Interrogato con una benda sugli occhi, minacciato e percosso nel tentativo di estorcere una confessione. Sono gli ultimi, drammatici particolari che emergono sulla vicenda di Patrick George Zaki . Non solo scariche elettriche, dunque. Ore terribili quelle vissute venerdì scorso dallo studente e attivista egiziano bloccato tre giorni fa all’aeroporto del Cairo al rientro in patria per qualche giorno di riposo da Bologna, dove stava seguendo un programma Erasmus.
Tutto questo Zaki lo ha raccontato davanti al Procuratore di Mansoura, città lungo il Delta del Nilo a nord della capitale, il quale, al termine della deposizione, ha confermato la detenzione del 27enne per quindici giorni. Sullo studente egiziano pendono addirittura cinque capi di imputazione, tra cui quello di aver diffuso false notizie e minacciato la sicurezza del Paese, aver usato i social network per istigare rivolte e soprattutto essere considerato un terrorista. Successivamente Zaki è stato rinchiuso in una cella della stazione della centrale di polizia di Mansoura e lì ieri mattina ha potuto, quanto meno, incrociare facce amiche, ossia quelle dei suoi familiari e dei due avvocati della sua organizzazione, Eipr, uno di base nella regione di Mansoura, l’altro arrivato al Cairo: “Zaki era molto provato. – raccontano i legali dello studente che ha vissuto i suoi ultimi sei mesi in Italia, partecipando al Master organizzato dall’Università di Bologna in collaborazione con altri atenei internazionali – La polizia ci ha dato pochi minuti per confrontarci con lui, 4-5 al massimo e li abbiamo sfruttati per parlare del caso giudiziario, di ciò che è successo e di cosa potrebbe accadere nei prossimi giorni.
La speranza per tutti noi è che il caso resti a Mansoura, per consentire alla famiglia di stargli vicino, inoltre qui potrebbe essere tutto più facile per lui, più rilassato, con un’atmosfera meno pesante rispetto al Cairo. Nel breve colloquio Zaki è stato pienamente collaborativo, ma è evidente il peso di quanto ha subìto. Teme possa accadere di nuovo, altre torture e violenze qualora finisca di nuovo sotto le mani della National Security”. Stiamo parlando dello stesso nucleo che quattro anni fa “si è occupato” di Giulio Regeni, rapito, il corpo fatto trovare ai bordi di un’autostrada il 3 febbraio 2016.
La famiglia di Patrick George è molto preoccupata: “Sua madre sta male, è in cattive condizioni. – aggiungono i leader dell’Eipr, in costante contatto attraverso i vari canali di comunicazione sul caso del loro collega – Venerdì lo aspettava per incontrarlo dopo tanti mesi trascorsi in Italia, la notizia del suo arresto è stata dura da accettare. La gente sa come vanno le cose in Egitto, specie dopo l’ondata di arresti seguita alle manifestazioni del 20 settembre scorso. Speriamo si possa risolvere tutto in pochi giorni, ma non credo sarà così semplice”. Di sicuro stamattina Patrick George Zaki non sarà al suo posto in una delle aule della facoltà di Lingue e Letterature Moderne dell’ateneo bolognese. Oggi, infatti, riprendono i corsi del programma Erasmus ‘Gemma’, dopo alcune settimane di sosta seguite al termine della sessione di esami del primo semestre. Difficile addirittura ipotizzare, in questa fase confusa, un suo prossimo ritorno in Italia.
A proposito del nostro Paese, il Ministero degli Esteri, pur non trattandosi di un cittadino italiano, si sta occupando in maniera molto attenta del caso. Il periodo trascorso a Bologna non può passare in secondo piano. La Farnesina, al netto delle polemiche suscitate dal caso Regeni, farà sicuramente affidamento sulla sede diplomatica al Cairo e sull’ambasciatore, Giampaolo Cantini, assieme agli altri Paesi dell’Unione Europea. Il ministro Luigi Di Maio ha chiesto un monitoraggio del procedimento giudiziario da una parte della delegazione europea.