Carnevale insanguinato. Auto sulla parata: 30 feriti

“Sentirete parlare di me sui giornali”. È questo che avrebbe detto a una vicina di casa nei giorni scorsi il tedesco di 29 anni che è piombato sulla folla durante un corteo di Carnevale nel piccolo centro di Volkmarsen, a trenta chilometri da Kassel in Germania, provocando trenta feriti di cui 7 in gravi condizioni, a quanto riferisce secondo l’emittente tedesca Nt-v.

Si è lanciato sul corteo “intenzionalmente” ha ripetuto la polizia. Dopo aver travolto le transenne intorno alle 14:45 di ieri, l’uomo a bordo di una Mercedes ha dato gas puntando dritto sul corteo di carnevale, riferiscono testimonianze sul posto.

Nessuna misura di protezione particolare proteggeva la parata del Rosenmontag (il Lunedì delle rose), la giornata culminante del Carnevale in Assia. Nessun piloncino di cemento, come ormai si usa fare ogni Natale nelle grandi città tedesche per proteggere i mercatini natalizi dopo la strage di Berlino del 2016. Il Lunedì delle rose a Volkmarsen è noto nella zona per essere un corteo per famiglie, frequentato da tanti bambini, racconta all’emittente Rtl il padre di una bambina sfuggita per un soffio alle ruote della Mercedes. E infatti sono tanti i piccoli tra i feriti. Se al momento gli inquirenti tacciono sul movente dell’attentato, gli esperti tendono a escludere assonanze con i fatti di pochi giorni ad Hanau, ad appena 200 chilometri di distanza, dove un altro squilibrato, Tobias Rathjen il 19 febbraio scorso aveva aperto il fuoco contro la clientela di due shisha bar frequentati tradizionalmente da medioorientali facendo nove vittime. Movente terroristico e movente politico al momento non sono tra le motivazioni più accreditate, ma non si esclude nessuna pista.

L’uomo, Maurice P. Hij – che la folla subito dopo l’assalto ha provato ad attaccare – secondo il sito di The Berlin Spectator, era noto alla polizia come un estremista, era “fortemente alcolizzato” riporta Faz e un consumatore abituale di droghe, aggiunge Rtl. In più, pare avesse dei precedenti per violazione di domicilio e insulti. Un secondo arresto però complica il quadro su cui sta indagando la procura di Francoforte, che ha assunto l’indagine, come è usuale nei casi di sospetto terrorismo. Anche stavolta si ripete il copione già visto pochi giorni fa: attentato si o attentato no? L’uomo, ferito e in ospedale non può essere interrogato.

L’unica certezza è che la Germania inizia ad avere ormai una lunga fila alle spalle di atti violenti compiuti da persone affette da patologie psichiche. A Muenster nel 2018 un uomo piombò sul bar all’aperto del centro storico in una giornata di sole accecato dalla sua infelicità, qualche giorno fa a Hanau la storia si è ripetuta con l’aggravante del razzismo e dell’estremismo di destra. Si astiene da qualunque definizione anche la cancelliera Angela Merkel, che tramite la sua portavoce, invia “il suo pensiero ai feriti di Volkmarsen e alle loro famiglie” e “augura a tutti loro una pronta e completa guarigione. “Molte grazie alla polizia e al personale medico”. Una vera maestra di understatment, ancora una volta.

Asia Argento: “Sono vendicata. Posso smettere di avere paura”

“Dopo 23 anni non vivrò più nel terrore”. Piange, Asia Argento al telefono, e le sue lacrime suonano catartiche. Quasi che la paura vissuta in questi lunghi anni possa lasciare il posto a una ritrovata serenità e a una futura gioia. I giudici che ieri hanno emesso il verdetto nei confronti di Harvey Weinstein hanno dato ragione anche a lei, tra le prime nell’ottobre del 2017 a denunciare l’ormai ex Re Mida di Hollywood. “Mi sento vendicata – spiega al Fatto con voce commossa –; non soltanto io, ma tutte le donne che hanno lottato per la giustizia”. Non sono stati anni facili per lei, reduce dalla morte del suo compagno Anthony Bourdain, spesso vittima di accuse campate per aria (non ultima, quella del giovane attore Jimmy Bennett) e bersaglio delle malelingue nostrane. “Mi sento vendicata – prosegue – nei confronti di tutti quegli uomini e pure quelle donne che in Italia mi hanno chiamato ‘prostituta’ solo per aver raccontato la verità su quanto mi era accaduto quando avevo solo 21 anni”. Due anni e mezzo fa, l’attrice era stata attaccata per aver denunciato “troppo tardi” quella che, ai malpensanti, più che una violenza sembrava la “relazione” di una ragazzina in cerca di gloria con un famoso produttore. Accuse che l’avevano costretta, per un periodo, addirittura a lasciare il Paese.

E invece – Asia lo aveva raccontato a Ronan Farrow del New Yorker – Weinstein l’aveva avvicinata a una festa in Costa Azzurra, durante il Festival di Cannes del 1997, e l’aveva costretta a un rapporto orale. Anche grazie alle sue coraggiose dichiarazioni (“Ho avuto paura della vendetta di Weinstein”, ha detto in più occasioni anche a chi scrive), è nato il movimento globale del #MeToo, dal quale ultimamente l’attrice ha preso le distanze. Da ieri, mentre sta ultimando i lavori per un album musicale, Asia si sente meno sola.

Stupratore, non predatore. Weinstein colpevole a metà

Più facile finire condannati sui media che in un’aula di tribunale: vale anche per Harvey Weinstein, il colpevole dei colpevoli, lo stupratore per cui è nato un movimento #MeToo. Dopo di lui, decine di personaggi dello showbiz sono stati accusati sui media e trattati dai media come colpevoli: carriere – giustamente? – finite, in attesa dei verdetti dei giudici se mai ci saranno.

Un Tribunale di New York ha giudicato l’ex produttore colpevole di due dei cinque capi d’accusa per cui era processato, tutti stupri e molestie, ma lo ha assolto per le tipologie di reato più gravi. L’entità della condanna sarà definita in un secondo tempo, l’11 marzo, ma, in questo processo, Weinstein, che può ora essere legalmente definito “uno stupratore”, non rischia più l’ergastolo, ma “solo” una pena tra i cinque e i 25 anni – dovrà attendere la sentenza in carcere –. La difesa ha annunciato appello.

Il percorso giudiziario dell’ex boss della Miramax non si chiude però qui: dovrà rispondere di stupro e molestie anche in un tribunale di Los Angeles. Sei donne hanno testimoniato in aula contro l’ex produttore, ma il caso della procura era costruito sulle accuse di solo due di esse, l’ex assistente Miriam Hailey e l’attrice Jessica Mann. Le altre dovevano servire di supporto alle tesi accusatorie. Un artificio già utilizzato contro Bill Cosby, che se l’era cavata in un primo processo con accuse analoghe ed era poi stato condannato in un secondo.

Weinstein, 67 anni, aveva fondato col fratello Bob la Miramax e ha prodotto film di successo e pure da Oscar, come Shakespeare in love e Pulp Fiction. Nel 2017, i suoi comportamenti sessuali gli valsero le prime d’una serie di accuse: la sua attività finì lì, la sua azienda ne fu compromessa. Venerdì scorso, i giurati, sette uomini e cinque donne, dopo il quarto giorno delle loro deliberazioni in un’aula segregata della Superior Court di Manhattan, avevano fatto sapere d’avere un accordo sulle tre imputazioni minori e d’essere divisi sui due reati più gravi. Il giudice Jason Burke non s’era però arreso alla prospettiva d’un processo da rifare e li aveva rinviati in Camera di Consiglio, per cercare di trovare un’intesa su tutti i capi d’accusa.

Prima che la giuria si ritirasse a deliberare, aveva suscitato polemiche l’atteggiamento “disinvolto” delle legale dell’ex produttore, Donna Rotundo, che aveva pubblicato su Newsweek un articolo dove chiedeva l’assoluzione del suo cliente, ricordando ai giurati “l’obbligo di basare il verdetto solo sui fatti, le testimonianze e le prove portate in aula”. Dove le colpe di Weinstein sono parse molto meno lampanti che sui giornali, perché un conto sono i racconti ai media di “belle e famose”, un altro le deposizioni in aula di testi poco abituati ai riflettori dell’attualità. Weinstein, che ha sempre sostenuto di avere fatto sesso con partner consenzienti, è stato accusato per molestie e stupri da un centinaio di donne, ma solo due, la Hailey e la Mann, avevano superato gli standard della procura per metterlo sul banco degli imputati.

“Sono casi difficili quelli di stupro, perché non ci sono quasi mai testimoni presenti: la parola di lui contro quella di lei”, osserva Alessandra Baldini, che ha seguito l’intera vicenda. Proprio su questo s’è basata la difesa di Weinstein: “Le prove sono dalla nostra parte”, ha detto la Rotunno, dopo avere prodotto una serie di e-mail da cui era evidente che le due accusatrici erano rimaste in contatto con Weinstein anche dopo le presunte violenze.

Per corroborare le deposizioni della Hailey e della Mann, i procuratori avevano invitato altre quattro donne a testimoniare. “Weinstein pensava di essere un tale pezzo grosso a Hollywood” che attrici e aspiranti attrici erano “merce completamente a sua disposizione”, ha detto la sostituta procuratrice Joan Illuzzi-Orbon nella requisitoria, mentre su un monitor nell’aula sfilavano le foto delle sei donne che avevano deposto, tra cui Annabella Sciorra dei Soprano.

Eni, il caso Descalzi alla Camera. “Il governo dica cosa vuol fare”

Il caso della possibile riconferma dell’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi, imputato per corruzione internazionale, arriva in Parlamento. Dopo gli articoli del Fatto, una deputata di Liberi e Uguali ha deciso di depositare una interrogazione per chiedere al governo Conte di presentarsi in aula a spiegare i criteri di scelta per il prossimo vertice della più strategica tra le aziende pubblicate. Rossella Muroni, già presidente nazionale di Legambiente e oggi vicepresidente del gruppo di LeU alla Camera, ha presentato una interrogazione che parte da un tema cui pure il Movimento 5 Stelle è sensibile, l’impatto ambientale delle scelte di Eni: “Anche nel piano 2018-2021 l’Eni ha previsto, invece, investimenti nelle fonti rinnovabili per 1,2 miliardi di euro (solo il 4% del totale) per la realizzazione di 1 GW di potenza. Secondo i piani di sviluppo dovrebbero arrivare a 5 GW entro il 2025; l’Eni dovrebbe invece immediatamente accelerare l’abbandono di tutte le fonti fossili”.

Per avviare la transizione ambientale, sostiene la Muroni, ci vorrebbe un nuovo vertice. E quindi arriva alle questioni sollevate dal Fatto: “L’ad di Eni è in attesa del verdetto di primo grado nel processo che vede Shell ed Eni accusati di corruzione internazionale. È il caso Opl 245: una presunta tangente da 1,092 miliardi di dollari pagata dalle aziende agli uomini dell’allora presidente della Nigeria, Goodluck Jonathan, per aggiudicarsi la licenza esplorativa di uno dei giacimenti di petrolio più promettenti del Paese; così come resta da chiarire come mai la Petro Service, che sarebbe stata controllata attraverso una rete societaria dalla moglie di Descalzi, abbia fornito servizi per 300 milioni di euro a Eni Congo”.

Le richieste della Muroni al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al ministro del Tesoro Roberto Gualtieri, che deve indicare i vertici, sono queste: “Il governo nel fare le nomine deve prima chiedersi se vuole davvero promuovere trasparenza nell’Eni e una politica in Africa che aiuti a ridurre il fenomeno migratorio attraverso un reale sostegno allo sviluppo locale: si chiede di conoscere se il governo non ritenga opportuno attraverso scelte coerenti e trasparenti dei nuovi vertici dell’Eni voler orientare il processo produttivo italiano verso pratiche virtuose sul piano ambientale e sociale indirizzando gli investimenti pubblici verso la conversione ecologica, con particolare attenzione alla transizione energetica”. L’interrogazione verrà discussa al primo question time utile, che potrebbe essere mercoledì 4 marzo se il ministro Gualtieri si presenterà in aula. Liberi e Uguali è uno dei partiti di maggioranza che esprime membri del governo importanti come il ministro della Salute Roberto Speranza, difficile che il governo possa ignorare l’interrogazione della Muroni.

Anche nei Cinque Stelle cresce il malumore per la possibile riconferma di Descalzi, soprattutto perché nella spartizione di poltrone non è chiaro chi se la dovrebbe intestare. Descalzi, dopo aver puntato tutto sulla Lega, è stato abile a riposizionarsi e a ricordare che nel 2014 fu scelto dal Pd dell’allora rottamatore Matteo Renzi. Ma oggi chi si prende la responsabilità di confermare un manager imputato e che non sa come giustificare il fatto che le società della moglie hanno preso 300 milioni di euro di appalti dall’Eni all’insaputa di tutti (lui incluso, dice)?

La scelta della poltrona dell’ad Eni si intreccia con quella per la presidenza: ormai scontata l’uscita di Emma Marcegaglia, si libera un incarico di peso. Al momento l’ipotesi più accreditata è quella di un passaggio dell’eterno Gianni De Gennaro da Leonardo-Finmeccanica, dove ha già fatto due mandati, all’Eni. L’ex superpoliziotto sembra imprescindibile per ogni governo, dai tecnici di Mario Monti che nel 2011 gli affidarono la delega ai servizi segreti alla compagine giallorossa di oggi. Al suo posto, in Leonardo potrebbe andare Alberto Manenti, già capo del servizio segreto esterno Aise, grande esperto di Libia congedato in modo un po’ brusco dall’esecutivo Conte 1 proprio un attimo prima che la situazione libica degenerasse. Con De Gennaro presidente Eni, uomo di grande esperienza nella gestione del potere romano ma digiuno di petrolio, sono compatibili due scenari alternativi a Descalzi: l’arrivo di Marco Alverà, relativamente giovane (44 anni) ad di Snam con un passato all’Eni, o quello del veterano del business petrolifero Stefano Cao, 69 anni, ad di Snam, assai più competente di De Gennaro su oil and gas anche se meno radicato nei palazzi romani. La partita che qualche giorno fa sembrava chiusa, è ora di nuovo aperta. E Descalzi vacilla.

Salvini, vittima della superstar mediatica Covid-19

Capiamo il silenzio stizzito di Matteo Salvini; dopo due anni ha trovato chi lo surclassa in tv. Perfino il fido Giletti ha aperto con il Coronavirus, padrone assoluto del video senza bisogno di una felpa, di un citofono, di un mojito. Basta la parola. Tutti lo chiamano familiarmente per nome, il nobiliare Covid-19 non se lo fila nessuno, tutti sparano a 4k il primo piano a metà tra la cubomedusa e la mina antiuomo. Tv del dolore fatti più in là: è il momento dell’Horror Tv, il contagio raggiunge tutte le reti dove gli inviati vagano alla disperata ricerca di notizie in un’emergenza il cui punto fermo è che nessuno sa niente. Vedute spettrali degli incroci di Casalpusterlengo e delle rotatorie di Codogno che non si vedevano dai tempi dell’Intervallo, tuttologi riverniciati in virologi con due scuole di pensiero; siamo i peggiori, il governo ha sbagliato tutto; siamo i migliori, se il Lichtenstein avesse usato le nostre precauzioni avrebbe più casi di noi. Maria Giovanna Maglie studia da dottor Stranamore (“Gli untori sono i cinesi”), la D’Urso applaude da sola la sfilata di Loredana Favoloso in uno studio che sembra la piazza di Casalpusterlengo; però quando si collega con Conte dandogli del tu, e lo intervista su Salvini come se interrogasse Al Bano su Romina, mette a segno lo scoop della giornata. Chissà se Pedro Almodóvar ha visto la tele di casa nostra. Speriamo di sì per lui, avrebbe pronto il soggetto del prossimo film: Un paese sull’orlo di una crisi di nervi.

Mail Box

 

Il futuro delle Sardine: salvarsi integrandosi nel Pd

Cosa sono le Sardine? O meglio, cosa (non) saranno? È sempre più evidente che, dopo aver unito le piazze contro il nemico pubblico n. 1, ora è tempo di dire quali sono le idee e le proposte su politica e sociale. Le prime esternazioni dei ragazzi di Bologna pare comincino a “smagrire” le piazze. La prospettiva peggiore per loro è ritrovarsi con un’identità definita che li releghi a nuotare nel mare-Paese senza ruolo e peso specifico. La loro sarebbe una naturale integrazione nell’alveo del Pd.

Anna Lanciotti

 

Salvini e Renzi, credibilità a zero, ma sondaggi uguali

Ma noi italiani dobbiamo sempre avere dei politici megalomani che per soddisfare il loro ego non esitano a mandare a gambe all’aria il Paese? I sondaggi sono più o meno sempre uguali, ma con le loro sparate Salvini e Renzi non dovrebbero essere a zero in credibilità e competenza?

Adriana Re

 

La Gran Bretagna post Brexit è ancora un Paese civile?

La Gran Bretagna post Brexit, dall’anno prossimo, chiude le porte ai lavoratori non qualificati e a chi non conosce l’inglese. Regole destinate a chiudere le frontiere per chi finora si è recato nel Regno Unito proprio per imparare l’inglese, lavorando come lavapiatti o cameriere. Corsie preferenziali solo per ingegneri, scienziati e accademici. Spero di non trovarmi di fronte a un atteggiamento razzista-xenofobico.

Franco Petraglia

 

Smartphone-mania, tempi magri per la lettura

Sette persone su dieci non leggono il giornale. Sei persone su dieci non hanno letto un libro in un anno. “Non ho tempo” mi dice un conoscente, che però è attaccato al suo smartphone in modo maniacale. Siamo un popolo sempre più selfie e sempre meno rivolto agli altri. Così la dimensione di comunità si atrofizza.

Massimo Marnetto

 

DIRITTO DI REPLICA

Con riferimento all’articolo “L’Agenzia Spaziale ora fa l’investitore a rischio nelle startup” a firma di Virginia Della Sala, del 20 febbraio 2020, si precisa quanto segue. L’affermazione, nel titolo, “Sotto Battiston, l’ASI aderì a un fondo di venture capital che sarà gestito dalla fondazione di cui risulta direttore scientifico” è falsa. Il fondo sarà gestito da Primomiglio SGR, e l’esercizio di tale attività riservato agli intermediari autorizzati. Si precisa che l’ASI ha “aderito” al progetto “Primo Space Fund” ma non ha tuttora formalizzato alcun impegno di investimento. Le decisioni di investimento competeranno esclusivamente a Primomiglio SGR e non al prof. Battiston o alla fondazione “E. Amaldi”, ed è previsto che a quest’ultima sia attribuito un ruolo consultivo non esclusivo. Primomiglio SGR sarà libera di avvalersi anche di altri consulenti e non sarà vincolata ai pareri espressi dai propri consulenti. Si parla di “investimenti ad alto rischio e a fondo perduto” da realizzarsi mediante “un’operazione che porterebbe 10 milioni di euro pubblici a ingrassare un fondo di venture capital”. Va sottolineato che un investimento a fondo perduto, non prevede la restituzione. Diversamente, “Primo Space Fund” ha l’obiettivo opposto: restituire il capitale e far conseguire un rendimento ai propri investitori attraverso la gestione professionale di Primomiglio SGR. D’altra parte “Primo Space Fund” prevede un significativo investimento di soggetti privati, che non sono certo disposti a “regalare” i propri capitali a non meglio precisati beneficiari (ammesso che vi siano soggetti pubblici disposti a farlo). Primomiglio SGR ha già raccolto l’interesse di primari investitori istituzionali, italiani ed esteri, che hanno già deliberato l’investimento. È improprio il termine “ingrassare” usato peraltro in una accezione non positiva. E peraltro Primomiglio SGR non ha percepito alcun compenso per l’ingente attività svolta sinora. L’affermazione che “le start up, soprattutto a carattere fortemente innovativo, hanno un tasso di fallimento molto alto” è priva di fonti. I fondi gestiti da Primomiglio SGR ad oggi hanno realizzato 22 investimenti in start up innovative e nessuna di queste è fallita e non è affatto vero che tali investimenti sono ineluttabilmente destinati ad avere esito negativo. La scarsa trasparenza evocata nell’articolo non ha nulla a che vedere con Primomiglio SGR e il suo presidente e, per quanto a nostra conoscenza, l’ASI ha operato nel pieno rispetto delle regole applicabili. Per Primomiglio SGR la reputazione e il rispetto delle regole sono valori fondamentali e gettare delle ombre sul nostro operato rischia di compromettere la fiducia degli investitori, con conseguenze gravi e irreparabili.

Antonio Concolino ad Primomiglio sgr

 

Grazie per la precisazione. L’operato della Primomiglio Sgr non è però mai stato messo in discussione né era il tema dell’articolo.

V.D.S.

 

In relazione all’intervista dell’incaricato d’affari in Venezuela, Placido Vigo, pubblicata il 22 febbraio sul vostro quotidiano a firma di Alessia Grossi, si fa presente che l’Ambasciatore Vigo non ha mai espresso i giudizi sul Presidente dell’Assemblea Nazionale venezuelana Guaidó a lui attribuiti tra virgolette nel titolo “Venezuela, Guaidò non convince più” e “Guaidó in declino”. Tali affermazioni non sono sue e quindi non riflettono la posizione dell’Ambasciatore né quella del Governo italiano.

Giovanni Pugliese, Capo del Servizio per la Stampa, Ministero degli Affari Esteri

Rai Fuori tutti i partiti dal servizio pubblico: l’Agcom vigili anziché contestare i giornalisti

 

Caro Travaglio, il suo editoriale di sabato, Zimbabwe, Italia, una volta tanto, mi ha lasciato alquanto perplesso. Sono d’accordo che la libertà di stampa è un bene prezioso che deve sempre e comunque essere difeso, ma in relazione all’intervento dell’Agcom sulla Rai in buona parte non posso condividere la sua posizione. Continua a difendere il “dg troppo indipendente Salini”, ma se l’Agcom ha multato la Rai per il mancato rispetto, principalmente, della violazione della par condicio, non è compito del dg vigilare che ciò non accada? Il dg, appena conosciuti i primi dati pubblici, quali azioni ha compiuto per rimediare alle continue violazioni a danno del M5S? Non era mai accaduto che la Rai, servizio pubblico, permettesse per mesi che si danneggiasse il primo partito in Parlamento. Difende anche “il salviniano Sangiuliano”, ma di grazia in Rai c’è un altro direttore di tg appartenente a qualche altro partito di maggioranza, così esplicitamente etichettabile?

Michele Scassa

 

Caro Scassa, la Rai è lottizzata fra i partiti, secondo le leggi Gasparri & Renzi. I 5Stelle, onore al merito, non avendo nessuno da piazzare, hanno optato per figure indipendenti come il dg Salini, Freccero a Rai2 e Carbone al Tg1. I leghisti hanno indicato il fedelissimo Sangiuliano. Il Pd ha mantenuto i suoi e ora vorrebbe riprendersi anche i posti che non controlla per tornare al monocolore come ai tempi di Renzi. Noi auspichiamo da sempre una legge che tolga la Rai dalle grinfie del governo e dei partiti. Ma che abolisca pure questa finzione di “authority” detta Agcom, anch’essa superlottizzata, o la trasformi in un vero organismo indipendente. Intanto l’Agcom non deve abusare del suo potere per sindacare i contenuti giornalistici, esclusiva responsabilità dei direttori. Soprattutto quando, come ha fatto il Tg2 sui quartieri-ghetto svedesi, si racconta la verità. L’Agcom si accontenti di segnalare gli squilibri negli spazi assegnati alle varie forze politiche e la Rai provveda a riequilibrarli. Io non difendo né Sangiuliano, né Lerner, né Berlinguer: difendo l’autonomia e l’indipendenza dei giornalisti da ogni interferenza esterna, peggio se camuffata da “autorità” super partes.

Marco Travaglio

Care tv, non infierite su Sgarbi: ne ha già passate abbastanza

Le spoglie mortali di Sgarbi, a cui vogliamo tutti molto bene, sono restate assai piccate per la rubrica di martedì scorso. Spiace. La rubrica parlava di niente, cioè del poro Porro, e citava solo incidentalmente tali poco amabili resti, ma ciò è bastato affinché il portatore insano di tale parvenza corporea si scagliasse contro il suddetto. “Capra nana, ti sfido in tivù e ti mangio vivo!”, hanno urlato sputicchiando gli avvizziti resti, in una performance video esteticamente esaltante come una detartrasi effettuata al buio con la scimitarra. Potrei replicare con un “zitto, vecchio scorreggione!”, ma non vorrei essere offensivo (con le scorregge). E poi le beghe personali sono avvincenti solo se riguardano Gilmour contro Waters. Quindi chi se ne frega. La richiesta di “sfidarmi” in tivù è umanamente lecita: è il desiderio del vecchio circense, caduto in disgrazia e a fine corsa, di elemosinare l’ultimo giro. Ci sta. Tale sfida sottende poi un complimento implicito: reputandomi in grado di parlare con loro, le spoglie mi reputano un medium in grado addirittura di conversare coi postumi in vita. Le ringrazio. Ma il punto è un altro: che senso ha invitarlo ancora in tivù? Gli ascolti non li droga più dai tempi di Schillaci. Politicamente non ci ha mai capito granché (“Renzi ha vinto il referendum del 2016, perché quel 40% è tutto suo”: infatti adesso non arriva al 4%). È un trasformista che in confronto Casini è Rodotà. Ed è pure vincente come Calenda. Orrendamente seviziato nel 2018 da Di Maio, un mese fa aveva promesso di condurre Berlusconi e Salvini al trionfo in Emilia Romagna: porta più sfiga politica del Crisantemi della Longobarda, con cui condivide peraltro la fascinosa presenza scenica.

Ogni volta si dice (da solo) di avere stravinto il confronto dialettico con chicchessia, quando ormai perde pure con Scaramacai. Come dialettica è un Carmelo Bene che non ce l’ha fatta, come critico d’arte un Montanari debole e in debito di morale. Aggredisce (a parole) chiunque, dall’alto di quel bel fisicuccio da sollevatore menomato di girini morti, poi però ogni volta sul più bello scappa (con D’Agostino, con Ricca, con Mughini). È così lucido da aver provato – sul serio! – a riportare in Italia il Rinascimento con Tremonti, che è come fare una cover degli Iron Maiden con Gianni Togni. Si autoproclama teneramente “donnaiolo”, quasi che uno scorfano potesse esser cigno. “Accusa” quelli più belli di lui (cioè tutti) d’esser gay, come fanno di solito quelli che gay lo sono davvero, e la cosa oscena è che per lui “gay” par’essere un insulto. Cita spesso lo scodinzolante (con lui) Cruciani, forse perché ne condivide la ritrosia all’igiene minima. Straparla di giudici e garantismo, dileggiando Gratteri e Di Matteo, quando a livello giudiziario colleziona inciampi dai tempi del Nievo. Televisivamente è un Buffalo Bill oltremodo presbite al tramonto, che mendica gli ultimi applausi urlando a caso e scorreggiando a comando. Potrei andare avanti all’infinito, ma temo che la casella “infierire” sia stata già occupata dalla parola “natura”. Davvero, care colleghe e colleghi bravi (no Porro, non parlo con te): a che vi serve questo Vic 20 tristemente sabotato da se stesso? Lo so che lui l’invito lo accetta sempre, perché senza tivù non esiste, ma così passate per sadici. E poi, se proprio vi serve uno che faccia la parte del nonnetto iracondo che impreca per nulla, avete già Vittorio (si chiamano tutti così?) Feltri. Sul serio: non invitatelo più. Fatelo per il nostro e vostro bene. E pure per il suo: nessuno merita una gogna simile. Neanche lui.

Virus, paure e sovranismi come con Rieux

“I singolari avvenimenti che danno materia a questa cronaca…” riguardano la Lombardia, il Veneto e, in forma minore, altre parti d’Italia. Il Coronavirus si estende ogni giorno, insieme alla paura veicolata dalle strumentalizzazioni: “Incapaci al governo” è l’insulto più lieve. La Borsa di Milano affonda. Il Consiglio dei ministri in verità, consultati i tecnici, ha isolato le zone a rischio e chiuso scuole, uffici, cinema: ha deciso. È giusto. Certo, “c’è chi è paralizzato dal panico”; chi svuota i supermercati; chi reagisce rifugiandosi nello stordimento (“godi l’attimo, domani potresti essere morto”); chi comincia a parlare, all’interno della Chiesa, di punizione divina. È sempre così. In molti s’impegnano, va detto, per aiutare chi soffre, nonostante i limiti di risorse, conoscenze, rimedi; mentre altri cercheranno – vedrete – d’arricchirsi nella tragedia; io, dottor Rieux, invito, invece, alla responsabilità. Lo so, “questa non può essere la cronaca di una vittoria definitiva”, perché il male “non muore né scompare mai”, e comunque oggi i morti aumentano; vedo tuttavia nella società civile reazioni positive: un cittadino voleva all’inizio abbandonare la sua terra, andare lontano. “Ho sempre pensato – dice – di essere estraneo a questa città di non aver nulla a che fare con… Ma adesso che ho veduto quello che ho veduto, so che il mio posto è qui… Questa storia riguarda tutti.” È la tempra morale di un popolo che emerge da queste parole e da altre simili; un popolo che, nella sua parte migliore, non si rassegna e lotta; non cede al panico dell’epidemia, ha fiducia nelle Istituzioni, e, nell’ora difficile, comprende quanto importante sia la Comunità, lo Stato: vivere in un Paese unito. Attraversiamo ore buie, va detto; molti fomentano: bisognava intervenire prima, controllare i voli, prendere misure più drastiche, la colpa è dei ministri. “Untori, non ci sono altre parole”. Si specula sulle tragedie. Basta. Urge coraggio e lavoro e compiere il proprio dovere. Questo penso, nonostante le incertezze. Sconfiggeremo il male? Debelleremo l’epidemia? È dura. A Codogno, a Casalpusterlengo, nel lodigiano e altrove, il virus si diffonde. Mi si chiede se credo in Dio. Ma che vuol dire questo? Sono un medico, “se avessi creduto in un Dio onnipotente avrei trascurato di guarire gli uomini, lasciandone la cura a lui… Ma nessuno in verità s’abbandona a un Dio di tal genere”; non ho certezze: “Sono nella notte e cerco di vederci chiaro; non so quello che mi aspetta né quello che accadrà, dopo. Per il momento ci sono dei malati e bisogna guarirli. Poi essi rifletteranno e anch’io.” Organizzai, anni fa, a Orano, insieme a Rambert, una quarantena; ho esperienza: non bisogna farsi prendere dal panico ma nemmeno minimizzare: “in principio la quarantena era una semplice formalità poi la organizzammo in maniera assai rigorosa… avevamo preteso che i membri di una stessa famiglia fossero isolati gli uni dagli altri… non bisognava moltiplicare le probabilità della malattia.” Ero disponibile, solidale. Gli infermieri, i medici, i cittadini più attivi della società civile, cos’altro dovrebbero fare? Sono impegnato anche ora, con migliaia di volontari, nelle zone rosse: più di 220 casi di Coronavirus preoccupano, ma è splendido lo spirito di sacrificio di tante persone; è qui che si comprende, nelle difficoltà, “che nell’uomo ci sono più cose da ammirare che da disprezzare.” Bisogna restare vigili, tuttavia; i cinici, gli sciacalli, non devono prevalere. Fui testimone nei primi anni Quaranta di una peste (anche morale); oggi è diverso, ma vale quanto scrissi allora: l’epidemia sarà debellata e si farà festa, non si dimentichi però che il bacillo del male “non muore né scompare mai, che può restare per decine d’anni addormentato… e che forse, sventura e insegnamento agli uomini”, si ripresenterà. Sia chiaro: oggi come allora non parlo (solo) di virus e medicina. Si combatta anche l’untore sovranista, l’altro terribile male che affligge il Paese.

L’ultima patacca: il sindaco d’Italia

Complimenti a chi si è speso per il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari! Chiaramente mosso da obiettivi tattici altri: chi per allungare, chi – pure sbagliando i calcoli – per accorciare la legislatura. Ennesimo episodio di un uso strumentale della materia costituzionale. Qualcuno pensa davvero che quel referendum possa sortire un esito diverso da quello di un plebiscito confermativo della riduzione dei parlamentari?

Questione discutibile, sia chiaro, ma semmai a suo tempo in Parlamento, non ora, a riforma approvata a maggioranza bulgara, dentro una campagna referendaria dal risultato certo. Complimenti, dicevo, perché quel referendum oggi inibisce il ricorso alle urne, congela la legislatura. Di nuovo: non che la sua interruzione come tale sia cosa buona e utile. No. Ma la circostanza che, per lunghi mesi, lo scioglimento sia tecnicamente impossibile – una misura di igiene politica quando non vi siano alternative – autorizza gli attori politici a comportamenti irresponsabili, sino a veri e propri ricatti, come nel caso di Renzi. Sicuro di non pagare pegno, di non correre rischi. Sparando dentro il dibattito politico le proposte più bislacche e improbabili. Tipo l’elezione diretta del premier, che, se presa alla lettera, da chi capisce qualcosa dell’argomento, significa ribaltamento della forma di governo parlamentare, in sostanza un’altra Costituzione. Una proposta buttata lì per sollevare l’ennesimo polverone, come arma di distrazione di massa, come segnale di fumo alla destra di Salvini e Meloni (è una loro battaglia), come auspicio di una soluzione di governo “tutti dentro” che garantisca ciò che più preme a Renzi: nuove elezioni il più tardi possibile. Parliamo di niente, ma una tale riscrittura della Costituzione esigerebbe non meno di due anni di esame parlamentare.

Non meriterebbe neppure discuterne, se non per due profili: la coerenza del proponente e, come accennato, il più generale e riprovevole uso strumentale della Costituzione. Sul primo versante la materia è sterminata: si prospetta un modello presidenziale nel mentre si sottoscrive una intesa per una legge elettorale proporzionale tutta interna alla logica di una democrazia parlamentare; si torna a soluzioni ispirate a una democrazia ipermaggioritaria che si potevano spiegare al tempo del Renzi ambiziosissimo premier e leader del primo partito, ma non ora su iniziativa di una pattuglia di parlamentari transfughi (partito è troppo) accreditata del 4 per cento; si dipinge Salvini come una minaccia per la democrazia e la collocazione internazionale dell’Italia e gli si disegna un modello politico-costituzionale su misura. Come in verità era già quello a suo tempo della riforma Renzi-Boschi, concepita con la presunzione e la miopia di chi pensava a se stesso come De Gaulle italiano, saggiamente bocciata dagli elettori. Ci vuole una bella faccia tosta a sostenere oggi, da parte di chi osteggia i pieni poteri invocati Salvini, che non sia stata provvidenziale la bocciatura di una riforma ispirata al “chi vince prende tutto”.

Ancor più significativo è il secondo profilo: l’uso improprio, leggero e irresponsabile delle questioni costituzionali. Sconcerta la pervicacia al riguardo. Si sperava che fosse servita la lezione dopo l’ennesimo naufragio delle pretese “grandi riforme”. Lo hanno proclamato i cittadini-elettori; e ci aveva avvertito la comunità dei costituzionalisti, facendo memoria della volontà dei padri costituenti e della ratio dell’’art. 148, che disciplina la revisione costituzionale. Revisione, appunto, e revisione puntuale di questo o quell’articolo. Con procedura “aggravata”.

Tradotto: tempi lunghi, per rifletterci bene; leggi costituzionali distinte per oggetto e non a pacchetto “prendere o lasciare”; maggioranze larghe, perché si tratta della legge fondamentale che presiede alla vita della “casa comune”. Un metodo che è sostanza. In questa congiuntura, in questo Parlamento, con gli attuali rapporti politici dentro e fuori della maggioranza, che credito può avere la proposta di una nuova Costituzione sparata dentro il confronto politico da un partitino inquieto e corsaro a cavallo tra maggioranza e opposizione? Meglio: che credito può avere quel partitino?