Un suicidio e due omicidi clamorosi scuotono Ginevra tra il 1957 e il 1960. E la città di Calvino, scrivono i giornali elvetici, all’improvviso “sprofonda in un romanzo di spionaggio”, diventando il cuore della guerra sporca delle spie. A uccidersi, il 23 marzo del ’57, è René Dubois, procuratore generale della Confederazione Svizzera. È La Tribune de Geneve a rivelare che l’alto magistrato intercettava, per conto dei servizi segreti francesi, le telefonate dell’ambasciata d’Egitto a Berna. Le rivelazioni del quotidiano lo spingono a togliersi la vita. Il 19 settembre di quello stesso 1957, nel centralissimo cours de Rive, con un proiettile sparato da un sicario attraverso una sorta di cerbottana di metallo viene assassinato Marcel Léopold, un mercante d’armi che lavorava con il Fronte di liberazione nazionale (Fln) dell’Algeria. Titola il Journal de Geneve del 20 settembre: “Invraisemblable assassinat au Cours de Rive”. Un assassinio ancora più “inverosimile” è compiuto poi il 3 novembre del 1960. Félix Moumié, leader del partito dell’Unione Popolare del Camerun, da poco indipendente dalla Francia, viene ammazzato a Ginevra al ristorante Plat d’Argent, nella città vecchia, con un grammo di tallio versato nel pastis che aveva ordinato.
Quale filo nero lega il suicidio di Dubois e le eliminazioni di Léopold e di Moumié? Non c’è alcun dubbio: il servizio segreto francese. In particolare gli uomini della “Main Rouge”, la “Mano Rossa”: un gruppo terroristico creato dallo Sdece, il controspionaggio, per eliminare dirigenti, militanti e collaboratori del Fronte di liberazione nazionale algerino, ma anche gli esponenti dei movimenti d’indipendenza e anticoloniali africani. La “Mano Rossa” si rende responsabile nel solo 1960, secondo Costantin Melnik, coordinatore in quegli anni dei servizi segreti della Francia, di ben 135 azioni, tra delitti, rapimenti, sabotaggi, distruzioni di navi e di aerei, campagne di disinformazione. Quando all’inizio del ’63 cessa di esistere, almeno sulla carta, come ricorda Pascal Blanchard nella prefazione al libro La Main Rouge di Didier Daeninckx e Mako (Lionel Makowski), l’organizzazione clandestina ha al suo attivo “circa 400 tra omicidi o ferimenti, una quarantina di battelli colati a picco e una dozzina di aeroplani distrutti, interventi in più di venti Paesi e delle azioni specifiche nell’Africa nera”. Dirà Costantin Melnik: “Né la Cia, né il Mossad israeliano o il Kgb disponevano allora di truppe d’élite così numerose e formate, capaci di commettere un gran numero di omicidi all’estero”. La Main Rouge, nome mutuato dallo Sdece da un gruppo di coloni francesi che operavano nel Nord Africa, era nata intorno all’estate del ’56 dopo la perdita francese dei possedimenti in Indocina e lo scoppio della rivolta algerina. Secondo Blanchard, fu ideata “con il sostegno del presidente del Consiglio Guy Mollet, del suo ministro della Giustizia François Mitterrand, del suo ministro della Difesa (e futuro presidente del Consiglio) Maurice Bourgès–Maunoury e del ministro dell’Interno Jean Gilbert-Jules”.
La guerra sporca e “invisibile” della Main Rouge ebbe tra i suoi protagonisti il colonnello Marcel Mercier, ufficialmente addetto commerciale dell’ambasciata francese di Berna, ma in realtà uomo di punta del servizio d’azione dello Sdece. Fu lui ad avere convinto il procuratore Dubois a trasmettergli le trascrizioni delle telefonate della legazione egiziana, durante la crisi del canale di Suez. E fu sempre Mercier, con ogni probabilità, a organizzare l’esecuzione di Marcel Léopold, un avventuriero che, prima di vendere armi ed esplosivi agli algerini, aveva vissuto per oltre vent’anni in Cina.
L’assassinio di Léopold ebbe pure un risvolto italiano, forse frutto di una delle operazioni di depistaggio architettate dallo Sdece. Nell’ottobre del ’58 i giornali svizzeri, francesi e italiani diedero notizia di una pista torinese per il delitto di Ginevra. Scrisse La Stampa, il giorno 3, che un agente cinematografico era stato arrestato “per calunnie contro l’industriale Nello Segre”. Che cosa era successo? “Un torinese è stato tratto in arresto in Francia”, spiegava il corrispondente da Ginevra, “su ordine della magistratura svizzera perché accusato di aver turbato gravemente, con una denuncia calunniosa, le indagini sull’assassinio di Marcel Léopold, il contrabbandiere ucciso a Ginevra con una freccia avvelenata”.
Il torinese arrestato “è Flavio Bergera, consulente di una grande casa cinematografica americana, fratello del dottor Luigi Bergera che impersona la maschera di Gianduia nelle feste di Carnevale. Il mandato di cattura venne firmato 2 mesi fa dal giudice istruttore di Ginevra dottor Dunand”. Quattro mesi fa, “da Torino giunse al capo della polizia federale dott. Dick una lettera anonima, dove si indicava come assassino del Léopold o, meglio, come mandante l’industriale torinese Nello Segre, cugino di Pitigrilli, che è titolare di una ditta farmaceutica e suole dimorare a Beausoleil di Montecarlo, dove ha alla fonda un lussuoso panfilo. (…) La lettera conteneva dati che potevano dare apparenza di verità alle accuse”.
Segre, in ogni caso, “poté dimostrare la sua innocenza”, ed “espresse il desiderio di vedere la lettera anonima, di riconoscere la grafia ed indicò il nome del presunto autore, Flavio Bergera, che egli conosceva da tempo”. Un anno dopo, come si lesse su La Stampa del 26 settembre 1959, l’agente cinematografico Bergera venne assolto dalla magistratura svizzera. L’assassino di Léopold, ovviamente, non fu mai scoperto.