L’epidemia di corona virus si è abbattuta su una economia globale già debilitata. Nell’ultimo trimestre del 2019 il Giappone, terza economia planetaria, aveva registrato un Pil in contrazione trimestrale dell’1,6%, zavorrato dall’aumento delle imposte indirette. Nello stesso periodo, il Pil tedesco era rimasto stagnante; nelle altre due maggiori economie dell’euroarea, Francia ed Italia, la crescita aveva innestato la retromarcia (rispettivamente di -0,1% e -0,3%). L’eurozona nel suo insieme era cresciuta di un miserevole 0,1%.
Con la diffusione del 2019-nCoV la Cina, seconda economia del pianeta e motore della crescita globale si aggiungerà alla lista delle economie che si dibattono tra recessione e stagnazione. Anche senza i danni inflitti dall’epidemia, l’economia cinese da diversi anni fa perno sull’espansione del debito pubblico e privato, mentre la produttività totale dei fattori dal 2012 segna rosso. In parole povere alla mancanza di sviluppo reale le autorità suppliscono drogando il sistema economico con prestiti diretti a finanziare investimenti tendenzialmente in perdita. La crescita organica cinese cioè in assenza dei forti stimoli creditizi è negativa. Peraltro una parte preponderante del credito al settore privato (che sfugge alle statistiche ufficiali) viene erogata dallo shadow banking. Si tratta di istituzioni finanziarie di dubbia reputazione e scarsamente regolate, che promettono alti rendimenti ai risparmiatori, impiegandone i risparmi in operazioni avventate. Le misure di emergenza attuate dalla banca centrale per contrastare lo shock da corona virus (tassi di interesse più bassi e criteri prudenziali meno stringenti), sono destinate ad esacerbare la fragilità del sistema finanziario cinese.
Rimane in piedi solo la fortezza America. Ma anche oltre Atlantico la crescita, che nel 2018 aveva toccato il 2,9% grazie agli stimoli fiscali, nel 2019 si è afflosciata di nuovo al 2,3%, un pelo sotto il 2,4% del 2017. In compenso il debito pubblico degli Usa ha raggiunto livelli italiani, sfiorando il 107% del Pil nel 2019. In termini nominali il debito è quasi raddoppiato in 10 anni, mentre il Pil a prezzi correnti è salito solo da 15 a 21 trilioni di dollari. Il miracolo del moltiplicatore keynesiano invocato dagli adepti del culto della spesa pubblica, come al solito, non si è manifestato. In definitiva l’America non potrà trainare il resto del mondo (e tanto meno l’Europa) fuori dal pantano, anche ipotizzando che non venga colpita malamente dal contagio.
Ad ogni conferma di nuovi decessi, si sgretola il pilastro su cui poggia la convinzione (tuttora prevalente) che l’epidemia, per quanto malefica, verrà debellata dai tepori primaverili. Persino i mercati, che avevano scommesso pervicacemente sulla lievità delle conseguenze economiche, ora cominciano a vacillare.