ing World). Sydney, la protagonista, si presenta come una 17enne che non ha niente di speciale a parte qualche difficoltà a gestire la rabbia. E sarebbe strano il contrario, visto che il padre si è suicidato da poco e per il resto non è che la sua vita proceda granché bene: il rapporto con la madre è parecchio conflittuale mentre la sua migliore amica, Dina, si è fidanzata con l’odioso Brad e non ha più tempo per lei. Ambientata in una piccola cittadina della Pennsylvania, in un presente-passato imprecisato che non prevede gli smartphone, I Am Not Okay With This è una storia di formazione: Sydney perde la verginità, fuma la sua prima canna, va alla sua prima festa del liceo, bacia una ragazza, scopre di avere i superpoteri… Già, i superpoteri. Ogni volta che perde il controllo succede qualcosa di strano: come al supermercato, quando la merce sugli scaffali crolla a terra, o nel bosco, quando la rabbia di Sydney sradica una decina di alberi. Una ragazza in crisi con capacità soprannaturali? Qui la serie entra in un territorio scivoloso. E però riesce a rimanere in piedi, perché i poteri diventano una metafora dei cambiamenti che l’adolescenza impone e degli ostacoli insormontabili che può presentare (“Quando diventerà più facile?”; “Forse c’è qualcosa che non va in me”; “Mi sento diversa ultimamente”).

Il limite di I Am Not Okay With This è semmai quello di sembrare “già vista”. La serie è una specie di cocktail che mixa ingredienti presi da altri titoli. Non solo da The End Of The F***ing World, con cui condivide il regista Jonathan Entwistle, e da Stranger Things, con cui ha due produttori in comune: anche da due film cult degli anni Settanta e Ottanta come Carrie e The Breakfast Club. Il suo punto di forza, invece, sono le interpretazioni della protagonista Sophia Lillis, già vista nei due capitoli di It e in Sharp Objects, e di Wyatt Oleff nella parte dello strampalato vicino di casa Stanley.