Siri: il Mise disse sì a una richiesta del suo banchiere

Talvolta due vicende che magari nulla hanno a che vedere si incrociano per tempi e protagonisti secondo uno scherzo del destino. Forse è il caso di queste due storie sanmarinesi, ma vale la pena di raccontarle entrambe perché sono interessanti anche se non fossero collegate tra loro. Prima storia, inedita: c’è una società di San Marino della famiglia Rossini, la Cartiera Ciacci Spa, che da anni chiede un collegamento diretto alla rete del gas italiana. La Snam Rete Gas, società pubblica italiana, dice di sì ai Rossini prima a giugno 2018 e poi il 5 ottobre 2018, sulla base di due pareri favorevoli emessi a luglio 2018 dal Ministero dello Sviluppo Economico e dall’Autorita di Regolazione dell’Energia, Arera.

Seconda storia, già svelata da Report nel maggio del 2019: c’è una banca di cui è azionista e vicepresidente Emanuele Rossini, la Banca Agricola Commerciale di San Marino, che concede il 16 ottobre del 2018, 11 giorni dopo la lettera con il via libera di Snam alla Cartiera dei Rossini, un prestito da 750 mila euro senza garanzie all’allora sottosegretario alle infrastrutture del governo Conte 1, il senatore leghista Armando Siri. La Procura di Milano sta indagando da più di un anno su Siri per autoriciclaggio dopo che il mutuo in questione (come un altro concesso dalla medesima banca nel 2019 a una società di altri soggetti ma presentata alla BAC dal capo della segreteria di Siri) è stato segnalato dall’Aif l’Autorità antiriclaggio di San Marino.

La storia della Cartiera dei Rossini allo stato non ha nulla a che fare con l’indagine e con il mutuo concesso a Siri ma merita di essere raccontata.

La Cartiera Ciacci Spa è stata rilevata dal Cavalier Ambrogio Rossini, 83 anni, negli anni settanta e ha come amministratore delegato il figlio Emanuele Rossini, 54 anni. Da qualche anno i Rossini vogliono creare un impianto di cogenerazione da 5 MW e hanno bisogno di aumentare il volume del gas da 10 a 18 milioni di metri cubi annuali e soprattutto la pressione fino a 22 bar. Purtroppo la rete di San Marino non va oltre i 2,5 bar. Così nel 2017 e poi il 22 gennaio del 2018 l’amministratore delegato Emanuele Rossini scrive a Snam Rete Gas per chiedere di creare un nuovo punto di connessione tra la rete di San Marino e la rete italiana ad hoc per la cartiera. Arera e il Mise dopo una serie di incontri e telefonate ad aprile del 2018 esprimono in via informale un orientamento favorevole e il 30 aprile Emanuele Rossini riscrive a Snam poiché “il gestore della rete di San Marino AASS ha evidenziato di non poter realizzare un nuovo tratto di linea ad alta pressione… siamo a chiedere a Snam Rete Gas un allaccio alla rete nazionale di trasporto con la realizzazione di un punto di riconsegna”.

Cartiera Ciacci chiede a Snam di fare una condotta di un chilometro in territorio italiano e poi ne restano altri 900 metri in territorio di San Marino più una centrale di riconversione ma ribadisce “la disponibilità a sostenere tutti i costi relativi alla nuova linea”. Snam ad aprile 2018 fa sapere al Mise di essere disponibile a non chiedere ai Rossini il costo stimato di 700 mila euro perché rientra nell’investimento ammissibile secondo le regole in un caso simile.

Il 26 giugno 2018, così, Snam Rete Gas replica con una lettera del vicepresidente Gaetano Mazzitelli che “conferma la disponibilità a procedere al trattamento della richiesta di connessione… secondo le disposizioni previste al capitolo 6 del codice di rete”. Poi si insedia il governo Conte e il 13 giugno 2018 giura anche Armando Siri come sottosegretario alle Infrastrutture. Il 10 luglio 2018 c’è il parere positivo del ministero dello Sviluppo economico firmato dal direttore generale del settore energetico Gilberto Dialuce. Il Mise “tenuto conto dei rapporti di collaborazione in campo energetico” tra Italia e San Marino di cui all’accordo di cooperazione del 2009, “ritiene si possa procedere con la richiesta di connessione assicurando la tutela dei consumatori italiani” sulla base dei limiti che porrà l’Arera. E l’Autorità il 17 luglio dice sì a “condizione che la Cartiera Ciacci si impegni a sottoscrivere un contratto per la messa a disposizione di capacità della durata di 5 anni” e che per il nuovo punto di uscita del gas valgano “le stesse modalità attualmente in vigore”. Alla luce dei pareri il 5 ottobre 2018 Snam Rete Gas “conferma la disponibilità a dar seguito alla richiesta di connessione” chiedendo alla Cartiera Ciacci di fornire “le relative coperture finanziarie”.

Appena 11 giorni dopo, la Banca di San Marino di cui è azionista Emanuele Rossini, amministratore delegato della Cartiera Ciacci, stipula il contratto di mutuo con il sottosegretario Siri.

Poi la Cartiera Ciacci chiede all’Azienda Autonoma dei servizi, la AASS di San Marino, il 12 febbraio 2019 di far fronte alle sue nuove esigenze energetiche e il 28 febbraio 2019 il direttore Raoul Chiaruzzi replica che AASS “è disponibile alla fornitura” ma aggiunge che “tutti gli oneri relativi alla costruzione della linea metanodotto” e anche le opere di presidio e la stazione di riduzione di pressione “saranno a carico del richiedente (…) assoggettato a una tariffa specifica”.

Il Fatto ha chiesto ad Ambrogio Rossini lo stato dell’arte. Il Cavaliere ci ha risposto: “La centrale tra un mese è pronta, manca la linea del gas”. E Armando Siri? “Non lo conosco nemmeno”. Al senatore abbiamo chiesto se si sia mai interessato alle esigenze della Cartiera Ciacci e della famiglia Rossini e ci ha replicato “nulla a che fare con l’ottenimento di alcunché dalla famiglia Rossini” e che la pratica del suo mutuo “è stata istituita dalla Bac di San Marino in modo del tutto autonomo e coerente con la disciplina di settore”. Snam Rete Gas precisa che la società “ha chiesto l’autorizzazione preventiva alle autorità competenti (Arera e Mise), previo impegno del fornitore gas della cartiera a sottoscrivere un contratto di trasporto. L’allacciamento, peraltro, non è stato mai realizzato in quanto l’offerta di allacciamento, tuttora in corso di validità (termine 27 maggio 2020), non è stata ancora accettata. Pertanto al momento non è stato effettuato alcun lavoro per conto della cartiera. Snam ha avuto contatti esclusivamente con il personale della cartiera e in particolare con l’energy manager”.

Il virus ci vede bene: la nemesi comica di Fontana e Lega

C’è una puntata di Black Mirror che parla di un primo ministro britannico e di un maiale. No, qui il maiale non si incrocia con un pipistrello e non c’è un virus mortale, state tranquilli. Accade un fatto più straniante, e cioè che viene rapita la principessa amatissima della famiglia reale e che i rapitori comunicano al mondo che la rilasceranno solo se il primo ministro si accoppierà in diretta tv con un maiale. La tensione cresce, il pubblico da casa è in fibrillazione, i media creano dei corto circuiti imprevedibili. Ecco, io l’altra sera mentre attendevo la famosa diretta Facebook in cui il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana doveva comunicare al Paese se fosse o non fosse positivo al Coronavirus, mi sono sentita dentro quella puntata.

È stato il primo momento sinceramente distopico della mia vita. Ero lì, davanti allo schermo e immaginavo che in quell’attimo tutto potesse succedere: da Fontana che ci diceva “Sono positivo al Coronavirus, ma la mia faccia non è mai stata quella di uno che sta tanto meglio, quindi vado avanti come se niente fosse” a “Sto bene e per dimostrarvelo mi accoppierò con un maiale, ora”, a “Il test è positivo, sono incinto, Salvini ancora lo sa”. Giuro che ero pronta a tutto. E in effetti non sono rimasta delusa. Attilio Fontana ha messo in scena la migliore rappresentazione di se stesso e della Lega, ai tempi del Coronavirus, che si potesse immaginare. Una Lega a cui sta tornando indietro tutto come un boomerang, con gli effetti comici a cui stiamo assistendo.

Dopo una settimana in cui Fontana ne ha avute per tutti e ha recitato con convinzione la parte di quello che “Io sono io e il Coronavirus non è un cazzo”, dopo che ha dato lezioni di contenimento del virus mentre il virus gli entrava dalla finestra e si apriva una lattina di birra, dopo che ha spiegato al governatore della Toscana come si gestiscono le emergenze mentre una sua collaboratrice contagiata gli starnutiva sul foglio delle ordinanze, dopo che dava del “cialtrone” a Conte perché “Ho dovuto reagire per difendere i nostri medici” e intanto il medico che ha visitato la sua stretta collaboratrice ora sarà chiuso nella tuta cerata del Ris, ecco, dopo una settimana di lezioni a tutti, ha fatto la figura di merda che sappiamo. E non è che abbia scelto di arginare la situazione imbarazzante con la sobrietà che sarebbe stata opportuna, magari con un comunicato scarno, con poche righe su Facebook, no, ha messo in piedi quello show surreale con lui in diretta social mentre delle tizie con le mascherine gli passavano dietro, roba che mi aspettavo da un momento all’altro che quelle stesse tizie a un certo punto l’avrebbero portato via saltandogli addosso e poi bloccandolo col bastone da collo dell’accalappiacani come in certi video da Wuhan. E poi quel meraviglioso “La mia collaboratrice ha il Coronavirus ma io per ora no, per cui cari amici possiamo continuare a combattere questa battaglia per continuare a impedire la diffusione di questo virus!”. Che è come dire “Bene, mi sono appena fatto un doppio cheeseburger, possiamo continuare la dieta!”.

Il momento topico, infine, quello in cui Fontana ha voluto regalare al mondo la certezza che il Coronavirus sia intelligente e selettivo e che ha colpito la sua povera collaboratrice ma solo per arrivare a lui. Parlo del momento in cui si è infilato quella mascherina in diretta nazionale, quello in cui noi eravamo lì davanti allo schermo come ipnotizzati assistendo al suo, al nostro suicidio mediatico davanti al mondo. Tra l’altro, come se non fosse tutto già sufficientemente ridicolo, non riusciva neppure a infilarsi la mascherina e alla fine, con la mascherina mezza storta e quei fili che gli penzolavano dall’orecchio, cercava di rassicurare il Paese sembrando l’amico che a Carnevale, alla festa dell’azienda, si maschera da ginecologo per fare battute sceme alle colleghe. Ed è a quel punto che ci si è domandati cosa abbiano fatto di male i lombardi per passare dalla camicie di Formigoni agli occhiali con la montatura colorata alla Mughini di Maroni alla mascherina di Fontana.

Ieri poi, come se non bastasse, è saltato il voto sulla nuova autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini a causa dell’assenza del senatore leghista Luigi Augussori, anche lui in “quarantena volontaria”. A questo va aggiunto che lo stesso Matteo Salvini aveva incontrato a Milano Attilio Fontana il 24 febbraio, per cui se il governatore dovesse “positivizzarsi”, toccheranno tampone e isolamento pure al Capitano.

Ed è così che viene da ridere pensando a questa nemesi virologica per cui la Lega, quella che voleva la Padania, il distacco, l’autonomia dal resto dell’Italia, si sta avviando a ottenere, dopo tante battaglie quello che voleva. A breve, saranno il Sud Italia e il resto del mondo a chiedere la secessione. Arriverà pure il video razzista di Vincenzo De Luca che canta: “Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i padani”. Manca poco, me lo sento.

“Da ieri l’aria è diversa, tutto qui sta al singolo”

Caro Fatto Quotidiano, abito a Fombio, attualmente come ben sapete zona rossa in questi giorni. Ho trent’anni, lavoro in uno studio medico fuori regione, e lasciatemi dire che sono un vostro affezionato lettore della prima ora. Vi contatto in merito alla situazione che io e mia moglie stiamo vivendo qui, in uno dei comuni al centro del focolaio. C’è uno scollamento tra la vita narrata in tv e sulla carta stampata e quanto realmente stiamo vivendo.

La cosa che mi sta più a cuore è menzionare il fatto che nessuno ha creato una zona di quarantena per tutelare le categorie più deboli come indigenti o anziani. Io e mia moglie ne facciamo parte in quanto lei ha una malattia pregressa che le ha dato una disabilità al 70%, mentre io soffro di anoressia: siamo persone già esposte a rischi in una situazione normale, figuriamoci ora.

Fino a domenica sera, di fatto, senza check-point né sicurezza sarei potuto andare ovunque. Muovermi. Spostarmi di regione. La polizia e i vigili che si trovano oggi a sorvegliare solo i punti di accesso principali – peccato che qui le vie di campagna permettano benissimo la “fuga”, come già sta succedendo – non sono preparati nemmeno su cosa prevedano le circolari emesse dal ministero, figurarsi sul protocollo da seguire per un’allerta sanitaria. In alcuni casi si allontanano pure per rispondere, se non si indossano le mascherine.

Tutto è stato affidato solo al senso di responsabilità civile del singolo. Da lunedì mattina si sono fermate code interminabili davanti ai supermercati. Ne hanno parlato tutti i media. Ma era inevitabile che si creassero assembramenti di persone. Quello che però nessuno racconta è che chi non indossa la mascherina viene allontanato dalla folla con frasi o gesti offensivi. Io e mia moglie siamo stati bullizzati perché senza mascherina. Ma le farmacie erano tutte chiuse. Le mascherine erano terminate. Cosa avremmo dovuto fare? Ieri siamo tornati a fare la spesa. Abbiamo deciso di telefonare al numero verde della Regione Lombardia: ci hanno risposto che, pur trovandoci nella zona rossa, non è obbligatorio indossare la mascherina. Eppure in uno dei supermercati dove ci siamo recati non siamo stati fatti entrare. Molti bancomat non hanno più contante e alcune pompe di benzina il carburante.

Le strade non sono deserte, semmai poco frequentate dalle auto. È un po’ come se fosse il primo di gennaio. La gente fa jogging, esce in bici, legge sulle panchine, gioca a basket. Insomma vive all’aria aperta: è l’unica cosa che ci rimane per svagarci e non pensare che ci hanno confinato in una zona che, ogni giorno, si fa sempre più stretta. Ieri, forse, è stata la prima giornata diversa, da quando venerdì è scoppiata la notizia di Codogno. Pensare che, quel venerdì mattina, mia moglie si trovava proprio all’ospedale di Codogno per fare delle analisi. Avevamo sentito alla radio del primo contagiato, ma nessuno immaginava fosse stato in ospedale. Nemmeno le infermiere!

Casa mia a Fombio dista nemmeno due chilometri dall’ospedale di Codogno, e ieri passando in bici lì vicino ho visto per la prima volta che ha riaperto il Cup e il laboratorio di analisi: l’ingresso non è più vietato.

Paura non ne abbiamo, non l’abbiamo mai avuta. Ma è il senso di precarietà, di incertezza che spaventa. Anche perché la sensazione è che, anche sulla base delle misure che prendono, si viva un po’ alla giornata. Nei giorni scorsi più passava il tempo, più ci siamo sentiti abbandonati. Non dallo Stato, ma da tutto il resto di questo Paese a cui sta più a cuore che si giochi il derby d’Italia, nonostante tutto.

Vi leggo da anni perché parlate al cuore della gente, spero che possiate essere una delle nostre voci.

Caccia al virus: obiettivo mappa degli spostamenti

Spostamenti sul territorio e identità. Non stiamo parlando di pericolosi latitanti. Eppure oggi medici e ricercatori alle prese con la nuova epidemia indossano gli inediti panni di cacciatori di virus. Già perché al di là dell’emergenza sanitaria che da una settimana ha colpito il Nord Italia, ora una delle priorità è comprendere i mutamenti del Covid-19 e i suoi spostamenti in particolare dalla Lombardia al Veneto. Allo studio è infatti l’ipotesi di un collegamento diretto tra i due focolai, quello piccolo di Vo’ Euganeo in provincia di Padova e il più grande d’Europa compreso nell’area del basso lodigiano. Walter Ricciardi rappresentante italiano dell’Oms e consulente del ministero della Salute ieri ha spiegato: “L’Italia ha un focolaio e mezzo per il Coronavirus: quello originale è nella Bassa Lombardia e poi ce ne è uno più piccolo in Veneto che siamo riusciti a ricondurre al focolaio lombardo”.

Ma più che una certezza è un’ipotesi concreta. Il ceppo italiano è stato identificato ieri, anche se già da una settimana la sua carta identità era ben chiara agli esperti dell’ospedale Sacco di Milano. E cioé da quando all’ospedale di Codogno, erano le 21 di giovedì scorso, un 38enne è diventato il paziente indice o paziente 1. Fissata l’identità, ora si studiano i mutamenti attraverso la filogenesi dei vari campioni isolati dai pazienti risultati positivi dopo un doppio check tra tampone e contro-analisi dell’Istituto superiore della sanità. Ecco allora come inizia la caccia agli spostamenti. In sostanza vengono confrontati tra loro i vari genomi identificati sui campioni sia lombardi sia veneti. In questo modo si crea una mappa degli spostamenti del Covid-19.

Le mutazioni, se pur minime, rappresentano i punti da seguire. È questo tipo di lavoro che conferma l’ipotesi di Ricciardi. La mappatura, infatti, sarà in grado, tra meno di due settimane, di chiarire con certezza se e come il virus isolato a Codogno si è spostato in Veneto. Parallelo corre poi il lavoro dell’unità dell’Ats di Milano che ancora sta lavorando in collaborazione con l’unità di crisi della Regione alla scoperta del paziente zero. Anche qua l’inseguimento è h 24.

Insomma la caccia continua. Tanto più che l’identificazione sarà utile anche per comprendere dove e in che modo il virus si è diffuso. Allo stato si è compreso che un volano è l’ambito ospedaliero. In Lombardia sono tre le strutture nel mirino: Codogno, Cremona e Alzano Lombardo (Bergamo). Nel primo, come ormai noto, è stato ricoverato il paziente indice. Qui la sua presenza, secondo un’indagine conoscitiva della procura di Lodi, avrebbe prodotto altri contagi per alcune presunte falle della struttura. Situazione non simile ma certamente di allarme quella all’ospedale di Cremona. In questa provincia, secondo gli ultimi dati, i positivi sono 91. Di questi, attualmente, 60 sono ricoverati, 18 risultano gravi e 7 in terapia intensiva. Tre di loro sono stati spostati in strutture del Milanese. Il sindaco di Stagno Lombardo, un comune della provincia, è da ieri in quarantena. E poi c’è l’area della bassa Valseriana colpita da almeno 11 casi positivi a Nembro e dai decessi, nei giorni scorsi, di 3 anziani. Tutti erano passati per il pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo. Il caso della Valseriana è monitorato dalla Regione che però ieri ha escluso la possibilità di una nuova zona rossa.

L’ultimo allarme poi arriva da Milano. Qui mercoledì un anestesista dell’ospedale San Paolo si è sentito male ed è risultato positivo al Covid-19. Nel frattempo i cittadini nella zona rossa da ieri hanno avuto una buona notizia. Il presidente della Regione Attilio Fontana ha annunciato che oggi arriveranno in Lombardia 4 milioni di mascherine FFp2 che subito saranno distribuite dalla Protezione civile. La conferenza stampa di ieri in Regione è stata la prima dopo la scoperta del paziente 1 tra i dipendenti del Pirellone. Come annunciato mercoledì da Fontana, si tratta di una sua stretta collaboratrice che ha spiegato: “Ho il virus ma al momento non ho nemmeno la febbre”. Fontana ha partecipato alla conferenza con un collegamento video dal suo ufficio dove è apparso senza mascherina. Al momento lavora e dorme lì. A ieri, infine, le cifre lombarde comunicate dall’assessore alla Sanità Giulio Gallera recitavano: 403 casi positivi, 216 ricoveri e 40 pazienti guariti. Intanto il Duomo di Milano da oggi tornerà aperto al pubblico.

Codogno, gli infermieri richiamati al lavoro: “Chissà se siamo infetti”

Erano di turno nell’ospedale di Codogno nella settimana in cui nella struttura è stato trattato il “paziente 1” e sono venuti in contatto con diversi infetti accertati. Per molti di loro ieri il risultato del tampone a cui sono stati sottoposti per verificare che non si siano ammalati di Covid-19 non era ancora arrivato. Ma molti erano al lavoro in questi giorni, senza aver ancora saputo se avevano contratto il virus o meno.

Lo chiameremo Mario, lo definiremo infermiere ma la sua storia è quella di molti altri colleghi tra medici e operatori sociosanitari. Secondo il buon senso, ieri non avrebbe dovuto essere in corsia. Perché Mario è tra gli almeno 30 operatori sanitari dell’ospedale di Codogno messi in quarantena dopo essere entrati in contatto con pazienti risultati infetti dal coronavirus. L’uomo, infatti, il 16 febbraio era in servizio all’Ospedale Civico del paesino del Lodigiano considerato tra i focolai del coronavirus nel Nord Italia: in serata, quando Mattia, il 38enne ritenuto il “caso 1” dell’infezione, entra nella struttura di viale Guglielmo Marconi 1 con i sintomi del virus, era di turno. Lo era anche giovedì 20, quando ha assistito un anziano poi trasferito nella notte a Lodi e trovato positivo.

Per questi motivi Mario è stato posto in quarantena il 21 febbraio e sottoposto a tampone nel weekend, probabilmente nella giornata di domenica. La stessa procedura, prevista dai protocolli, è stata applicata almeno a un’altra trentina di dipendenti del Civico di Codogno – medici, infermieri e operatori socio-sanitari – venuti in contatto con pazienti infetti. I risultati dei test elaborati dal Sacco di Milano sono cominciati ad arrivare nel primissimo pomeriggio di ieri. Alle 16 la Direzione sanitaria del Civico ne aveva comunicati sicuramente tre e quello di Mario non era tra questi. A quell’ora però l’infermiere era di turno in un ospedale della zona: aveva attaccato alle 14. “Ora non posso rispondere – dice al telefono raggiunto dal Fatto – sono in reparto, stacco stasera alle 22, 30. Chiami a quell’ora”.

La cronaca racconta che almeno due degli operatori che hanno trattato il 38enne Mattia si sono ammalati: sono i due anestesisti della terapia intensiva che nella notte tra il 18 e il 19 lo avevano intubato. Alcuni dei dipendenti in servizio nella settimana in cui per la struttura di Codogno sono passati diversi casi infetti sono stati trovati positivi. A Mario il risultato non è stato comunicato neanche dopo la telefonata del Fatto. E una cosa è certa: all’uomo è stato chiesto di tornare al lavoro senza che il risultato del suo test fosse arrivato e prima che fosse finito il suo periodo di quarantena: alla scadenza dei 14 giorni mancava un’altra settimana.

Ieri i pochi risultati arrivati dal Sacco sono stati comunicati per telefono o sulla mail interna, ma a neanche in serata a Mario erano arrivate comunicazioni. Al cronista risulta che è stata la Direzione sanitaria dell’ospedale di Codogno a chiedere al dipendente di tornare al lavoro nonostante il risultato del tampone non fosse ancora arrivato. È il risultato di una direttiva della Azienda socio-sanitaria territoriale, che ha chiesto al personale che non presenta i sintomi di tornare al lavoro prima ancora di conoscere i risultati dei tamponi.

Un controsenso, in base alla logica comune in un Paese in cui Covid-19 si è diffuso silenziosamente in pochi giorni. La vicenda si svolge nel pieno della zona rossa, un’area da 50mila persone blindata perché considerata epicentro del focolaio nell’Italia del Nord: uomini delle forze dell’ordine presidiano strade e incroci per far sì che nessuno possa uscire. Però un infermiere dell’ospedale di Codogno, struttura già finita al centro delle polemiche con l’accusa di non aver rispettato appieno tutti i protocolli e sul quale la Procura di Lodi ha aperto un’inchiesta conoscitiva, in attesa di capire se è infetto, viene richiamato al lavoro in una struttura dell’area con il rischio che abbia il coronavirus e possa contagiare qualcuno. “Non so di cosa sta parlando – ha risposto contattato dal Fatto Andrea Filippin, direttore sanitario del nosocomio – senta il direttore generale, perché io mi occupo dell’ospedale di Codogno”. Appunto. “Un infermiere? Allora deve parlare con il responsabile dell’ufficio infermieristico. Buona giornata”. E ha messo giù il telefono.

Una storia nella storia. La maggior parte dei circa 30 operatori posti in quarantena ieri pomeriggio aspettavano ancora i risultati del test effettuato domenica: quattro giorni di attesa. Mercoledì l’esame che ha escluso la positività del governatore Attilio Fontana – entrato in contatto con una collaboratrice risultata positiva – è arrivato nel giro di poche ore.

La profezia dei big data: “Metà dei casi è nascosta”

L’epidemia da Coronavirus è destinata a raggiungere una diffusione mondiale e attualmente, in Italia, potrebbero esserci già quasi 800 contagiati, invece che i circa 470 diagnosticati: i dati arrivano dall’epidemiologia computazionale, uno strumento all’avanguardia per prevedere, e quindi limitare, i danni che un agente infettivo, specie se sconosciuto, può causare. Si basa su equazioni stocastiche – cioè probabilistiche – per descrivere e prevedere l’evoluzione di fenomeni complessi, in modo simile alla scienza delle previsioni meteorologiche.

Uno dei modelli più affidabili in tale ambito – specie per il Coronavirus-19, di cui si sa pochissimo – è il Gleam (Global Epidemic and Mobility Model) di Alessandro Vespignani, fisico dei sistemi complessi, direttore del Network Science Institute della Northeastern University di Boston (Usa). Il suo approccio è stato utilizzato con successo nel caso di epidemie come Ebola, aviaria, suina e influenze stagionali, con previsioni che si sono rivelate corrette. Oggi, il suo gruppo sta elaborando i possibili scenari per l’epidemia di Coronavirus-19. Lavorano a un ritmo frenetico, considerato che ogni giorno il numero di contagi e quello di Paesi in cui vengono scoperti nuovi casi aumenta e cambiano le misure di contenimento. Le informazioni vengono inserite costantemente nel modello probabilistico che si basa su dati reali della popolazione mondiale e della sua mobilità nonché sui modelli probabilistici di trasmissione delle epidemie sempre aggiornati. Gli oltre 7 miliardi di abitanti del pianeta sono suddivisi in 3 mila caselle, cioè 3 mila sotto-popolazioni. Per ogni casella si studiano tutti gli spostamenti reali (in aereo, treno, automobile) degli abitanti e le “caselle” a cui si connettono. In base al numero di contagiati, dei presunti infetti non sintomatici (il cui numero è sconosciuto), di immunizzati (perché guariti) e delle persone suscettibili al virus presenti in ogni “casella”, si osserva lungo quali traiettorie il virus si sposterà e come la popolazione di ogni altra casella collegata reagirà in base alle caratteristiche di suscettibilità. Vespignani spiega perché ad oggi in Italia sono stati diagnosticati 470 casi, mentre secondo il suo modello potrebbero essercene almeno 750.

“La differenza dipende dalla frazione di positivi al virus ma non visibili, il cui numero è sconosciuto”. Un aspetto che indica quanto sia importante lo sforzo di ricostruire le catene di contagio a partire dai casi già diagnosticati: “Ci permette di individuare il reale numero di infetti e ricostruire, attraverso i dati di mobilità, le traiettorie di diffusione del virus”. Basandosi sui dati ufficiali e sugli studi di altri colleghi, il gruppo di Boston ipotizza che i casi di infetti “visibili” – cioè diagnosticati – siano in realtà solo il 40% dei positivi effettivi. È plausibile che esista un altro 60% di “invisibili”, perché asintomatici o con sintomi lievi. Il loro numero è la grossa incertezza che virologi e decisori politici di tutto il mondo si trovano a dover affrontare. Da questa ipotesi e “dal numero di contagi che si scoprono via via in altri Paesi europei – dovuti presumibilmente al contatto di persone infette provenienti dall’Italia – che si riesce a stimare quanti casi positivi, sintomatici e non, ci sono realmente nel nostro Paese”, aggiunge Matteo Chinazzi, ricercatore del gruppo. Il fatto di aver scoperto un certo numero di infetti in Spagna e in altri Paesi europei, permette di inferire — sulla base dei dati della mobilità — che in Italia ci siano almeno 750 persone positive al virus in questo momento.

Su questa base, da un lato il modello suggerisce che la misura più efficace per contenere l’epidemia, per ora, è ricostruire le catene di trasmissione; dall’altro permette di stimare la reale efficacia di riduzione del contagio delle misure di contenimento finora implementate. Ad esempio, la chiusura di aeroporti nell’area di Wuhan in Cina non mostra un effetto significativo sul contenimento della diffusione del virus. Stesso discorso se si impedisse la circolazione da e verso l’Italia. “ È troppo tardi – spiega Vespignani –. Quel tipo di misura sarebbe efficace se si potesse implementare nel momento in cui avvengono i primi contagi, e non quando vengono scoperti (il modello di Vespignani indica che l’effettiva data di inizio dell’epidemia di Wuhan sia a novembre 2019, mentre l’allarme è stato lanciato il 7 gennaio 2020). Nel momento in cui la sorveglianza nazionale di un paese intercetta un’epidemia causata da un virus sconosciuto, i casi di infezione sono già molti di più di quelli che si riescono a vedere e stanno già circolando ovunque. Chiudere i confini non ha più senso. Al contrario, potrebbe causare problemi enormi per la società. Per questo le misure di contenimento vanno valutate tenendo conto di entrambi gli aspetti.

Controlli soft e paure: il mondo a un passo dalla pandemia

Un potenziale pandemico”: il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ieri ha mostrato ai media il bastone e la carota, ha detto che “la diffusione in Iran, Italia e Corea del Sud mostra di cosa è capace il virus” e poi ha rilevato che, comunque, “può essere contenuto”. Una lettura sostenuta dall’eterogeneità di ciò che sta accadendo nel mondo, e che proviamo a raccontarvi, tra nuovi focolai e rallentamento dei contagi nelle zone più critiche.

 

Per il Regno Unito il rischio passa da “basso” a “moderato”

Nessun assalto ai supermercati o rialzo dei prezzi di mascherine e gel disinfettanti, ma le autorità hanno cambiato il rischio da “basso” a “moderato”. Su 66 milioni di abitanti, 7.690 sono stati sottoposti a test. Niente controlli in aeroporto ma raccomandazioni, rilanciate pure da alcune scuole, luoghi di lavoro, palestre e farmacie: se, negli ultimi 14 giorni, si è stati nella provincia cinese dell’Hubei, in Iran o nelle zone rosse del Nord Italia e della Corea del Sud, anche in mancanza di sintomi va chiamato il supporto sanitario online. Evitare ospedali, studi medici e contatti con altre persone. Lo stesso in presenza di sintomi, anche lievi, se si è stati in Cina, Corea del Sud, Hong Kong, Giappone e in altri Paesi considerati critici, incluse le regioni italiane a nord di Pisa, Firenze e Rimini.

 

Usa, Wall Street non crede alla strategia di Trump

Negli Usa, Wall Street non crede all’efficacia della strategia di contenimento di Trump e continua a chiudere in rosso. Il presidente ha nominato il suo vice Pence “zar anti-contagio” ma gli scienziati che denunciano i rischi del contagio ricevono attacchi online. Restrittivi – troppo, almeno per i medici della California – i criteri dei controlli. Un paziente che non rientrava nei parametri federali non è stato sottoposto al test per giorni, nonostante i dottori sospettassero il contagio fin dal ricovero al Davis Medical Center della University of California e avessero chiesto di effettuarli. Il paziente era stato trasferito da un altro ospedale. Secondo il Cdc, il Centro di Atlanta per il controllo e la prevenzione, il paziente, che è poi risultato positivo, sarebbe la prima persona infettata negli Usa senza provenire dall’Asia: potrebbe avere contratto il virus da un viaggiatore oppure – e sarebbe più allarmante – da altri membri della sua comunità. Fino a ieri, il Cdc ha limitato i test ai pazienti che sono stati di recente in Cina o che hanno avuto contatti con persone sicuramente infette.

 

Francia, 108 ospedali preparati all’emergenza

“L’epidemia si avvicina, la affronteremo al meglio”, ha detto il presidente Macron in visita all’ospedale Pitié-Salpêtrière a Parigi, uno dei 108 abilitati per affrontare l’emergenza e dove da mesi i medici denunciano le carenze del sistema sanitario. I casi di contagio accertati ieri erano 38. È lo “stadio 1” di propagazione, ha precisato il premier Philippe, con casi localizzati e virus non circolante. Ma cresce la preoccupazione nell’Oise, regione del nord di cui era originario l’insegnante deceduto e dove è ricoverato in condizioni gravi un 55enne: nessuno dei due era tornato da una “zona rossa”. E mentre si cerca il “paziente zero” con un piano apposito, sono state ordinate 200 milioni di mascherine. A Parigi è stata attivata una “cellula di crisi” e se la Francia non “chiude” le frontiere, sconsiglia di viaggiare nelle zone a rischio. Ci sono team medici negli aeroporti. I bambini di rientro dalle “zone rosse”, comprese Veneto e Lombardia, non devono andare a scuola per 14 giorni.

 

Germania, raccolta dati sui turisti nelle zone rosse

“Per il momento il virus non è ancora fuori controllo”, dice il responsabile del Robert Koch Institut di Berlino. In Germania ieri erano 24 i nuovi casi accertati, mentre è stato dimesso il 14esimo paziente bavarese infettato nel primo contagio che ha coinvolto l’azienda Webasto, vicino Monaco. Soltanto un 47enne del Nordereno Westfalia è in gravi condizioni, ma soffriva di patologie pregresse. Tra i positivi al virus c’è un medico di Mönchengladbach che ha avuto contatto con 12 pazienti, un numero imprecisato di collaboratori ed era stato a una festa di carnevale con circa 300 persone. Due casi in Baden-Württemberg hanno invece a che fare con l’Italia: un 23enne di Goeppingen era tornato dal Nord Italia, e un uomo di 32 anni era stato a Codogno con la famiglia. Tra le misure comunicate dai ministri (Interni e Salute) c’è la raccolta dati dei viaggiatori da Cina, Corea, Giappone, Iran e Italia.

 

L’ottimismo cinese da 76 milioni di mascherine

In Cina intanto rallenta il numero dei contagi, superati secondo le stime dell’Oms, da quelli nel resto del mondo. Le fabbriche di mascherine lavorano a pieno ritmo per produrne 76 milioni al giorno, il governo aumenterà i prestiti alle imprese impegnate a contenere l’epidemia (arrivati a 135,8 miliardi di dollari) e prevede che il focolaio sarà sotto controllo entro fine aprile.

 

Il paziente 31 in Corea. Le recidive in Giappone

La Corea del Sud ha registrato un boom: ieri si parlava di una impennata di 505 nuovi casi in un giorno per un totale di 1.766 (13 morti). Un grafico della Reuters mostra come il picco sia stato dovuto al cosiddetto “paziente 31” che per giorni ha vagato tra chiese, locali e pronto soccorso nell’area della città di Daegu. In Giappone il governo ha suggerito la chiusura fino a fine marzo di tutte le scuole e ieri è stata confermata l’ottava morte. Tokyo ha chiesto alle aziende di concedere ai lavoratori orari flessibili e lavoro da casa. C’è stato anche il primo caso di recidiva, una 40enne positiva al Coronavirus per la seconda volta in un mese. Essendo una guida turistica aveva lavorato per dei turisti provenienti da Wuhan: era stata ricoverata perché contagiata e il 6 febbraio era stata dimessa.

Il Tar riapre le scuole nelle Marche. Ceriscioli le richiude (fino a domani)

Il circo politico del coronavirus è in città e non ha intenzione di smobilitare. L’acrobata, diciamo così, al centro della scena adesso è il presidente delle Marche Luca Ceriscioli, che ieri si è esibito in un numero davvero fuori dall’ordinario. Com’è noto il nostro martedì pomeriggio – smentendo il piano nazionale del governo dopo averlo approvato in una riunione della mattina – ha firmato un’ordinanza con cui chiude le scuole e le università della sua Regione e vieta ogni manifestazione pubblica fino al 4 marzo.

L’esecutivo ha subito impugnato quel provvedimento giudicandolo senza basi giuridiche e del tutto sproporzionato visto che nelle Marche non c’era alcun contagiato (ora sarebbero 6, ma senza un cluster autonomo). Il Tar delle Marche, a cui intanto era stato chiesto di sospendere l’ordinanza, ieri ha dato ragione al governo: il provvedimento non ha basi giuridiche ed è sproporzionato, anche se – scrive il giudice – “al mutare della situazione di fatto consegue la possibilità, per il governo e per la regione, di emettere i provvedimenti consentiti” dal decreto 6/2020 sull’emergenza coronavirus (tra cui però, a leggere la sentenza, non c’è per i governatori la chiusura delle scuole). E qui arriva il volteggio a sorpresa di Ceriscioli: la firma a sera di una seconda ordinanza, motivata dai sei contagi scoperti in questi due giorni, che conferma la prima, ma solo fino a sabato 29 febbraio (uno sconticino sull’auto-quarantena).

Un colpo di scena che allontana di nuovo una gestione ordinata e omogenea della crisi, che – va ricordato – non c’è anche per colpa del governo, che all’inizio ha lasciato fare, quando non spinto, le Regioni che hanno scelto la strada di norme emergenziali ed estemporanee: non solo Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto hanno infatti chiuso scuole e università (Zaia però le riaprirà lunedì), ma pure Piemonte, Liguria, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia (a non dire della “sanificazione straordinaria” a Napoli, Palermo e Catania). Le Marche sono arrivate ultime, ma non volevano essere escluse dallo show, nonostante il governo avesse cambiato linea, spaventato per l’immagine dell’Italia all’estero e dagli effetti sull’economia di una serrata prolungata. Va appena ricordato che Ceriscioli è l’unico governatore dem ad aver scelto questa strada: adesso ha capito che non sarà lui, quando a maggio le Marche voteranno per le regionali, il candidato del Pd. Ieri, fatta la frittata, si è ritirato dalla corsa lanciando al suo posto il sindaco di Senigallia Mangialardi.

“Mai con Renzi, un imboscato che teme il voto”

Come dice Altan: siamo pienamente sotto il controllo della situazione.

Meraviglioso. Ha visto Conte che figuraccia?

Lei, Giorgia Meloni, dall’opposizione si gode il teatro.

Voleva cavalcare il virus ma per troppa foga, dal momento che è un neofita, si è fatto disarcionare dall’epidemia. Con quel maglioncino da combattimento si fa inquadrare nella sala della Protezione civile per dare l’idea dell’unico uomo al comando nell’emergenza nazionale. Nel giorno della disgraziata novità passa in rassegna tutte le televisioni, e fa salire così altra ansia. Non gli basta. Passa un giorno, poi un altro e, per vendicarsi di Salvini, si mette a sparare sull’ospedale di Codogno. Una dichiarazione fuori misura, che fa fare all’Italia una figura barbina.

Il leghista Fontana con la mascherina da Batman non è stato da meno. Con una mossa da kamikaze ha fatto fuori nei dieci secondi di un video scellerato la Lombardia laboriosa e seria.

Un peccato veniale. Tanta ingenuità e poco altro.

Salvini la chiama al governo di unità nazionale.

Matteo ha mille doti, alcune anche nascoste. È così imprevedibile, ipercinetico… Non so cosa abbia detto a Mattarella. Ma io sono tradizionalista: il nuovo governo passa per le urne.

Così fa un favore a Conte.

Conte non lo digerisco, è un pericolo per l’Italia. Ciò detto…

Renzi le fa venire ancora più i brividi.

Gioca a nascondino dietro le colonne di questo Palazzo. È un imboscato, ha bisogno delle mura, deve stare coperto. Se andassimo al voto lui cadrebbe, puf, per terra.

In tempi di coronavirus stare all’opposizione è un bel vantaggio.

Si sta un pochino più comodi, vero. Ma la politica ha queste regole. E stare al governo significa anche navigare tra le onde emotive, gestire aspettative spesso contraddittorie.

Tre giorni fa tutti per la quarantena. Tre giorni dopo tutti a piangere per i costi della quarantena.

Fare politica è come giocare a poker. Deve aiutarti la fortuna e anche la prudenza. Se Conte non avesse esagerato, per esempio, avrebbe fatto la buona figura del suo ministro, Roberto Speranza. Si è tenuto cauto, ha detto anche ovvietà ma con eleganza, ha tenuto i contatti col Parlamento. Che gli vuoi rimproverare?

Giorgia, lei rompe le uova nel paniere anche di Forza Italia.

Io dico quel che penso. No a Conte, no all’inciucio. Mi ripeto. La sto annoiando?

Gira come una trottola per tv e radio anche lei. Siete tutti bulimici voi politici.

Cerco di parlare il giusto, mi presento in media una volta sola alla settimana in un talk show. Se ci sono emergenze devo fare di più. Per questo sto qui con lei anche se sono stanca.

Infatti è palliduccia.

Lo so, mi guardo allo specchio e mi dico: mamma che pallore. Merito della dieta chetogenica.

Quella che vendono di notte in tv?

Ma no, è una dieta validata da fior di nutrizionisti. Si aboliscono per un periodo carboidrati e grassi. Totalmente.

Dimagrisce, però – mannaggia – impallidisce anche.

Ho un metabolismo sleale. È il mio acerrimo avversario.

Vuole andare al governo più snella. L’abbiamo vista negli Usa, la Rai già l’ha consegnata tra i nuovi potenti.

Soffriamo di provincialismo e ci sottostimiamo. E il viaggio, se fatto in Usa, diviene subito la fine del mondo.

Fa pure la dispiaciuta?

Affatto. Ci vado perchè è mio obbligo intessere relazioni internazionali con Paesi storicamente amici. Le curo anche in previsione di un futuro, non lontano, al governo del Paese.

Infatti l’ha capito pure Salvini che lei vuole andare a comandare.

Voglio governare non comandare.

E se intanto facesse un giro di prova insieme a Renzi?

Con Renzi no, mai.

Almeno ha compreso la lezione del virus? Se ne stava tranquillamente a passeggio nel lodigiano e lei lo cercava tra i cinesi. Il sovranismo è un effetto ottico.

Quando ti trovi nei guai, come ora, nessuno ti aiuta. Devi far conto sulle tue sole forze. Ha visto l’Europa? Essere sovrani serve a stare in piedi nel mondo.

I due Mattei contagiosi. Caro Draghi, attento al rischio padulo-virus

Mario Draghi non ha certamente bisogno dei nostri consigli, ma per la stima universale da cui è circondato sappia che trepidiamo fortemente per la sua persona. Soprattutto dopo aver letto sul giornale collettivo che i due Mattei stanno pensando di proporgli la guida di un “governissimo” per “unirsi e lavorare a misure straordinarie” (Renzi), poiché “se va via Conte la Lega c’è per accompagnare il Paese al voto” (Salvini). L’ex presidente della Bce, dunque, vive sotto la minaccia di un morbo, il virus bidone (volgarmente detto padulo), ancora più nefasto del Covid-19. Confezionato, si sospetta, nel laboratorio di Denis Verdini (la ricetta prevede la sintesi di massicce dosi di sciacallaggio, fake news e demenzialità) esso attacca direttamente la reputazione di chiunque abbia la disgrazia anche soltanto di porgere l’orecchio alle profferte della micidiale coppia. Per poi, con un contagio esponenziale, azzerare le residue difese immunitarie dell’intera nazione. Quindi, gentile professore, per favore ci ascolti, si barrichi in casa, non risponda al telefono, s’imbavagli, si tappi le orecchie, si nasconda in un armadio o sotto il letto. Proceda a colpi di querele e di pesanti richieste di risarcimento nel caso i suddetti untori continuassero a usare il suo rispettato cognome per propagare l’infezione.

Della malattia si conoscono tre stadi. Con il primo (detto dell’Allarme), quello più insidioso, si propala l’idea del Paese sull’orlo della catastrofe, in totale emergenza sanitaria, economica e sociale, isolato dal resto del mondo, nello sbando più completo per colpa di un governucolo fragile, macilento, inetto, guidato si fa per dire da un premier incapace, pasticcione e indeciso a tutto. Ed ecco che incurante della drammatica epidemia che ha colpito l’Italia, subito Matteo detto Il chimico (Renzi) propina all’informazione unica la formula magica chetuttorisolverà. Intruglio di cui conosceremo solo le prodigiose etichette: governo di tutti, anzi di unità nazionale, anzi di larghissime intese, anzi di salute pubblica, anzi e mi voglio rovinare, un supergovernissimo coi controfiocchi. Quindi entra in scena Matteo detto il compare (Salvini) che come tutti gli imbonitori all’inizio fa le smorfie e frigna che la pozione gli fa schifo salvo poi assaggiarla e decantarne il gusto sopraffino. Segue fanfara di giornaloni e talk che diffondono a palla i nomi delle illustrissime personalità che salveranno l’Italia, un vera leccornia sormontata dalla ciliegiona Mario Draghi. Che se per caso si rendesse indisponibile ci sarebbe pur sempre l’autorevole Marta Cartabia, presidente della Consulta (che è pure donna). Segue la lista dei Migliori: giuristi ottuagenari per tutte le stagioni, ex cattedratici con un piede nella fossa, cinti erniari dei poteri forti: la mejo gioventù insomma. Con la sola certezza che l’Economia sarà affidata al leghista Giancarlo Giorgetti, che sa far di conto e spiega le tabelline a Salvini. In genere i predetti sono all’oscuro di tutto, ma che importanza ha? Venghino signori venghino. Giunto al secondo stadio (Gran Casino) il virus bidone esplode in tutta la sua tossicità. Nella campagna elettorale permanente i partitissimi del governissimo inizieranno ovviamente a scannarsi. Una volta liquidato l’odiato Conte, il Matteo Due brigherà per andare di corsa alle urne, eventualità inaccettabile per il Matteo Uno, il feretro di Iv e congiunti al seguito. Superfluo aggiungere che con una simile banda del tutto e il contrario di tutto, la gestione per esempio del Coronavirus sarebbe stata più agghiacciante della Notte dei morti viventi. Inevitabile che giunto all’ultimo stadio il virus avrà fatto una sola vittima: il prestigioso presidentissimo che da venerato maestro verrà retrocesso a grandissimo coglione.

Caro Draghi, se non crede all’esistenza del virus padulo si fidi almeno di Vittorio Feltri, collega quanto mai beffardo e burlone, un vero campione nell’arte della presa per i fondelli. Che infatti così titola il suo editoriale di mercoledì: “Serve un esecutivo istituzionale, subito. Un toccasana per il Paese”. Detto da lui, da scompisciarsi dalle risate. Perciò, gentile professore, dia retta a chi le vuole bene: scompaia, si volatilizzi, vada su Marte ma non si faccia trovare.