Ministro corteggiava un sedicenne

Quando si è svegliato, ieri mattina, Dereck Mackay era ancora l’astro nascente della politica scozzese: 42 anni, ministro delle Finanze, considerato il più probabile successore di Nicola Sturgeon ai vertici del Partito indipendentista scozzese Snp. Due figli, nel 2013 aveva rivelato di essere gay e aveva divorziato dalla moglie. Vicende personali che non avevano rallentato la sua ascesa politica: nel pomeriggio, ieri, era atteso in Parlamento per presentare la Finanziaria. La sua carriera politica è finita prima di pranzo. Lo ha inchiodato una inchiesta dello Scottish Sun: “Derek Mackay ha mandato messaggi raccapriccianti a uno studente di 16 anni”. La ricostruzione: Mackay avrebbe contattato il ragazzo su Facebook e Instagram e gli avrebbe inviato un totale di 270 messaggi in 6 mesi, coprendolo di complimenti. Pur conoscendo l’età del minore lo avrebbe invitato a cena e a una partita di rugby. La scorsa settimana la madre dello studente ha scoperto le chat. Non c’è molto da interpretare. “E questi scambi restano fra noi, vero?” “Sì”. “Perfetto! Perché ti dico la verità, ti trovo proprio carino”. E poi: “Tanto per dire, l’ultimo messaggio lo puoi cancellare…”.

Mackay ha immediatamente rassegnato le dimissioni da ministro, ha ammesso le sue responsabilità e si è scusato senza riserve con la famiglia. È stato sospeso dal partito, ma sale la pressione perché si dimetta anche da parlamentare. Le ripercussioni politiche, anche sul governo, sono solo all’inizio.

Irlanda, urne a sorpresa. I nazionalisti “di sinistra” sbancano i sondaggi

“It’s time for change”. È ora di cambiare. Quando ha scelto lo slogan per la sua campagna elettorale nella Repubblica d’Irlanda, il Sinn Fein ha puntato su un messaggio alternativo: no ai partiti tradizionali, il Fianna Fail e il Fine Gael, centristi, quasi indistinguibili, che governano Dublino da 100 anni. No alla carta bianca data alle multinazionali in cambio di investimenti, no alla speculazione edilizia e ai proprietari immobiliari senza scrupoli. Sì a un programma di spesa pubblica che faccia ripartire i servizi, soccorra una sanità pubblica fra le meno efficienti d’Europa, restituisca alla gente normale il potere d’acquisto perduto con la crisi finanziaria del 2007. Piattaforma di sinistra, come da tradizione per il Sinn Fein: politiche sociali, redistribuzione delle risorse, sostegno alle famiglie.

Vasto programma, naturalmente, nella cui capacità di fare breccia in un sistema politico sclerotizzato non credeva nemmeno il partito: prevedendo una sconfitta, alle elezioni anticipate di sabato ha presentato solo 42 candidati su 39 distretti elettorali. E invece, a sorpresa, si prospetta un terremoto politico: il Sinn Fein è, secondo un sondaggio di Irish Times e Ipsos Mori, il partito di maggioranza relativa nel paese, con il 25% contro il 23% del Fianna Fail e il 20% del Fine Gael del primo ministro Leo Varadkar.

Golden Boy della politica irlandese, gay, figlio di immigrati di prima generazione, eletto a sorpresa nel 2017, ha indetto elezioni anticipate sperando di rafforzare la sua debole maggioranza: contava di capitalizzare sul ruolo cruciale di mediazione avuto nell’evitare una Brexit senza accordo fra Londra e Bruxelles, disastrosa per l’Eire.

Non ha fatto i conti con le priorità interne: la crisi del sistema sanitario, quella immobiliare – la forbice sempre più ampia fra chi con la crisi finanziaria si è arricchito, chi non può più permettersi di vivere in una Dublino resa inaccessibile dall’arrivo di investitori stranieri – i più di 10mila senzatetto. It’s time for a change, grida ora un quarto della società della Repubblica irlandese, che negli ultimi anni ha già stravolto la sua immagine di baluardo della morale cattolica approvando, in due storici referendum, prima la legalizzazione delle unioni omosessuali e poi quella dell’aborto.

Quei voti hanno creato una mobilitazione progressista che ora sembra cercare rappresentanza politica nel Sinn Fein. Caveat: se anche risultasse il primo partito non potrebbe andare al governo. Non ha abbastanza candidati per avere la maggioranza, e i due partiti principali hanno escluso ogni ipotesi di coalizione. Il grande ostacolo è il suo passato di braccio politico dell’Ira, la formazione paramilitare repubblicana i cui attentati hanno insanguinato gli anni dei Troubles, la guerra civile fra repubblicani, unionisti ed esercito britannico nella confinante Irlanda del Nord. Dalla firma degli accordi del Venerdí Santo, nel 1994, che hanno posto fine a quelle violenze, il Sinn Fein ha preso le distanza da ogni rivendicazione violenta di indipendenza dal Regno Unito. A Belfast divide le responsabilità di governo con gli unionisti del Dup: l’attuale presidente del partito, Mary Lou MacDonald, dublinese, è stata scelta proprio per la sua estraneità a quella storia violenta, con il mandato di rafforzare il consenso del Sinn Fein nella Repubblica irlandese. L’intento finale: ottenere il referendum per l’unificazione delle due Irlande entro 5 anni. Eppure il passato ritorna: nell’ultimo dibattito televisivo la MacDonald ha risposto con imbarazzo a una domanda su un episodio oscurissimo, il pestaggio mortale, nel 2007, del ventenne Paul Quinn a opera, secondo i genitori del ragazzo, di membri dell’Ira, mai consegnati alla giustizia. Una ferita aperta. Ma nella Repubblica irlandese, oggi, il Sinn Fein mobilita i giovani. Che di quel passato non hanno memoria.

Il dottor Hofmann e quel primo trip: così fu scoperta l’lsd

Albert Hofmann fu il chimico svizzero che nel 1943 si accorse fortuitamente d’aver scoperto (cinque anni prima) la molecola psicoattiva divenuta poi nota come lsd. (…) “La sola e unica gioiosa invenzione del XX secolo”, come il suo amico Walter Vogt, poeta e medico svizzero, la definì. (…) Quando era un giovane chimico, Hofmann lavorava in un dipartimento dei laboratori della Sandoz che, per scoprire nuovi farmaci, isolava composti dalle piante medicinali: in particolare, aveva il compito di sintetizzare, una per una, le molecole contenute negli alcaloidi prodotti dall’ergot, un fungo che può infettare i cereali causando a volte, in chi consuma il pane che se ne ottiene, qualcosa di simile alla follia o alla possessione. (…) D’altra parte, le levatrici usavano da tempo questo fungo per indurre il travaglio e per fermare le emorragie post-partum, perciò la Sandoz sperava di isolare dagli alcaloidi dell’ergot un farmaco commerciabile.

Nell’autunno del 1938 Hofmann sintetizzò la 25ª molecola della serie, denominandola “dietilamide dell’acido lisergico”, o – più brevemente – lsd-25. I test preliminari effettuati somministrando il composto agli animali non ebbero esito promettente (gli animali diventavano irrequieti, ma nulla più) e quindi la formula fu accantonata. Così per cinque anni, fino a un giorno dell’aprile del 1943. (…) Quando Hofmann sintetizzò l’lsd-25 per la seconda volta, chissà come doveva averne assorbita un po’ attraverso la pelle, e fu “costretto a interrompersi a causa di insolite sensazioni”. Andò a casa, si sdraiò su un divano e “in una condizione simile al sogno, a occhi chiusi riuscivo a scorgere un flusso ininterrotto di forme straordinarie che rivelavano intensi giochi caleidoscopici di colore”.

E così, nella Svizzera neutrale, durante i giorni più bui della seconda guerra mondiale, ebbe luogo il primo trip di sempre con l’lsd: fu anche l’unico mai intrapreso in totale assenza di aspettative. Affascinato, qualche giorno dopo Hofmann decise di condurre un esperimento su se stesso. Procedendo con quella che pensava essere massima cautela, ingerì 0,25 mg (un mg è un millesimo di grammo) di lsd disciolta in acqua. Per qualsiasi altra sostanza, sarebbe stata una dose minima, ma – come emerse poi – l’lsd è uno dei composti psicoattivi più potenti mai scoperti. (…) Mentre Hofmann precipita in quella che crede essere sicuramente follia irreversibile, ha luogo il primo bad trip da acido della storia. Dice quindi al suo assistente che deve tornare a casa, e giacché in tempo di guerra l’uso delle automobili è limitato, in qualche modo pedala fino a casa in bicicletta e si stende su un divano, mentre l’assistente chiama il medico (…). Hofmann racconta che “gli oggetti familiari e i mobili presero forme grottesche e sinistre. (…) Un demone mi aveva sopraffatto, aveva preso possesso del mio corpo, dei miei pensieri, della mia anima”. Si convinse di essere sul punto di impazzire definitivamente, o forse addirittura di stare morendo. “Il mio io era sospeso da qualche parte nello spazio e vedevo il mio corpo giacere morto sul divano”. Quando arrivò e lo visitò, il medico trovò tutti i segni vitali – polso, pressione del sangue e respiro – perfettamente normali. L’unica indicazione di qualcosa fuori posto erano le pupille, estremamente dilatate.

Una volta esauritisi gli effetti acuti, Hofmann provò la “sensazione di benessere” che spesso fa seguito a un’esperienza psichedelica, l’esatto opposto dei postumi d’una sbornia alcolica. (…) La sua esperienza di oggetti familiari che prendono vita e di un mondo che pare “creato di recente” – lo stesso momento d’estasi adamica che Aldous Huxley avrebbe descritto una decina d’anni dopo in Le porte della percezione – sarebbe diventata un luogo comune dell’esperienza psichedelica.

Fece ritorno dal suo trip , Hofmann, convinto in primo luogo che fosse stata l’lsd a scoprire lui e non viceversa; e, in secondo luogo, che un giorno quella sostanza si sarebbe rivelata preziosa per la medicina e soprattutto per la psichiatria, forse offrendo ai ricercatori un modello della schizofrenia. Non gli venne mai in mente che il suo “bambino difficile”, come avrebbe poi finito per considerare l’lsd, sarebbe divenuto anche una “droga per così dire di piacere” e una sostanza d’abuso.

© 2018 Michael Pollan © 2019 Adelphi edizioni s.p.a. Milano

Ma quanti bei ricordi: sul Sole torna

Dice: “L’Italia è stata sempre molto abile nel chiedere e ottenere una certa flessibilità nelle regole di bilancio”. E già si capisce che non è una cosa bella: “Quello che dobbiamo chiederci è se l’elasticità sia poi stata di grande aiuto. La risposta è quanto meno dubbia”. Dice: ci vorrebbe una bella “manovra alla Ciampi”. Nel senso di costruire derivati per occultare un po’ di deficit? Ma no, quando mai: Ciampi “propose una tassa ‘transitoria’, che potesse ridurre il disavanzo pubblico (…) e che sarebbe stata in parte restituita una volta che, entrati nell’euro, avessimo ridotto la spesa per interessi”. Essì, è proprio così, sulla prima di ieri del Sole 24 Ore Innocenzo Cipolletta – economista, già dg di Confindustria e di tante altre cose – è ricascato sull’Eurotassa. Dice: dobbiamo avere lo stesso spread della Spagna! (ma perché?) E allora “se l’Italia accettasse di ridurre il disavanzo di almeno un punto di Pil” con tasse o tagli “potremmo beneficiare subito di una riduzione dello spread (almeno 70 punti)”. 1 contro 70? Ma è un affarone! Va detto che l’Innocenzo ha avuto poi un mezzo dubbio: non è che una mazzata da 18-20 miliardi farà collassare il Pil? Ma no, e poi “anche se non si crescesse molto (sic) avremmo comunque ottenuto di operare con tassi di interesse allineati a quelli degli altri Paesi” e “sarebbe una vera ricompensa per i sacrifici chiesti agli italiani”. Vuoi mettere quanto sarebbero contenti in fila alla Caritas dopo aver pareggiato ai Giochi dello Spread con la Spagna? Certe cose non hanno prezzo, per tutto il resto c’è l’Eurotassa.

L’inutile dilemma tra parco e Museo della Resistenza

Strane alternative si pongono a Milano: meglio un parco o il Museo della Resistenza? È il dilemma davanti a cui il sindaco Giuseppe Sala ha messo i cittadini. Lo abbiamo raccontato in questa colonna: sull’area di piazza Baiamonti liberata da una grande pompa di benzina, i cittadini vorrebbero un parco, il “Libero Giardino Baiamonti”; il sindaco ci vuole piazzare la terza “piramide” dalle archistar Herzog e De Meuron, simmetrica e opposta alle due che già ospitano la Microsoft e la Fondazione Feltrinelli. Per superare l’opposizione dei cittadini che hanno raccolto le firme contro la “piramide” e a favore del parco, Sala ha promesso che il nuovo edificio ospiterà il Museo della Resistenza: la Memoria usata come scudo umano per il cemento di un’operazione immobiliare.

Sull’argomento torna l’architetto Andrea Bonessa, nuovo portavoce dei Verdi di Milano. In una lettera aperta al sindaco di Milano, scrive che “dietro a ogni buona idea se ne nasconde sempre una migliore. Proporre di realizzare il Museo della Resistenza sull’area libera di piazza Baiamonti è sicuramente una buona idea. Quasi ottima. Si trova lo spazio per realizzare un museo fortemente voluto dalla cittadinanza e in un’area libera in cui la previsione di un edificio senza nessuna funzione specifica ha creato dei forti malumori. Una soluzione che, malato di calcio”, continua Bonessa, “posso paragonare solo a una rovesciata in area di Ronaldo a pochi minuti dallo scadere della partita. Ma la partita non è finita. Mancano cinque minuti e tempi supplementari”.

In questi cinque minuti, ecco lanciata una proposta: “Perché non scegliamo per questo museo un luogo fortemente simbolico, che non sia solo memoria storica ma soprattutto memoria visiva di cosa fu e di cosa subì chi partecipò alla Resistenza?”. Una prima idea potrebbe essere il carcere di San Vittore, dove furono imprigionati partigiani e antifascisti. La proposta di spostare il carcere in una struttura nuova fuori dal centro cittadino è però vecchia di anni, ma irrealizzabile in tempi rapidi. Ecco allora la seconda idea: piazzale Loreto. Luogo simbolo della Resistenza. Lì avvenne, il 10 agosto 1944, la strage nazifascista che ebbe per vittime quindici partigiani, fucilati da militi della Legione Ettore Muti della Repubblica di Salò, per ordine di Theodor Saevecke, comandante della sicurezza nazista a Milano. Dopo l’eccidio, i cadaveri dei 15 furono lasciati esposti al pubblico. È per questo che un anno dopo, il 29 aprile 1945, nello stesso luogo di quella piazza fu esposto il corpo di Benito Mussolini.

Ora l’architetto Bonessa ricorda che piazzale Loreto fa parte del bando internazionale Reinventing Cities, per riqualificare un luogo urbano che oggi, più che una piazza, è un mega-incrocio, un crocevia di traffico mal gestito. “E allora”, propone Bonessa, “perché non fare qui il Museo della Resistenza, perché non al centro di questa rotonda (che proprio rotonda non è) e renderlo il simbolo di un ricordo, ancora e sempre più necessario? I fondi ci sono. Quindici milioni dal ministero della cultura (gran bella mossa farseli promettere dal ministro Franceschini), due e mezzo già stanziati dal Comune e i sei dal palazzo di via Porpora. Potremmo realizzare un museo senza eguali (e l’invidia mi corre al museo della Shoah di Libeskind a Berlino), preservare una piazza a spazio pubblico senza svenderla al commercio, riconoscerle il ruolo simbolico che i milanesi le hanno da sempre riconosciuto”. E lasciare verde e senza nuovo cemento il “Libero Giardino Baiamonti”. Che ne pensa il sindaco? Che ne pensa la città?

Renzi, quanto Cinismo e ricatti sulla Bonafede

Domenica Matteo Renzi ha gettato definitivamente la maschera mostrando di che pasta è fatto – cinismo e ricatto – l’uomo che guidò il Pd: “A Bonafede dico fermati finché sei in tempo perché in Parlamento votiamo contro la follia sulla prescrizione…”. Accade talvolta che poche parole, concise, chiare, efficaci (va detto) raccontino più di un trattato: è un testo importante da leggere con attenzione, dice molto di Renzi, di un certo modo di fare politica, della possibile crisi di governo, dei media fiancheggiatori. Proviamo a ragionare:

1. “A Bonafede dico fermati”. C’è qui l’idea che le decisioni politiche non nascano da scelte collettive e stabili (la Bonafede è stata discussa e votata: è legge), ma siano soggette alla volontà di un capo, di una persona, all’interesse del momento.

2. “Fermati finché sei in tempo”. Renzi cavalca la prescrizione dettando i tempi: Bonafede fermati ora, o sarà troppo tardi.

3. “In Parlamento votiamo contro”. Fine di tutte le false dichiarazioni di fiducia all’esecutivo: qui è il ricatto senza mezzi termini.

4. “Contro la follia sulla prescrizione”. Senza scomodare Erasmo, è chiaro che qui Renzi denigra, non ragiona.

5. “Patti chiari amicizia lunga”. Mette l’accento sull’amicizia, cara ai giusti, colui che disse “Enrico stai sereno”, prima di pugnalarlo alla schiena.

6. “Non dite che non ve lo avevamo detto”. Giustificazione preventiva della sfiducia al governo. A Renzi non importa nulla che l’esecutivo cada: è pronto a un governo di destra con B. e Salvini.

7. “Senza di noi non avete i numeri”. Torna, con valore rafforzativo, il ricatto. Ribadito anche nell’intervista a Repubblica.

8. “Rifletteteci bene”. Reflectere,“ripiegare, volgere indietro”. È un invito a far marcia indietro, a negare se stessi. L’obiettivo è chiaro: se i 5Stelle cedono sulla prescrizione sono finiti.

9. “Non voto la barbarie sulla prescrizione”. È un insulto alla logica: è “barbara” l’intera Ue senza la prescrizione all’italiana?

10. “Io voto la civiltà”. Quale civiltà? Quella col più alto numero di prescrizioni in Europa? Della lobby degli avvocati? Quella che, con finto garantismo, rinnega Beccaria, si dimentica che insisteva (anche) sulla certezza della pena. È infinito l’elenco dei delitti e delle frodi prescritti prima della Bonafede. Si può chiedere una riforma complessiva della giustizia, certo, ma abolire quanto c’è di buono nella Bonafede è insopportabile. Il Pd non segua la lobby degli avvocati, sarebbe un suicidio. E i 5Stelle rinsaviscano: non escludano a priori (è accaduto in Campania) l’alleanza coi dem. Sinergie e accordi – su candidati credibili – sono una necessità.

Post scriptum. Martedì l’articolo di Stefano Folli su Repubblica era titolato: “Prescrizione, chi perde la faccia”. La perderà Renzi o Bonafede? Di sicuro, visto il voltafaccia sul tema, Repubblica l’ha persa da tempo. Folli scrive spesso che “occorre restituire il tema giustizia a una trattativa seria tra forze responsabili” da cercare anche “tra le file dell’opposizione”. Ecco che spuntano B. e Salvini: sono loro i responsabili coi quali Repubblica invita a risolvere la questione giustizia in Italia? È ora di uscire da un maleodorante equivoco. Basta con l’ambiguità: con una pagina contro B. e Salvini e una a favore perché interlocutori validi e indispensabili contro quelle bestie dei 5Stelle che, udite, vogliono i delinquenti in carcere, più giustizia, la lotta al partito degli affari e un Parlamento più snello come in tutta Europa, cose che un tempo, quando era un giornale serio, chiedeva a gran voce (un esempio tra mille: Scalfari, “Si sono mangiati perfino lo Stato”, Repubblica, 4.10.’92).

Insomma, se Repubblica vuole depotenziare B. e Salvini perché li appoggia? Perché demonizza (ancora) i 5Stelle alleandosi coi quali è ragionevole costruire un partito nuovo?

Prescrizione, la lista degli alibi politici

Il dibattito sulla prescrizione ha preso una brutta piega. Data la complessità della materia, è normale che vi siano opinioni confliggenti. Ma non ci si dovrebbe scostare dal perimetro “tecnico”. Invece si tracima nella disputa ideologica, con toni roboanti e decibel da stadio. Così, per squalificare la riforma Bonafede (interruzione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado), si parla di orrore, catastrofe, follia, apocalisse, ergastolo perpetuo, bomba atomica…

Chi approva la riforma, invece, si becca del manettaro, giustizialista e forcaiolo; magari con un leggiadro “vaffa” nelle veci di punto esclamativo.

La rissa poi è terreno fertile per veti e ricatti reciproci, tendenze non certamente di ampio respiro, che anzi si avvitano sul momento politico contingente. Per cui la prescrizione, più che un problema da risolvere, per qualche forza politica si è trasformata in una opportunità di “investimento”, anche mass mediatico. Innescando percorsi verso posizioni sempre più esasperate, con il rischio di una sorta di “dimissioni” dalla realtà. Allo scopo, leggibile in controluce, di avventurarsi in qualche regolamento di conti o di marcare il proprio territorio arroccandosi in esso.

Intervistata il 5 febbraio da Otto e mezzo, l’on. Mara Carfagna ha saputo – tutto sommato – adottare un registro controcorrente, più soft. Ma quando Lilli Gruber le ha fatto notare che secondo i sondaggi la maggioranza degli italiani è favorevole alla riforma Bonafede, la Carfagna ha obiettato che dipende dal fatto che essi ignorano varie cose. E ha portato l’esempio del reato di corruzione in atti giudiziari, sostenendo che si prescrive in 33 anni, cioè in un tempo già di per sé così lungo da rendere assurda l’interruzione sine die della riforma.

Senonché, codice alla mano (articoli 319 ter, 157 e 162 c.p.) per la prescrizione di tale reato si arriva a una soglia massima di 18 anni. L’art. 319 ter prevede anche un’ipotesi speciale di corruzione in atti giudiziari, che si verifica quando si trucca un processo per far condannare ingiustamente qualcuno. In tal caso la soglia massima della prescrizione diventa di 21 o 30 anni, a seconda che dal fatto derivi un’ingiusta condanna fino a 5 anni ovvero una pena superiore. Sempre meno del dato enunciato da Mara Carfagna, la quale per altro non ha fatto alcun cenno a questa “speciale” corruzione in atti giudiziari, che del resto riguarda casi decisamente poco frequenti.

Chi, come l’on. Carfagna, non ama la riforma, predilige una narrazione suggestiva che non arreca nulla di sostanziale all’argomento centrale. Molto “gettonati” sono la demolizione della presunzione di non colpevolezza e della ragionevole durata del processo. Ma francamente non riesco a vedere come tale presunzione possa essere scalfita dall’interruzione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, posto che le carte sono ancora da giocare.

Quanto alla durata del processo, a me sembra evidente che è proprio la prescrizione infinita (cioè senza alcuno stop definitivo) che trascina all’infinito certi processi.

Sia come sia, per le statistiche ministeriali del 2018 la prescrizione ha colpito 117.367 processi: di cui 57.707 nelle fasi iniziali (pm, gip); 27.747 in primo grado; 2.250 davanti al Giudice di pace; 29.216 in Appello; 646 in Cassazione. Ora, poiché la riforma Bonafede si applica solo ai processi già conclusi in primo grado; considerato che in Cassazione si prescrivono pochissimi processi (l’1,1 %): si può dire che la riforma riguarderà il 26% circa dei processi prescritti, cioè il 3% di quelli trattati ogni anno. Non propriamente una catastrofe apocalittica.

Va ancora detto che la prescrizione senza interruzione può impedire che si arrivi a sentenza nel merito. Ciò favorisce soprattutto alcune categorie di processi e di imputati. Tipo i disastri ambientali di Porto Marghera e dell’Eternit, i crac bancari, i reati fiscali e tributari, le speculazioni edilizie e gli abusi urbanistici. Reati di elevato impatto civico e sociale (tra l’altro spesso destinati a emergere solo dopo molto tempo). Reati che di solito riguardano imputati potenti, magari della classe dirigente. Per contro, con la riforma Bonafede è certo che una sentenza arriverà.

In ogni caso, gli effetti della riforma si verificheranno soltanto fra 4 o 5 anni. C’è ampio spazio, quindi, per ridurre i tempi del processo.

Basta volerlo davvero, non farne un alibi per attaccare la nuova prescrizione.

Mail box

 

Le vittime rispondano alla “casta” dei prescritti

Mi ha fatto tanta rabbia, all’apertura dell’anno giudiziario a Milano, vedere quella folta schiera di avvocati voltare le spalle a Piercamillo Davigo e andarsene dall’aula agitando fogli, come si usa in Parlamento, tra i banchi dell’opposizione. Un affronto che il galantuomo irreprensibile giudice non meritava proprio. La sua colpa è stata quella di aver frequentato diversi talk politici – e non per spiegare come va la malagiustizia – e conseguentemente aver toccato gli interessi dei penalisti, dichiarandosi d’accordo con la legge blocca-prescrizione.

La casta degli avvocati in Italia è talmente numerosa, più del doppio degli altri grandi Paesi, che finora ha pesantemente condizionato in negativo la produzione legislativa delle assemblee parlamentari, orientandola a proprio favore, anziché verso gli interessi della collettività. In una sola voce essi affermano che con la legge del ministro Bonafede si avrebbero imputati “a vita” perchè i tempi della giustizia oggi sono lunghissimi.

Ora, poiché lo scopo della legge è quella di evitare manovre dilatorie che consentano agli avvocati penalisti di allungare i processi e così lucrare sui dibattimenti fino a ottenere la prescrizione dei propri clienti e dare finalmente giustizia alle vittime dei reati, propongo che, in contrapposizione alla “casta”, si faccia una Associazione delle Vittime della Prescrizione. Sono convinto che sarebbero molto più numerosi dei prescritti.

Francesco Battaglia

 

In memoria di Sandro Pertini: “Battetevi sempre per la libertà”

Il 24 febbraio 2020 si celebra il 30° anniversario della morte di Sandro Pertini, leggendario presidente della Repubblica. È stato un politico, giornalista e partigiano italiano. Un paradigma di integrità, coerenza e trasparenza, amante della libertà, democrazia e giustizia sociale. Da capo di Stato egli richiamava i valori dell’identità nazionale e il patrimonio morale, politico e culturale del Risorgimento e dell’Antifascismo. Ripeteva sovente: “Battetevi sempre per la libertà, per la Pace, per la Giustizia Sociale”.

Ricordo vividamente l’invocazione di Sandro Pertini, appena eletto Presidente della Repubblica: “Svuotate gli arsenali e riempite i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame”.

I suoi tratti umani e caratteriali lo hanno reso così unico nell’immagine e nel ricordo non solo in Patria ma anche nel mondo intero. Pertini seppe entrare nei cuori delle persone, al punto da essere ancora oggi considerato il Presidente più amato dagli italiani.

Il mio pensiero non può non andare a quel 25 novembre 1980, quando si recò sui luoghi del terremoto in Irpinia, a due giorni dalla tragedia che causò 2.914 morti, ed ebbe il coraggio di denunciare con forza il ritardo e le inadempienze dei soccorsi, che sarebbero arrivati in tutte le zone colpite solo dopo cinque giorni. Parole al vetriolo quelle del Presidente che causarono l’immediata rimozione del prefetto di Avellino. Sento ancora riecheggiare la sua massima: “Il miglior modo di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”. Mi balenano nella mente tanti altri episodi memorabili: la sua commozione a Vermicino, a fianco di tutti quelli che tentarono di salvare il piccolo Alfredino Rampi, caduto in un pozzo artesiano e morto il 13 agosto 1981, o la sua esultanza in tribuna per il gol degli Azzurri durante la finale del mondiale di calcio del 1982 allo stadio Santiago Bernabeu di Madrid. Sia come servitore integerrimo e leale della nazione che come uomo di profonda umanità, Sandro Pertini avrebbe molto da insegnare ai politici del nostro tempo, dove spesso i valori vengono purtroppo bistrattati, derisi o addirittura abiurati, con le conseguenze deleterie che sono sotto gli occhi di tutti.

Grazie incommensurabilmente, amato Signor Presidente, per la sua straordinaria lezione di vita a tutti noi!

Lidia Tarenzi

 

Regionali, tempo di riflessione per il Movimento 5 Stelle

Consiglio ai 5 Stelle di leggere l’editoriale di Marco Travaglio e l’articolo di De Masi sul Fatto Quotidiano di martedì scorso, forse, capirebbero quale strada prendere. Ma si rendono conto del momento politico che stiamo vivendo e dell’importanza delle scelte che influenzeranno i prossimi decenni? In questi anni, grazie alla loro intransigenza, sono passate leggi mai approvate. Grazie ai 5 Stelle finalmente si inizia a vedere il cambiamento. Ma per continuare c’è bisogno di alleanze. Il momento politico è delicato e se si perde questa occasione non ce ne sarà un’altra per molti anni. Riflettano e poi ascoltino chi ha più esperienza. Solo imparando, si può davvero crescere.

Franco Petraglia

 

Usa contro Roman Polanski, esempio di civiltà giuridica

Caro Direttore, se fosse vero, come sostengono quasi tutti i partiti, gli avvocati, i magistrati e i media, che la nuova prescrizione rappresenti il massimo dell’inciviltà giuridica, trasformando gli imputati a vita, allora dovremmo ritenere che gli Stati Uniti, che perseguono tuttora Roman Polanski per un reato che sarebbe stato commesso oltre quarant’anni fa, siano un chiaro esempio di inciviltà giuridica.

Mi sbaglio?

Pietro Volpi

Detrazioni fiscali. L’obbligo dei pagamenti tracciabili potrebbe slittare al primo aprile

 

La scorsa settimana sono rimasto colpito dall’articolo che avete scritto sulla questione degli sconti fiscali delle spese sanitarie che non saranno più rimborsati nella dichiarazione dei redditi se si paga in contanti. Io non capisco come sia possibile introdurre una novità così rilevante per milioni di italiani e non darle la giusta diffusione. In proposito avete spiegato che i Caf si stavano muovendo per richiedere al governo di rendere meno drastico l’impatto, che altro non significa far perdere un mucchio di quattrini ai contribuenti. Ci sono novità? Che dobbiamo aspettarci?

Luca Barbagallo

 

Gentile Barbagallo, proprio in queste ore si sta discutendo della moratoria di tre mesi per i bonus fiscali non tracciati. Nel pacchetto di modifiche del governo, depositato mercoledì pomeriggio, c’è infatti l’emendamento che prevede il rinvio ad aprile dell’obbligo di pagamenti tracciabili per poter chiedere le detrazioni al 19% per una serie di spese, come quelle universitarie, sanitarie o per gli interessi sui mutui. Il punto è che la commissione congiunta Affari costituzionali e Bilancio, dove sono in corso le votazioni sugli emendamenti, potrebbe non terminare i lavori entro questa settimana. Così non si può ancora dare per certo che sono fatte salve le spese effettuate in contanti dal 1° gennaio scorso al 31 marzo 2020 di quei contribuenti che non hanno rispettato l’obbligo di pagamento con mezzi tracciabili (assegni bancari o postali, carte di credito o bancomat). Lo snodo è economico. Come abbiamo già scritto, questa novità più che stimolare i pagamenti alternativi al contante per intensificare la lotta all’evasione, è un toccasana per le casse dello Stato: molti italiani, infatti, perderanno per strada i bonus non adeguandosi alle disposizioni. Tanto che secondo le stime riportate nella relazione tecnica alla manovra “l’introduzione dell’obbligo di pagamento con strumenti tracciabili per la fruizione del bonus del 19% per le spese detraibili, con alcune esclusioni tra le quali quelle effettuate presso strutture pubbliche e private accreditate presso il Ssn, comporterà un incremento di gettito pari a 868 milioni nel 2021 e a 496 milioni nel 2022”. Quello che, quindi, sta facendo il ministero dell’Economia è trovare le risorse per compensare il mancato gettito dei tre mesi di moratoria. In particolare, il costo del provvedimento è stimato in 217 milioni nel 2021, da reperire nei fondi stanziati per il taglio del cuneo fiscale. Entro la prossima settimana il rinvio dell’obbligo uscirà dal limbo.

Patrizia De Rubertis

Sanremo, Il Cattivo esempio di Emma

La Giornalista Rai Emma d’Aquino, nel suo recente monologo al Festival di Sanremo dedicato alla libertà d’informazione, ha ricordato i numeri dei cronisti uccisi nel mondo mentre facevano il loro mestiere: 49 nel 2019. Subito dopo, ha citato i dati di un’intimidazione meno cruenta, ma non certo da trascurare: quella delle querele temerarie per diffamazione, un “bavaglio” per fermare i cronisti. Secondo “Ossigeno”, l’associazione che denuncia i tentativi di intimidire i giornalisti, solo il 10 per cento di esse finisce poi con un processo. Com’è accaduto qualche anno fa all’inviata del Fatto Quotidiano, Sandra Amurri. La querela riguardava un suo articolo sul terremoto de L’Aquila, le denunce del geologo Giampaolo Giuliani e un servizio della Rai mai andato in onda. Il pm chiese di archiviare, chi querelava si oppose e Amurri fu rinviata a giudizio ma poi assolta. Una querela ingiustificata pertanto (ci è consentito definirla temeraria?). Per la cronaca (è tutto agli atti, come si dice in questi casi), la querelante si chiamava Emma d’Aquino: una giornalista che querelava una collega che faceva il suo mestiere. Ultimo cenno di cronaca: la nostra inviata fu difesa da un legale di “Ossigeno”.