È lunedì mattina, ti svegli, raggiungi la fabbrica nella quale lavori da 25 anni e non trovi più nulla, né macchinari né attrezzature. Un capannone vuoto, come se ci fossero stati i ladri. Ma non si è trattato di un furto: l’azienda, senza preavviso, ha fatto piazza pulita per spostare la produzione.
È accaduto tre giorni fa a 40 operai dell’indotto Fiat Chrysler di Melfi, in Basilicata. Per la precisione, nella Sapa Plastiche Melfi, impresa che fa parte di un gruppo presieduto da Rosanna de Lucia, nominata a giugno 2019 “Cavaliere del Lavoro” da Sergio Mattarella. Ora questi addetti presidiano i cancelli: nessuno ancora nessuno gli ha spiegato cosa ne sarà di loro. “Abbiamo costruito noi questo stabilimento – spiega una lavoratrice –. Quando l’ho visto deserto è stato come se qualcuno fosse venuto a rubare in casa mia. Un atto di vandalismo”. Messo in piedi nel 1995 con la Zanini Spa, dopo un concordato preventivo nel 2014 l’impianto è finito nelle mani della Sapa, che ne ha ereditato la commessa Fca per la fornitura di componenti automobilistiche. In quel complesso industriale, il Lingotto produce i suv Jeep Compass e Renegade. “Ecco perché ora chiediamo che intervenga la Fiat, è anche una sua responsabilità”, aggiunge l’operaia, che ha più di 50 anni e una figlia che frequenta l’università.
I timori di un simile epilogo sono nati a gennaio 2019, quando l’azienda ha detto ai sindacati che c’era un problema di alti costi di produzione, e che si stava ipotizzando di spostare quelle linee in altri siti italiani o europei del gruppo. Tuttavia, nei mesi successivi non è arrivata alcuna comunicazione ufficiale. Il 18 agosto, poi, è scoppiato un incendio nei magazzini della fabbrica che ha distrutto le scorte approntate prima della pausa estiva. I lavoratori sono stati richiamati dalle ferie per rimettersi in pari con i pezzi da fornire a Fca. “Nel primo mese – racconta la donna – ho lavorato sette giorni su sette. Poi nei successivi diversi colleghi hanno fatto molti straordinari. Abbiamo respirato plastica bruciata”. Un sacrificio ben accetto pur di assicurare alla Sapa il mantenimento della commessa Fiat. Era infatti già previsto un periodo di stop per la messa in sicurezza dei luoghi interessati dall’incendio. I lavoratori erano però convinti che queste ristrutturazioni potessero essere realizzate senza spostare i macchinari ed erano stati rassicurati dai vertici aziendali. Si aspettavano quantomeno che il sindacato sarebbe stato informato.
Nel pomeriggio di domenica 2 febbraio hanno invece ricevuto tutti una telefonata: “Da domani siete in ferie”. E quando, lunedì, sono andati in fabbrica hanno scoperto che gli stampi erano stati spostati. “Non ci hanno avvisati perché sapevano che lo avremmo impedito” – dice un operaio 49enne – Ho una famiglia. Se Fiat non interviene, avremo grosse difficoltà”. L’età di queste persone va dai 45 ai 60 anni. Insieme a loro, lavorava una ventina di giovani inviati dalle agenzie interinali.
Sono scoraggiati, immaginano che dietro quella mossa ci sia la volontà di chiudere. Domani è previsto un incontro in cui finalmente la Sapa rivelerà le intenzioni sullo stabilimento. “La cosa grave – ha detto Giorgia Calamita della Fiom Basilicata – è che, mentre erano in corso delle relazioni sindacali, a un certo punto sono state interrotte con un’azione unilaterale di questo tipo”. Alla richiesta di speigazioni del Fatto Quotidiano, l’azienda non ha risposto.