Un commissariato di polizia da qualche parte in Francia. Due fratelli musulmani stanno segnalando la scomparsa di un parente: non hanno sue notizie da un po’ e sospettano che sia partito per la Siria. Il più giovane ammette di essere stato sedotto a sua volta per qualche tempo dal jihadismo. Ora si sente in colpa. Teme che il parente scomparso sia stato reclutato su internet attirato dalla prospettiva di morire da martire. I due firmano la deposizione sotto l’occhio attento di un poliziotto in borghese: è il vice capo della sede locale della Dgsi, la Direzione generale della sicurezza interna. Quando i due se ne vanno, l’agente chiama la Centrale.
Fino a metà 2013, i casi segnalati di francesi in partenza per l’hijra, il “pellegrinaggio” per unirsi all’Isis, erano rari. Tutto è cambiato a partire dall’autunno di quell’anno. I casi sono diventati decine, centinaia e la Centrale, sommersa, ha cominciato a ridistribuirli alle sue sedi locali. Un agente all’epoca mi aveva confidato: “Non riusciamo più a infiltrare le reti islamiste. Le sole informazioni che abbiamo provengono da genitori che denunciano un figlio sul punto di partire per la Siria o che è già partito e vorrebbero farlo tornare”. Per riunire frammenti di informazioni, la Dgsi moltiplica i colloqui con i familiari degli aspiranti jihadisti. Fino a 465 in un anno. La sera stessa i due fratelli vengono convocati dalla Centrale. A interrogarli ci sono due agenti di “T”, la sotto direzione dell’antiterrorismo, e altri due ufficiali, tra cui il capo di “T3”, l’unità di “T” specializzata nel lotta al jihadismo. Li fanno aspettare in una stanza vuota e offrono loro un caffè. Il fratello maggiore è nervoso, a disagio. Il più giovane, un ex spacciatore di neanche trent’anni, invece non si lascia intimidire. Il capo di “T3” si mostra interessato: “Lui andrebbe bene”, dice. “Potremmo rivederti per riparlarne?”, gli viene chiesto. Il giovane delinquente se ne va, ma capisce subito che cosa gli stanno proponendo: gli agenti vorrebbero reclutarlo come informatore. Anche nel mondo dei servizi segreti, come per ogni contratto di lavoro, esiste un periodo di prova. L’informatore è immatricolato e gli viene attribuito uno pseudonimo imposto dalla Centrale. Il suo nome in codice è ormai “Abominor”. Ma l’agente Abominor non sa che la Dgsi gli ha dato questo soprannome. Al primo incontro gli viene chiesto di entrare in contatto con la “jihadosfera” francese tramite social network. Lui pretende un S4 per lavorare, l’ultimo modello del Samsung Galaxy. È un tipo esigente, ma rifiuta di essere remunerato dalla Dgsi. “Non sono una spia”, dice. “È solo un rimborso spese”, insiste un agente che gli passa qualche banconota e gli fa firmare una ricevuta. Ora è ufficiale: Abominor è un informatore della Dgsi. Il giovane musulmano, in abiti occidentali, incontra gli agenti in alcuni bar lontani da tutto. Sono sempre riunioni a tre: l’informatore e due poliziotti. I luoghi vengono scelti con diversi giorni di anticipo. Devono disporre di un locale tranquillo sul retro con accesso a un’uscita di sicurezza. I colloqui sono strutturati tutti allo stesso modo. Gli viene chiesto: “Come stai? Come stanno a casa?” Si discute dei risultati delle partite di calcio. Poi si arriva al dunque. Abominor, che frequenta poco la moschea, trascorre le sue notti sui social network. Agli agenti fornisce i kounyas, i soprannomi dei simpatizzanti jihadisti con i quali ha parlato su Facebook o su Twitter. Gli agenti gli comunicano le identità di alcuni dei loro “obiettivi”. Abominor riesce a entrare in contatto con dei jihadisti già in Siria. In qualche mese ottiene la loro fiducia e diventa il contatto in Francia di alcuni jihadisti che reclutano nuove leve. Uno di questi lo chiama nel bel mezzo di un combattimento a Sham chiedendogli di trasmettere un messaggio a uno dei suoi. Sono convinti di avere trovato in Abominor una “porta d’ingresso” in Francia, qualcuno che possa informarli, e non si rendono conto che invece sta accadendo esattamente il contrario. Per comprendere meglio la mentalità jihadista, Abominor divora la stampa francese e internazionale. Per i servizi è come avere un occhio e un orecchio in Siria. Un giorno annuncia alla Dgsi che lo Stato islamico sta progettando di ripiegare su Raqqa e Deir ez-Zor per riorganizzarsi e andare a conquistare una grande regione della Siria e dell’Iraq. Agli agenti descrive la vita che si svolge tutti i giorni dentro i confini del nuovo califfato e le rivalità tra le etnie. Spiega che i francesi in Siria non sono apprezzati perché, si dice, non combattono abbastanza sul fronte.
Di fronte al flusso continuo di informazioni, gli agenti della Dgsi sono costretti a moltiplicare gli incontri con lui (fino a 4 volte a settimana), senza contare le telefonate quotidiane. Dopo ogni incontro o contatto viene compilato un rapporto su cui compaiono solo i criptonimi, mai le vere identità. Prima le note vengono esaminate da un analista, che verifica che i colleghi non si stanno facendo manipolare da Abominor. Poi le note risalgono la gerarchia fino al quartier generale della Dgsi, dove si selezionano quelle da trasmettere all’Eliseo, al primo ministro o a altri ministri. Una di queste note è anche all’origine di un incontro tra François Hollande e Barack Obama.
L’attività di Abominor sui social non sfugge del resto agli americani. A un certo punto, la Cia lo denuncia ai servizi francesi: l’uomo è pericoloso ed è in contatto con i capi dell’Isis. Alla Dgsi alcuni cominciano a pensare di rompere la collaborazione con Abominor. E se fosse un altro Mohammed Merah, il killer di Tolosa? La sua attività viene dunque passata al setaccio. Ma Abominor ha comunicato ai servizi tutti i suoi video e audio con i jihadisti. Le sue informazioni risultano “esatte”. Alla fine, il capo di “T3” decide: “Se gli americani hanno individuato la frequenza di questi scambi con i jihadisti, vuol dire che Abominor è uno bravo. Andiamo avanti!”. Per sicurezza il prezioso informatore, i suoi genitori, la moglie e il fratello vengono comunque sottoposti a intercettazioni. La Dgsi gli fornisce un computer che i servizi possono controllare a distanza. Ma Abominor non solleva sospetti. Al contrario, la sua attività è sempre più fruttuosa.
Un sabato mattina, un aspirante jihadista si presenta ad una porta d’imbarco dell’aeroporto Charles de Gaulle. Ha un biglietto per la Turchia con cui spera di passare il confine per raggiungere l’Isis. In qualche minuto attraversa i controlli di sicurezza. L’aspirante jihadista non sa di essere seguito dal gruppo Roissy, gli agenti della Dgsi in servizio nello scalo parigino. Il piano prevede che l’uomo imbarchi senza problemi. Nel suo bagaglio a mano ha due cellulari che i servizi francesi vogliono far arrivare in Siria. I colleghi della Dgse, la Direzione generale dei servizi esterni, vogliono saperne di più su ciò che accade dentro lo Stato islamico: i due telefoni anche spenti funzionano come microfoni e possono essere geolocalizzati.
Per portare a termine l’operazione gli agenti si sono rivolti ad Abominor. L’informatore ha affidato una missione a un aspirante jihadista: acquistare due cellulari da trasmettere ai “fratelli” in Siria. Lo ha quindi inviato dal proprietario di un negozio di telefonia che però era d’accordo con la Dgse. Ed è così che, grazie a lui, i servizi francesi hanno potuto contare su due telefoni-spia in Siria per diversi mesi. Una sera una pattuglia di poliziotti interviene in una casa popolare. C’è una lite familiare in corso. Un uomo e una donna discutono a voce molto alta. Gli agenti cercano di calmarli, minacciano l’uomo di portarlo in commissariato. L’uomo allora chiede se può fare una telefonata. Al suo interlocutore spiega la situazione e poi passa il telefono al poliziotto col grado più alto. “Buonasera – dice una voce nel telefono – bisogna calmare la situazione. Quest’uomo è un nostro contatto. Noi siamo quelli che lavorano al piano di sopra con la porta blindata che si apre solo col pass biometrico. Ha capito chi siamo?”.
Tra Abominor e la moglie sono nate diverse tensioni. Lui ha lasciato il lavoro. Lei lo vede passare tutto il suo tempo su internet e assentarsi per appuntamenti misteriosi, eppure continua a portare soldi a fine mese. Pensa che sia tornato a fare il delinquente. Non sa che la Dgsi gli dà uno stipendio mensile di circa 2 mila euro. Per evitare che la situazione peggiori, gli agenti infrangono il protocollo di sicurezza: si presentano a casa della coppia, dicono di essere poliziotti, ma senza precisare per quale servizio lavorano e, tra un sorso di tè alla menta e l’altro, spiegano alla donna che “si prendono cura” del marito e che lo “proteggono”. “Non fa nulla di male” dicono e mentono: “Non è in pericolo”. La Dgsi non può permettersi di perdere il prezioso informatore proprio ora che li aiuta a evitare un attentato. Una sera Abominor chiama un agente della Dgsi: ha appena saputo che un jihadista sta per rientrare dalla Siria e che vuole commettere un attentato. Intende colpire una sinagoga. Abominor impiega delle settimane a ottenere i dettagli del progetto. Nel frattempo un gruppo di “S”, la divisione della Dgsi specializzata nella sorveglianza, mette sotto controllo h24 il soldato del califfato di ritorno in Francia. Quando il passaggio all’atto sembra imminente, gli agenti decidono di non rischiare: il jihadista viene arrestato ed accusato di adesione allo Stato islamico.
Estate 2015. La Dgse invia due note alla Dgsi relative a dei jihadisti addestrati in Siria per commettere attentati in Francia. Gli agenti incontrano Abominor per chiedergli se tra i suoi contatti ci sono uomini rientrati in Francia che potrebbero passare all’atto. Nel corso dei mesi, l’agenda dell’informatore si è infittita. Abominor discute con i membri dell’Amniyatn, il servizio segreto dello Stato Islamico, con semplici mujaheddin e emiri. È in contatto con alcuni membri della famiglia di Abdelhamid Abaaoud, che sarà il cervello dell’attacco kamikaze al Bataclan, ma di Abaaoud non sa nulla. Il 13 novembre, giorno della strage nel teatro parigino, Abominor è a pezzi. Appena qualche mese prima aveva avuto modo di parlare brevemente con uno dei futuri membri del commando del Bataclan. Come gli uomini e le donne dei servizi di intelligence, sente di non aver fatto bene il suo lavoro. Da allora sono passati dei mesi, degli anni. Chi dorme in prigione anche grazie a Abominor ignora persino la sua esistenza. Gli altri sono morti. Ma ormai Abominor non è più un informatore della Dgsi: dopo lo choc del 13 novembre, l’uomo della Dgsi ha infatti voluto fare di più ed è riuscito a impedire un altro attacco, una probabile strage di massa. Su richiesta della Dgse ha incontrato più volte in Francia un terrorista. Per dimostrare che non era un poliziotto infiltrato, ha trasmesso ai membri dell’Amniyat una copia della sua carta d’identità col suo vero indirizzo di casa. In questa missione ogni suo gesto era validato dai vertici dello Stato. In Siria, diversi jihadisti sospettati di aver svolto un ruolo nell’organizzazione del 13 novembre, sono stati eliminati dopo essere entrati in contatto con lui. Ma quando la vera identità di Abominor ha rischiato di venire a galla e la sua vita era in pericolo, la Dgsi ha messo fine all’attività del prezioso informatore. Lo hanno fatto trasferire. Lo Stato si è fatto carico degli affitti non pagati e gli è stato dato un premio in denaro di oltre 30 mila euro in contanti. Il denaro è stato contato e alla fine, come sempre, gli hanno fatto firmare una ricevuta. Anche questa volta Abominor si è impegnato a non parlare mai di nulla con i servizi o i giornalisti stranieri. Lui che diceva “ho fatto solo il mio dovere”, ha offerto i suoi servizi in pianta stabile anche alla Dgsi. Gli è stato risposto che avrebbe dovuto iscriversi all’accademia di polizia. Ma era un ex trafficante di droga e allora se n’è andato. Stando ad una fonte giudiziaria anonima, non gli è stata nemmeno accordata la protezione come previsto dallo status di “collaboratore di giustizia”, secondo la legge Perben II del 2004.
La sua vera identità compare persino su certi verbali. È stato infatti interrogato come testimone sul caso del familiare partito in Siria e di cui nel frattempo si è sentito parlare. Un cognome tra centinaia. Quanti eroi sconosciuti sono nella sua stessa situazione? Lo scorso autunno Le Monde ha affermato che 58 dei 59 attentati sventati negli ultimi sei anni lo sono stati grazie all’intervento di un informatore. Mediapart ha appreso di almeno quattro attacchi evitati dal 13 novembre grazie ad una testimonianza raccolta nell’entourage di un terrorista. È capitato anche che un jihadista in prigione abbia indicato ai servizi chi da Raqqa pianificava attacchi in Europa, dopo di che dei bersagli sono stati bombardati. Nel frattempo Abominor si è rifatto una vita, lontano dal suo quartiere e dalla sua regione. La sua famiglia ignora il ruolo essenziale che ha svolto nella lotta al terrorismo e le vite che ha contribuito a salvare. Abominor va al lavoro tutti i giorni. Anonimamente.
(traduzione Luana De Micco)