C’è sempre un momento, nel dispiegarsi implacabile della catena alimentare, in cui un organismo si guarda indietro per controllare che nessuno tenti di mangiarlo. Capita anche agli organismi più semplici. Prendi Matteo Salvini: per più di un anno, durante la sua cavalcata di arruffapopolo, non ha avuto bisogno di guardarsi alle spalle, abituato ad avere il resto della destra come truppa di complemento. Ora, invece, vede crescere un concorrente, Giorgia Meloni, e sente quel classico brivido western: non è più l’unico sceriffo in città. I segnali di nervosismo si moltiplicano: non solo per i sondaggi sulla popolarità del leader in cui la Meloni lo supera, ma anche per un certo feeling con i media, che per lui sembra in fase calante (uff, ancora Salvini!), mentre per la sora Giorgia c’è grande interesse e giubilo.
Si aggiunga che l’organismo principale della destra, che è sempre saldamente Salvini, comincia ad avere qualche problema con la preziosa pratica della mimetizzazione. Cioè, era un maestro ai tempi di metti la ruspa togli la ruspa, metti la felpa togli la felpa, metti la divisa togli la divisa, va bene. Ma la cosa funziona meno quando si ritrova a parlare di politica. Insomma, anche un camaleonte fa fatica, se lo metti su una stoffa scozzese. Dunque ecco Salvini antieuropeista, poi corregge un po’, poi parla Giorgetti e aggiusta ancora un po’, poi rimpappa qualcosa di nuovo Salvini, ma dice che questa cosa di uscire dall’Europa gliel’ha detta un pescatore calabrese. Ora capirete il disagio di una forza politica molto forte al Nord, che pretende di parlare alla finanza e all’impresa, che chiede a gran voce di andare al governo, che si fa dare la linea da un pescatore calabrese sull’uscita dalla Ue. Imbarazzo. Si aggiunga la provocazione sull’aborto e gli stili di vita “incivili”. E si aggiunga pure il comportamento sul famoso processo per sequestro di persona, dove già si vede la china, lo scollinamento dal “me ne frego!” ardito e burbanzoso, alla ricerca di cavilli da legulei.
Giorgia s’avanza, insomma. Litigano un po’ sulle candidature alle Regionali (Calabria e Campania). Poi sul Coronavirus (lui accusa il governo, lei frena). Lui – uno che va a suonare ai citofoni accusando la gente di spaccio – imputa a lei di essere “destra radicale”. Lei gli ricorda che in Europa lui sta con la Le Pen. Nemmeno Ionesco avrebbe pensato a una commedia “Fascisti che si urlano: fascista!”. Insomma, in questo nuovo Sandra e Raimondo della grande sit-com italiana, pare che lui perda colpi e lei acquisisca smalto. Fa un viaggio negli States, che è tappa obbligatoria per tutti i leader italiani che vogliano contare qualcosa, fa le cene con i fans finanziatori. Soprattutto, sempre parlando di catena alimentare, ha davanti a sé una grande riserva di caccia. Sembra moderata, e questo piace a chi si è spaventato del Salvini delirante d’agosto. Al tempo stesso quando fa il mascellone volitivo (“Io sono la destra in questo Paese!”) è più credibile di quell’altro che bacia i prosciutti, ovvio.
Gran parte della trama della commedia sarà decisa dai media. Non tanto dai titoli dei giornali o dai commenti politici, quanto dall’arietta pop che si crea intorno al nuovo fenomeno da consegnare al gentile pubblico: la costruzione di una popolarità positiva, da guardare con simpatia. Per Salvini era stata l’elementare estetica del Gian Burrasca (vediamo cos’ha combinato oggi Matteo), per Giorgia sarà l’aplomb da maestrina, severa ma, in fondo, alla mano. I due pescano nello stesso mare, e questa è una cosa che non va mai a finire bene. In più, ognuno dei due punta a essere onnivoro, a nutrirsi cioè sia di elettorato moderato che di curva ultrà. Quindi mettetevi comodi per le prossime puntate. Sandra e Raimondo. Uffa che barba.