Per chi, come noi, ha una passionaccia per gli scandali bancari ieri è stato un giorno interessante. Non solo hanno trovato i cattivi che hanno distrutto Popolare Bari – come s’era capito da giornali e tv poco prima di Natale – ma li hanno pure arrestati. Ci si riferisce ai domiciliari per Marco e Gianluca Jacobini – padre e figlio, eredi di Luigi, l’uomo che fondò la banca – e un altro ex dirigente: arresti, sia detto per inciso, chiesti a luglio, mesi prima del commissariamento. E invece: “Controllano ancora la banca” (CorSera); “La stretta su un potere ancora in sella” (Sole 24 Ore); “Il metodo Jacobini: I risparmiatori? Fottuti” (Repubblica); “Crolla il sistema Jacobini” (Stampa). “Vigilanza sviata con bilanci gonfiati” (Corriere del Mezzogiorno). Ecco, festeggiata la cattura dei cattivi, sarà il caso di citare cosa non abbiamo letto (escluso, perdonateci, Il Fatto): il Gip, infatti, venerdì ha pure messo nero su bianco che non c’è stato alcun “ostacolo alla vigilanza” da parte dei vertici di Pop Bari e che anzi Bankitalia era “perfettamente a conoscenza della persistenza di tutte le situazioni oggetto di specifico rilievo” e non ha fatto nulla fino al dicembre scorso. Tanto più che, come risulta dai verbali del cda e dai bilanci della banca, fu Palazzo Koch a pressare i pugliesi affinché “salvassero” la disastrata Tercas, l’affare che – insieme alla recessione e più della pur probabile mala gestio – ha affossato la banca. Informazioni che non servono più quando c’è il cattivo: chi trova un cattivo, d’altronde, trova un tesoro e può far finta di esser passato di lì per caso.
In Italia l’inverno senza merla, in Cile si allaga il deserto
In Italia – La cifra del tempo di fine gennaio è stata ancora la mitezza fuori stagione. Mercoledì 29, primo dei tre “giorni della merla” (in realtà il picco del freddo cade in media a metà gennaio), con l’aiuto del foehn i termometri segnavano 17 °C a Imola e 19 °C a Mondovì, una decina in più del dovuto. La perturbazione atlantica di martedì 28 ha deposto mezzo metro di neve fresca sul Monte Bianco, in alta Toscana è piovuto molto (120 mm sulle Alpi Apuane) e sulle vette di Alpi e Appennini il vento ruggiva a 200 km/h. All’asciutto invece le pianure lungo il Po, e nei boschi del Piemonte – dove le ultime piogge importanti risalgono al 20 dicembre – sono rispuntati gli incendi boschivi, dal Torinese al Lago Maggiore. Il tepore anomalo culminerà domani, poi per qualche giorno soffieranno venti freddi da Nord. Visto che da fine autunno le Alpi non vedono nevicate diffuse e le zone sotto i 1.500 metri sono ormai spoglie, vale la lettura del delizioso racconto dello scrittore svizzero Arno Camenisch Ultima neve (Keller edizioni), dialogo popolare tra due anziani assistenti a uno skilift di una località montana marginale che vedono sparire la neve nell’epoca del riscaldamento globale.
Nel mondo – Violente alluvioni hanno provocato 54 vittime e danni per centinaia di milioni di dollari in Brasile sud-orientale a seguito di piogge record. A Belo Horizonte sono caduti 172 mm in 24 ore tra il 23 e il 24 gennaio e 935 mm nell’intero mese (quasi il triplo della norma), primati in 110 anni di misure. Sono bastati invece 16 mm d’acqua per allagare il deserto di Atacama (Cile), luogo più secco al mondo con precipitazioni medie annue talora inferiori a 1 mm. Nell’emisfero Nord il freddo resta confinato a latitudini molto elevate, intrappolato nel vortice polare quest’anno molto vigoroso, e sotto miti correnti oceaniche in Eurasia l’inverno continua a fare cilecca: in decine di località svedesi mai si era avuto un gennaio così mite (anomalie tra +5 e +10 °C!), in Svizzera i noccioli sono fioriti un mese in anticipo, da Ginevra a Basilea non si è ancora visto un fiocco di neve, e Berna e Zurigo hanno vissuto il gennaio più soleggiato in oltre un secolo. Ancora incendi in Australia, minacciata soprattutto Canberra dove, dopo i 44,0 °C dello scorso 4 gennaio, record storico in 80 anni, venerdì la temperatura massima è tornata a 41,9 °C, rispetto ai 29 °C normali. Il report “Lancet Countdown 2019”, uscito a novembre a cura del gruppo di lavoro della prestigiosa rivista medica e presentato lunedì scorso anche in Italia all’Istituto superiore di sanità, conferma le preoccupazioni per gli effetti della degradazione di clima e ambiente sulla salute, insidiata sempre più da colpi di calore e incendi forestali, carestie ed epidemie per eventi estremi, e aria inquinata. Ulteriori valutazioni sui rischi indotti dai cambiamenti climatici sono nel rapporto “Climate risk and response” del McKinsey Global Institute, il cui obiettivo è informare i leader sulle scelte strategiche a lungo termine. Alcuni casi-studio danno idea dell’enormità del problema: senza abbattimento delle emissioni, nel 2050 in India 310-480 milioni di persone vivranno in regioni soggette a caldo letale, in Florida il valore degli immobili esposti a inondazione calerà del 15-35 per cento, i raccolti potranno aumentare in luoghi oggi freddi come il Canada ma globalmente sarà più probabile sperimentare penurie di cibo. D’altra parte i costi delle azioni per limitare a 2 °C il riscaldamento a fine secolo sarebbero ben inferiori ai danni della nostra ostinata inerzia, lo dice lo studio “Paris Climate Agreement passes the cost-benefit test” del Potsdam Institute for Climate Impact Research, pubblicato su Nature. Non sono soltanto manie da ambientalisti.
L’Apocalisse non è affatto apocalittica, al contrario è “un quinto Vangelo”
Le parole e soprattutto le immagini dell’Apocalisse (l’ultimo libro della Bibbia) hanno affascinato e inquietato generazioni e generazioni di esseri umani, credenti e non credenti, che hanno letto le sue pagine come se fossero la chiave interpretativa del loro presente (di ogni presente), e soprattutto del futuro imminente (di ogni generazione): un giudizio divino catastrofico, un terribile castigo destinato a coinvolgere tutti i popoli del mondo e la natura intera. Anche oggi ci sembra di vivere un’epoca inquieta di trapasso, con le sue ansie e con le sue immagini “apocalittiche”: Auschwitz, Hiroshima, Cernobyl, il Medio Oriente in fiamme, il riscaldamento globale del clima… Un’epoca che sembra preludere a catastrofi peggiori e che stimola prediche minacciose, non più prerogativa di estremisti religiosi ma anche di politici.
L’Apocalisse, però, pur non nascondendo la drammaticità dell’esistenza, non vuole essere terrorizzante, non vuole incutere una paura mortale, ma vuole esprimere prima di tutto il senso della maestà e della sovranità del Signore, capace di intervenire e raddrizzare il corso delle esistenze personali e anche della storia. All’inizio del libro (cap. 1,9-20) troviamo come prima immagine proprio la visione regale del Gesù Risorto in tutta la sua gloria e potenza: la veste lunga e la cintura d’oro sono emblemi regali (o, per lo meno, di personaggio di altissimo rango); i piedi di rame, la voce, il volto splendente esprimono potenza; i capelli bianchi non significano vecchiaia, ma eternità, la spada a due tagli che esce dalla sua bocca è il simbolo dell’efficacia della sua parola. Anche lo sguardo fiammeggiante è simbolo di autorità e di potenza.
Di fronte a questa maestà e sovranità, il credente sente il peso della propria condizione di indegnità e piccolezza: la pura e semplice presenza – anche muta – del divino provoca uno sconquasso tale da mettere in ginocchio qualsiasi coscienza credente: “Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto” (cap. 1,17). Ma come in passato in casi analoghi, troviamo la stessa parola di sempre: “Non temere” (cap. 1,17). Una parola che riabilita il credente di fronte a se stesso e gli consente di ascoltare l’affidamento di una missione: “Scrivi le cose che hai visto” (cap. 1,19), e qui, in più, c’è anche una mano rassicurante che si posa sulla spalla (o sul capo) del testimone: “Egli pose la sua mano destra su di me” (cap. 1,17). Il personaggio della visione si presenta come “il primo e l’ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades” (cap, 1,17-18), cioè come Colui che controlla e domina il grande avversario: la morte e il soggiorno dei morti.
Nell’Apocalisse, perciò, scopriamo lo stesso evangelo (“Buona Notizia”) di altri testi biblici, la stessa grazia riabilitante, la stessa fiducia del Signore che viene e affida ai suoi testimoni compiti di grande responsabilità. Un Signore non solitario, che si trova fra le sue chiese, i “sette candelabri” (cap.1,12): una bella immagine della vocazione della chiesa a vivere accanto al suo Signore e a diffondere non una luce propria, ma la luce di Cristo e di tenerla alta, ben visibile al mondo. Rispettiamo dunque quest’ultimo libro della Bibbia ascoltando quello che dice veramente e non le nostre fantasia angosciate e “apocalittiche”. Perché si presenta come “un quinto vangelo” (G. Comolli, Apocalisse. Il libro del mondo rinnovato, Claudiana 2017) in cui il Gesù Risorto torna un’altra volta a confermarci che sono in preparazione per tutti noi “un nuovo cielo e una nuova terra”, dove non ci sarà più dolore né morte né ingiustizia perché “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (cap. 21,1-5).
Il virus cinese, i confini del vaccino
Al Festival del Cinema di Torino, lo scorso ottobre, è stato presentato il più strano dei documentari, intitolato Vaccini. È strano perché la parola “vaccino”, in questo film, non viene usata come metafora per parlare, ad esempio, del contagio di svastiche e di altre celebrazioni di Mussolini e Hitler che sta inondando in questi giorni (i “Giorni della Memoria”) l’Italia.
Qui “vaccino” ha il suo significato letterale: è quell’intervento medico contro cui, appena pochi mesi fa, interi gruppi di cittadini, indottrinati e infuriati, e di partiti prontamente arruolati, si scagliavano per esortare a rifiutare di vaccinare i propri bambini. Lo faccia “chi vuole” e pazienza se i bambini liberamente e orgogliosamente non vaccinati contageranno i bambini con soglia di immunità più fragile. E comunque il morbillo e la poliomielite non esistono più. E nessuno ha diritto di interferire con le idee di chi ha partecipato ai comizi e ha letto tutto in rete sulla macchinazione delle multinazionali farmaceutiche, pericolose quanto Soros, che si arricchisce inondando il mondo di africani in sostituzione dei bianchi.
Ma il film di cui vi sto parlando non sta al gioco della politica, e dello squallido gesto con cui è stata trasformata in credo politico la battaglia delle vaccinazioni. Vaccini, il film di Elisabetta Sgarbi, già autrice notata per la bellezza delle sue immagini e la capacità di narrare, ignora sia l’immagine del mostro (il mondo senza vaccino) sia lo scontro. Dà invece la parola a personaggi che sanno e che pensano (dal tenace difensore delle vaccinazioni Burioni al filosofo Cacciari, dal medico di Lampedusa Bartòlo a donne di scienza come Lorusso e Azzari). Queste persone parlano e spiegano come un fatto ovvio un pilastro di civiltà – accreditato, conosciuto – a persone normali, che vengono chiamate a raccolta, nonostante l’apparenza di routine dell’argomento, con due espedienti che raggiungono in pieno lo scopo: una musica di trionfo e di festa, come in un capodanno viennese. E la partecipazione straordinaria di giocattoli e robottini che implicitamente dicono due cose: che la vaccinazione riguarda i bambini, e che il gioco vale la candela.
Ne parlo nel giorno in cui una frenesia da vaccino sembra avere invaso il nostro Paese, a causa degli eventi cinesi, dando al film della Sgarbi un che di profetico. Perché proprio mentre mi accingo a scriverne mi accorgo che sulle porte di locali di Roma (bar e ristoranti) appaiono scritte che ingiungono a eventuali clienti cinesi di non entrare, di tenersi alla larga, perché si tratta di persone in sé pericolose. Se esistesse ancora la sociologia, sarebbe bello verificare se si tratta dello stesso fiero gruppo di opposizione ai vaccini, di cui sapevano elencare sia le conseguenze pericolose sia gli intrighi dei poteri forti. Allo stesso modo sarebbe bello verificare se i nuovi difensori dei confini della patria sono gli stessi che definivano l’Italia “un Paese di merda”. Gli stessi che, dopo avere celebrato il filo spinato anti-profughi e le barche Ong da affondare subito, vogliono adesso dalla scienza del mondo (e non importa se è bielorusso o californiano) un vaccino mondiale contro la malattia cinese. Ma vogliono anche cacciare i cinesi come se ci fosse un rapporto di complicità fra virus e persona.
Ma ecco la ragione profonda per cui sto parlando del film nei giorni della sindrome cinese. Scegliere le vaccinazioni come soggetto di film, in una versione parlata (ovvero non come spettacolo ma con il proposito esplicito di fermare lo spettatore sull’evento vaccinazione), vuol dire rendersi conto (e chiedere allo spettatore di rendersi conto) che lungo questa linea, che sembra solo lo spunto di una utile conversazione tra esperti, passa un confine. Non è di contrapposizione e non introduce a uno scontro. È fare in modo che chi partecipa da spettatore al film si renda conto che si può essere dentro o fuori dalla civiltà, dove uomini e donne sono riusciti ad arrivare e a salvare spingendo avanti i limiti del non conosciuto.
È una barriera sgradevole per chi vuole imporre volontà oppressive e annebbiate – impugnando il rosario e ostentando credenze sfasate di secoli – e disprezzo per tutto ciò (Chiesa e Papa inclusi) che non si piega al vuoto di cultura che viene avanti con la non civiltà. I vaccini – ecco il senso del film e la ragione per cui ne parlo mentre infuria la sindrome cinese – sono pietre di inciampo che impediscono l’abolizione della cultura, della consapevolezza e della conoscenza dei fatti. Bella l’idea della Sgarbi di chiamare fra gli esperti il medico di Lampedusa. È portatore della grande esperienza dei migranti e dei profughi a cui è stato somministrato il vaccino del soccorso e della umana accoglienza. Anche questo vaccino ha incontrato una forte opposizione, anche il salvataggio viene attribuito ai poteri forti. Perciò è importante riconoscere, oltre che un bel film, un atto di resistenza.
Mail box
La Brexit è una ferita profonda all’Unione europea
La Gran Bretagna è fuori. Non sarà facile elaborare questa separazione, dopo aver visto le scene di festa degli inglesi per il ritrovato isolamento. Ma occorre resistere alla tentazione di una pericolosa rivalsa euro-sovranista che nel tempo può degenerare in avversione. Ho già sentito sfoghi da bar, sintomo che un equilibrio si è rotto. Se la frustrazione diventasse inimicizia diffusa, basterebbe anche un piccolo pretesto per consentire al carismatico di turno d’incendiarla. Insomma, dobbiamo essere consapevoli che questo trauma richiederà un lungo dialogo tra i due versanti. Perché la ferita della Brexit è più profonda di quanto appaia a caldo.
Massimo Marnetto
Ilva, la condanna della Cedu ora al vaglio del Consiglio Ue
Spettabile Fatto Quotidiano,
il Consiglio d’Europa ha fissato per il mese di marzo 2020 il primo esame sullo stato di esecuzione della sentenza della Cedu del 24 gennaio 2019, diventata definitiva il 24 giugno dello stesso anno. L’esame sarà effettuato dal Comitato dei ministri che esaminerà il caso “Cordella e altri contro l’Italia” presentato da un gruppo di cittadini di Taranto alla Corte di Strasburgo nel 2013 (ricorso n. 54414/13). Il ricorso ha messo sotto accusa il governo italiano per non aver protetto la salute dei tarantini dalle emissioni nocive dell’Ilva di Taranto. Sulla base delle evidenze scientifiche fornite, i giudici di Strasburgo, hanno condannato l’Italia riconoscendo la violazione del diritto alla vita privata e familiare (l’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti umani) e del diritto a un rimedio efficace (l’articolo 13 della stessa Convenzione). Ai sensi dell’articolo 46 della Convenzione, la Corte europea ha anche stabilito che il Comitato dei ministri, organismo decisionale, avrebbe indicato al governo italiano le misure da adottare per l’esecuzione della sentenza. Attualmente è atteso un dettagliato piano di intervento da parte del governo italiano. Intanto a marzo ci sarà l’esame delle eventuali soluzioni fornite dall’Italia.
DANIELA SPERA, promotrice a Taranto del primo ricorso collettivo
alla Corte Europea dei Diritti Umani
Sulla prescrizione Davigo persegue l’interesse pubblico
Sull’istituto della prescrizione e su quello del patrocinio a spese dello stato, gli ordini degli avvocati contestano le asserzioni del giudice Davigo, reputandole insensate e incostituzionali, e quindi contrarie alla collettività. Tale posizione va ribaltata: è il giudice Davigo che persegue un pubblico interesse. Nel caso della prescrizione, il proscioglimento che ne deriva è un concreto vantaggio, anche, per l’avvocato, mentre per Davigo non si ravvisa alcuna utilità personale nel perseguire la propria tesi. Idem per l’altro istituto, che è intrinsecamente a vantaggio degli avvocati, mentre Davigo non avrebbe alcun tornaconto personale se venisse adottata la sua proposta. In entrambi i casi, dato che il giudice Davigo non riceve alcunché nelle proprie tasche dall’applicazione delle proprie idee, consegue che, di fatto, persegue l’interesse della collettività.
Piero Angius
Il Mef tassa i lavoratori malati: è assurdo quanto ingiusto
Il mese scorso ho fatto un’assenza di un giorno per malattia: visita medica. Il giorno dopo, porto sul luogo di lavoro regolare certificato di presenza rilasciato dall’ospedale. In questo mese di gennaio, il Mef mi trattiene ai sensi del dl 112/08 la quota accessoria. L’importo trattenuto è basso. Tuttavia, è una questione di principio. Non si può tassare chi si reca in ospedale per curarsi. A mio modesto parere questa trattenuta è vessatoria. Un cittadino non può essere punito per motivi di salute.
Il dl 112/08 varato dal ministro Brunetta del governo Berlusconi allora in carica, prevede che nei primi dieci giorni di assenza per malattia ai lavoratori pubblici sia eseguita una trattenuta della retribuzione accessoria. Da dodici anni a questa parte la normativa è ancora in vigore e nessun governo successivo ha mai pensato di togliere questo balzello. I lavoratori sia del settore pubblico sia privato non devono subire anche queste trattenute. Non si può fare cassa anche in questo modo sulla pelle dei lavoratori.
Maurizio Munda
Diritto di replica
Caro Direttore, mi riferisco all’articolo apparso sul Fatto Quotidiano venerdì dal titolo “Pop Bari, il summit in Bankitalia dei vertici: ‘È andata benissimo’”. L’8 novembre 2016 si tenne effettivamente in Banca d’Italia un incontro tra la Vigilanza e i vertici della Banca Popolare di Bari (Bpb). Il resoconto di tale riunione evidenzia che venne trattato, tra gli altri, il tema del rinnovo della governance. In particolare, il Presidente della Bpb annunciò l’intenzione di lasciare la carica e di uscire definitivamente dal Consiglio di amministrazione. Altri dettagli sullo svolgimento dell’incontro, riportati nell’articolo, non trovano alcun riscontro oggettivo.
Gian Luca Trequattrini,
Capo del Direttorio e comunicazione di Banca d’Italia
Ne prendiamo atto. L’articolo non riporta una nostra ricostruzione, ma un’intercettazione dell’ex presidente Marco Jacobini con moglie e figlio, ai quali dice che l’incontro è “andato benissimo” e che il capo degli ispettori gli avrebbe detto di aspettare l’arrivo della relazione e che “poi se la vedrà lui personalmente”. Che potesse aver millantato l’avevamo scritto.
A. Mass.
La Lega si emanciperà mai dal pernicioso Salvini?
“Un fronte di scontro lo puoi reggere, due forse, tre no”.
Il leghista Giancarlo Giorgettisul “Fatto Quotidiano”
“La facciadi Salvini, al momento, non è in grado di raccogliere più consensi di quel che già ha”.
Luca Ricolfi, intervistato da “La Verità”
Ma davvero la Lega può continuare a essere solo e soltanto Matteo Salvini? Per esempio, Luca Zaia eletto governatore del Veneto nel 2010 con il 60 per cento dei voti, e poi rieletto nel 2015 con il 50 per cento, non era già il “doge” quando Salvini cercava disperatamente di diventare Salvini raccattando perfino i voti di CasaPound? E quell’Attilio Fontana, che adesso si umilia dileggiando i “disabili e centenari portati ai seggi dal Pd” per soccorrere il capo sconfitto in Emilia-Romagna, non è diventato governatore della prospera Lombardia quando il capo veniva doppiato dal M5S alle politiche del 2018?
Tacciono i buoni amministratori del Carroccio, quelli che si facevano apprezzare dagli elettori prima di doversi vergognare come ladri alla parola citofono. Così come Giancarlo Giorgetti che si rifugia, per lealtà, dietro una frase di Otto von Bismarck, è in linea con i molti che molto avrebbero da obiettare riguardo alle continue smarronate salviniane, ma che prudentemente tengono la bocca chiusa. Come diceva Maurizio Ferrini a “Quelli della notte”: non capisco ma mi adeguo. Ma per quanto tempo ancora quel 4 per cento che il cosiddetto Capitano stava moltiplicando per dieci (oggi sceso a otto, ma pur sempre un prodigio) coprirà l’assenza di politica? Che è quella cosa per cui se ci sai fare puoi essere ago della bilancia con percentuali modeste (Bettino Craxi ma anche Giovanni Spadolini che con il piccolo Pri scalò palazzo Chigi: era il secolo scorso ma funziona così). Mentre puoi impantanarti sotto il peso di un successo che non riesci a sfruttare: come quei blindati nel deserto che sparano alla luna.
Giorgetti sa bene che il tutti contro Salvini ne alimenta il martirologio ma polarizza il fronte opposto e lo compatta: molti nemici molto onore e perdi le elezioni. Ricolfi intravede una duplice difficoltà per il leader sovranista: come ridurre le tasse senza fare altro deficit, e come gestire i migranti irregolari che sono già sul territorio italiano. Leggiamo che al Consiglio federale di venerdì un Salvini più istituzionale ha cercato di metabolizzare la sconfitta di Bologna con ministri ombra per non spaventare più Ue, Usa e Chiesa. Un tentativo di pescare al centro i voti che gli mancano, se non fosse che poi gli parte il tweet Coronavirus sul governo che “non tutela la salute e la sicurezza degli italiani”. Uffa. “Personalizzare e comunicare all’estremo è dispendioso e sul lungo periodo rischia di venire a noia” (Giovanni Orsina).
Gaia, il foglio, Renzi e lo slurp al cubo
L’intervista promette bene fin dall‘incipit: “È la nostra Jennifer Aniston: un po’ fidanzatina d’Italia, un po’ anchorwoman, come nella serie ‘Morning Show’”. Parola di Michele Masneri sul Foglio. Slurp. “Però Gaia Tortora, 50 anni, plenipotenziaria delle news de La7, non ha a che fare con tipi come Brad Pitt ma piuttosto con Marco Travaglio. Al quale ha rifilato un sonoro “vaffa”perché avrebbe “scritto sul Fatto che non c’è niente di male se qualche innocente finisce in carcere” (ha scritto l’opposto, ma fa niente). E, dopo il vaffa, le ha inviato sms con “cose irripetibili”. Purtroppo l’interessata dice che non erano niente di che, “non molto diversi da quello che ha scritto sul Fatto”. Ahiahi, qui l’intervista si smoscia. Masneri allora domanda: “Sei turborenziana?”. E lei, feroce: “Renzi è l’unica persona in grado di fare strategia politica che c’è in Italia, poi staremo a vedere”. Accipicchia. Gliele canta chiare. Doppio slurp. Però – avverte – “quando fa delle cazzate glielo scrivo direttamente”. Ecco, brava: quando c’è da elogiarlo, lo fa sul Foglio. Quando c’è da criticarlo, lo fa in via riservata. Travaglio invece lo manda “affanculo” pubblicamente. Intanto, al vertice di Italia viva, i renziani solidarizzano a turno con la povera Gaia contro Travaglio che l’ha vilmente aggredita prendendosi un vaffanculo senza averla mai nominata nè pensata. Triplo slurp. Al cubo. Modello candidatura.
Sballo sintetico bast@ un click
Mille molecole, altrettante sostanze spesso sconosciute. Allucinogeni, ipnotici, cannabinoidi, oppiodi, stimolanti: l’era delle vecchie droghe è al tramonto. Ci sono ora dosi millesimali e inodore. Per trasportarle non servono più cargo, ma una semplice busta. Per procurarsele non serve andare in strada, basta un click. È il mondo delle droghe sintetiche o Nuove sostanze psicoattive (Nps): un oceano incontrollato e incontrollabile.
Per capire di cosa stiamo parlando, bisogna passare qualche ora nei padiglioni dell’aeroporto di Malpensa, la porta d’ingresso di questo nuovo tsunami sintetico.
Arrivo passeggeri, qualche settimana fa. Una donna sbarca allo scalo intercontinentale. Ore prima, era partita dall’aeroporto Murtala Muhammed di Lagos, in Nigeria. Una valigia imbarcata, nulla da dichiarare. Arrivata in Italia, ad attenderla un bus per Milano e da qui un treno per Lodi (la donna abita lì da anni, con regolare permesso di soggiorno e nessun precedente). Superati i primi controlli, lo sguardo della signora inizia a farsi meno sicuro, quando davanti a lei si stagliano alcuni finanzieri e un cane antidroga, un pastore belga di nome Rock. La donna inizia a sudare: così viene fermata, portata negli uffici della Guardia di finanza e controllata.
Che la donna nigeriana di 44 anni con residenza nel Lodigiano fosse un corriere lo si è definitivamente capito in ospedale, dopo una visita radiologica. In pancia aveva mezzo chilo di ovuli di cocaina. Nel bagaglio della donna, però, c’era anche altro. Dentro un doppio fondo, 7,6 kg di metanfetamina, droga sintetica tra le più potenti e letali.
È la prima volta in cui, allo scalo passeggeri di Malpensa, viene sequestrata droga sintetica e in tali quantità. Che si trattasse sempre più di una nuova tendenza si era capito un anno fa, a febbraio, quando la polizia canadese aveva intercettato un traffico di Fentanyl – l’oppiode il cui uso negli Stati Uniti è diventato un vero allarme sociale – diretto verso il nostro Paese. Nel solo 2019 si sono registrati cinque sequestri di fentanili: tre dal Canada, due dalla Polonia e uno da un Paese a oggi ancora sconosciuto. La telefonata era arrivata ai carabinieri di via Moscova a Milano. Acquisita l’informazione, i militari erano stati a Malpensa, avevano preso il pacco con la sostanza destinata a un anonimo 53enne di Alba. E sempre i militari, travestiti da corriere, consegnarono la busta e arrestarono l’uomo, mentre firmava la ricevuta.
In otto casi su dieci, le droghe sintetiche arrivano nel nostro Paese “occultate” attraverso il sistema postale. Secondo una stima della Direzione centrale servizi antidroga-Dcsa, in Italia, le spedizioni generali sono 150 milioni all’anno (Amazon, solo col metodo Prime, ne effettua 5 miliardi se guardiamo al mondo). E dall’aeroporto di Malpensa ogni anno transitano oltre 500mila tonnellate di merce, praticamente il 50% del totale nazionale.
In via Facchinetti a Somma Lombardo, Varese, ci sono gli uffici della Guardia di finanza. Qui, al secondo piano, il colonnello Luigi Pardi coordina il reparto e lo fa con il puntiglio di chi non vuole solo leggere le carte ma stare sul posto, vedere, toccare con mano. “Qui – spiega il colonnello – si è operativi h 24, tutti i giorni, perché ogni minuto è buono per sequestrare droga e scoprire nuove sostanze sintetiche non ancora censite, come è già capitato in quest’ultimo anno”. I numeri si fanno sempre più preoccupanti. “Nel solo 2019 – spiega Pardi – la Guardia di finanza qui ha sequestrato 27 kg di droghe sintetiche. Un anno prima, nel 2018, la cifra si fermava a 16 kg”. L’incremento è del 68%: un aumento che si registra anche a livello nazionale. Nel 2018, secondo i dati ufficiali della Dcsa, il totale delle droghe sintetiche e del Khat sequestrate era di 661 kg, a cui vanno aggiunte 26.969 dosi: nel 2019, la cifra è salita a 877 kg e le dosi a 57.527. Numeri senza precedenti.
Lo scalo internazionale di Malpensa è, oggi, la porta d’ingresso in Italia per queste nuove sostanze. Arrivati ai padiglioni delle merci, il colonnello Pardi spiega: “Abbiamo un mondo nuovo davanti
e in continua evoluzione, le coordinate vanno ancora messe a fuoco”. I finanzieri lo sanno bene. Sanno che un chilo di droga sintetica, a livello economico e di spaccio al dettaglio, vale quanto una tonnellata di droghe tradizionali.
“Le dosi singole di ketamina, metanfetamina, cannabinoidi e catinoni sintetici vanno misurate in milligrammi. Va da sé che i 27 chili del 2019 valgono moltissime dosi per i consumatori”, spiega Pardi. Uno tsunami che passa da Malpensa. Non dallo scalo passeggeri (l’unica eccezione è stata il caso della donna nigeriana), ma da quello delle merci: “Noi lo chiamiamo Cargo City”.
Arrivarci a piedi è impossibile. È un’area immensa di capannoni e hangar. “Per il contrasto al traffico di droga – dice Pardi – qui ogni giorno operano due squadre della Guardia di finanza. Sono loro le prime sentinelle, e si distribuiscono tra la zona merci e la zona della posta”. Al padiglione B arriva, infatti, la corrispondenza da ogni parte del mondo. Quotidianamente. Pacchi medi o grandi, buste, sacchi.
Solo osservando i finanzieri al lavoro si comprende quanto sia complessa l’attività di contrasto. Eppure è qui che bisogna controllare, perché le nuove droghe sono leggere, inodore e spesso in buste con dosi da quantitativi minimi.
“Il primo filtro che utilizziamo – spiega il colonnello Pardi – è quello classico dei cani antidroga. Capita, infatti, che le sostanze sintetiche arrivino assieme a quelle tradizionali”. Un sacco viene preso di mira da un cane. Dentro ci sono diverse scatole grandi come cd. Sono almeno dieci, l’odore annuncia la sostanza: marijuana di grande qualità. Su tutti i pacchi il mittente è il medesimo, nel nostro caso si tratta di un indirizzo di Barcellona. Indirizzo fasullo. Le destinazioni in Italia sono diverse: da San Benedetto del Tronto a Lissone in provincia di Monza. Come si procede quindi? “Inizia l’analisi investigativa. Ci si accerta innanzitutto dell’esistenza degli indirizzi. Perché in molti casi – prosegue Pardi – sono falsi, oppure non corrispondono al destinatario reale. Spesso sono esercizi commerciali, a volte parenti ignari…”.
In alcuni casi poi, quando la sostanza identificata dai cani è molta e l’indirizzo è certo, si procede alla cosiddetta “consegna controllata”. I finanzieri si travestono da fattorini, portano la busta e nel momento in cui l’acquirente firma la consegna viene arrestato in flagranza. Nel frattempo, mentre siamo nella Cargo City col colonnello Pardi, un secondo cane azzanna un sacco con decine di filtri per le sigarette elettroniche. Dovranno essere analizzate, ma già si può ipotizzare che dentro vi sia un cannabinoide naturale con una percentuale di principio attivo (Thc) che supera il 60%, una bomba stupefacente se si pensa che una marijuana di ottima qualità presenta un Thc non oltre il 30%.
Nei casi in cui il cane non ha successo, invece, si procede all’apertura dei pacchi che sono stati selezionati in base alla provenienza. In mano, infatti, la Finanza ha una lista di Paesi ritenuti critici. L’elenco rientra in una “analisi di rischio” che parte da un dato non confortante: le sostanze essendo di natura sintetica non hanno una precisa zona di origine e dunque una geo-localizzazione certa. Nel tempo, però, si sono osservate particolari rotte aeree e/o Paesi di provenienza con un alto profilo di rischio. I Paesi da bollino rosso sono Spagna, Olanda, alcuni Stati dell’Est Europa. Ci sono poi le Filippine per quanto riguarda lo Shaboo, e gli Stati Uniti e la Cina.
La Cina da sola produce circa il 90% di sostanze di base da cui i chimici ricavano poi le droghe sintetiche. Il colonnello Alessandro Cavalli, all’interno della Direzione centrale servizi antidroga del Viminale, dirige la divisione che si occupa del contrasto alle droghe sintetiche. Attualmente la Cina – spiega – è il primo produttore mondiale di prodotti chimici con un fatturato di 1.111 miliardi di euro. Un settore dove lavorano circa 150mila aziende. Per l’anno 2018, la Dcsa ha calcolato, solo per la Cina, una movimentazione di sostanza di base legale in entrata per 1.850.000 tonnellate e in uscita per 2.760.000 tonnellate.
Secondo Cavalli, “avere una certezza sulle rotte è difficile”. Ma non del tutto impossibile. Se pensiamo alla Cina come luogo di origine e all’Europa come destinazione finale, possiamo tracciare un percorso sulla nostra mappa. “La sostanza chimica di base parte dalla Cina: e già è un problema capire da quale parte della Cina. Iniziato il percorso, la sostanza base poi arriva in Nord Europa, in Slovacchia e soprattutto nei Paesi Baltici”. In Estonia, ad esempio, è stato trovato un laboratorio che produceva Fentanyl: qui l’uso di questo oppioide micidiale è del 70%, ormai quasi nessuno utilizza l’eroina classica.
Attualmente, quali nuove “aree di produzione”, sono state identificate l’Inghilterra, la Germania, la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Bulgaria e le tre repubbliche baltiche, oltre all’Estonia, anche Lituania e Lettonia.
Qui la sostanza viene presa in consegna e lavorata dai chimici. Dopodiché è pronta al consumo. I clienti possono andare a prenderla direttamente, magari in Olanda, oppure farsela spedire o meglio ancora acquistarla su internet entrando in uno dei tanti blog riservati
che si trovano nel deep web.
In Rete sono state censite circa 4.500 nuove sostanze, praticamente quattro volte il numero di quelle in qualche modo identificate dagli esperti e non ancora tabellate. “Una volta che queste droghe sono state europeizzate – spiega Cavalli – il più del lavoro è fatto”. L’ingresso in Europa resta il passaggio più delicato. “Per questo – prosegue il dirigente della Dcsa – si ritiene che le ultime rotte seguite passino per zone di guerra”. L’Ucraina, per esempio. Cambia la sostanza, e quindi cambia la rotta e cambia anche il trafficante.
“Al momento – dice Cavalli – non abbiamo indicazioni di un ingresso massiccio della criminalità organizzata italiana in questo nuovo mercato”. Una constatazione che, però, non è una certezza. Le indagini vanno avanti ed è difficile credere che le mafie non siano interessate a un affare che, pur nella sua complessità, appare più semplice e diretto rispetto al traffico delle droghe tradizionali.
Alcune droghe come ad esempio la metanfetamina (Mdma) si producono a partire da sostanze definite “precursore” e che spesso si trovano sul mercato legale o addirittura sugli scaffali del supermercato. Prendiamo, ad esempio, il Ghb o anche droga dello stupro. “È una droga micidiale – spiega Cavalli – usata dai violentatori seriali. Chi la assume prima entra in uno stato di euforia, dopodiché continua con l’annullamento della volontà, e infine cancella totalmente la memoria”. Il Ghb è un liquido incolore e inodore che viene sciolto nei cocktail. Il suo precursore è il Gbl, un acido amaro che si trova, ad esempio, negli smacchiatori che utilizziamo tutti i giorni. Il passaggio al Ghb è semplicissimo e lo si fa con un’opera di idrazione e ionizzazione, roba da piccolo chimico o quasi. Altra sostanza base è il fosforo rosso, la cui lavorazione chimica crea la metanfetamina. Il fosforo rosso oggi in Italia viene prodotto da poche aziende e viene usato, per esempio, per i fiammiferi o per accendere i fuochi d’artificio. Al Mdma si arriva anche attraverso la lavorazione dell’efedrina che oggi costituisce la base di alcuni farmaci in commercio anche da banco.
Qui si entra anche nel mondo dei “drug designer”, cioé coloro che assemblano la pastiglia dal costo medio di sei euro introducendo sostanze differenti a secondo della richiesta del cliente. In altri casi l’oppioide viene mixato con l’alcol, come successo per i due ragazzi belgi trovati morti in una stanza di albergo a Firenze il 30 settembre 2019. In quel caso, verrà poi accertato, il decesso era dovuto all’assunzione di alcol e di sette pastiglie di Ossicodone.
Nel 2018 in Veneto si sono registrate venti overdose letali di eroina gialla. Qui la base dell’eroina tradizionale era stata mixata con un derivato del metorfano, cioè levometorfano che ha effetti dissociativi.
Produzione semplice e guadagno diretto quindi. Le difficoltà che ogni giorno si trovano davanti le forze dell’ordine, per esempio durante i controlli, sono moltissime. “Se ti trovo con una sostanza tradizionale ok – dice Cavalli – ma se in tasca hai un blister di pastiglie che faccio? Te lo sequestro?”. Queste sostanze, infatti, non vengono sempre trovate dai reagenti in dotazione alla polizia. Sono droghe, ma se non sono nelle tabelle non sono droghe: questo il paradosso. Basta considerare che si aggiungono ogni anno circa 100 nuove formule chimiche. Di queste, solo una cinquantina rientra nei tabellari ufficiali del ministero della Salute. Spiega Cavalli: “La mutevolezza della struttura e degli effetti derivanti provoca un’oggettiva difficoltà di identificare la sostanza tramite gli esami di routine e di conseguenza è difficile avere una chiara evidenza di illegalità”.
A ciò va aggiunto un vuoto normativo rispetto alla cosiddetta modica quantità, visto che anche solo pochi grammi, ad esempio di Fentanyl, equivalgono a migliaia di dosi singole. “Per questo è sempre più importante accelerare le analisi sulle sostanze”. Per inviarle al Sistema nazionale di allerta precoce contro le droghe (Snap), e farle entrare nelle tabelle ufficiali del ministero della Salute. Lavoro decisivo ma complesso, perché spesso “ci si trova davanti sostanze che hanno strutture analoghe a quelle già tabellate, avendo gli stessi effetti devastanti su corpo e cervello, ma sulle quali non si possono applicare gli strumenti giuridici offerti dalla normativa antidroga perché non elencate nel tabellario del ministero”.
In quei 27 chili sequestrati nel 2019 a Malpensa, c’è anche una nuova sostanza trovata per la prima volta in Europa proprio dopo un controllo mirato allo scalo intercontinentale. Si tratta di un cannabinoide, la cui prima formula chimica era stato censita solo in Australia. La nuova molecole, certificata come tale dall’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze di Lisbona, si presentava sotto forma di aromi ed era sigillata dentro piccole bustine nere segnate con i simboli di una stella, di una ruota con i raggi e di un cancelletto. La scoperta fatta a Malpensa ci consegna un altro dato allarmante: il mondo di queste nuove sostanze è al momento incontrollabile, perché ogni giorno si modifica. Spiega Carlo Locatelli, tossicologo, e direttore del Centro nazionale di informazione tossicologica presso gli Istituti clinici scientifici Maugeri di Pavia:
“Attualmente in circolazione ci sonocirca mille molecole e sono quasi tutte al momento non illegali perché buona parte non è censita nel tabellario ufficiale”. Mille molecole, mille sostanze. Cercarle è un’impresa. “Di queste – prosegue Locatelli – solo una cinquantina stanno in tabella e ogni anno se ne aggiungono fino a cento nuove”. Ci troviamo di fronte quindi a un mondo quasi sconosciuto, scoperto solamente quindici anni fa.
Oggi analisi e investigazioni sono certamente più avanzate. “Su quelle mille molecole – dice Locatelli – il 45% è costituito da cannabinoidi sintetici”. Individuarli in tabella non è semplice. Esistono, infatti, ben quattordici famiglie chimiche di questi cannabinoidi che allo stato sono molto potenti rispetto alla cannabis naturale. Vengono trafficati in forma di essenze profumate e poi spruzzate su erbe da fumare. Le dosi vanno nell’ordine di milligrammi. Secondo le stime di Locatelli, poi, un altro 33% è costituito dai catinoni sintetitici. “Si tratta – spiega – di eccitanti molto forti e simili come effetto alla cocaina”. Questa sostanza è anche chiamata “droga del cannibale”. Tra i suoi effetti c’è anche quello di mordere e aggredire. Sono sostanze per lo più utilizzate durante le feste a base di sesso e servono anche a far durare l’eccitazione. Il rimanente della percentuale, circa il 12%, contiene diverse droghe: dall’ormai noto Fentanyl a sostanze amfetaminiche fino alla Ketamina che in realtà rappresenta la numero uno delle droghe sintetiche in quanto a uso. “È la regina delle intossicazioni”, spiega Locatelli. In Italia, infatti, il maggior numero di casi da intossicazione grave si ha con la ketamina, sostanza sintetica in forma liquida. “Si tratta di un anestetico – spiega Locatelli – ed è usato sia per le sedazioni sia, ad esempio, per gli anziani”. Tra gli effetti di questa droga c’è la dissociazione mentale e dal proprio corpo chiamata della “quasi morte”. La ketamina riduce, infatti, le capacità motorie e la sensibilità al dolore. Se il dosaggio aumenta si può arrivare a paralisi, crisi epilettiche e coma. I danni collaterali sono diversi. L’assunzione della Nps in generale provoca spasmi mascellari, dilatazione delle pupille, estrema irrequietezza, nervosismo, mal di testa, disturbi circolatori, palpitazioni, aumento della pressione sanguigna. L’ultima frontiera, poi, sono i nuovi derivati del Fentanyl che possono arrivare a essere 100 volte più forti della sostanza che a Milano, nel 2017, ha provocato la prima vittima di Fentanyl in Italia.
Conseguenze brutali, dunque, e intossicazioni in aumento che in certi casi portano al decesso del consumatore. La mortalità però è un dato poco affidabile. Secondo la nuova legge, infatti, l’autopsia su morti per overdose è disposta solo a discrezione del magistrato. Se la procura decide di procedere la palla passa ai tossicologi forensi che possono identificare le sostanze. “In dieci anni – prosegue Locatelli – abbiamo affrontato circa 18mila casi di intossicazioni, di questi 1.600 sono derivate dall’assunzione di droghe sintetiche”. C’è poi un numero veramente drammatico: nel 2013, stando ai dati ufficiali dell’Unione europea, sono state sequestrati 1,6 tonnellate di cannabinoidi sintetici. “Se prova a fare un calcolo sulle dosi – spiega Locatelli – può arrivare a circa 800 milioni dosi e se pensa che in Europa ci sono circa 300 milioni di abitanti…”.
Non esiste poi l’assuntore tipo, i dati sul campo ricavati da Locatelli parlando di un profilo che va dai 16 ai 55 anni. “Secondo il Consiglio d’Europa – spiega Cavalli –, le droghe sintetiche rappresentano la sostanza stupefacente più diffusa tra i giovani fino a 27 anni dopo la cannabis. In realtà locali come la Svezia e l’Estonia hanno soppiantato, nelle varie forme, le droghe classiche: più di un ragazzo su due ne fa un consumo abituale”.
1 – Continua
I giornalisti di Sangiuliano: “Siamo stati provocati”
Continuano le polemiche sull’infuocata assemblea di redazione del Tg2 di giovedì scorso, dove sono volati insulti e anche un tentativo di aggressione nei confronti del segretario dell’Usigrai Vittorio Di Trapani. Al quale ieri è stata espressa “piena solidarietà” da parte dei comitati di redazione di tutte le testate Rai. Sulla vicenda intervengono anche i due giornalisti coinvolti nello scontro. “Per litigare bisogna essere in due. La presenza di Di Trapani era di per sé un fatto inusuale. In più il segretario Usigrai continuava a parlottare mentre altri colleghi stavano parlando. Io gli ho fatto notare come il suo fosse un comportamento irrispettoso, lui mi ha risposto e il diverbio è trasceso. Di questo mi dispiace, ma ho solo replicato a una provocazione”, dice Mario Scelba, caporedattore del Tg2.
Più o meno lo stesso sostiene Roberto Taglialegna, il cui diverbio con Di Trapani ha riguardato vecchie questioni riguardanti Radio Rai. “Mi sono sentito offeso dalle sue provocazioni. Ma siccome abbiamo iniziato a discutere di cose che non riguardavano il Tg2, gli ho semplicemente detto che, se dovevamo chiarirci, era meglio farlo fuori da quella stanza, solo io e lui”, sottolinea Taglialegna. Che non nega di essersi avvicinato con fare minaccioso al segretario dell’Usigrai. Una vera e propria aggressione, secondo molti testimoni. “È intollerabile che, di fronte a una critica, magari anche aspra, ci sia la possibilità di essere insultati o, peggio, aggrediti fisicamente com’è accaduto”, ribatte Di Trapani. Nel frattempo, se finora il Tg2 sembrava non dovesse rientrare nella partita delle nomine, ora non è più così: il Pd vuole che pure il Tg diretto da Sangiuliano rientri nel “cambio di passo” chiesto all’ad Fabrizio Salini, che ieri ha espresso “profonda disapprovazione” per l’episodio, riservandosi di accertare i fatti.
“5 Stelle nella giunta Pd e uniti alle Regionali” Crimi invoca i probiviri
Lo scorso ottobre le aveva affidato le deleghe all’Università, adesso ecco l’ingresso in giunta: il sindaco dem di Pesaro Matteo Ricci affiderà il ruolo di assessore all’innovazione alla 5 Stelle Francesca Frenquellucci, sua rivale alle ultime elezioni. Non senza irritazione dai vertici nazionali del Movimento, che ieri hanno chiesto lumi alla consigliera invitandola a “comunicare se intenda autosospendersi” e preannunciando “il vaglio del collegio dei probiviri”. Parole a cui la Frenquellucci reagisce senza passi indietro: “Non capisco perché non posso fare ciò che il M5S sta facendo a Roma. Porto solo avanti i temi del nostro programma”.
Eppure nei piani di Ricci l’apertura dovrebbe anticipare a un accordo ben più ampio: “Pesaro può essere un laboratorio nazionale. Dobbiamo stare insieme nelle Marche e nelle altre Regioni”. L’obiettivo – il solito – è di non spianare la strada a Matteo Salvini e rinforzare il governo,condizionato da un eventuale disfatta nei territori.
Matteo Ricci, perché una 5 Stelle in giunta?
Con la nascita del Conte 2 ho cercato di capire se ci fossero dei punti di contatto tra i nostri programmi e dopo alcuni incontri ci siamo trovati sull’Università, per la quale la Frenquellucci voleva riportare alcuni corsi a Pesaro: in tre mesi abbiamo ottenuto dal Politecnico delle Marche ingegneria informatica. Visto che la collaborazione ha funzionato, lo sbocco naturale era l’ingresso in giunta.
L’intesa di governo è dunque replicabile nei territori?
Se ci sono le condizioni e contenuti in comune, dev’essere così. Usciamo dall’ipocrisia: se il governo vuole arrivare al 2023 non è possibile farsi la guerra. Per questo cerco di favorire l’incontro tra sinistra e 5 Stelle, anche perché si va verso un bipolarismo tra la destra e un riformismo europeista ed ecologista in cui credo il M5S possa stare.
All’interno del M5S non tutti sono convinti.
Rispetto la loro discussione interna, ma vedo che in molti, anche al governo, condividono questa impostazione.
Hanno ipotizzato l’intervento dei probiviri.
Questo non cambia nulla. Mi sembrerebbe strano visto che governiamo insieme a livello nazionale, non ne capirei la ratio.
Ha parlato con Zingaretti della sua decisione?
L’ho tenuto informato costantemente della mia volontà e mi ha confermato il suo parere favorevole.
In primavera si vota per le Regionali nelle Marche. Le trattative tra 5 Stelle e Pd erano ben avviate, poi i vertici del M5S hanno bloccato tutto. Possibile riprovarci?
I 5 Stelle sono rigidi nei confronti del centrosinistra e il Pd non ha le idee chiare sul candidato. Ma è nell’interesse di tutte le forze di maggioranza che a maggio le cose vadano bene. Vorrei che in tutte le Regioni si provasse a costruire qualcosa. Anche perché, e l’Emilia lo dimostra, tanti 5 Stelle voterebbero centrosinistra e per il M5S andare da solo sarebbe un suicidio.
Non semplice mettere insieme Italia Viva e 5 Stelle.
Italia Viva vuole un accordo col Pd, ma pretende discontinuità sul candidato. Vedremo come andrà, ma di certo sbaglierebbero a correre da soli come vogliono fare in Puglia. Nessuno può permettersi di fare regali a Salvini e divisi gli offriremmo la vittoria su un piatto d’argento. Mi auguro che nelle prossime settimane si trovi una soluzione.
Il governatore Luca Ceriscioli punta a ricandidarsi. Lei sarebbe d’accordo?
È ancora presto per i nomi. Penso però che abbia fatto meglio di come appaia e della percezione che se ne ha anche dentro al Pd.