Il fenomeno Airbnb, nato per favorire lo scambio dal basso, è diventato altro: ha riscritto la mappa del turismo italiano con i centri storici delle principali città diventati giganteschi dormitori, mentre si inaspriscono le polemiche su come regolare un’ascesa che sembra inarrestabile. A discapito del concetto di sharing economy, l’economia della condivisione, il grosso dei guadagni di Airbnb – 2 miliardi di euro lo scorso anno, il doppio di quello raggiunto dalle 10 maggiori catene alberghiere italiane – non viene condiviso e fa ricchi solo 200mila host, di cui oltre la metà rappresentati da grandi agenzie e proprietà immobiliari, che in Italia gestiscono gli oltre 400 mila appartamenti in offerta. A Venezia, ad esempio, il 26% dei 5 mila host amministra più dei due terzi degli 8.500 annunci. A Firenze più del 60% dei quasi 12 mila annunci, di cui 8 mila solo nel centro storico, sono pubblicati da multi-host. Su Milano, si parla di 17 mila host attivi con 17.500 annunci. L’Italia è il terzo mercato per Airbnb dopo Stati Uniti e Francia.
Numeri che per Federalberghi dimostrano che “sostanzialmente Airbnb svolge un ruolo di agente immobiliare o turistico, senza però dover rispettare le norme per questa attività”. Per legge non dovrebbe essere così: la più grande piattaforma mondiale degli affitti online è un “servizio della società dell’informazione”, non un’agenzia immobiliare, ha sancito lo scorso dicembre la Corte di Giustizia dell’Ue in una sentenza legata a un ricorso presentato in Francia. E così in Italia la multinazionale assolve solo il compito di sostituto di imposta, versando al Fisco la cedolare secca (21%) dovuta dal proprietario dell’immobile. Lo Stato, però, oltre a non conoscere i nomi di chi affitta appartamenti presenti sul sito di AirBnb, non è in grado di controllare se sono state pagate le imposte.
Anche se nei profili degli host presenti su Airnbn ci sono foto di persone, dietro ci sono per lo più società specializzate che contattano i proprietari degli immobili offrendo la loro gestione in cambio di commissioni con percentuali che – spiegano i ricercatori dell’Università Sapienza e del Ladest-Laboratorio dati economici storici territoriali di Siena, Filippo Celata e Antonello Romano – arriva fino al 30% del prezzo pagato. “Si tratta soprattutto di seconde case che – sottolinea invece il country manager di Airbnb Italia, Giacomo Trovato – se non ci fosse stato il boom degli affitti brevi sarebbero rimaste sfitte”. Ma tutto questo ha un altro costo.
Il numero crescente di affitti brevi turistici sta determinando una contrazione dell’offerta di prime case, l’aumento dei canoni di locazione e crescenti difficoltà per famiglie e studenti di trovare una casa in affitto sia nei centri storici, ormai in mano agli host, che nelle periferie dove i prezzi ovviamente sono aumentati. Un fenomeno che Celata e Romano chiamano airification, la progressiva hotelizzazione dei centri storici, dove la residenza è sempre più in calo. “Tra il 2012 e il 2018, emerge dall’ultimo report presentato dai due ricercatori, la popolazione da Piazza Duomo agli Uffizi, da San Lorenzo all’Oltrarno – circa 2,3 km quadrati di Firenze – è passata dal 18,2% al 17,3% con quasi il 77% delle case dentro le mura medievali in affitto sulla piattaforma. A Roma, invece, dove quest’ultima percentuale sfonda il 60%, tra centro storico e Trastevere (5,78 km quadrati), dal 2014 al 2018, la quota di romani residente si è ridotta del 30-40%”.
“Airbnb non è solo un mediatore”, prova a spiegare Sarah Gainsforth nel libro Airbnb città merce, dove analizza le ricadute economico-sociali di un fenomeno non regolamento né negli altri Paesi né in Italia, dove solo un migliaio di Comuni ha raggiunto accordi bilaterali con Airbnb applicando la tassa di soggiorno direttamente dalla piattaforma. Nei restanti 7mila Comuni, l’imposta va ancora riscossa e versata dall’host. Così lo Stato incassa poco. Senza parlare delle tasse sugli utili pagate da Airbnb: solo il pressing attuato negli ultimi anni ha dato qualche frutto. Dopo un’interlocuzione con il Fisco, nel bilancio 2018 Airbnb ha registrato perdite per 6,3 milioni di euro dovute a tasse pagate per 6,5 milioni, contro i 400 mila euro sborsati dal 2012 al 2017. Il fenomeno non è nuovo e coinvolge altri giganti dell’online da Twitter a Google, da Tripadvisor ad Amazon. In Europa, invece, le altre grandi città (Madrid, Barcellona, Parigi, Berlino e Amsterdam) in attesa che Bruxelles scriva una legge per regolamentare il fenomeno, sono corse ai ripari inasprendo le leggi nazionali sulla durata massima dell’affitto e mettendo un tetto al rialzo dei prezzi dei canoni.
VENEZIA Tra blitz e abitanti che arrotondano
Oltre 8 mila annunci, ma nessuno controlla
Il blitz anonimo è di fine dicembre. In una notte sulle porte di case e palazzi sono apparsi migliaia di bollini, con il simbolo Airbnb trasformato in un cappio, al centro di un Qr Code. Un modo per marchiare le speculazioni che riempiono Venezia di turisti, ma la svuotano di residenti. “Noi la battaglia l’abbiamo fatta nel 2008, ma evidentemente era un tentativo di arginare una marea che ha invaso tutte le città d’arte”. Matteo Secchi è presidente di Venessia, un’associazione che da 20 anni combatte per impedire che Venezia diventi un luna-park in mano agli affaristi. “A quell’epoca era pronta una legge regionale con tre articoli micidiali. In particolare quello che consentiva agli alberghi di aprire dependances senza vincoli di distanza dalla sede principale o di numero, a parte quello di essere nello stesso Sestiere”. Cos’avete fatto? “Siamo andati in consiglio regionale a spiegare che la città non si poteva svendere. Ci hanno risposto che a chiederlo era stato il consiglio comunale, con sindaco Massimo Cacciari e vice Michele Vianello”. La città, a vocazione mercantile, è sempre stata tiepida su queste battaglie. “Nel 2010 ottenemmo dalla Regione che ogni B&b dovesse attaccare una targhetta identificativa – continua Secchi –. Ma sono palliativi. Ormai la situazione è fuori controllo. Bisognava intervenire prima, adesso gli annunci delle offerte sono già oltre 8 mila”. Chi controlla le attività? “In buona parte società a scopo di lucro. Ma ci sono anche veneziani, che mettono a disposizione una stanza per compensare il caro-affitti”.
Giuseppe Pietrobelli
BOLOGNA Le proteste di Forza Italia e Iv
Fermate le licenze per i prossimi tre anni
Sul tema Airbnb, Italia Viva e Forza Italia trovano nuove corrispondenze anche nella città italiana che per prima si è posta il tema di una regolamentazione degli affitti brevi. “Siamo contro il comitato bolscevico anti Airbnb”, tuona la presidente della sezione bolognese di Confedilizia Elisabetta Brunelli, pronta a dare battaglia. “Italia Viva ha fatto saltare la lobby anti-proprietaria, salvando gli host e la libera circolazione degli immobili da dedicare al turismo. Chiederemo al governatore Stefano Bonaccini di eliminare la vecchia legge sul turismo e di continuare nel processo di liberalizzazione che potrà permettere al settore turistico di essere competitivo così come a Firenze”. Insomma, è guerra aperta contro il comitato cittadino bolognese “Pensare urbano” che la scorsa settimana ha inviato un appello al governo per chiedere che venga fatta al più presto una norma dedicata alla regolamentazione degli affitti brevi. All’iniziativa hanno aderito quasi 80 tra associazioni, esperti del settore e anche politici, tra cui l’assessore comunale al Turismo Matteo Lepore che ha congelato per i prossimi tre anni le nuove licenze nel centro storico di Bologna. Il fenomeno Airbnb a Bologna è piuttosto recente ma già ben radicato: come emerge da Inside Airbnb, ci sono oltre 3.500 annunci, al prezzo medio di 76 euro a notte e con un fatturato stimato di 537 euro al mese. I 65,9% degli annunci – praticamente due su tre – riguarda case o appartamenti interi, mentre solo il 32,2% camere private e appena il 2% camere condivise.
Sarah Buono
FIRENZE Firmato l’appello anti-app
Centro saturo, ci sono vie senza i residenti
Nelle vie del centro di Firenze la gorgia toscana è quasi sparita. I residenti non ci sono più: adesso conta solo la rendita immobiliare. Una volta i fiorentini lasciavano i quartieri più centrali per gli studenti. Ora per i turisti. Il tutto grazie ad Airbnb: a Firenze gli annunci sulla piattaforma sono 11.262 ma gli “host attivi” (ovvero coloro che affittano camere o interi appartamenti) sono la metà, 6062, di cui solo l’11% mette a disposizione più di quattro camere. Il 72,8% di tutti gli annunci si concentra nel Quartiere 1, quello del centro storico che racchiude la porzione che va dal Piazzale Michelangelo ai viali. Per questo Firenze e Bologna hanno firmato l’appello di molte città europee per “limitare gli affitti di Aribnb” con norme chiare su tassazione, registrazione e fornitura dei dati. Lo spopolamento dei residenti autoctoni vien da sé: secondo l’anagrafe, nel centro storico dove ogni anno arrivano 18 milioni di turisti vivono solo 18.612 fiorentini. “Ormai siamo saturi – racconta Maurizio Sguanci, proprietario della storica gioielleria di famiglia e Presidente del Quartiere 1 – nel centro storico ci sono strade dove, nella numerazione dall’ 1 al 12, c’è solo un residente stabile e questo incide molto sulle botteghe fiorentine. Il centro ormai ha raggiunto cifre così esagerate da richiedere un intervento per dirottare B&B e Airbnb verso la periferia, magari lungo la linea della tramvia che permette comunque di raggiungere il centro in pochi minuti”.
Giacomo Salvini
NAPOLI Fitti raddoppiati, quartieri stravolti
“Così non saremo più patrimonio Unesco”
Uno dei motivi della turistificazione selvaggia del centro storico di Napoli deriva da un clamoroso ritardo normativo: la legge regionale della Campania sui bed and breakfast è la più vecchia d’Italia, risale al 2001. Concepita, scritta e approvata quando le piattaforme web per le prenotazioni alberghiere semplicemente non esistevano. Ora il singolo operatore ha gioco facile nell’aggirare regole antiche e inadeguate. In Campania si stabilì che un B&B può avere massimo quattro camere e un affittacamere sei. Ma è sufficiente navigare un po’ per trovare decine di B&B da sei camere e oltre: per godere di una tassazione agevolata di cui non avrebbero diritto. Sono persino registrate allo Sportello delle attività produttive del Comune di Napoli. Nessuno controlla perché le liste sono ferme al 2015. E così si è compiuto l’assalto. Il 70% delle circa 7500 offerte di fitti brevi e temporanei per turisti si è concentrato nel centro storico: palazzi d’epoca, urbanistica di pregio incastonata tra chiese e musei, trasformata in strutture recettive. Un volume di affari da capogiro, che sta espellendo altrove i residenti: sotto la spinta dei facili guadagni in caso di riconversione, negli ultimi 15 anni il canone medio di chi vive in fitto è raddoppiato. Di qui l’allarme di Antonio Pariante del comitato civico Porto Salvo: “Se continua così, il centro storico di Napoli perderà il riconoscimento di patrimonio dell’Unesco ottenuto 25 anni fa. Si fondava anche su una caratteristica che lo rendeva unico al mondo: la presenza capillare dei residenti”.
Vincenzo Iurillo