Altre Bibbiano: figli strappati ai genitori

Sono padri e madri disperati. Non vengono da Bibbiano, ma le loro storie per molti versi assomigliano a quelle dell’inchiesta “Angeli e Demoni”. Il grido di dolore lascia poco spazio all’immaginazione: “Ci stanno portando via i bambini!” strepitano all’unisono. E questa volta non per infimi disegni di profitto ma per colpa di un sistema, quello degli affidamenti, fondamentale quanto difettoso e manipolabile. Storie da tutta Italia che raccontano il dramma e la disperazioni di genitori impotenti di fronte alla sottrazione dei figli, avvenuta, spesso, per un motivo difficilmente giudicabile valido. Il caso di Giuseppe G., per esempio, porta alla luce un carattere ricorrente in molte delle vicende: l’atteggiamento di predominanza dell’assistente sociale all’interno dei percorsi di sostegno. Sostegno al quale Giuseppe, dipendente per una multinazionale operante in provincia di Monza e Brianza e padre di due figlie, si è rivolto dopo una separazione con l’allora moglie, colpita da disturbi di tipo psichiatrico, confidando in un supporto fisico e morale in grado di accompagnare la famiglia fuori da quel trauma così intimo. La collaborazione con gli assistenti sociali è andata avanti per quasi 10 anni, tempo durante il quale i legami con la madre (nel frattempo ristabilitasi) hanno avuto modo di placarsi. L’unità familiare in via di guarigione, non è bastata, però, a fermare l’ufficio dell’assistente sociale al sorgere di un contrasto tra Giuseppe e la figlia minore riguardante la scelta dell’istituto scolastico da frequentare. L’interazione fino al quel momento pacifica, prende una piega aggressiva trasformando le facoltà dell’operatore in vicariato nei confronti della figura paterna. Gli attriti portano in poco tempo all’approvazione da parte della struttura assistenziale del noto articolo 403 del codice civile riguardante “l’Intervento della pubblica autorità a favore dei minori”, ed entrambe le figlie vengono tolte al padre e sistemate in due comunità differenti. Il motivo validante? Il grave turbamento scaturito dalla scelta della scuola, in aggiunta a referti artificiosi redatti per mano dell’assistente, dove si dipingevano comportamenti sia delle figlie (colpevoli di gravi lacune scolastiche, quando nella realtà entrambe avevano un comportamento esemplare nello studio) sia del padre (accusato di essere “ossessivo” nei compiti e nelle dinamiche istruttive).

Poco tempo dopo, entrambe le deposizioni saranno smentite dal Tribunale dei minori di Milano e dal consulente tecnico d’ufficio assegnatoli e l’uomo potrà riabbracciare le due figlie dopo solo alcuni mesi, per i quali tuttavia il prezzo da pagare sarà fin troppo alto. Se la primogenita riesce in qualche modo, durante la residenza in comunità, a tenersi in contatto con il padre e a istruire una difesa legale per essere rilasciata, il ricongiungimento con la figlia minore avviene tra le mura di un ospedale, dove la giovane era stata ricoverata per aver tentato il suicidio. “Quando lo psicologo opera su mandato dello Stato, in questo caso il sistema giudiziario, non opera per il benessere della persona, della quale per altro, a differenza del campo clinico, non necessita del consenso informato”, spiega Corrado Lo Priore, docente in Psicodiagnostica Forense all’Università di Padova. “In una disciplina come la psicologia, molto soggettiva, si fa pertanto fatica a garantire una standard di oggettività: è per questa ragione che sia gli psicologi sia gli assistenti sociale, quando lavorano in ambito forense, dovrebbero essere ancor più precisi, non lanciarsi in interpretazioni azzardate e non utilizzare strumenti poco validi”.

Una natura della materia di per sé decifrabile in molte chiavi, abilità sociali non sempre collaudate e un sovraccarico di stress, detto anche burnout, tipico delle “professioni d’aiuto”, rendono quindi il già complesso lavoro degli assistenti sociali e degli psicologici forensi una fatica biblica. “Qualunque assistente sociale, di fronte ai casi che si sentono – continua Lo Priore -, ovvero gravi conflittualità familiari, segnalazioni di presunti abusi e via dicendo, si può trovare in difficoltà per il semplice motivo che quelle situazioni non vengono insegnate all’università. Manca una formazione per affrontare queste criticità”. Se l’azione degli operatori sociali è preda delle sfumature giuridiche ed epistemologiche della disciplina, le storture delle comunità e delle case famiglie hanno invece caratteri precisi.

Per Paola di Saronno (che preferisce rimanere anonima), l’abbandono del marito comporta la bancarotta familiare: con un solo lavoro e due figli a carico, il peso dell’affitto e delle spese quotidiane è insostenibile. L’unica via è quella di chiedere aiuto ai servizi sociali, i quali prontamente provvedono ad attivare un percorso Sos di affidamento per i due ragazzi, in poco tempo divisi e trasferiti in due comunità differenti. Niente di irregolare, un iter nel rispetto del suddetto articolo 403. Questa volta e in molte altre, però, la spia di allarme che si accende non riguarda l’intervento degli assistenti, bensì i centri di accoglienza. “Nei tre anni e mezzo che i miei figli hanno passato in comunità, entrambi hanno subito delle violenze sessuali da altri ragazzi più grandi”, racconta la donna.

Una sorta di legge dell’omertà vige all’interno di molti istituti, i quali, l’esempio di Bibbiano su tutti, possono essere teatro di violenze e guadagni sommersi. I minori separati dai genitori e affidati a case famiglia sono almeno 50mila ogni anno, mentre gli enti locali, secondo numerose associazioni private tra cui l’Ami (Associazione matrimonialisti italiani), erogano a questi istituti dai 70 ai 300 euro al giorno per ciascun minore. Così come per il sistema emerso in Emilia-Romagna, non è difficile immaginare come possa esserci chi si approfitta di questo importante giro di affari. Nessuno escluso: gli stessi giudici onorari dei tribunali minorili, difatti, sono a volte coinvolti in un conflitto di interessi che li vede consulenti di quelle stesse case famiglia nelle quali vengono indirizzati i minori in affido. È il caso di Barbara P., stretta nella morsa di qualcosa più grande di lei. Dopo un divorzio conflittuale, infatti, avvenuto a seguito di ripetute violenze sessuali e minacce di morte da parte del marito, il Tribunale dei minori di Piacenza decide di accendere il corridoio di sostegno per l’affidamento del figlio dodicenne. Gli incontri protetti permessi a entrambi i genitori per un’ora a settimana e l’apparente stabilità tra gli ex coniugi fanno sì che il bambino possa uscire dalla casa famiglia per andare a vivere in modo permanente con la nonna, come epilogo di un percorso assistenziale apparentemente ad hoc. Se non per il fatto che, ad oggi, al vaglio degli inquirenti al Tribunale di Ancona (competente per le indagini sui magistrati) ci sono documenti e registrazioni che certificano il conflitto di interessi consumato dagli stessi giudici, in possesso di quote delle società proprietarie proprio di quelle case famiglia dove venivano collocati i bambini, tra cui il figlio di Barbara.

Un’altra finestra che si apre sul fenomeno degli affidamenti è quella dei padri e delle madri separate. La storia di Alekos B. è un genere di cui molti genitori divorziati entrano a far parte: si inizia con una separazione conflittuale, l’intervento degli assistenti sociali e il collocamento del figlio in una comunità o una casa famiglia. A volte alla madre, raramente al padre, viene concesso un avvicinamento o la possibilità di condividere con il figlio ampi spazi della giornata; sia la madre, sia il padre, invece, sono artefici in molti casi di fatti e racconti viziati, studiati per far valere la potestà genitoriale sull’altro. Come nel caso di Alekos, il finale il più delle volte è già scritto: le falsità riportate in tribunale invalidano i processi, i giudici allontanano entrambi i genitori dal figlio, uno per falsa testimonianza, l’altro per inidoneità. E, non senza ripercussioni, sono sempre i bambini a rimetterci.

“Responsabili, non fessi. Il governo lo salva il virus”

Lui è il democristiano per elezione, responsabile per costituzione fisica. Pronto a ogni prudenza. Lei vive il potere declinante come si fa con l’artrosi. A una certa età viene e bisogna tenersela. L’altro è un poltronista ora morigerato. Nel passato è riuscito a fare il consigliere comunale, il consigliere provinciale, quello regionale e finanche il senatore in una volta sola, ammucchiando nel giro stretto di qualche settimana, e mischiando incarichi e (immaginiamo) indennità. Però a un certo punto della carriera bisogna appendere le scarpette al chiodo.

“Sono Gianfranco Rotondi e tutti mi tirano per la giacchetta, tutti vogliono farmi dire che sono il capo dei Responsabili, il capo dei transfughi, colui che farà da sgabello a Conte. Il fatto è che il primo che vorrebbe questo esito è Matteo Renzi: prega giorno e notte che qualcuno faccia proseguire la corsa del treno dal quale lui ha deciso di saltar giù per paura di fregarsi definitivamente”

“A me, Renata Polverini, l’unica cosa che non manca è il senso della realtà. Con questo disastro del coronavirus pensiamo che ci sia spazio per la crisi di governo? Solo i matti ci credono”

“A Ischia non abbiamo clientela dell’est asiatico e quindi reggiamo l’urto con un po’ di tranquillità in più. Sinceramente penso che il mio futuro sia più nell’attività alberghiera che in Parlamento. Il senatore Domenico De Siano (cioè il sottoscritto) sa che dopo Conte ci sono solo le elezioni. E per quel che lo riguarda, prima vengono meglio è”.

In fila per tre. Sono qui descritte tre tipologie di responsabili, potenziali o effettivi. Annunciati o solo vagheggiati. Volitivi o rinunciatari.

Rotondi: “Renzi è corso troppo, com’è solito fare perché ha cieca fiducia nel suo istinto. Ritiene che la sua leadership si possa mettere in salvo solo balzando all’opposizione di questo governo che, lui pensa, in qualche modo sarà costretto ad andare avanti”

Polverini: “Il pasticcio è proprio questo. Puoi annunciare la crisi per settimane? Puoi inchiodare il Paese sul tema della prescrizione quando si fa la conta quotidiana delle aziende che chiudono? Vuol dire che non hai capito niente della vita”

De Siano: “Questo governo è un disastro, ma dopo Conte ci sono le elezioni. Io resto in Forza Italia”

Polverini: “Io sto in mezzo, sospesa. Non si capisce niente”

Rotondi: “Ho fatto quel che ho sempre detto. Sono un democristiano fedele all’idea e alla linea. Tutti mi riconoscono coerenza, quel che succederà un po’ lo immagino”

Polverini: “Con questa fifa blu, con il disastro del coronavirus cosa vuoi che succeda? Niente”

De Siano: “Hanno fatto sempre finta, non ho mai creduto alla crisi”

Rotondi: “Renzi ci ha creduto, ma non ha fatto bene i conti con Nicola Zingaretti che giustamente ora dice: amici cari, vi ho fatto giocare come mi avete chiesto. Ho rinunciato a fare il ministro, ho detto sì al governo. Però ora basta. A Zingaretti conviene mille volte fare le elezioni”

Polverini: “Non ti credere che se casca Conte tutti cantino l’alleluia. Persino nella Lega ci sono tanti perdenti posto. Quelli entrati in Parlamento a sorpresa e che alle prossime elezioni non vedranno assicurati i seggi”

Rotondi: “Con la riduzione del numero dei parlamentari la Lega, se facesse il trenta per cento, otterrebbe lo stesso numero di seggi di ora. Con la differenza che avrebbe da sfamare il triplo degli appetiti”

De Siano: “Noi di Forza Italia siamo in crisi. E so che è assai probabile essere iscritto nei perdenti posto. Ma sono pronto al sacrificio. Anzi, forse verrà il momento di mettermi a fare l’albergatore e chissà che non trovi più soddisfazioni (parlo di soldi)”

Rotondi: “Nulla di più probabile che Renzi chieda a cinque sei dei suoi di fare i responsabili. Amici cari, gli dirà, io non sono in grado di garantirvi l’elezione. Saltate sul carro e dopo si vedrà”

Polverini: “Renzi è stato precipitoso. Ha anticipato troppo e non ha fatto i conti con la realtà. Si fida eccessivamente del suo naso. Pensa di conquistare le anime perse di Forza Italia ma non riflette sul fatto che la sua immagine si sia andata svilendo. Perché è accaduto? Perché l’antipatia nei suoi confronti è persino superiore ai suoi eventuali demeriti?”

De Siano: “FI è decisamente nel centrodestra, non scherziamo proprio”

Rotondi: “Tu mi puoi dire: al voto vuole andarci Zingaretti, Conte no. E’ così davvero? Il premier ha una fiducia mediana, uno status di democristano ante litteram. Sta nel mezzo, non piace e non dispiace, sorride al colto e all’inclita, al borghese e all’operaio. Zingaretti può benissimo dirgli: farai il nostro candidato premier. Finanziarie assassine non ne hai ancora approvate, ti va bene presentarti agli elettori”

Polverini: “Al di là delle urla degli ultimatum televisivi io vedo calma piatta. Massima confusione in Parlamento. Nessuno sa cosa ne sarà del domani. Dai, non scherziamo”

Rotondi: “Ricordiamoci che Conte ha celebrato la figura di un personaggio storico della Dc irpina come Fiorentino Sullo. E a maggio sarà chiamato a onorare la memoria di Aldo Moro. Dimmi come un democristiano possa sentire il disagio di accompagnarlo, eventualmente, in un futuro prossimo”

Polverini: “Renzi è imbestialito anche dai nomi che stanno uscendo per il prossimo giro di poltrone. Vedi D’Alema alla presidenza di Leonardo”

Rotondi: “Le nomine ci azzeccano eccome”

Polverini: “Il centro è un magna indefinibile”

De Siano: “Sinceramente noi di Forza Italia non stiamo messi bene”

Rotondi: “Proprio per questo l’azzardo di Renzi è divenuto un allungo temerario. Se pure ci fosse un battaglione di responsabili con lo spadone impugnato e la voglia di combattere fino all’ultimo pur di rimanere qua dentro, non è detto che Conte li accolga. Al massimo gli fa fare un giretto fino all’autunno. Dopo Conte ci sono solo le elezioni. Questo mi pare chiaro”

Polverini: “Non cade”

De Siano: “E poi se cade si vota, ma come ho detto io sono pronto anche al sacrificio”.

Decalogo contro la paura

1. Le passioni, quelle intime e quelle civili, aumentano le difese immunitarie. Essere entusiasti per qualcuno o per qualcosa ci difende da molte malattie.

2. Leggere un libro piuttosto che andare al centro commerciale.

3. Fare l’amore piuttosto che andare in pizzeria.

4. Camminare in campagna o in paesi quasi vuoti.

5. Capire che noi siamo immersi nell’universo e che non potremmo vivere senza le piante mentre le piante resterebbero al mondo anche senza di noi. Stare un poco di tempo lontani dai luoghi affollati può essere un’occasione per ritrovare un rapporto con la natura, a partire da quella che è in noi.

6. Viaggiare nei dintorni. Il turismo è una peste molto più grande del coronavirus. È assurdo inquinare il pianeta coi voli aerei solo per il fatto che non sappiamo più stare fermi.

7. Sapere che la vita commerciale non è l’unica vita possibile, esiste anche la vita lirica. La crisi economica è grave, ma assai meno della crisi teologica: perdere un’azienda è meno grave che perdere il senso del sacro.

8. La vita è pericolosa, sarà sempre pericolosa, ognuno di noi può morire per un motivo qualsiasi nei prossimi dieci minuti, non esiste nessuna possibilità di non morire.

9. Lavarsi le mani molto spesso, informarsi ma senza esagerare. Sapere che abbiamo anche una brama di paura e subito si trova qualcuno che ce la vende. La nostra vocazione al consumo ora ci rende consumatori di paura. C’è il rischio che il panico diventi una forma di intrattenimento.

10. Stare zitti ogni tanto, guardare più che parlare. Sapere che la cura prima che dalla medicina viene dalla forma che diamo alla nostra vita. Per sfuggire ala dittatura dell’epoca e ai suoi mali bisogna essere attenti, rapidi e leggeri, esatti e plurali.

“Attenti agli ospedali. Quelli di provincia non sono attrezzati”

“I casi aumentano, sempre nella stessa area. Perché ora si fanno i test a chi ha i sintomi e, man mano che si va a scavare, quelli vengono fuori. E lo stanno facendo a un ritmo elevato. Si spera che siano dei cluster, che siano connessi l’uno con l’altro e che con le misure straordinarie decise dal governo si riesca a contenerle per un po’”. Pier Luigi Lopalco, professore ordinario di Igiene e Medicina preventiva all’Università di Pisa, non è sorpreso.

“Questo aumento dei casi è esattamente quello che ci si aspetta da un virus che si trasmette per via respiratoria”, spiega. “I calcoli fatti fin da gennaio dai modellisti ci dicono che ogni 6 o 7 giorni i casi raddoppiano. Significa che ogni settimana c’è un aumento esponenziale degli stessi. Numeri che valevano per la Cina e ora anche per l’Italia”. Come si spiega, però, che da noi c’è un numero di contagi sei volte superiore a quella degli altri Paesi europei? “È strano. Due possibili spiegazioni. La prima è che il nostro Nord est è zona di scambi commerciali con la Cina. È un area di produzione di tecnologia meccanica che ha un viavai di manager e tecnici con l’Estremo oriente che potrebbe aver fatto arrivare il virus senza far scattare l’allarme. Ma anche la Germania ha scambi con la Cina, si potrà obiettare”.

Di qui l’altra ipotesi, che riguarda il modo in cui ci siamo accorti del focolaio, cioè per caso. “Un signore di 38 anni aveva polmonite, un anestesista ha insistito nel domandare se avesse avuto contatti con la Cina e un’informazione sbagliata: l’uomo ha detto di essere stato con un amico che era stato lì, ma non era vero. Da qui il falso caso zero. Un semplice episodio epidemico. Allora domando: non è che in Germania sta circolando il virus ma i tedeschi, e anche gli altri Paesi, stanno cercando solo i contatti con la Cina e non stanno verificando tutti quelli che hanno la polmonite negativa per influenza, che poi si rivelano casi di Covid-19?”.

La questione del metodo riguarda anche l’Italia. “Da noi se uno si presenta con i sintomi in un ospedale a Roma gli vengono fatte alcune domande: ‘Sei stato in Cina?’ è la prima. La seconda: ‘Sei stato a contatto con persone che sono state in Cina?’. Se la persona risponde a entrambe no, il tampone non gli viene fatto. Questo sistema serve a trovare il famoso caso zero, ma se quest’ultimo non viene individuato e ha cominciato a creare casi secondari senza che nessuno se ne accorge, con questo metodo quelli secondari non li becchi. Il signore di 78 anni di Vo’ Euganeo che è morto non era stato in Cina, forse aveva contratto il virus giocando a carte al bar”. Ora bisogna attendere e osservare: “Se il caso zero è rimasto nella stessa area, si può contenere la diffusione. Se, invece, ora è in Campania è probabile che abbia creato una nuova catena di contagio lì e noi ancora non lo sappiamo. Ma se non siamo riusciti a trovarlo finora, difficilmente lo troveremo”.

Nel frattempo le istituzioni si sono mosse: le aree del Nord più colpite sono state isolate, sospese manifestazioni pubbliche e sportive, serrate attività commerciali, scuole e università. “Tutte misure utili a contenere, però la Cina ci ha dimostrato che la quarantena rallenta ma non blocca la trasmissione – spiega Lopalco –. Nonostante tutto il virus ha varcato i confini, ha raggiunto altri Paesi”. Come il nostro. “Ora il rischio è che i contagi si diffondano nelle grandi città. A quel punto? Chiudiamo Milano o Roma? Ormai non lo fermiamo più. Adesso bisogna fare in modo che il virus faccia meno danni possibile e approntare quella che si chiama ‘fase di mitigazione’, ovvero preparare gli ospedali”.

A partire dai piccoli centri, prosegue Lopalco. “Provi a chiamare il direttore sanitario di un qualsiasi ospedale di provincia e gli domandi se nell’ultima settimana ha fatto un’esercitazione o ha valutato quanti posti sono disponibili in rianimazione in caso di emergenza. Le dirà di no, perché nessuno ha detto loro come affrontare la questione: come preparare i percorsi per evitare che i potenziali malati si fermino nei pronto soccorso, attrezzare le stanze in modo che gli infettati siano isolati, fare scorta di materiali di protezione come mascherine e occhiali. Questo investimento non viene fatto”.

La sanità, quindi, a partire dal ministero dovrebbe entrare in un diverso ordine di idee. “Dobbiamo capire che sta arrivando una brutta ondata influenzale. La prima cosa è preparare il personale. Non sono preoccupato per il Sacco di Milano o lo Spallanzani di Roma, ma di tutta la provincia in cui ci sono strutture assolutamente impreparate. Fin quando i casi sono pochi, li si mette in ambulanza e li si manda al Sacco. Ma i numeri saranno simili a quelli di una epidemia influenzale, 10 o 15 casi di infezione al giorno in ogni cittadina, saremo pronti?”.

Un esempio che fotografa la questione la fornisce la cronaca: “Molti dei casi rilevati finora riguardano operatori sanitari. Quindi c’è gente che non si difende dalle infezioni in ospedale. Attenzione, non è questione di professionalità: siamo bravissimi nell’assistenza perché il livello dei nostri medici e dei nostri infermieri è elevato. Siamo meno bravi nella prevenzione”.

Lo stop agli aerei sul banco degli imputati. Ma il contagio può essere iniziato a gennaio

Scrive Dagospia, commentando i dati che indicano l’Italia come il Paese europeo con il maggior numero di casi del nuovo coronavirus, il primo dopo Cina e Corea del Sud: “Qual è il problema? Sembra sia stato il blocco dei voli deciso dal ConteCasalino e da Speranza per prendersi le prima pagine dei giornali. È sorprendente che il Paese che ha vantato di aver adottato le misure più stringenti, oggi risulta essere il più colpito. In sostanza: bloccando i voli dalla Cina si è instaurato un meccanismo degli arrivi attraverso voli indiretti, arrivi dunque innumerevoli (da ogni parte del mondo) e incontrollabili in modo approfondito”. Secondo Dagospia “nessuno è rientrato in Spagna o in Germania da voli indiretti. E tutti quelli che rientrati dalla Cina sono stati messi direttamente in quarantena. Altro che termoscanner”. In realtà, non c’è isolamento obbligatorio per chi arriva dalla Cina in Francia, Germania o Spagna. Gli Usa non fanno entrare chi è stato nella Cina continentale negli ultimi 14 giorni, per i cittadini statunitensi c’è l’isolamento ma il sistema è ritenuto non infallibile.

Il blocco italiano dei voli, che ha creato anche qualche problema politico interno e nei rapporti con Pechino, è stato ordinato dal governo il 31 gennaio. E il cosiddetto “paziente zero” che ha innescato inconsapevolmente e incolpevolmente il contagio, ammesso che sia davvero solo uno, non è stato ancora individuato, né in Lombardia, né in Veneto, né altrove dove sono state contagiate persone che non sembrano aver avuto rapporti con il ceppo lombardo. Se fosse stato il manager che aveva cenato con il 38enne di Codogno ricoverato in gravi condizioni a Milano – e che, invece, non risulta avere gli anticorpi e quindi certamente non ha mai avuto il Covid19, neppure senza sintomi – sarebbe comunque rientrato prima del 31 gennaio, con il volo diretto perché il blocco non c’era.

“Da noi si stanno registrando casi secondari, cioè di persone che sono state contagiate in Italia, senza essere state in Cina, da individui provenienti da lì prima del blocco dei voli diretti con la Cina”, diceva ieri il professore Massimo Galli, il professor Massimo Galli, ordinario di Malattie infettive a Milano, al Corriere della Sera. E ancora Walter Ricciardi, docente di Igiene alla Cattolica e consigliere dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: “Quello che è successo in Italia è un caso da manuale in cui una o più persone vengono contagiate da chi arriva da un luogo di epidemia, e poi ci sono dei contagiati secondari con lo stesso tempo di incubazione”. Insomma, il virus potrebbe essere arrivato in Italia a gennaio ma, a parte i due turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani di Roma, potrebbe essere stato scoperto solo negli ultimi giorni perché i controlli sono diventati più frequenti. Ne hanno fatti 4000 da giovedì. Prima, come sappiamo, non era stato controllato neppure Alberto Trevisan di Vo’ Euganeo (Padova), 78 anni, la prima vittima del Coronavirus in Italia, che pure era ricoverato da giorni all’ospedale di Schiavonia a Monselice. E in altri Paesi europei, come la Francia, dove i casi sono stati fin qui molto meno numerosi che in Italia, le autorità si attendono un aumento. Ad ogni modo a questo punto è improbabile, secondo gli esperti, che si riesca a ricostruire la catena fino all’ipotetico “paziente zero”, quindi nessuno saprà mai se il virus è arrivato in Italia prima o dopo il 31 gennaio e con quale aereo. Infatti anche Dagospia, nell’attribuire la responsabilità al governo, scrive: “Sembra”.

Quanto invece ai controlli più rigidi, cioè all’isolamento, per chi comunque è arrivato dalla Cina, il discorso può essere diverso. I tamponi non bastano. In Italia e non solo.

Caro “Giornale”, di Eni abbiamo sempre scritto: voi dov’eravate?

Il Giornale ha scoperto il conflitto d’interessi, e questa è una buona notizia. Purtroppo l’ha scoperto in casa del Fatto che, secondo Luca Fazzo, non dovrebbe criticare l’eventuale conferma di Claudio Descalzi all’Eni perchè Stefano Feltri sarebbe “a libro paga” di Luigi Zingales (per la verità lavora per la Chicago University dove Zingales insegna), “principale oppositore” di Descalzi e “aspirante ad” dell’Eni. Ora, Zingales fu consigliere indipendente dell’Eni, da cui fu costretto a dimettersi dopo una serie di losche manovre per farlo addirittura indagare perché faceva il suo dovere: denunciava gli scandali dell’Eni. Che aspiri a succedere a Descalzi non risulta da nessuna parte, essendo un economista, non un manager. Quanto al nostro Feltri, scrive ciò che ha sempre scritto tutto il Fatto – dal sottoscritto direttore a Barbacetto, Di Foggia, Feltri, Lillo, Massari, Meletti, Milosa e Tecce – da quando Descalzi è sotto processo per corruzione internazionale (reato già accertato per l’affaire Nigeria dalle sentenze in abbreviato su due mediatori nel 2018). Intanto, mentre noi raccontavamo a colpi di scoop le inchieste sull’Eni e i tentativi di depistaggio, il Giornale pubblicava soffietti tipo “Eni fa squadra sull’energia del mare” o “Eni fa un blitz negli Emirati e si rafforza in vista del piano”. Dunque è per noi un grande successo che ora, sia pure per attaccarci, il Giornale sia costretto a scrivere in prima pagina che certo, è un po’ imbarazzante che la moglie di Descalzi “controlli una società che fa affari con Eni” (300 milioni di dollari di appalti, per la precisione). Come noi abbiamo sempre raccontato e il Giornale mai. Ora, per completare l’opera sui conflitti d’interessi, Fazzo potrebbe narrare ai suoi lettori come mai lasciò Repubblica quando si scoprì che spiava i suoi colleghi per conto di Marco Mancini, funzionario dell’opera pia Sismi-Pollari-Pompa.

Sciacalli e fake news: “Colpa del governo”, “Lodi occulta i morti”

Forse non sarà il momento giusto per farsi prendere dal panico, ma senz’altro è quello ideale per bombardare il governo Conte, accollandogli morti e pandemie. Dev’essere più o meno questo il ragionamento che circola nelle redazioni dei giornali di destra, che ricalcano su stampa quel che Matteo Salvini mette in pratica sul piano politico. E allora il Coronavirus diventa la clava da agitare contro il premier e i ministri. Ieri La Verità, piuttosto che dar conto dei morti e della cronaca, preferiva aprire la prima pagina in chiave anti-Conte, pubblicando il faccione del premier e ribaltando una sua vecchia frase: “‘Noi sul virus primi in Europa’. Sì, per morti e contagiati”.

D’altra parte la linea editoriale era chiara già dal giorno precedente, quello in cui per la prima volta si raccontava l’arrivo del virus in Italia: “Un governo in quarantena”.

Pure Il Giornale, nei giorni in cui Silvio Berlusconi sceglie il silenzio sul tema Coronavirus, va dietro a Salvini. Il leader leghista non fa passare quarto d’ora senza post sui social o dichiarazione in tv, come ieri a Non è l’Arena: “Quarantena volontaria per chi torna dalla Cina? Ma stiamo scherzando? #ConteDimettiti”; “Gli italiani chiedono verità. Se qualcuno non ha fatto il suo dovere, per incompetenza, incapacità, ignoranza, non può finire a tarallucci e vino”; “Il Viminale ha autorizzato lo sbarco di quasi 300 immigrati clandestini. Nemmeno nella situazione di grave emergenza nazionale in corso il governo ritiene di dover chiudere i porti. Non ho parole”.

Contenuti poco diversi dall’ultimo editoriale di Alessandro Sallusti: “Affidarsi alla prevenzione fai da te, non obbligare alla quarantena chiunque provenisse dalla Cina è stato un errore che oggi paghiamo caro”. E ancora: “Facciamo finta di niente o chiudiamo i porti? Che senso ha limitare i rapporti sociali in città se poi non limitiamo i rapporti con possibili nuovi portatori più o meno sani?”. La ricetta di Sallusti è chiara: “La strada da prendere per salvarsi porta a destra che più a destra non si può”. Più a destra di Berlusconi, appunto. E pensare che il giorno prima Sallusti elogiava il governo, imputando al presunto paziente zero una colpevole ingenuità: “L’irresponsabile sarebbe lui, non il sistema di protezione messo in atto dal governo”.

Ma nella scia di Salvini c’è anche Libero. Ieri il titolo in prima era facilmente confondibile con un comunicato stampa leghista: “Prove tecniche di strage. Il governo agevola la diffusione del virus”. Poco sotto, si chiede la testa di Roberto Speranza: “Perché il ministro della Salute deve dimettersi al più presto”. Non solo: “Si è mandato a processo Salvini per aver ritardato di alcuni giorni lo sbarco di qualche decina di immigrati e in quel caso non era morto nessuno, e non si mandano a processo Speranza e Conte per verificare se sussistono delitti colposi contro la salute pubblica?”. Si finisce sempre lì: povero Matteo, aveva ragione lui. Sui migranti, sul virus, su tutto. E dove non arrivano i giornali ci sono i social. Come racconta Lorenzo Rinaldi, direttore del Cittadino di Lodi, è su Facebook che si legge di tutto: “Chiunque si improvvisa esperto tirando in mezzo zii e cugini. E c’è persino chi sostiene che a Lodi si stiano nascondendo i morti”.

Terza vittima e 150 infetti nel Nord barricato in casa

Le vittime salgono a tre, i contagiati superano quota 150 e il “paziente zero” portatore del virus non è stato individuato: il bilancio, in costante aggiornamento, del Coronavirus in Italia non è rassicurante. Dopo la morte di un pensionato nel padovano e di una 76enne di Casalpusterlengo, l’ultimo decesso si è registrato ieri a Crema: si tratta sempre di un’anziana, ricoverata nel reparto di oncologia dell’ospedale cittadino. Numeri. Di ora in ora sale il numero delle persone che hanno contratto il Covid-19, soprattutto in Lombardia (110 casi), Veneto (21) ed Emilia-Romagna (9), a cui si aggiungono il ricercatore guarito nel Lazio e la coppia di turisti cinesi ancora allo Spallanzani. Scendono invece da 6 a 3 i casi in Piemonte. Degli oltre 150 contagiati – annunciati dal capo della protezione civile Angelo Borrelli –, 55 sono ricoverati con sintomi e 25 in terapia intensiva, 19 sono in assistenza domiciliare e 27 in verifica. Il nostro è diventato così il terzo Paese al mondo per malati, dopo la Cina (77 mila) e la Corea del Sud (602). “I numeri potrebbero crescere, ma non dobbiamo spaventarci”, ha chiarito il premier Giuseppe Conte, aggiungendo che i tamponi effettuati sulla popolazione sono circa 4 mila. “Anch’io sono rimasto sorpreso dall’esplosione dei casi, ma ce la faremo. Anche Berlusconi mi ha chiamato con una cortese telefonata. Ho sentito Meloni, ho cercato Salvini, ma non mi ha mai risposto. Il suo atteggiamento è molto triste”. Intanto, per fronteggiare l’emergenza, il governo ha stanziato altri 20 milioni di euro.

Luoghi e provvedimenti. La Regione più colpita finora è la Lombardia, che ha deciso di adottare misure draconiane anti-contagio almeno per una o due settimane: chiusi scuole (e stop alle gite), università, musei, teatri e cinema; vietate le manifestazioni pubbliche; sospese le partite di calcio (solo in serie A, ieri, sono state 4: Atalanta-Sassuolo, Hellas Verona-Cagliari, Inter-Sampdoria e Torino-Parma) e persino le messe e le funzioni religiose (chiuso il Duomo di Milano); serrati i bar, i pub e le discoteche dopo le 18. Provvedimenti simili anche in Piemonte, Emilia-Romagna e nel Veneto, che ha dovuto rinunciare allo storico Carnevale di Venezia, dopo la notizia di due malati in centro. Anche lì, niente messe, come deciso dal Patriarca Moraglia. Misure di sicurezza arrivano anche da zone non direttamente colpite: ad esempio, Vicenza ha annullato il Carnevale, così come Acerra (Napoli), mentre a Genova e in Friuli-Venezia Giulia chiudono le università. Intanto, il ministero dell’Economia studia con l’Abi (banche) un’ipotesi di sospensione delle rate dei mutui e altri adempimenti (tributi, bollette…) per famiglie e imprese delle “zone rosse”. E Fs rimborserà chi rinuncia a viaggi a rischio.

Panico. In Lombardia i supermercati sono stati presi d’assalto, soprattutto per cibo e mascherine, mentre il governatore Fontana sta valutando se chiudere i negozi. Alcune trasmissioni televisive che si registrano nell’hinterland milanese, come Le Iene, hanno rinunciato al pubblico in studio, e nei Comuni “focolaio”, dove non si può entrare né uscire, c’è chi parla di “guerra” e “panico assoluto”. Il divieto di allontanamento e ingresso c’è solo in Veneto a Vo’ Euganeo e in Lombardia a Codogno, Castiglione d’Adda, Casalpusterlengo, Fombio, Maleo, Somaglia, Bertonico, Terranova dei Passerini, Castelgerundo e San Fiorano. Qui 500 agenti e militari presidieranno 24 ore al giorno 35 varchi di accesso alla zona rossa lombarda e 8 a Vo’. Sono attesi anche i medici dell’Oms.

Polemiche tra prof. Dopo il post su Facebook di Maria Rita Gismondo, direttore di Macrobiologia al Sacco di Milano (“Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale”), il professor Roberto Burioni ha tuonato contro le fake news dei colleghi: “Qualcuno ripete una scemenza gigantesca: la malattia causata dal Coronavirus sarebbe poco più di un’influenza. Non è vero”. Più mite il commento della virologa Ilaria Capua: “Questa è un’emergenza sanitaria che possiamo chiamare sindrome influenzale da Coronavirus”.

“Curiamoli a casa loro”. Mentre i migranti sbarcati a Pozzallo sono risultati negativi ai test, Marine Le Pen auspica controlli al confine tra Francia e Italia e i partiti di destra in Svizzera reclamano frontiere chiuse, in primis ai frontalieri. Ieri l’Austria ha bloccato un nostro treno al Brennero per due casi sospetti e la Romania impone la quarantena per chi arriva da Lombardia e Veneto. Anche in Italia c’è chi attua i primi “respingimenti”: l’isola di Ischia ha chiuso i porti a lombardi e veneti e lo scrittore Ottavio Cappellani ha pubblicato una provocazione sui social: “Al Nord c’è il Coronavirus, in Sicilia no. Chiedo al sindaco di Catania e al presidente della Regione di evitare lo sbarco e l’accoglienza di leghisti vari perché portano malattie”.

Ma mi faccia il piacere

Il virologo. “Non tutti i mali vengono per nuocere. Il Coronavirus se dilaga in Africa finalmente sarà possibile in Italia chiudere i porti per motivi sanitari senza scomodare il razzismo” (Vittorio Feltri, Twitter, 17.2). Chiudiamo porto di Casalpusterlengo.

Il penalista. “Duilio Poggiolini. Quello coi soldi delle tangenti nel puff, per chi non ricordasse… Compare spesso nei film sugli anni 90. Fa sempre scena: il mostro senza scrupoli dalle ville opulente e la coscienza di un rettile. Martedì, per quella storia, Poggiolini è stato assolto. Ma tanto nessuna sentenza sarà mai persuasiva come dieci sceneggiature, e i più, anziché la verità processuale, si terranno quella cinematografica” (Mattia Feltri, La Stampa, 20.2). Ne avesse azzeccata una. Poggiolini non è stato assolto per il sangue infetto martedì scorso, ma il 25 marzo 2019. Ed è stato condannato definitivamente a 4 anni e 4 mesi per le tangenti sulla sanità (comprese quelle nel puff), col sequestro di 39 miliardi di lire (29 a lui e 10 alla moglie), anche se non ha scontato un giorno di galera grazie all’indulto. Ritenta, Mattia: sarai più fortunato.

Il giureconsulto/1. “La giustizia, dunque, deve sempre guardare al futuro, non cristallizzando né il reo né la società nel momento della lacerazione manifestatosi con il reato” (Luigi Manconi, Repubblica, 17.2). P.q.m. si condanna l’imputato per i reati commessi nel 2099.

Il giureconsulto/2. “Quando provammo ad abolire l’ergastolo e a modificare il 41bis” (Franco Corleone, garante per i detenuti della Regione Toscana, Il Dubbio, 18.2). E se ne vanta pure.

Un po’ incinta. “Del Turco fu massacrato, la sua giunta sciolta, tutti arrestati… Siamo stati assolti da quasi tutto” (avv. Gian Domenico Caiazza, presidente Unione Camere Penali, il Foglio, 22.2). A parte la condanna in Cassazione a 3 anni e 11 mesi. Dopo la famosa ragazza un po’ incinta, ora abbiamo il pregiudicato quasi assolto.

Punizioni esemplari. “Travaglio è un bullo. E i bulli vanno puniti. Anzi andrebbe punito non solo con i risarcimenti legati alle singole querele di Renzi o altri ma anche dalle autorità competenti. Ci lamentiamo del linguaggio dei politici ma Travaglio si esprime e fa bullismo da anni” (Nathania Zevi, “giornalista Rai”, Twitter, 21.2). E come rimaniamo: mi arresti tu o mi mandi tuo cugino?

La Salvinistra. “Renzi e Conte, due stili ma un solo melmoso destino” (l’Espresso, 23.2). E sempre forza Salvini.

Il Salvirenzi. “Salvini: su alcuni temi Renzi ha delle ragioni” (La Stampa, 22.2). Sono soddisfazioni.

Corriere della sega. “Lo ha detto il leader della sega Matteo Salvini” (Corriere della sera, 16.2). La lingua batte dove il dente vuole.

I have a dream. “Gozi: ‘Ho realizzato il sogno di Pannella’”, “Tra le poche notizie positive della Brexit c’è l’ingresso al Parlamento europeo di Sandro Gozi” (il Riformista, 20.2). In effetti Pannella per questo ha combattuto tutta la vita: per trovare una poltrona a Gozi. Vasto programma.

La medaglia. “Il primo ministro scelto dal M5S non è democristiano” (Marco Follini, ex Dc, ex Ccd, ex Udc, ex Pd, il Foglio, 21.2). Ah meno male. Per un attimo avevamo temuto che Giuseppe Conte avesse qualcosa a che spartire con chi, come Follini, stava prima con Andreotti, poi con Berlusconi, Previti, Dell’Utri e Cuffaro. Poi la sua smentita ci ha levato un peso.

Cuppi dissolvi. “Ecco Valentina Cuppi, il volto nuovo del Pd. La sindaca di Marzabotto proposta presidente. ‘Mai stata nel partito’” (Repubblica, 22.2). Cioè: ora il Pd è presieduto da una che non è neppure iscritta al Pd. Però prima il presidente era Orfini, il che spiega tutto.

Il titolo della settimana/1. “Renzi come De Gaulle: facciamo la Quarta Repubblica” (Il Riformista, 20.2). Uahahahahahah.

Il titolo della settimana/2. “Renzi vuole un riconoscimento politico. Rosato al premier: il mio telefono è acceso” (il Messaggero, 19.2). A Rosa’, spegni pure tranquillo.

Il titolo della settimana/3. “Nencini: ‘Io sottosegretario? Non mi chiama nessuno’” (Repubblica, 19.2). Da bravo, fai come Rosato.

Il titolo della settimana/4. “Effetto Di Maio in Libia: si spara più di prima” (Libero, 19.2). Glielo fanno apposta.

Il titolo della settimana/5. “L’ex Br Etro ha perso il sussidio di Stato: ‘Ora andrà in galera e vi costerò di più’” (La Verità, 21.2). Stai senza pensieri, paghiamo volentieri.

“Mi chiamavano ‘italiano di merda’: ora MasterChef è diventato una rivincita”

Le pentole erano i suoi Lego, “le mani nell’impasto il mio pongo; con i mestoli magari fingevo di suonare una musica non ben precisata”; la cucina del ristorante di famiglia, nella campagna varesina, il Luna Park. Giorgio Locatelli è il vero frutto della sua storia: è sapore per la vita e gusto per la scoperta, e quando parla mette la giusta sapidità a un piatto “personale” che cucina da sempre, che dosa da trenta e passa anni, da quando giovincello “ho superato il confine fisico e mentale per aggiungere spezie alla mia anima”. Così, mentre l’edonismo affogava il Paese, negli anni Ottanta ha raggiunto prima l’Inghilterra, poi la Francia (“dove mi definivano ‘italiano di merda’”), quindi di nuovo a Londra per aprire il suo primo ristorante e conquistare la Stella Michelin. Adesso è tornato come giudice di MasterChef, e “per me è una rivincita”.

Ora c’è la questione Brexit.

Mia moglie è inglese, e con il sorriso è tornata ad appellarmi ‘immigrato’.

A lei brucia.

Non con mia moglie, ci mancherebbe, ma questa storia è una totale idiozia: il giorno dopo il voto mi sono svegliato con il mal di stomaco.

Anacronistici?

Provengo da un’altra storia, e la rivendico; nel 1989 sono corso a Berlino quando è caduto il muro: tre giorni fantastici, intensi, adrenalinici, talmente forti da non prevedere le ore di sonno. Nessuno voleva perdere le sfumature del tempo.

E…

I cittadini di Berlino Est appena superavano il muro entravano nei supermercati e acquistavano le banane, e mentre camminavi dovevi stare attento perché le strade erano ricoperte di bucce.

Il cibo è sempre stato un parametro.

Non solo mio, ma in assoluto: al confine tra Berlino Est e Ovest gli occidentali avevano piazzato un grande magazzino, tutto luci e meraviglie gastronomiche, per simboleggiare l’opulenza davanti al razionamento (il KaDeWe).

Insomma, oggi…

Per anni ho sentito l’Italia avvicinarsi all’Inghilterra e grazie al cibo: dagli anni Novanta in poi sono arrivate continue novità, quindi c’è stata una legislazione a livello europeo dedicata ai prodotti alimentari; ora tutto ciò andrà rielaborato ed è folle.

Sempre il cibo…

Sembrerà strano, ma vent’anni fa in Inghilterra non conoscevano i borlotti freschi, oppure il cavolo nero; piano piano sono arrivati, e non solo è diventato un business, ma anche un aumento della qualità della loro nutrizione.

Lei è testimonial.

Il mio esordio in Inghilterra è del 1985, poi sono andato a lavorare in Francia…

Anche lì “immigrato”?

Mi definivano ‘italiano di merda’, e se fosse stata una tantum ci avrei riso, al contrario era un continuo, e per un anno e mezzo nessuno mi ha appellato con il mio nome. Nessuno.

Simpatici.

Restavo zitto, mai una ribellione: ero dentro un ristorante a tre stelle Michelin, il mio sogno, non potevo soccombere, non potevo offrire una scusa per interrompere il mio percorso professionale.

Ingoiava.

Sì, nella testa ero obbligato, era il pegno ai miei sogni, ma non ci stavo bene: ho impiegato anni per ricostruire il mio respect (intende amor proprio), perché certe situazioni ti uccidono psicologicamente, azzerano chi sei.

Rischioso.

Quando sono tornato da Parigi pesavo circa 60 chili ed ero già alto un metro e 81. Scheletrico.

Quando i suoi l’hanno rivista?

Nonna fu la più coraggiosa e reattiva, mi portò immediatamente dal dottore e la diagnosi fu semplice: malnutrizione. Quindi prescrisse una dieta ipercalorica e progressiva. Anche il fisico doveva riabituarsi con calma, come un disidratato che ha attraversato il deserto.

Niko Romito, tre stelle Michelin, sostiene che la vostra è una professione totalizzante.

Romito è arrivato molto più in alto, e probabilmente ha rinunciato più di me alla vita comune. (sorride) Comunque è vero, e una delle vittime-testimonial è mia figlia: non ho mai potuto assistere a una sua recita, non so quante cene della Vigilia ho saltato, o pranzi di Natale. Per fortuna mia moglie ha assorbito il fardello dei sensi di colpa.

Sempre al ristorante.

A Londra si lavora sette giorni su sette, mentre quando ero bambino, e i miei gestivano un ristorante di campagna, i tempi lavorativi erano molto differenti.

Lei già in cucina…

Sempre, ho ancora nel cervello il profumo del brodo preparato ad arte, con un rigore quasi religioso (ci pensa un po’). Sì, a mia moglie devo veramente molto.

Lavorate insieme…

E insieme abbiamo deciso di aprire il ristorante, anzi è stata lei a percorrere l’ultimo miglio, quello del coraggio.

Sua moglie ha dichiarato che all’inizio lei era inguardabile, vestiva con un maglione di Snoopy.

Ma era il top! Era la moda dei paninari milanesi: lo aveva portato a Londra un amico italiano, e me lo lasciò come eco di un presente a me lontano, quando sentivo i racconti di chi usciva e si divertiva, mentre la mia dimensione era ai fornelli.

Vince l’ossessione.

Vince l’obiettivo.

Il suo collega Barbieri ha dichiarato al Fatto: “Se mi tolgono una stella finisco dallo psicologo”.

Le stelle sono un po’ il coronamento di una carriera, è come un grande atleta che conquista una medaglia d’oro alle Olimpiadi, ma attenzione: senza medaglia resti comunque uno sportivo.

E per lei?

Uno non apre un ristorante per ottenere una stella, ma per soddisfare la propria visione di ristorazione, poi magari arriva il riconoscimento ed è molto utile, ancor di più per le attività di campagna o provincia, dove è necessaria l’esposizione mediatica.

In città?

Funzionano le recensioni del Guardian o del Times, e resta importante mantenere la stella conquistata tanti anni fa; il problema è che oggi tutti s’illudono di saper cucinare un po’ come tutti ritengono di saper fotografare e solo perché strappano like sui social.

Grazie ai social e alla tv i clienti sono tutti esperti.

Uno dei primi chef con il quale ho lavorato si raccomandava con i camerieri: ‘Non domandare mai cosa ne pensano del piatto, altrimenti te lo dicono!’. Ecco, Tripadvisor è un po’ così, ma non lo uso, non leggo, solo mia moglie controlla; l’altro giorno un tizio ha pubblicato una recensione su un piatto di pasta, peccato che ha mangiato altro.

Un haters.

A Londra il ristorante migliore, il top di Tripadvisor è un fake: un tizio ha creato un profilo e via con le recensioni, ma non esiste, e la gente prova pure ad andarci.

Cosa ne pensa dei critici gastronomici?

Ne ho conosciuti alcuni talmente bravi da insegnare: magari non erano in grado di cucinare neanche un piatto di pasta, ma la loro cultura, la loro visione era talmente alta da trasmettere sapere.

Culturalmente tra voi chef c’è stato un salto di qualità?

Siamo più preparati di un tempo: in cucina ho dei ragazzi italiani in grado di spaziare dall’arte al cinema, fino alla letteratura, e il cibo rientra nell’ambito culturale; quando ho frequentato la scuola alberghiera, gli alunni erano o figli d’arte o furbetti senza futuro.

Refugium peccatorum.

Quelli carini diventavano camerieri, i brutti cuochi.

Lei è quindi un ossimoro.

Perché?

È un bell’uomo.

Non ha idea delle mie condizioni di allora.

I medici definiscono la cocaina, il sale e lo zucchero come i tre killer bianchi.

È verissimo, e in alcune parti del mondo la situazione non è semplice: a Dubai ti pagano in oro se perdi dei chili.

È una battuta?

No, è la realtà: ci sono dei programmi dietetici con questo stimolo economico, perché lì hanno un grave problema legato allo zucchero.

Fulvio Pierangelini, guru della cucina, accusa i programmi tv di puntare troppo sulla perfezione, mentre “l’imperfezione significa coraggio”.

Ha ragione, ma non sempre è possibile: non posso cuocere a regola dei formati di pasta troppo differenti; (sorride) una volta ho provato a seguire il suo esempio…

Quale?

Obbligava la sua brigata a tagliare la cipolla a mano, ‘come le donne a casa’; quando sono tornato ho detto ai miei: ‘Dobbiamo seguire l’esempio’. Dopo pochi giorni avevano gli occhi a pezzi.

Aldo Grasso l’ha lodata per un giudizio su una concorrente: “Questo piatto sa di arroganza”.

Alle eliminatorie giudichiamo 20-25 persone al giorno, e oggettivamente dopo un po’ diventa una rottura di palle e soprattutto capisci da come il concorrente tocca il cibo il suo rapporto con il piatto, e il suo atteggiamento mi aveva veramente colpito. Forse sono stato un po’ duro…

Insomma, tutti chef.

E magari non capiscono quanto è duro come lavoro: nei primi dieci anni di carriera devi essere pronto a tutto; quando ho aperto il mio ristorante, per i primi vent’anni non ho visto una lira, ed eravamo bravissimi a compilare i moduli bancari per ottenere prestiti.

La scimmia l’ha mai assaggiata?

Solo il cervello.

Serpente.

Tantissime volte.

Insetti.

Una grande varietà, non solo le formiche; ma attenzione: ho in assoluto una grande curiosità, e se un elemento fa parte di una cultura culinaria, non resisto e riesco a superare anche lo schifo iniziale.

Tipo?

Con la Bbc sono andato in Sudafrica in un celebre ristorante e lì cucinavano di tutto, carni assurde e scioccanti per i sapori.

C’è un limite?

Non mangio carni che arrivano dai bracconieri, e in Paesi come la Thailandia è complicato mantenere il confine.

Da lei si lascia il cellulare alla reception.

A cena sì, a pranzo è complicato: deve vincere la convivialità e non c’è niente di più odioso che sentire qualcuno accanto che urla al telefono, e tratta il ristorante come un ufficio.

Giusto.

Però dei telefonini mi sta sulle palle chi fotografa i piatti, e quei piatti escono malissimo, e penso ‘me lo hai distrutto’.

È amico di Mick Jagger.

Ricordo una passeggiata per Londra, e mi ha stupito un dato: nessuno lo ha fermato, i fan al massimo lo salutavano; in Inghilterra la privacy è considerata molto importante.

L’Inghilterra è il Paese dei tabloid.

Londra è differente, quando al ristorante arrivano personaggi come Federer, non accade mai nulla, l’unica questione è accontentare le loro esigenze.

Bislacche?

No, da sportivi: Federer mangia 250 grammi di pasta, Dettori al massimo si può concedere 60 grammi di carpaccio, mentre Hamilton 100 grammi di pasta solo pomodoro e senza olio; il fisico viene considerato come un motore.

Un suo vizio?

Il fumo, ma evito per non rovinarmi il palato.

Paura?

Solo timori sui figli.

Scaramanzia?

Se trovo un penny per strada lo raccolgo sempre, anche se è poggiato su una cacca.

Chi è lei?

Difficile. Più che altro parlano le mie azioni.

Il prossimo anno ancora MasterChef?

Mia moglie non è convinta, mi critica per l’assenza. Io voglio; mi piace tanto (cambia tono); prima non avevo combinato nulla in Italia, e tornare nel mio Paese, a gamba tesa, è stata una delle più grandi rivincite della mia vita.

Altro che italiano di merda…

I primi anni i miei genitori sono sempre stati poco convinti della mia scelta, mentre ora le persone che conosco hanno mutato atteggiamento e sono piene d’orgoglio. Non posso rinunciare.