Fratello di una vedova di mafia e presunto riscossore del pizzo per conto del boss Gaetano Scotto. Un legame familiare interrotto e riemerso all’indomani del blitz della Dda di Palermo che ha portato all’arresto di otto persone nella borgata marinara dell’Arenella. E oltre al boss accusato anche per l’omicidio dell’agente di polizia Nino Agostino e la moglie Ida Castelluccio, c’è anche Giuseppe Costa, 58enne disoccupato che secondo la Dia era un “esattore delle richieste estorsive destinate poi ai carcerati”. Ma anche fratello di Rosaria Costa, vedova dell’agente Vito Schifani, uno dei tre poliziotti morti nella strage di Capaci col magistrato Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, il 23 maggio ’92.
Gli investigatori, coordinati dall’aggiunto Salvatore De Luca e dai sostituti Amelia Luise e Laura Siani, lo hanno scoperto poco prima della conferenza stampa ed escludono contatti tra i due. Dal 1995 la donna si è trasferita in Liguria con il figlio che all’epoca della strage aveva appena 4 mesi e adesso è ufficiale della Guardia di Finanza. Ai funerali, dopo Capaci, si era rivolta “agli uomini di mafia perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c’è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio…”. Adesso il fratello è accusato di aver fatto da trait d’union “per una forma di rispetto” – scrivono gli inquirenti – prima e dopo la scarcerazione di Scotto.
Tra le viuzze che uniscono le borgate dell’Arenella, Acquasanta e Vergine Maria, lo chiamano “Pino ‘u checcu” (balbuziente). Non c’è conferma alle indiscrezioni secondo le quali avrebbe preso le distanze dalla sorella e il gesto sarebbe stato “apprezzato” dai boss. Secondo le indagini era lui a “riscuotere le estorsioni e tenere la cassa della famiglia” e a “provvedere direttamente al sostentamento di alcuni uomini d’onore delle famiglie mafiose”. Tanto da essere ritenuto un uomo riservato della famiglia di Vergine Maria. “Io vorrei capire Pinù com’è partito tutto questo bordello”, gli diceva Scotto il 7 agosto 2016, poco dopo essere tornato all’Arenella. “Lo ha chiamato di nuovo, gli dice altre fesserie – aggiungeva – che vi siete fottuti i soldi voialtri e non ho parlato e voialtri parlate ancora?”.
Parlavano di un’estorsione a un negozio di ferramenta ed elettrodomestici che “evidentemente era già stata percepita” da Costa che “per una forma di rispetto aveva contattato gli imprenditori anticipandogli che il denaro doveva essere consegnato direttamente a Scotto”. Nelle intercettazioni le tracce per ricostruire la geopolitica del pizzo. “I soldi sono, fino al 2006, poi dal 2006 in poi che minchia chiamavano a me. Lo zio Totò e Nino hanno detto: non andare piu da nessuna parte perché se arrestano a te, soldi non ce n’è. Vacci e gli vai a dire che non li vogliamo piu”, diceva Costa al boss. Quando Scotto tornò all’Arenella, riprese il controllo delle estorsioni. E accennava anche al superlatitante Matteo Messina Denaro: “Quando sarà lo puoi fare venire perché mi manda sempre i saluti di Alessio, di Messina Denaro, questa che non c’è più… questo che è latitante”, diceva nel 2017 riferendosi a un soggetto non identificato.