Il campo da gioco è questo: Facebook ha 2,5 miliardi di utenti attivi al mese, 1,6 miliardi al giorno, nel 2018 venivano caricate quotidianamente in media 300 milioni di foto. Nascono almeno 5 nuovi account ogni secondo e se si dovesse calcolare un post al giorno per ogni utente, sulla piattaforma circolerebbero almeno 365 miliardi di contenuti ogni anno. Tutto questo senza tener conto che a Facebook fanno capo anche Instagram (1,5 miliardi di utenti) e Whatsapp (2 miliardi). La quantità di materiale che circola nel sistema è spropositata e produce dati utilizzati per vendere pubblicità. Un business miliardario, dominante e non regolarizzato per anni. Ora, un cambio di rotta sembra nell’aria. Tale da portare Mark Zuckerberg, il fondatore del social network, a discutere direttamente con Bruxelles. Le grane sono tante, arrivano da regolatori e politici, ma anche dai numeri raggiunti dal colosso.
Nel 2019 il social network ha avuto ricavi per 70,7 miliardi di dollari (erano 55,8 l’anno scorso), utili di 7,34 miliardi nel quarto trimestre rispetto ai 7,8 miliardi del 2018. A pesare sul rallentamento (che a fine gennaio ha fatto bruciare in borsa almeno 30 miliardi di capitalizzazione) è stato l’aumento dei costi per il personale e la sicurezza. L’impero, infatti, è ostaggio di una parola, in Europa come negli Usa: “Responsabilità”.
Mark Zuckerberg a Bruxelles ieri ha incontrato li commissari Ue Margrethe Vestager (Concorrenza e Digitale), Thierry Breton (Mercato interno) e Vera Jourova (Trasparenza) e “responsabilità” è la palla che stanno provato a far rimbalzare. Facebook, contestualizzando quanto previsto dalla bozza del nascente documento programmatico sulla strategia digitale dell’Unione europea per i prossimi cinque anni deve: 1) prendersi la responsabilità della sua posizione dominante che soffocherebbe il mercato digitale europeo e i piccoli player; 2) Prendersi la responsabilità del non pagare le tasse là dove produce utili e non solo dove ha la sede legale (e, per la verità, ne paga pochissime anche lì); 3) essere chiaro e trasparente sul funzionamento dei propri algoritmi e su come vengono utilizzati i dati degli utenti. Richieste chiare e lineari ma di portata enorme per gli affari di Facebook. Il punto su cui l’Ue deve infatti ancora fare chiarezza – si legge nella bozza del documento – è “chiarire quale sia la responsabilità delle piattaforme nel rendere Internet più sicura”. Prospettiva terrificante per l’azienda che potrebbe dover essere responsabile di ogni singolo contenuto pubblicato pur rispettando la libertà di espressione, con un impiego di personale e investimenti enorme. Come se non bastasse, al netto delle sanzioni già inflitte per l’acquisizione di Whatsapp, a dicembre la Commissione Ue ha avviato le indagini preliminari su Google e Facebook chiedendo informazioni e documenti sul funzionamento degli algoritmi e su raccolta e uso dei dati degli utenti dopo lo scandalo di Cambridge Analytica.
Formalmente, Facebook abbassa il capo perché sa che la remissività mascherata da predisposizione al dialogo può ridurre il danno, tanto più che la crociata ai colossi della tecnologia oramai è tema di campagne politiche nonché il cavallo di battaglia dei regolatori. “Non credo che compagnie private dovrebbero prendere così tante decisioni da sole quando toccano i valori democratici fondamentali”, ha scritto Zuckerberg due giorni fa sul Financial Times. E mentre va a Bruxelles, il suo social network pubblica un White Paper per definire “Un cammino da percorrere sulla regolamentazione dei contenuti online” a firma della vice presidente Monika Bickert. Nel testo ci sono le linee guida per strutturare il dibattito.
In sostanza, dice ai regolatori cosa devono fare loro per non soffocare l’innovazione, non colpire la libertà di espressione e non dimenticarsi della globalità di Internet e quindi della necessità di una legislazione praticamente universale. Insomma, dice che la responsabilità di Facebook è solo applicare le regole che arrivano dalla legge purché la legge sia globale e non nazionale. Poca roba, quindi, nessun cambiamento. Il terrore della responsabilità è tale che sabato, alla Security Conference di Monaco, Zuckerberg ha parlato di Facebook come una via di mezzo tra un giornale e una società di telecomunicazioni.
Sui soldi, ha anche sostenuto alla vigilia dell’incontro con i commissari, di essere favorevole a una web tax purché sia uguale in tutto il Mondo, dunque secondo il modello Ocse. Di quella tassa, però, non si vedrà traccia prima di due anni: l’ultima riunione, a fine gennaio, si era conclusa con vaghe proposte da parte degli Usa di un safe harbour non chiaro, con l’opposizione di Olanda, Irlanda e Lussemburgo, con la bocciatura della proposta di votare a maggioranza qualificata. L’Ue dice che farà da sè se lo stallo si prolungherà, ma sono in pochi a crederci