Ma i dem s’arroccano: “Avanti con De Luca”

Era chiaro sin dall’arredamento dei luoghi. Un’ora prima di iniziare la direzione regionale del Pd chiamata a discutere di candidature e alleanze in Campania, sul tavolo della presidenza già erano sparpagliate le copie di “Un anno per la Campania”, volumetto propagandistico della giunta De Luca. La fotografia migliore di come sarebbe andata a finire.

Ieri il governatore uscente dem Vincenzo De Luca – assente, ma c’era il figlio deputato, Piero – ha ottenuto l’investitura di candidato ufficiale del Pd “da proporre al campo largo del centrosinistra”, sintesi del segretario campano Leo Annunziata vergata in una relazione scritta a mano.

E se i 5 Stelle con il nome di Sergio Costa avevano provato in mattinata ad aprire una breccia, il Pd ha reagito con un arrocco. In dieci minuti di relazione pronunciata a braccio e messa nero su bianco al volo, durante una direzione a porte chiuse (“per evitare l’arrivo di truppe cammellate di deluchiani da Salerno” ha spiegato nei corridoi un dirigente napoletano dem), Annunziata ha messo sul tavolo una proposta e un percorso per tenere insieme “la rivendicazione del buon lavoro svolto in questi cinque anni” e uno spiraglio per il dialogo: una delegazione composta dal segretario regionale e dai cinque segretari provinciali per avere rapporti con chi intende stare in coalizione sulla base di un programma condiviso “perché a noi – ricorda Annunziata – non ci sfugge il quadro nazionale”.

La creazione di questa delegazione sarebbe “la novità politica della giornata” secondo il segretario del Pd di Napoli, Marco Sarracino, che invita il M5S “a cogliere questa opportunità e a sedersi a un tavolo quanto prima, già dopo le suppletive del 23 febbraio, per non consegnare la Campania a Salvini”. E ai più non sfugge che l’esito del voto per il collegio 7 di Napoli al Senato, dove il Pd si è alleato al movimento DemA del sindaco Luigi de Magistris lanciando il nome del giornalista Sandro Ruotolo, e il M5S ha preferito correre da solo con Luigi Napolitano, inciderà non poco sulle trattative.

Il documento di Annunziata è stato approvato all’unanimità. Un’unanimità che contiene e nasconde sacche di dubbi e dissensi, di chi ritiene per ora doveroso ripartire da De Luca ma teme che ripuntare su di lui sia la pietra tombale di una ipotesi di intesa col M5S. Tra questi c’è l’area di minoranza che fa capo a Umberto Del Basso De Caro.

Ieri il parlamentare di Benevento non c’era, ma ha mandato una lettera sul “tema non secondario delle alleanze” che lascia trasparire il suo nulla osta a Costa. Anche in chiave “anti Mastella”, per stoppare sul nascere un presunto inciucio tra De Luca e il sindaco: il governatore gli assicurerebbe tre consiglieri comunali dem nella sua nuova maggioranza in caso di ritiro delle dimissioni, Mastella in cambio sarebbe pronto a sostenerlo.

Mossa M5S in Campania: “Il candidato è Costa”

Il passo di lato che tanti chiedevano, ma pochi si aspettavano, è un rilancio al tavolo che vale di più, la Campania. La carta per avere un altro candidato a 5Stelle che tenga in partita il Pd, ma anche per svelare debolezze e contraddizioni dei dem: e poi magari sarà la svolta, magari proprio no. Però di certo la mossa della capogruppo in Regione del M5S Valeria Ciarambino, che in tre minuti di video rinuncia a candidarsi come governatrice e lancia il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, è un convergere tra opposti.

Perché la voleva l’ex capo politico Luigi Di Maio, innanzitutto per puntare un faro sulle divisioni dei dem, per stanarli. Ma ci ha lavorato molto per ragioni inverse anche il presidente della Camera Roberto Fico, pontiere con la sinistra tutta, anche dopo l’assemblea del Movimento a Napoli del 2 febbraio che aveva urlato no all’accordo con il Pd con quasi il 90 per cento di voti. Aggiungere il via libera del capo politico reggente Vito Crimi, ed ecco che ieri mattina Ciarambino, più che dimaiana, ribalta mesi di dichiarazioni: “Mi sento di dire che c’è una persona più capace di me di parlare a tutti, e per me è il ministro dell’Ambiente Costa, quindi se dovesse essere candidato sarò al suo fianco”. Si sposta la capogruppo, che si era sgolata per un M5S da solo alle urne in primavera, con lei di nuovo candidata. Spalanca la via a Costa, perfetto per un accordo con il Pd, a patto naturalmente che dica addio il governatore uscente Vincenzo De Luca, più o meno Satana per i Cinque Stelle. Ciarambino, di Pomigliano d’Arco come Di Maio, una parente acquisita per l’ex capo, lo fa nel giorno della direzione regionale dem, per chiamarli allo scoperto.

E il Pd traccheggia, qualcuno propone di rinviare la direzione, e alla fine l’assemblea vota all’unanimità un documento di sostegno alla candidatura di De Luca, “ma a occhio ora è solo tattica” dicono subito dal M5S. Forse la partita è (ri)aperta. E doveva andare così a detta di tanti big del Movimento, dove quelli che contano sono quasi tutti campani. E ovviamente si parte da Di Maio, che celebra: “Valeria ha dimostrato grande visione e amore per la sua terra, adesso sta a tutti gli interlocutori decidere: passato o futuro, a voi la scelta”. D’altronde è stato lui a convincere la consigliera: contrarissima al Pd, furibonda quando Costa lo scorso 23 dicembre si propose come candidato in un’intervista al Fatto (“Da soli non si vince mai”). Ieri, quel video. E ai suoi Di Maio lo aveva anticipato giorni fa: “Dobbiamo portare allo scoperto i dem, proponendo Costa. E se si spaccano sarà un problema loro”. Ergo, proponendo il ministro l’ex capo vuole incassare un risultato: quale, si vedrà. È il calcolo molto politico del fautore della terza via, cioè dell’equidistanza del M5S dai partiti, che il governo con il Pd non lo avrebbe mai fatto. “Ma non c’è solo questo, Luigi temeva che Valeria finisse bruciata nel voto online su Rousseau, pagando le guerre interne” sussurrano fonti qualificate. Di sicuro Di Maio incrocia la linea di Fico, teorico di una coalizione di centrosinistra in Regione, tanto da andarlo a dire nell’assemblea di Napoli infarcita di dimaiani. “Ma anche tanti parlamentari erano d’accordo, solo che avevano paura di dirlo” sostiene un deputato vicino a Fico. Invece il presidente della Camera commenta così: “Ora va realizzato un progetto comune con al centro Costa”.

Ma per un vero tavolo con i dem si muove da tempo anche un altro campano come Vincenzo Spadafora, ministro dello Sport e dimaiano doc, che infatti esulta: “Costa può garantire un salto di qualità”. Infine c’è il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, che da settimane chiama grillini di governo per invocare un’intesa larga a sinistra, sulla linea di Fico. E il leader di Dema non può che aprire: “Se la disponibilità di Costa significa lavorare per costruire una coalizione civica regionale, allora noi ci siamo perché è per questo che stiamo lavorando”. Però adesso non sarà tutta discesa, anzi. Lo ricordano in serata due consiglieri regionali del M5S, Luigi Cirillo e Marì Muscarà, che scandiscono “no al Pd”. Per questo Costa, in India per una conferenza internazionale, resta in silenzio. “Vediamo prima come reagirà il Pd” spiegano fonti a lui vicine. Bisogna osservare il gioco, adesso. E per competenza il primo a farlo dovrà essere Crimi, reggente che ha un tavolo ingombro di nodi decisivi, compresa la Liguria.

Domenica, nell’assemblea a Genova, la maggioranza di eletti e attivisti ha chiesto di votare su Rousseau su un accordo con il Pd. Ma Crimi continua a nutrire forti dubbi, e comunque deciderà solo dopo un’ulteriore riunione con gli eletti liguri. Nell’attesa, il reggente continua a lavorare per anticipare gli Stati generali al 22 marzo, prima del referendum sul taglio dei parlamentari. “Difficile, ma non impossibile”, riassume un big.

Il mantra degli affari sulla vetta del mondo per il Paulo Coelho di Rignano sull’Arno

“Ci sono momenti in cui è bello riscoprirsi a riflettere, ammirando la natura incontaminata. Anche a 4.000 metri. E quassù non ci sono polemiche ma solo tanta bellezza”. Le parole, come avrete capito dalla loro sconcertante banalità, sono di Matteo Renzi, il Paulo Coelho del Valdarno.

Sembra di vederlo, seduto nella posizione del loto, mentre medita e recita mantra coi monaci del posto bevendo tè masala. Gli è che il Nostro, dopo aver posizionato i candelotti di dinamite nelle Istituzioni, è partito per le nevi del Pakistan. Sappiamo cosa state pensando: ma come, fino all’altro ieri era qua che minacciava di far cadere il governo sulla prescrizione, e adesso è già sulla vetta del mondo che si atteggia a Dalai Lama, staccato dalle cose terrene, tipo Brad Pitt dopo 7 anni in Tibet? Purtroppo il primo ministro pakistano Imran Khan ha rovinato l’eterea visione, pubblicando sui social una foto che immortala i suoi compagni di “ski-trip” (vacanza sciistica): attorno a un tavolo da giardino, in un cortile che potrebbe pure essere quello del resort “Il Coccio” dell’amico Marcucci in Garfagnana, siedono la principessa Beatrice di York (figlia di Andrea, amico di quell’Epstein arrestato per traffico di minori e suicida), l’ex premier spagnolo Aznar, il finanziere paki-americano Zia Chishti, l’ex ambasciatore pakistano negli Usa Ali Jehangari Siddiqui, un capo della Tim più altri milionari in petrodollari, e infine, spaparanzato al sole a capotavola, lui, Renzi (sul tavolo ogni ospite ha un’aranciata oppure una tazza di tè: Renzi è l’unico che ha sia l’aranciata che il tè). La Verità ha scoperto il link tra questi ricconi ed ex potenti: la Afiniti, una società di intelligenza artificiale, a cui in futuro si farà sempre più ricorso in mancanza di quella naturale. Ignoriamo le competenze di Renzi sul tema (a onor del vero, era bravo con le slide), e in quale lingua si esprima, ma è evidente che la missione ha natura spirituale quanto uno yak tibetano ha contezza di Rignano sull’Arno. Ci viene in mente ora che Renzi sottoponeva un tariffario agli imprenditori che volevano parlare con lui: 100 mila euro, cinque volte quello che prendono i cantanti neomelodici per esibirsi alle comunioni. Un affarone per il Pil del Pakistan. Dove vige la legge del karma: le conseguenze delle nostre azioni ci seguono ovunque come un’ombra, ne siamo responsabili ed eredi. (Nell’interesse preminente dello Stato, chiediamo alla Farnesina se è possibile corrompere gli sherpa locali per rapire, rifocillare e trattenere l’Illuminato a 4000 metri per un po’, o almeno fino alla fine della legislatura).

Oggi il Conclave segreto dei Responsabili

Per Giulio Andreotti era un’ombra. Per tutti gli altri resta un mito. I “responsabili”, quelli pronti al salto della quaglia pur di salvare la poltrona, in questo momento vorrebbero essere come il potente Franco Evangelisti. A cui bastava alzare la cornetta per sentirsi chiedere dall’interlocutore: “A Fra’, che te serve?”. La posta in gioco – neppure a dirlo – sono le garanzie, immediate o future, nel caso saranno chiamati a stabilizzare la legislatura ma pure all’opposto, laddove dovessero essere determinanti per la fine del Conte II.

Ma ci sarà poi un Conte Ter oppure un altro governo con un’altra maggioranza, come ha detto ieri Matteo Renzi? “Tra oggi e domani dovrebbe esserci un incontro di questa pattuglia che vuole mettersi sul mercato per alzare il prezzo” spiega uno dei responsabili “in sonno”, nascosto nel proprio gruppo di appartenenza, che nei giorni scorsi è stato contattato in vista del convivio che si svolgerà “certamente fuori dai Palazzi”. Quanti saranno a riunirsi non è noto, anche se pare certo chi sia a organizzare l’iniziativa: Renata Polverini alla Camera e Paolo Romani al Senato sono indaffaratissimi. Avevano sperato che Mara Carfagna s’intestasse un’iniziativa di rottura con Forza Italia. Ma poi quella “si è convinta che i tempi non erano maturi e ha smesso di scalpitare pensando in prospettiva. La sua”.

I nomi sono quelli circolati negli ultimi giorni: pezzi di “liberal” di FI, adepti del centro di Lorenzo Cesa, totiani, cani sciolti del “misto”, ex pentastellati e pure renziani di ritorno. A Palazzo Madama ce ne vorrebbero 17, tanti quanti i senatori di Italia Viva, ma potrebbero bastarne anche una decina, dovendo pescare tra le sensibilità più varie. C’è chi non vuole morire salviniano e chi giura “mai col centrosinistra”. Giovanni Toti la mette così: “Se questo esecutivo andasse in crisi, la via maestra sarebbe un governo elettorale, scelto dal presidente Mattarella, visto che il voto subito è impossibile: prima c’è il referendum sul taglio dei parlamentari, poi le Regionali di primavera…”. Ma di qui all’autunno la strada è lunga e può succedere di tutto.

Quelli dell’Udc hanno già tentato di convincere Berlusconi a mettere in campo un progetto più ampio di Forza Italia, ma per ora lui è rimasto freddino. Risultato? Si presenteranno alle Regionali con la loro lista scudocrociata, nel centrodestra ma con la speranza di rosicchiare i voti agli azzurri. Tra le ammosciate truppe berlusconiane, al netto dell’insonnia che affligge chi si vede già disoccupato, c’è pure che si è messo comodo: all’ex Cavaliere sarebbe stato assicurato che i nuovi componenti dell’Agcom non saranno ostili alle sue aziende, quindi nulla accadrà.

Poi ci sono i renziani. Tra di loro alcuni, se non proprio pentiti, sono “perplessi”. Non capiscono lo scopo di questa guerriglia a bassa intensità con Conte e Zingaretti, se non ad alzare il prezzo in vista di una maggiore voce in capitolo su legge elettorale e nomine. Perché “questa tattica finora non ci ha portato un voto in più”. E “se Renzi strappa, e non lo farà mai sulla prescrizione, non tutti lo seguiranno”, assicura una fonte. Chissà come si traduce “responsabili” tra le montagne del Pakistan…

Il giudice di Consip: “Tiziano rimane sotto inchiesta”

Tiziano Renzi non è stato rinviato a giudizio dal Gip Gaspare Sturzo ma la sua posizione non è stata nemmeno completamente archiviata. Da più di un anno si attendeva il responso del primo giudice sull’inchiesta Consip relativa al padre dell’ex premier. L’unica notizia certa è che l’inchiesta non finirà. Per capire il resto però si dovrà attendere oggi quando il provvedimento di 191 pagine sarà disponibile. Ieri il gip ha depositato solo l’avviso con il quale comunicava agli indagati che c’era posta per loro in cancelleria. Peccato che la cancelleria fosse già chiusa.

Non resta quindi che provare a decifrare le poche parole contenute nell’avviso. Sturzo prima elenca i reati e gli indagati per i quali i pm hanno chiesto l’archiviazione nel lontano marzo del 2018. Sono l’ex comandante dei Carabinieri della Toscana Emanuele Saltalamacchia e l’ex ministro Luca Lotti per la rivelazione di segreto sulle indagini Consip; Carlo Russo (imprenditore e amico di Tiziano Renzi) per turbativa in relazione alle gare Consip e Grandi Stazioni; Tiziano Renzi per il traffico di influenze illecite in concorso con Russo; l’imprenditore napoletano Alfredo Romeo per il traffico di influenze e per la turbativa di gara su Consip e Grandi Stazioni; l’ex presidente e il manager di Consip Domenico Casalino e Francesco Licci per turbativa di gara; l’Ad di Grandi Stazioni Silvio Gizzi per turbativa e l’architetto Stefano Pandimiglio per corruzione e turbativa.

Dopo avere elencato i soggetti, che per i pm dovevano essere archiviati, il Gip Sturzo scrive: “è stata depositata ordinanza di accoglimento parziale e rigetto dell’archiviazione e ulteriori indagini ed iscrizione di indagati”.

Cosa vuol dire? Certamente il gip non ha archiviato tutti gli indagati. Non solo. Sturzo chiede ai pm di indagare qualcuno che non era iscritto.

La questione “politicamente delicata” del presunto traffico di influenze di Tiziano Renzi occupa una parte importante del provvedimento.

Nell’ipotesi iniziale, per i pm romani Romeo e Russo nell’estate del 2016 trattarono pagamenti (mai effettuati) in cambio dell’appoggio in favore dell’imprenditore in una serie di gare, in particolare quella della Consip sulla manutenzione dei palazzi pubblici da 2,7 miliardi di euro. Russo, secondo i pm, trattava per sé 100 mila euro all’anno più 5 mila a bimestre e inoltre trattava 30 mila euro al mese (asseritamente) per Tiziano Renzi, che si è sempre detto estraneo.

Il 25 ottobre 2018 i pm Giuseppe Pignatone, Paolo Ielo e Mario Palazzi avevano chiesto al Gip Sturzo l’archiviazione per il padre dell’ex premier per il traffico di influenze anche perché si erano convinti che Russo millantasse quando si faceva promettere i soldi.

Il gip Sturzo, 9 mesi dopo, rigetta la richiesta e fissa una serie di udienze per capire meglio. Ieri, a distanza di tre anni e mezzo dall’inizio dell’indagine a Napoli da parte dei pm Henry John Woodcock e Celeste Carrano (poi giunta a Roma per competenza territoriale) finalmente il gip ci fa sapere la sua. Avrebbe potuto archiviare o mandare a giudizio coattivamente Tiziano Renzi. Invece ha optato per la via di mezzo: nuove indagini. Per chi? Su cosa? Solo leggendo il provvedimento lo capiremo. Un’ipotesi possibile è che il Gip abbia dato più peso dei pm all’incontro tra Tiziano Renzi, Carlo Russo e Alfredo Romeo, individuato dai Carabinieri dopo un attento studio delle celle telefoniche ingaggiate dai rispettivi cellulari il 16 luglio 2015 alle ore 15 in quel di Firenze. Prima e dopo quell’incontro Romeo, mentre era intercettato, telefonava dal treno ai suoi collaboratori e si diceva soddisfatto. All’imprenditore campano stava a cuore, oltre alla gara Consip, anche quella di Grandi Stazioni. Un anno dopo, nell’agosto-ottobre 2016, Russo parla della gara di Grandi Stazioni con Romeo mentre era intercettato e – secondo i Carabinieri – fa riferimento a un compenso (mai pagato) del 2-3 per cento. La gara sarà aggiudicata poi a un’altra impresa.

Il pm Palazzi, nonostante l’informativa sull’incontro di Firenze dei Carabinieri, scrive a marzo 2019 al Gip che non muta la propria posizione sulla richiesta di archiviazione. Forse il Gip Sturzo potrebbe aver ritenuto questa pista degna di approfondimento.

Regionali, Renzi vuole fare liste con Calenda contro il Pd

“Se cade il Conte bis, ci sarà un nuovo governo e non il voto”. Matteo Renzi è a sciare sull’Himalaya, ma non ci sta a non dire la sua, via e-news. A prescindere dagli scenari, le affermazioni “sostanziali” sono altre due. “Non ci sono 10 Scilipoti dentro Iv”. Tradotto: 10 dei suoi senatori pronti ad appoggiare il premier (cosa che è poi tutta da dimostrare). E ancora: “Nessuno di noi ha detto che vogliamo sfiduciare Conte. Abbiamo detto che non condividiamo la battaglia sulla prescrizione. E che faremo valere su quella i nostri numeri. Punto. Noi su questo non torniamo indietro. Per noi, la prescrizione non vale la fine del governo: ecco perché Bonafede farebbe bene a fermarsi lui, prima di provocare il patatrac”. Anche questa è una frase che merita una traduzione. Va dicendo l’ex premier agli amici: “Il lodo Conte bis non passa, anche se cade il governo”.

Renzi è convinto che alla fine tra lui e il premier (che ancora non ha rinunciato all’ipotesi di sostituirlo con un gruppo di Responsabili), sarà lui a spuntarla, visto che l’opzione di un nuovo esecutivo, fino all’autunno, anche in caso di caduta di Conte, è ormai sdoganata.

E dunque, continua con una guerriglia a tratti persino imprevedibile. Ieri Iv si è presentata a tutti i tavoli programmatici a Palazzo Chigi, senza eccedere nelle provocazioni. Però, sul tavolo sicurezza e immigrazione ha giocato a sorpresa di sponda con Loredana De Petris di LeU, riuscendo a evidenziare qualche imbarazzo nel governo. L’operazione di cui si discuteva era quella annunciata dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese (presente insieme al titolare della Difesa, Lorenzo Guerini) di modificare i decreti Sicurezza. Su questo, la riunione si è aggiornata con il ministro competente che ha preso nota di tutte le richieste. Mentre LeU e Iv (con Gennaro Migliore) hanno chiesto anche la modifica del Memorandum Italia – Libia. Subito stoppati. Guerini era andato via, Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, era assente. E dunque, si è rimandato tutto a un altro tavolo. Mentre prosegue la guerriglia a livello nazionale, Renzi continua a essere concentrato anche sulle operazioni di disturbo a livello locale. La tentazione è di presentarsi ovunque con una lista propria, insieme a Calenda e a +Europa. Un po’ per contarsi. Ma soprattutto per cercare di mettere i bastoni tra le ruote al Pd. In Veneto e in Puglia è già deciso: Renzi non appoggerà Michele Emiliano e neanche Arturo Lorenzoni, l’anti Zaia voluto dai Dem. La tentazione di correre in maniera alternativa è forte pure in Liguria. Si aspetta la definizione del candidato. Ma se si arriverà a un nome concordato tra dem e 5Stelle (come quello di Ferruccio Sansa) difficile che i renziani dicano di sì. Nessuna decisione è stata presa nelle Marche (dove non si conoscono ancora i candidati).

In Campania c’è in corso un braccio di ferro a vari livelli, tra M5S che porta il ministro Costa, il Pd locale che vuole De Luca e Renzi che potrebbe appoggiare Costa, in cambio di una candidatura di Gennaro Migliore a sindaco di Napoli. Ma non è neanche escluso che – ove gli convenga – finisca per scegliere il governatore uscente, magari in contrasto con il Nazareno. La partita più complessa è quella toscana. Lì Renzi ha imposto il suo candidato, Eugenio Giani. Ma poi ha iniziato a fargli una campagna elettorale contro. Per affermare il suo predominio nella Regione, ne ha provate varie.

Prima, voleva candidarsi in tre collegi: il Pd gli ha fatto elegantemente notare che sarebbe stato felice di averlo in consiglio regionale; una prospettiva abbastanza funerea per farlo desistere. Poi, ha cercato di boicottare la lista del presidente (convinto che gli tolga voti). Al Nazareno la vogliono, non l’ha spuntata. Anzi, una parte degli ex amici lottiani lo vorrebbe fuori dalla coalizione. Lui risponde con la minaccia di presentare Stefania Saccardi. Una pistola abbastanza scarica, visto che molti dei voti che potrebbe guadagnare, andranno alla lista Giani.

Coglionevirus

“Intransigenti o coglioni?”. Così avevamo riassunto la seduta di autocoscienza dei 5Stelle campani che avevano sbeffeggiato Roberto Fico e la sua proposta di alleanza col centrosinistra per sostenere il ministro dell’Ambiente Sergio Costa e liberare la Campania dal terzo ballottaggio consecutivo fra De Luca&Caldoro, detti anche Padella&Brace. Ora non possiamo non felicitarci per la saggia scelta della capogruppo regionale M5S Valeria Ciarambino, dimaiana, di sostenere l’ex generale reduce dalle battaglie nella Terra dei Fuochi, che potrebbe battere le destre solo se avesse dietro la coalizione giallo-rosa del governo Conte (escluso Renzi, ma questo è un vantaggio). Costa ha già il via libera di Di Maio e Fico (le due ali del M5S), di Luigi De Magistris e di Sinistra Italiana. Manca all’appello solo il Pd, che ha un problema e contemporaneamente un’opportunità non da poco: sbarazzarsi – Crozza permettendo – di don Vicienz, ingombrante e impresentabile per ragioni politiche e generazionali prim’ancora che giudiziarie.

In fondo questo è il destino dei 5Stelle: migliorare la specie predata. Cioè costringere alleati e avversari a ripulirsi. Stavolta però l’aiuto al rinnovamento del Jurassic Dem campano consentirebbe al M5S, dopo 10 anni di sconfitte, di governare finalmente una regione con un proprio uomo, ancorché indipendente. Cosa che avrebbe già potuto accadere in Calabria con Callipo o un altro candidato civico. E potrebbero riaccadere in altre regioni al voto: non la Toscana, per via dell’inguardabile Giani, ma la Liguria o le Marche se si trovassero due “civici” condivisi. O, con qualche difficoltà in più, la Puglia dove si tratterebbe di sostenere Michele Emiliano, il pidino più grillino che si conosca, che invocò l’alleanza con i 5Stelle quando tutti gli altri li demonizzavano, da sempre in sintonia con loro sulla decarbonizzazione dell’Ilva, il Tap e la Xylella. Forse, dopo gli Stati generali, sarà il caso che M5S e centrosinistra si accordino sulle future elezioni regionali e comunali. Non per mettersi la camicia di forza con annessioni, federazioni, matrimoni o dichiarazioni d’amore eterno. Ma per fissare un metodo: candidati civici quando c’è da trovare un nuovo sindaco o governatore; desistenze o appoggi reciproci quando il sindaco o il governatore è presentabile e compatibile, con buone chance di riconferma. Tipo, appunto, i dem Emiliano e Zingaretti in Puglia e Lazio. E le grilline Raggi e Appendino a Roma e Torino. A quelle condizioni, meglio provare a vincere insieme che dividersi e consegnare altri pezzi d’Italia a Salvini. Il Coglionevirus ha già mietuto fin troppe vittime.

Il fuoco, l’impegno: riapre la libreria e il paese prende vita

A Croce Verde di Lucignana, piccolo paese di 170 anime della Garfagnana in provincia di Lucca, raccontano che così tanta gente non ne avevano mai vista. I “forestieri” di ogni età venuti da tutta la Toscana però non erano arrivati per una semplice gita in montagna: domenica 2 febbraio decine di persone sono arrivate per “salvare” i libri anneriti scampati all’incendio che nella notte tra il 29 e il 30 gennaio ha raso al suolo quel piccolo scrigno culturale tra i monti della lucchesia. Eppure, dal giorno dopo, la fondatrice della libreria “Sopra la Penna”, aperta a dicembre grazie a un crowdfunding per ripopolare Lucignana e combattere la chiusura delle librerie di fronte allo strapotere di Amazon, si è rimboccata le maniche per farla subito riaprire. I volontari, nonostante il freddo pungente e la pioggia, sono arrivati per smontare gli scaffali, sistemare l’impianto elettrico e soprattutto “salvare” quei libri (200 su 600) che sono scampati all’incendio. L’adozione di questi testi ha contribuito molto, insieme a alla campagna di crowdfunding che in pochi giorni ha portato a raccogliere circa 6 mila euro: una cifra che basterà a far riaprire “Sopra la Penna” il prossimo 7 marzo, a tre mesi dalla sua inaugurazione.

Il cottage di montagna era stato aperto a inizio dicembre da Alba Donati, presidente del Gabinetto Viesseux di Firenze e originaria di Lucignana, proprio nell’orto della casa della madre: “Volevo fare una cosa per me e soprattutto per dare una nuova vita al mio paese – ha detto la poetessa al Tg3 Toscana – È stata una provocazione alla Don Milani”.

“Sopra la Penna” non è una libreria come le altre: i testi, tutti accuratamente scelti da lei, sono “salvavita” per far sentire meno soli i cittadini di Lucignana e poi ci sono i libri “al buio”, ovvero scelti dalla libraia la cui copertina non è esposta. Una scommessa che i lettori fanno, fidandosi della fondatrice: “Ma non ci sono fregature” assicura lei, tra il serio e il faceto. Ma tra gli obiettivi della libreria c’è sicuramente la rivitalizzazione di un borgo di montagna che, come molti altri della zona, negli ultimi anni si è andato sempre più spopolando: la libreria più vicina è a 25 chilometri e da quando ha aperto “Sopra la Penna”, molti ragazzi del paese (e non solo) decidono di restare qui tutto il pomeriggio a leggere e studiare. La libreria è diventata un luogo di aggregazione. Ma l’incendio, causato da un corto circuito probabilmente originato dalla macchinetta del caffè, ha per un giorno messo una pietra sopra su questo sogno. E invece no, perché grazie alla raccolta fondi di lettori da tutta Italia, “Sopra la Penna” riaprirà a inizio marzo e la scrittrice Donati ha deciso di non fermarsi: presto ne aprirà un’altra con tanto di caffetteria con l’obiettivo di accogliere sempre più persone e, anche grazie al Comitato per la Riqualificazione di Lucignana, tra qualche mese potrebbe nascere anche una residenza per traduttori. Un modo per combattere lo spopolamento con la cultura.

Mindfulness, l’effetto collaterale: addio alla lotta sociale per i diritti

Si pratica sempre di più, magari insieme al pilates e all’ultima dieta del momento. Ma impazza ormai anche nelle scuole, nelle aziende, nei centri di fitness, persino in alcune istituzioni. È la pratica della mindfulness, un mercato, in continua crescita, da un miliardo di dollari solo negli Stati Uniti. E che comprende anche un migliaio di app che aiutano a calmarsi e decine di migliaia di libri che includono la parola nel titolo. Ma proprio su questa pratica, una sorta di training mentale per trasformare i propri disagi attraverso il controllo di pensieri ed emozioni, si è aperto di recente un aspro dibattito negli Stati Uniti, rimbalzato poi anche sui giornali inglesi. Accusatore numero uno è Ronald Purser, professore di Management alla San Francisco University, esperto di mindfulness e buddista praticante.

Nel suo libro McMindfulness: come la mindfulness è diventata la nuova spiritualità capitalista, Purser stronca non solo le innumerevoli app antistress – assurdo rivolgersi a uno strumento digitale per liberarsi dal malessere provocato dalla vita digitale ci – ma soprattutto attacca il fatto che la mindfulness sia diventata, perdendo ogni contatto con le sue radici filosofiche e religiose, un business e insieme un perfetto prodotto da vendere, proprio appunto come un BigMac. Non solo: sostenendo perentoriamente che i problemi delle persone siano solo nella loro mente, di fatto le distoglie dalle cause sociali del loro malessere e della loro ansia. Insomma: hai un impiego precario o soffri di burn out lavorativo? Il problema sono sempre i tuoi pensieri. Riducendo però la mindfulness a una banale tecnica terapeutica di auto–aiuto per alleviare mal di testa o diventare più lucidi e produttivi, si conserva di fatto lo status quo della società neoliberale.

E non è un caso che la mindfulness sia diventata anche una vera manna per le aziende, che possono offrire ai propri dipendenti un comodo metodo per eliminare tossine mentali e migliorare concentrazione e rendimento. Ovviamente Purser ci tiene a precisare che lui non intende buttare il bambino con l’acqua sporca, ma sostiene che il fatto che ci siano guru che si fanno pagare 12.000 dollari a giornata mostra come il distacco con le radici etiche sia totale. Tra l’altro, la mindfulness male intesa non solo porta a un rafforzamento dell’ego individuale, il contrario dell’insegnamento buddista, ma fa dimenticare la nostra interconnessione con gli altri e la società e la cultura nella quale siamo inseriti.

Il punto è sempre lo stesso: non può esistere una mindfulness eticamente neutrale. Né può esistere una mindfulness totalmente individualistica, finalizzata al proprio benessere e dissociata dalla trasformazione sociale, altrimenti tutto si riduce a un “cerotto per gli stress quotidiani”. Rispetto alla finta mindfulness, per la felicità delle persone funziona molto meglio, conclude Purser, una diminuzione delle disuguaglianze e un massiccia iniezione di diritti sociali nel mondo. Utile ricordarlo, mentre si apre l’ennesima app con musica relax.

Roma, ecco la sorpresa: la cortesia sopravvivive su un taxi e alla stazione

Il taxi giunse caracollando per la via di Roma squinternata da radici secolari. Cercai di capire se fosse il mio scrutando le fattezze del tassista, poiché una donna, senza altre indicazioni, mi aveva risposto “vengo subito” dal posteggio. Era in effetti una signora dalle molte primavere gentile e tranquilla, con la quale scattò subito il tacito patto che la valigia nel portabagagli l’avrei messa io. Le chiesi se avesse visto il numero di casa dal quale l’avevo chiamata. Rispose di no, che dal posteggio non era visibile. Le domandai dunque per curiosità come potesse essere certa che la chiamata fosse vera, e di trovare qualcuno all’indirizzo dato. Rispose filosoficamente, senza la rassegnazione degli sconfitti, che questo è un rischio del mestiere. Che capita di arrivare in un posto e non trovarvi nessuno. Magari perché nel frattempo è passato qualcuno – un amico, un altro taxi – e il cliente ha preferito prendere un passaggio o fare prima.

Non lanciò anatemi nei confronti dell’ipotetico infedele, non se la prese con il mondo. “Sa, signore, solo con i radiotaxi può stare tranquillo, e a volte nemmeno con quelli. Basta che al cliente venga dato un tempo un po’ lungo e che noi ci aggiungiamo un minuto per il traffico, e quello ci ripensa”. “E se dei ragazzi vi fanno degli scherzi?”, azzardai. Ma neanche l’immagine dei monelli maledetti le tirò fuori una parola contro la maleducazione dei tempi. Può capitare, mi spiegò serafica, e in quel caso ce ne torniamo indietro; ma non succede quasi mai.

La signora iniziava ad accumulare ai miei occhi qualche pregio speciale quando, stemperando ancor più i possibili problemi della categoria, mi suggerì: “D’altronde anche voi non sapete chi vi viene a prendere”. “Be’”, le obiettai, “in realtà sappiamo che arriva qualcuno di un servizio pubblico, un certo affidamento lo possiamo fare”.

“Certo, per la maggior parte siamo persone per bene, però qualcuno che non si comporta correttamente lo potete trovare”. Stupore: e da quando in questo Paese qualcuno fa spontaneamente le pulci alla propria categoria parlando con un estraneo? Pareggiò però subito il conto: “D’altronde dei clienti non si può sapere sempre”. Ma non accennò agli immigrati, non gridò contro i disperati, non buttò giù dalla scala quelli del gradino di sotto. Spiegò che la disturbano i clienti che pretendono l’aria condizionata a palla anche quando c’è fresco, trascurando l’effetto che le bocchette hanno soprattutto sull’autista. Confessò di trovarsi a disagio su alcuni percorsi tra certe zone della capitale, quando sospetta di essere usata per trasportare droga, perché tanto la polizia i taxi non li ferma.

La sfiorò a un certo punto un’auto sgomitante. “Ecco il furbone”, disse con linguaggio castigato. E poiché lodavo la freddezza di molti tassisti di fronte all’aggressività a 4 ruote, fece nuovamente professione di filosofia. Gliene passarono accanto un altro, e un altro ancora strombazzando. “Mai irritarsi, uno si rovina la salute, non ha senso. Meglio pensare a fare bene il proprio lavoro”.

Ero affascinato. Perché de minimis non curat praetor, è vero. Ma il sociologo deve curarsene, se è nei dettagli più piccoli che può scovare Dio o il diavolo. E io ero su un taxi senza sentire maledire il mondo o il sindaco, in una cornice di buona educazione e di buon senso sconosciuta in tanta “buona società”. Scesi rincuorato dall’inizio di giornata. Poi mi ricordai di dover prendere una medicina per un raffreddore dirompente. Avevo bisogno d’acqua calda. Andai in un piccolo bar della Stazione Termini. Un caffè, per favore, e un bicchiere d’acqua calda se può. La commessa mi chiese se andava bene l’acqua della macchinetta. Risposi che era bollente. Chiarì con fare ultimativo di avere solo quella. Io spiegai che serviva per una medicina. Lei allora prese l’acqua bollente, la mise in un doppio bicchiere perché potessi tenerlo in mano, vi versò dell’acqua fredda perché potessi berla. Tutto di sua iniziativa. Senza farlo pesare, con naturalezza. Grazie, prego.

Andando verso il treno mi chiesi che cosa mai stesse succedendo. Se il mondo stesse per caso andando al contrario. Due persone avevo incontrato nel primo mattino e tutte e due erano state gentili, mettendo nel loro lavoro quel che sempre meno si trova. La cortesia, parole civili, non una stilla di rancore, e neppure indifferenza. Cose minime che cambiano la vita, pensai. Non è una grande riflessione, lo so. Ma ogni tanto serve farla.