Fa le corna all’insù, Giuseppe Conte. Un gesto di scaramanzia, perché questo vertice sulla giustizia (“Non chiamatela sempre e solo prescrizione….”) potrebbe essere l’ultimo. Ultimo nel senso di “risolutivo”, sì. Ma pure ultimo nel senso che può segnare le battute finali dell’esperienza di governo giallorosa. Perché il presidente “ci proverà” a conciliare la riforma su cui il ministro Alfonso Bonafede è irremovibile con le esigenze del Pd e soprattutto di Italia Viva, altrettanto determinata a farla saltare. Ma la mediazione che Palazzo Chigi ha nel cassetto è la stessa da giorni.
Un lodo Conte 2, un escamotage che innova la prima mediazione che prevedeva che i tempi della prescrizione continuassero a correre nei casi in cui la sentenza di primo grado fosse di assoluzione: ora – secondo la proposta condivisa da M5S, Pd e Leu – i termini per l’estinzione del reato dovrebbero riprendere a camminare anche nel caso in cui, dopo una condanna in primo grado, arrivi un’assoluzione in appello.
Tanto cavillare rischia di essere inutile, perché non è questo che placherà i renziani. Ieri la delegazione di Italia Viva è arrivata a Palazzo Chigi determinata a farsi rispettare. Non solo a parole: non bastasse l’ostruzionismo matto e disperatissimo che stanno facendo in Parlamento sul decreto Milleproroghe – ieri hanno messo il veto persino su due emendamenti della ministra Pisano, tra cui uno sullo Spid concordato con mezzo esecutivo – di fronte a Giuseppe Conte hanno evocato perfino l’appoggio esterno al governo. Formula che è il preludio di smottamenti futuri imprevedibili. E che lo stesso Bonafede – annunciando per lunedì un consiglio dei ministri sulla riforma del processo penale – commenta così: “Si prenderanno le loro responsabilità”.
Le occasioni non mancano. Alcune sono già in calendario alla Camera – il lodo Annibali al voto dal 10 febbraio, la legge Costa che arriva il 24 – altre capiteranno al Senato dove la maggioranza può fare affidamento su numeri molto meno solidi. Lì, Italia Viva ha intenzione di presentare a nome di tutti i senatori, compreso Matteo Renzi, una proposta di legge per ripristinare la legge Orlando: “Entro sei mesi Bonafede dovrà cedere – è l’ultimatum dei renziani – Se non lo convincerà la politica, ci penserà la matematica”.
La situazione si è aggrovigliata parecchio e il premier sembra esserne più che consapevole. Tant’è che finge di credere che la piazza convocata dai 5 Stelle per sabato 15 febbraio sia solo contro lo stop al taglio del vitalizi, “una battaglia che M5S ha sempre fatto”. Il mantra, a Palazzo Chigi e dentro l’ala governista del Movimento, è ripetere che quella manifestazione è solo un momento “identitario” dei Cinque Stelle, che “avevano bisogno di tornare in piazza” per riannodare il filo con la base. E che hanno scelto i vitalizi perché credono sia “un buon tema” con cui provare a ridarsi la carica perduta. Tutto vero, per carità. Almeno fino a mercoledì, quando Luigi Di Maio – sorprendendo anche le truppe dei parlamentari – ha rilanciato il sit-in di piazza San Silvestro allargandolo però a molte altre questioni aperte sul tavolo dei giallorosa, dalla stessa prescrizione al reddito di cittadinanza. E infatti ieri sera, al reggente Vito Crimi è toccata la prima “sconfessione” dell’ex capo politico: sul Blog delle stelle ha lanciato la campagna in vista della manifestazione (tutta centrata su slogan del tipo: “Il lupo perde il pelo ma non il vitalizio”), senza fare alcun cenno alle “altre leggi che vogliono cancellare” anche quei partiti “che stanno al governo del Paese”, come invece aveva detto Di Maio. Una frase, quella del ministro degli Esteri, che ha non poco innervosito il segretario del Pd Nicola Zingaretti: “Chiedo un chiarimento al M5S, decidete cosa volete fare rispetto a questo governo, altrimenti nessun problema è risolvibile”.
Il chiarimento, per ora, glielo dà solo la ministra della Funzione Pubblica Fabiana Dadone: “Luigi scende in piazza come parlamentare”, butta lì provando a ridurre la portata dell’appello dell’ex capo politico. Non è ancora chiaro che faranno lei e gli altri colleghi di governo: “Non abbiamo ancora avuto tempo per pensarci”, è la replica a chi domanda se andranno in piazza. Del resto non c’è fretta: nove giorni, con l’aria che tira, sono un’eternità.