Due settimane da ex gli sono bastate, il tempo di far notare che la sua assenza ha fatto rima con un discreto caos. Poi però un mercoledì mattina l’ex capo politico dei Cinque Stelle Luigi Di Maio si sveglia e parla da leader non ufficiale ma evidente. In un video su Facebook racconta che “il sistema sta provando a cancellare le leggi del Movimento”, quindi spiega che la piazza di sabato 15 febbraio a Roma non sarà solo a difesa dei tagli ai vitalizi, sarà anche e forse innanzitutto un evento per proteggere la riforma della prescrizione, quella del Guardasigilli Alfonso Bonafede.
E tutti i 5Stelle vanno in scia, anche il sodale ritrovato Bonafede, perché la nuova prescrizione vale l’identità e un bel pezzo di sopravvivenza per il M5S che teme di dissolversi a forza di piegare bandiere. Lo sanno tutti e per primo ovviamente Di Maio, che non poteva sbagliare il ritorno e infatti non lo sbaglia, e pazienza per chi mugugna fuori taccuino: “Luigi ha voluto rimettere il cappello sul Movimento”. La certezza è che si era concesso 15 giorni di silenzio sul governo e sul M5S, l’ex capo, dopo quel mercoledì in cui su un palco nel centro di Roma si era tolto la cravatta e pure tutti i sassolini, anzi i macigni, contro i nemici interni. Dopo le dimissioni, solo qualche intervento sulla politica estera, da titolare della Farnesina. Ma lì fuori c’è sempre tutto il resto, c’è la poco santa alleanza contro il taglio dei vitalizi in Senato e ci sono Matteo Renzi e tanto Pd che vogliono abbattere la riforma della prescrizione.
Così Di Maio, che non vuole tornare capo formale ma vuole restare il primo di fatto, riassume e tira la linea, quella del Movimento: sulla prescrizione non si cede proprio nulla. “Se Renzi vuole votare contro una legge può provarci già alla Camera ma non ha i numeri, e allora dovrà assumersi il peso di far cadere il governo in Senato” è il mantra che ripetono i 5Stelle di rango. Diversi big lo scrivono a Bonafede: “Alfonso, andiamo dritti a costo di andare a casa”. E Di Maio nel suo video è un megafono: “Il popolo italiano deve scendere pacificamente in piazza e manifestare contro questo osceno atto di restaurazione che inizia col riprendersi i vitalizi, ma vedrete, vorranno cancellare tutte le leggi che abbiamo fatto”. Ed è il proclama della diversità, il rivendicare lo stile del M5S vecchia maniera, quello del 2013. Sono le parole d’ordine su cui il ministro vuole impostare il suo progetto per gli Stati generali e quindi per il M5S del prossimo futuro: per cui (nonostante le solite smentite) continua a immaginare due capi, un uomo e una donna, cioè Chiara Appendino e Alessandro Di Battista, e una segreteria di maggiorenti.
Nell’attesa vuole ricompattare la base e possibilmente gli eletti, su qualche battaglia. Anche se alla Camera il clima è plumbeo. Così il tesoriere Francesco Silvestri, dimaiano di peso, la butta lì: “Io non ricordo che ai tavoli per formare il governo con il Pd sia mai stato sollevato il tema della prescrizione”. Bonafede invece va di clava: “Siamo in maggioranza, invece vedo toni di chi sembra all’opposizione. A volte sembra che i testi glieli scrivano Salvini o Berlusconi”. E comunque “il mio impegno è portare la riforma per abbreviare i tempi dei processi al Consiglio dei Ministri entro dieci giorni, lì ciascuno si assumerà le sue responsabilità”. Però non si possono lasciare varchi ampi a Renzi e imbarazzi per il Pd. Quindi da ambienti del ministero ripetono che “si lavora a un lodo Conte”, formula volutamente vaga. Ma la verità è che il Movimento non vede alternative alla “sua” prescrizione. E non può essere una sorpresa per Conte, che prende e cerca tempo.
Di Maio non gli ha fatto un favore con quel video da trincea. Ma d’altronde la pensano diversamente su parecchie cose, il ministro e il premier, a cominciare dalle alleanze tra Movimento e Pd.
Se ne dovrebbe discutere anche in quegli Stati generali che sono ancora una scatola vuota, senza sede e data ufficiale (ma saranno il 19 aprile). Martedì il facilitatore Danilo Toninelli ne ha parlato ai parlamentari in assemblea. Qualche slide, ma niente informazioni certe. “Non ci dicono niente, vogliono gestire tutto loro” sbuffano certi eletti. E “loro” sono i fedelissimi di Di Maio: l’ex capo che ex non sembra, per nulla.