M5S nemico pubblico come Bossi 30 anni fa

Nella mia ormai lunga esperienza, di cittadino e di giornalista, diciamo nell’arco, all’incirca, degli ultimi trent’anni, solo in un altro caso mi è capitato di assistere a un fuoco concentrico come quello a cui oggi è sottoposto il Movimento 5 Stelle, per cui basta che al suo interno si scompigli anche un solo pelo per darlo per morto e finito.

Il caso cui mi riferisco è quello della prima Lega di Umberto Bossi. L’Umberto, come allora familiarmente lo si chiamava, e che io considero l’unico, vero, uomo politico italiano dell’ultimo quarto di secolo, aveva in testa un’idea che allora parve dirompente e blasfema ma che se la guardiamo con gli occhi di oggi (“la Storia è il passato visto con gli occhi del presente” diceva Benedetto Croce) è diventata molto attuale.

Secondo quella Lega, l’Italia andava divisa, perlomeno da un punto di vista amministrativo, ma anche legislativo, in tre parti, Nord, Centro, Sud, perché rappresentavano tre diverse realtà, economiche, sociali, culturali e anche climatiche. L’idea di Bossi andava poi oltre i confini nazionali. Pensando a un’Europa politicamente unita, il Senatùr riteneva che i punti di riferimento periferici di quest’Europa non sarebbero stati più gli Stati nazionali, ma aree coese dal punto di vista sociale, economico, culturale che avrebbero oltrepassato i confini tradizionali. L’unità politica europea non si è poi, almeno per ora, realizzata, ma l’idea bossiana rimane valida e spendibile per il futuro.

Di questo vasto programma, che aveva alle sue spalle anche un giurista del peso di Gianfranco Miglio, l’Italia partitocratica di allora non capì il valore, o forse lo capì fin troppo bene (è ovvio che in un’Europa unita i partiti nazionali avrebbero perso, come alla fine finiranno per perdere, il loro peso). La Lega bossiana fu quindi attaccata da ogni parte (“le tre repubblichette”), da tutti i tradizionali partiti nazionali che avrebbero perso il loro potere e dai poteri sovranazionali, finanziari ed economici, che in un’Europa unita e confederata, alla maniera degli Stati Uniti d’America, vedevano un pericoloso concorrente. Umberto Bossi sovracaricato di reati di opinione (tipo “vilipendio alla bandiera” e simili) finì per impaurirsi e soccombere alleandosi con quello che in Italia era il suo nemico naturale, alias Silvio Berlusconi, globalizzatore, filoamericano e quindi assolutamente all’opposto di un “localismo” intelligente. Io che allora avevo ottimi rapporti con l’Umberto, uomo del popolo e che del popolo capiva le esigenze, avevo un bel dirgli: “Guarda che i tuoi sono reati di opinione che nulla hanno a che vedere con quelli di Berlusconi. Fate una battaglia, sacrosanta, contro i reati di opinione, eredità del Codice fascista di Alfredo Rocco”. E per la verità Umberto Bossi questo lo aveva ben capito. Nel discorso del 21 dicembre 1994 in cui fece cadere il governo Berlusconi, un discorso perfetto anche nello stile, alla faccia di chi lo considerava, come Di Pietro, un personaggio rozzo, pose le premesse per un’Italia diversa e nuova. Ma non ci fu niente da fare. Le forze, nazionali e internazionali, che si opponevano a questo cambiamento ebbero la meglio. Complice anche una malattia, che solo chi è animato da una vera passione può essere colpito, il mio caro e vecchio amico Umberto perse la testa, si rialleò con Berlusconi e questa fu la fine sua e del suo movimento.

Perché ho fatto questa lunga premessa che sembra non c’entrare niente con l’Italia di oggi? Perché i Cinque Stelle, che hanno un programma molto meno ambizioso di quello della Lega delle origini, ne subiscono la stessa sorte. Qual è il programma dei Cinque Stelle? Nella sostanza è un ripristino dell’onestà (come loro la chiamano, ma io avrei preferito il termine “legalità”, perché l’onestà è qualcosa di più profondo che può appartenere anche a un malavitoso, è una coerenza etica) e un tentativo di ridare un ragionevole equilibrio sociale e anche meritocratico in un Paese dove, come in tutto l’Occidente, le disuguaglianze hanno assunto livelli insopportabili che umiliano quella che, senza rendersi conto dell’implicito disprezzo che c’è in questa denominazione, viene chiamata “gente comune”.

Insomma il programma dei Cinque Stelle, senza assumere quella visionaria di Umberto Bossi, è assolutamente basico. Ma è sufficiente per scatenare contro “los grillinos”, come li chiamano in Spagna, tutte le forze pro sistema, non solo i partiti tradizionali che vedono messo in pericolo il loro strapotere, ma anche le lobby della finanza internazionale. Molti nemici molto onore, si dice. Ma don Chisciotte è destinato storicamente a perdere. Ma noi, pur consapevoli, preferiamo essere dalla sua parte che da quella dei vincitori di giornata. Anche perché la Storia cambia e, con la velocità a cui van le cose attualmente, i perdenti di oggi potrebbero anche essere i vincitori di domani.

Mail box

 

I nuovi bonus premiano soltanto la fascia media

Pd e 5 Stelle hanno scelto di riaumentare strutturalmente gli stipendi alle fasce medio basse. La realtà sociale è fatta d’altro; in alcune famiglie lo stipendio è doppio e i benefici quindi raddoppiati. Per il reddito di cittadinanza vale l’Isee e in due soggetti è contemplato che tu possa vivere con quello che un solo soggetto percepisce di pensione minima, ovvero 640 euro al mese. Al massimo puoi ricevere 150 euro per un mutuo. Ovviamente saremmo ben lieti di aumentare stipendi non da nababbi, ma in questo contesto è deridere il concetto stesso di giustizia sociale. Il Pd lo conosco da sempre, mentre i 5 Stelle mi fanno indignare, anche se so che non governano da soli, come si sa, ma questa ingiustizia merita forte indignazione.

Francesca Garro

 

Crimi ha ragione: non si può prescindere da un capo politico

Caro direttore, i contenuti dell’intervista a Crimi tradiscono una rigidità di pensiero che, quando talebanamente declinato, pone un limite importante. Producendo errori, vecchi e nuovi, come quello di rinviare gli Stati generali a dopo il 29 marzo, legittimando così un referendum di per sé ridicolo. Mentre uno dei punti pienamente condivisibili di Crimi è l’imprescindibilità di un capo politico, ma in questo forse risiede l’intera questione 5 Stelle.

Il Movimento è nato dalla dirompente forza propulsiva di Grillo, vigorosamente rilanciata poi da Di Battista. Venuto meno il loro apporto, il pur ottimo contributo di dirigenti, ministri ed eletti non è bastato. E, nonostante gli sforzi di Di Maio, il Movimento sembra un insieme di semplici comprimari politici, senza un vero catalizzatore appunto “apicale”. E visto – a quanto sembra – che siamo un popolo sempre bisognoso del pifferaio magico, che almeno possa esistere per un nobile scopo a 5 stelle.

Giovanni Marini

 

La prescrizione è immorale per una Paese democratico

È vergognoso che Davigo, giudice integerrimo, onesto, capace e razionale, venga perseguitato, con ragionamenti furbastri, cialtroneschi e levantini, per il solo fatto che esprime opinioni sacrosante sulla giustizia, e cioè sull’immoralità della prescrizione, e sullo spaventoso sperpero di denaro pubblico, causato dal deleterio istituto del patrocinio a spese dello Stato. Dovrebbe essere santificato il giudice Davigo, e non altri soggetti di cui si parla oggigiorno.

Piero Angius

 

Fontana dimentica che il voto è un diritto di tutti

Il presidente della Regione Lombardia, secondo me, ha commesso una gaffe peggiore di quella del citofono dell’ex ministro dell’Interno Salvini. Ha commentato il fatto che a votare in Emilia Romagna sono andati anche vecchi e portatori di handicap. Non sto a ricordargli che il voto a tutti i cittadini italiani è garantito dalla Costituzione, nata dalla Resistenza, come diritto inviolabile senza limitazioni di ogni tipo sia fisico, religioso o politico. Forse la voce da sen fuggita gli ha fatto ricordare i bei tempi andati quando in Italia i disabili e i vecchi poveri e non autosufficienti venivano rinchiusi, con un semplice giudizio di un commissario di polizia, nei manicomi perdendo ogni diritto umano e civile.

Franco Novembrini

 

Brexit, chi pagherà il buco lasciato dalla Gran Bretagna?

La bandiera blu con le stelline gialle verrà ammainata da tutti gli edifici britannici, è solo questione di giorni.

Rimane quindi ogni anno un buco nel bilancio dell’Unione europea, visto che sarà ben difficile che i britannici accettino di pagare il conto del divorzio. Il loro residuo fiscale era positivo, versavano più di quanto ottenevano.

Si pone quindi il problema del chi paga. I precedenti non sono confortanti. È facile che il conto sia tutto sulle spalle dei Paesi che da sempre hanno accettato qualsiasi imposizione, giusta o sbagliata che fosse.

Prevedo che il prossimo compitino sia quello di inventarsi una nuova entrata.

La scelta è ampia: raddoppio delle accise sui carburanti, aumento Iva, assalto al patrimonio sia immobiliare che dei risparmi.

Andrea Bucci

 

Con un governo più forte, i 5 Stelle possono ripartire

Dopo il flop della corsa alle Regionali in Emilia-Romagna e in Calabria, il Movimento 5 Stelle ha una sola strada: quella di trovare l’intesa col Pd all’interno della maggioranza di governo.

Insomma, se i pentastellati riusciranno a rafforzare il governo appoggiando il Pd e nello stesso tempo ad ammortizzare i rischi della mina vagante Renzi, potranno ripartire nel prossimo Congresso con la ricostruzione di un partito e non più del movimento, evitando la scomparsa definitiva dal panorama politico.

Luigi Ferlazzo Natoli

 

I NOSTRI ERRORI

Per un nostro errore, nella didascalia dell’articolo “‘La noia’ non muore, ‘Narciso’ ha già 90 anni” abbiamo attribuito la regia del film Il deserto dei tartari a Luchino Visconti e non a Valerio Zurlini, che ovviamente l’ha diretto. Ce ne scusiamo con i lettori.

FQ

Femminicidi. Le donne ammazzate non fanno neanche più “notizia” sui siti

Cara Redazione, è chiaro che l’emergenza Coronavirus esplosa anche in Italia, non vada sottovalutata dai media; tuttavia non credo che sia corretto farlo a discapito di altrettante terribili emergenze che persistono nel nostro Paese. Ho letto con profonda amarezza, sulla pagina di un sito d’informazione, la notizia di quattro femminicidi riportata in quattro miseri quadratini a fondo pagina. La domanda che vi pongo è: la piaga sociale della violenza contro le donne è davvero un tema che merita una così scarsa attenzione?
Elisa Vandi

 

Gentile Elisa, proviamo innanzitutto a dare un nome alle cose. Anzi, in questo caso, alle vittime. Rosy e Monica, madre e figlia, sono state ammazzate a colpi di pistola nella loro casa – in provincia di Caltanissetta – dal compagno di lei, più giovane di vent’anni, che poi ha usato la stessa arma per uccidersi. Il corpo di Speranza, una cinquantenne scomparsa da Alghero due mesi fa, è stato invece rintracciato dai carabinieri, che hanno arrestato il fidanzato con l’accusa di omicidio doloso e occultamento di cadavere. Fatima – ma si fa fatica addirittura a trovarne il nome sulle cronache nazionali, forse in quanto pachistana – viveva in Val Pusteria, era incinta ed è stata trovata morta, probabilmente soffocata: ieri gli inquirenti hanno fermato suo marito. Stessa sorte per l’uomo che avrebbe ucciso di botte, dopo averla massacrata per tre giorni di fila, sua moglie Rosalia a Mazara del Vallo. Se conta i nomi, alla fine le donne morte sono cinque, non quattro. Ad agire, in ognuno di questi casi, sarebbero stati mariti, compagni o ex, come quasi sempre accade. Quindi lei ha ragione, cara Elisa, questa è un’emergenza nazionale. Ma siamo un Paese in cui le vecchie “emergenze” non fanno più notizia, superate dalle nuove o dai “deliri” mediatici del momento. Siamo responsabili noi giornalisti, certo, che andiamo a caccia di lettori e di clic seguendo l’onda del clamore. La violenza contro le donne diventa un titolo solo in occasione dell’8 marzo (ci siamo quasi) o quando il delitto è talmente efferato (Pamela, Desirée) da non poterne fare a meno. Però non è solo colpa nostra se l’“emergenza” rimane tale, se le donne continuano a morire per mano degli uomini. È colpa di un Paese che non supera i proprio limiti culturali, che fanno della donna un “oggetto” nelle mani dell’uomo, ed è colpa della classe politica, che si sveglia solo in occasione delle feste comandate. Da parte nostra, faremo più attenzione. Le istituzioni faranno altrettanto?
Silvia D’Onghia

“I lavoratori agricoli immigrati sfruttati come in Zimbabwe”

“Solo in Zimbabwe ho visto una situazione peggiore di quella italiana”. Il giudizio di Hilal Elver, Relatrice Speciale dell’Onu per il diritto all’alimentazione, arriva al termine del suo tour di undici giorni nel nostro Paese.

Professoressa Elver, perché le Nazioni Unite hanno voluto analizzare anche l’Italia, tuttora una delle principali economie dell’Unione europea ?

Perché l’Italia, pur essendo nota a livello mondiale per le sue industrie innovative, il vasto settore agricolo e una moderna capacità di produzione, presenta tuttavia un lato oscuro molto preoccupante.

Cosa intende?

A causa del complesso sistema alimentare italiano, i lavoratori e i piccoli produttori del settore agricolo si vedono schiacciati da un pesante fardello. Sulla scena internazionale l’Italia è un paese molto attivo nella promozione dei diritti umani, soprattutto per quanto riguarda il diritto all’alimentazione, ma questo non si rispecchia interamente su scala nazionale. Durante la mia visita ho incontrato molte persone, tante di origini italiane, che dipendono da banchi alimentari e da enti di beneficenza per il loro prossimo pasto, migranti senza dimora e senza un alloggio sicuro dove trascorrere la notte, lavoratori agricoli sottoposti a orari di lavoro eccessivi in condizioni difficili e con stipendi bassi, che non permettono loro di far fronte ai bisogni fondamentali, lavoratori migranti privi di documenti e dunque relegati in un limbo, senza cioè accesso a lavori regolari o alla possibilità di prendere in affitto un posto dignitoso dove vivere e studenti le cui famiglie sono troppo povere per pagare i prezzi richiesti dalle mense scolastiche. In quanto paese sviluppato, nonché terza economia in Europa, tali livelli di povertà e di insicurezza alimentare in Italia non sono accettabili. Il governo italiano dovrebbe comprendere che la beneficenza in ambito alimentare non va confusa con il diritto all’alimentazione.

Cosa l’ha colpita più negativamente?

Che, da nord a sud, centinaia di migliaia di lavoratori coltivano la terra o si occupano del bestiame senza le adeguate tutele legali e sociali, con stipendi scarsi e convivendo con la costante minaccia di perdere il lavoro, di un rimpatrio coatto o di subire violenze fisiche e morali. I lavoratori stagionali e non stagionali spesso trovano nel sistema del caporalato l’unica possibilità di vendere la propria manodopera e di essere retribuiti.


Attraverso la legge 199/2016 contro lo sfruttamento del lavoro, l’Italia ha esteso la portata della già esistente disposizione contro il caporalato. Non le sembra una misura adeguata?

Da quanto letto e visto durante la mia visita, ritengo che la legge non sia sufficiente a promuovere i diritti umani dei lavorati agricoli, italiani e stranieri.

Secondo lei, lo sfruttamento in ambito lavorativo è l’unico modo in cui l’illegalità si insinua all’interno del sistema alimentare italiano?

Purtroppo no, vi sono anche altri aspetti inaccettabili tra cui l’abbandono in aree rurali di prodotti contaminati che vengono inceneriti o riversati nelle acque dei fiumi; mercati all’ingrosso in cui gli agricoltori sono costretti ad accettare prezzi talmente bassi da rischiare di compromettere il proprio sostentamento; acquisti di terreni con proventi da attività illegali; la presenza piuttosto diffusa di fertilizzanti contraffatti e tossici che vengono importati o assemblati in Italia e spesso utilizzati da lavoratori senza le adeguate competenze e in mancanza di misure di sicurezza.


Qual è il peccato originale che ha determinato la maggior parte dei problemi in questo ambito?

Se le ecomafie, a livello generale, sono una piaga vera e propria che va curata attraverso l’azione giudiziaria e l’educazione scolastica, l’aumento esponenziale della grande distribuzione ha determinato un significativo riassetto del settore alimentare, poiché le principali catene di distribuzione controllano la maggior parte del mercato agroalimentare, imponendo prezzi bassi, che i piccoli agricoltori non riescono a eguagliare.

L’approvazione nel 2018 del decreto Sicurezza e Immigrazione, conosciuto come ‘decreto Salvini’, ha contribuito a suo avviso all’incremento dei problemi inerenti al diritto all’alimentazione ?

Sì, senza alcun dubbio. Il decreto, anzi i decreti hanno fatto aumentare il numero di lavoratori migranti privi di documenti, accelerando l’illegalizzazione dei richiedenti asilo e spronando ulteriormente il lavoro irregolare senza alcuna protezione.

Ha constatato una forte disparitá tra Nord e Sud ?

Sì. Il Sud è in condizioni peggiori rispetto al Centro e al Nord del Paese.

“Aiuto, il mio vicino ha la tosse”. Il contagio della coronapsicosi

“Pronto, 118? Il mio vicino cinese ha la febbre. Che faccio? Ho paura…”. Di casi conclamati di infezione da Coronavirus, a Roma, finora ce ne sono soltanto due, e sono riferibili alla coppia ospitata fino a giovedì sera al Grand Hotel Palatino. Ma la vera pandemia esplosa ieri nella Capitale riguarda la psicosi. Centinaia di telefonate ai numeri di emergenza, ristoranti e negozi gestiti da cinesi deserti, farmacie prese d’assalto per accaparrarsi mascherine e disinfettanti, falsi allarmi e veri e propri episodi di razzismo. Il clou nel rione Esquilino, da anni punto di riferimento della comunità cinese romana, che anche Google ormai indica come “China Town”. Dopo l’annuncio in diretta tv del premier Giuseppe Conte, arrivato nella tarda serata di giovedì, il centralino della sala operativa del 118 è letteralmente esploso. Un negozio vicino a Fontana di Trevi, ha addirittura appeso un cartello con la scritta: “Vietato l’ingresso ai cinesi”.

Farmacie e ospedali Attacchi di ipocondria

I dati del Nue 112 del Lazio, a ieri pomeriggio, segnavano +12% di telefonate. In gran parte consigli, ma anche qualche caso di ipocondria acuta. Ieri pomeriggio, intorno alle 13, un bengalese di 34 anni si è accasciato a terra all’ingresso dell’Hotel Galatea di via Genova, a due passi dalla stazione Termini. Aveva la febbre alta e ha chiamato l’ambulanza. “Ho a che fare con cinesi che vanno e vengono dalla Cina”, ha detto agli infermieri, giunti sul posto vestiti con tuta protettiva. Una volta portato all’ospedale Spallanzani, si scoprirà che i cinesi con cui era entrato a “stretto contatto” erano quelli del bar dove faceva colazione. Presi d’assalto anche gli studi dei medici di famiglia. “Non c’è informazione da parte della politica”, attacca Giuseppe Longo, titolare dell’omonima farmacia di Piazza Vittorio Emanuele, centro nevralgico della “Chinatown” romana: “La gente non sa che le mascherine non servono a nulla? Io ne sto vendendo a decine, le regalerei se me le fornissero”. Il quartiere da tempo non brilla in quanto a decoro fra escrementi umani scarti sanitari gettati fra le colonne del prestigioso portico ottocentesco. “Ci dicono di seguire le norme di igiene e poi guardate che schifo”, dice Letizia Cicconi, del comitato di quartiere Esquilino, annunciando di aver scritto alla sindaca Raggi e al governatore Zingaretti

Bus e metro “Chissà cosa avete”!

Psicosi che si sta manifestando soprattutto sui mezzi di trasporto. A contribuire, l’usanza diffusa fra le popolazioni orientali (poco nota in Europa) di indossare la mascherina come “buona creanza”. E così su un pullman diretto da Roma a Perugia, quando due ragazze giapponesi si sono addormentate, gli altri passeggeri hanno chiamato il 118. “Ci sono due cinesi con la mascherina, non si muovono”. “Si saranno addormentate, provate a scuoterle”. “No, noi non le tocchiamo”. Risultato? È dovuta intervenire una pattuglia medica, in piena autostrada, per misurare la febbre alle due povere ragazze assonnate. Non è tutto. Sempre ieri un gruppo di asiatici ieri ha cercato di salire a bordo di un bus della linea 60 dell’Atac, all’altezza di piazza della Repubblica, ma alcuni passeggeri avrebbero fatto muro: “Qui è pieno, e chissà che c’avete…”. Ne è nato un alterco, con tanto di telefonata al 112, con l’autista che ha provato anche a mediare: fortunatamente è arrivato un altro autobus a riportare la “pace”. “Anch’io sono stata discriminata”, racconta una signora di origini cinesi, ma in Italia da 30 anni: “Stamattina ero in treno, una signora si è alzata e mi ha urlato addosso. Da anni non torno in Cina. È stato terribile. Abbiamo paura quanto voi di questo virus”.

Ristoranti e negozi “Vuoti da una settimana”

Ma il vero allarme riguarda gli esercizi commerciali dei cinesi che, al di là dei luoghi comuni, producono un indotto importante nell’economia romana. Secondo la Fipe-Confcommercio, in circa 5 mila ristoranti in città si registra una perdita di fatturato del 70%, circa 2 milioni di euro al giorno. “Qui è una settimana che il ristorante è vuoto”, racconta uno dei camerieri che lavora al ristorante Hang Zhou, per tutti “Da Sonia”, forse il più popolare della Capitale. “Per questo fine settimana abbiamo pochissime prenotazioni – dice – quando di solito nel weekend siamo sempre pieni”. In via Principe Eugenio, al Caffè Romano, per tutta la mattina il personale ha servito con tuta e mascherine: “Vi giuro che era uno scherzo – dice dispiaciuto il titolare – ce l’avevamo con un giornale che ha titolato ‘L’Esquilino trema’. I miei amici cinesi si sono offesi, ma non era mia intenzione”.

Gli alberghi “Un calo fisiologico”

Psicosi che colpisce anche gli alberghi. “Stiamo registrando un calo fisiologico”, dice Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Lazio: “In parte si deve al blocco dei voli, in parte allo stop dell’arrivo dalla Cina e in altra parte a una certa psicosi che si sta sviluppando”. Da ieri mattina, il personale alberghiero è obbligato a seguire un rigido protocollo: “Mascherine e guanti per tutti gli inservienti, e un numero verde dedicato a noi per segnalare casi sospetti”. Protocollo che non è servito a Marian per rappresentare, per qualche ora, il “terzo caso sospetto a Roma”. Operaio al Grand Hotel Palatino – lo stesso della coppia infetta – giovedì intorno alle 17 si è recato al pronto soccorso di Tivoli dicendo di avere la febbre e di essere entrato a contatto con i due turisti cinesi ricoverati: l’infermiera sul referto del triage ha scritto “sospetto Coronavirus” e ha chiamato lo Spallanzani. In realtà, Marian, i due cinesi, non li aveva nemmeno mai incrociati.

Sicurezza, doppi turni e bocche cucite. Una giornata particolare allo Spallanzani

Riso, piselli e pancetta giacciono nella gamella. “Vuole? È arrivato fresco fresco dalla Cina”, sorride la signora con il cappellino bianco dietro al bancone. Grazie, oggi meglio le pennette al salmone. Alle 13:30 la sala mensa brulica, al piano superiore c’è l’aula dove tra mezz’ora Giuseppe Ippolito farà il punto. Non è un giorno qualsiasi, allo Spallanzani. La coppia cinese febbricitante per il Coronavirus è arrivata da poche ore, Conte ha parlato in tv. I giornali vogliono sapere. Ai tavoli bocconi e chiacchiere si mischiano come sempre, ma oggi l’aria vibra.

“Il sindaco di Frosinone ha chiamato incazzato perché uno dei nostri si è rifiutato di dare indicazioni”, dice mettendo giù il telefonino una signora con i capelli ricci seduta poco più in là. È seccata. “Ecco – prosegue guardando il suo interlocutore – gli dici di non parlare con nessuno, perché non è che mi possono telefonare tutti i sindaci d’Italia. Ci parlasse la direzione sanitaria. Sennò chiudiamo tutto per sei anni e non ci pensiamo più”.

La misura della pressione sono i molti raddoppi di turni necessari a organizzare al meglio il piano sanitario e la security messa a presidiare l’ingresso dipendenti, quello che dà sul parcheggio dell’ospedale San Camillo. “Qui non passa”, dice la guardia con la divisa della Mondialpol. “Entri da via Folchi”. “Nessuno ci ha comunicato nulla, e a noi dovrebbero dirlo – commenta il collega di un’altra compagnia che presidia l’ingresso su via Ramazzini – devono averlo deciso stanotte”. Una signora esce con una borsa in cui ha appena riposto un camice. “Finito il turno di notte”?, la domanda. “Scusi – risponde di fretta – ci hanno detto di non parlare con nessuno”. È la prima di una lunga serie.

All’ingresso principale è il deserto. “Accettazione – Triage”, recita un foglio attaccato su un palo. E, sotto, la scritta è ripetuta in ideogrammi cinesi. Perché arrivi a tutti, senza incomprensioni. Anche il padiglione dell’accettazione è vuoto. “La conferenza stampa? Aula multimediale, sopra alla sala mensa”, risponde un signore con il camice bianco che cammina veloce. “Permette una domanda?”. “Scusi, non posso”. È il dottor Emanuele Nicastri, mezz’ora dopo sarà seduto a fianco a Ippolito davanti alle telecamere.

A Prato ristoranti vuoti e niente Dragone

Nella Chinatown di Prato che ospita la comunità orientale più numerosa d’Europa, 20mila cinesi su un totale di circa 200mila abitanti, si fanno i conti con le conseguenze della lotta al Coronavirus. Le mascherine nelle farmacie sono esaurite e vista la grande richiesta sono comparse anche sui banconi di alcune ferramenta della città.

Ci sono poi diversi cittadini cinesi che abitano e lavorano in città che erano partiti per festeggiare in patria il Capodanno cinese. “Qui – spiega Luigi Yu, segretario dell’ associazione economica cinese in Italia Wencheng – siamo tutti preoccupati per i nostri familiari e amici che sono partiti per il Capodanno e sono rimasti bloccati in Cina”. Proprio per l’inizio dell’anno del topo, per oggi e domani, erano previste a Prato le tradizionali sfilate del Dragone che sono state annullate dal tempio e dalla Associazione dell’amicizia Italia-Cina in segno di solidarietà con la madrepatria. Il tempio rimarrà comunque aperto tutto il fine settimana e nel quartiere si svolgeranno eventi artistici collaterali: saranno oltre 700 le stampe che l’artista Ai Teng affiggerà nella Chinatown pratese domenica; nella tradizione cinese, le stampe nianhua rappresentano un augurio di pace, salute e prosperità. “È difficile – spiega Luigi Yu – calcolare l’impatto di questa escalation. Qui i ristoranti cinesi, ad esempio, sono già tutti in crisi. Purtroppo lo stop dei voli non fa che peggiorare la situazione. Se non cambia qualcosa in un mese in tutti settori sarà un disastro. Speriamo tutti che il vaccino sia prodotto in fretta”. A complicare un clima già teso ci sono gli episodi d’intolleranza che in queste ore subisce la comunità. Per questo è nato un osservatorio contro il razzismo e contro le violenze verbali: ad attivarlo è stato il tempio buddista Pu Hua Si. Intanto l’amministrazione comunale, guidata dal centrosinistra, ha detto “no” alla richiesta, giunta da due consiglieri dell’opposizione, di convocare una seduta straordinaria del Consiglio comunale tutta dedicata al coronavirus.

Mentre i carabinieri hanno fatto irruzione nella bisca clandestina cinese in uno scantinato indossando le mascherine: venti denunciati per gioco d’azzardo. “Particolarmente curati – spiega l’Arma in una nota – sono stati gli aspetti di prevenzione del coronavirus anche in relazione del fatto che gli operatori di polizia sapevano di dover operare all’interno di locali seminterrati, poco arieggiati e che di prassi possono ospitare contemporaneamente diverse decine di cinesi, di cui alcuni rientrati in Italia di recente. Per questo sono stati utilizzati presidi di protezione sanitaria con i quali le forze dell’ordine sono state sempre equipaggiate durante l’intero arco dell’operazione”. Sono scattati immediatamente i controlli sui venti cinesi della bisca per verificare la data del loro ingresso in Italia e la regione cinese di provenienza, ma nessuno è risultato proveniente dalla zona di Wuhan, focolaio dell’epidemia.

Tra psicosi e xenofobia da tre giorni è virale sui social un video in cui si sente dire con accento toscano a due turisti cinesi a passeggio sul Lungarno a Firenze: “Schifosi, sudici, andate a tossire a casa vostra, pezz di m…., ci infettate tutti”.

“Troppe fake news: le nostre misure sono solo precauzionali”

L’Organizzazione mondiale della Sanità ha dichiarato lo Stato di emergenza per l’epidemia di infezione da Coronavirus. Il contagio, ha detto il Commissario europeo per la salute Stella Kyriakidou, “evolve molto velocemente e c’è la potenzialità di una minaccia molto grande”. Ma la vicenda sembra travalicare i numeri (al momento nel mondo 9.776 contagiati e 217 morti) e toccare parti molto sensibili dell’opinione pubblica. Cerchiamo di capire col ministro della sanità Roberto Speranza qual è la situazione attuale.

Ministro, il Consiglio dei ministri ha predisposto lo stato di emergenza: che vuol dire?

È una misura precauzionale che ci consentirà di avere all’occorrenza soldi, personale e strumenti nel modo più veloce possibile. Viene presa quando l’Oms dichiara lo stato di emergenza, come ieri; l’abbiamo già presa nel 2003 di fronte al caso Sars.

Avete deciso il Commissario delegato per l’emergenza nella persona del capo della Protezione civile Angelo Borrelli: di che si occuperà?

Svolgerà una funzione di coordinamento tra le Istituzioni, le forze e le realtà che sono interessate dalla gestione di questa vicenda. C’è un profilo di natura sanitaria, ma come abbiamo visto anche questioni che riguardano i trasporti, gli aeroporti, i porti: la Protezione civile è il luogo ideale per svolgere questa funzione.

Sono misure di cautela o ci si aspetta un aumento dei casi?

È una misura precauzionale. Se dovesse esserci occorrenza, avremo risorse, uomini e mezzi da investire. Il Sistema Paese si prepara nel caso in cui dovesse esserci un’evenienza, ma in questo momento la situazione è assolutamente sotto controllo. Siamo il Paese in Europa che ha il più alto livello dei controlli, siamo gli unici che hanno sospeso i collegamenti aerei con la Cina, quindi ci sono tutte le condizioni per dare anche un messaggio di tranquillità. Abbiamo uno dei migliori Servizi Sanitari del mondo, che funziona, e anzi ringrazio i nostri medici e infermieri per il lavoro straordinario che fanno. Il governo in queste ore ha fatto alcune scelte che alzano ulteriormente il livello di sicurezza.

Dove verranno portati i 60 italiani che saranno fatti rimpatriare lunedì da Wuhan?

Atterreranno a Pratica di Mare e poi verranno trasferiti alla Cecchignola, dove ci sarà una fase di sorveglianza sanitaria.

È una quarantena?

Si chiama sorveglianza sanitaria, saranno in osservazione clinica.

C’è un protocollo apposito per il personale sanitario medico e paramedico? Gli ospedali e i pronto soccorso sono aggiornati e pronti a gestire questa emergenza?

Ci sono circolari che sono state diffuse dal Ministero e sono state date a tutte le Regioni, che a loro volta le hanno diffuse a tutte le aziende sanitarie e ospedaliere. Queste circolari sono state già aggiornate due volte dai primi giorni in cui si è manifestato il coronavirus.

Si sta diffondendo una psicosi con caccia alle mascherine. Su Amazon vengono vendute a centinaia di euro al pacco. Ha senso?

Bisogna guardare i numeri. Ci sono sei casi in Germania, sei in Francia, due in Gran Bretagna, due in Italia, uno in Finlandia. Questi sono i numeri certificati dal Centro Europeo per la Sorveglianza. Rispetto a questa fotografia non c’è bisogno di nessun allarmismo.

Ci sono fake news che vanno smentite?

Vanno sfatate tutte le fake news che riguardano ad esempio il cibo cinese, prive di ogni fondamento di carattere scientifico.

Salvini è passato dagli africani ai cinesi, poi è tornato ad attaccare le Ong. Infine ha detto che siccome il virus è presente in ogni continente, ogni arrivo in Italia deve essere limitato. È realistico bloccare le frontiere?

Siamo il Paese che ha fatto più di ogni altro in Europa in questo frangente. In questo momento non servono polemiche politiche, il Paese deve essere unito, senza distinzioni tra maggioranza e opposizione, per affrontare questa sfida che ci arriva.

Stato d’emergenza in Italia. È la prima volta nella storia

Lo sbarco a Milano Malpensa. Poi il tour a Verona, Parma e Firenze, fino a Roma, dove sono arrivati su un’auto a noleggio. Giovedì l’ambulanza con i lampeggianti accesi davanti al Grand Hotel Palatino e la corsa allo Spallanzani. Lì ha trascorso la sua seconda notte la coppia di turisti cinesi, 67 e 66 anni, colpita dal virus 2019-nCoV. “Il bus dei 18 connazionali con la quale viaggiavano è stato recuperato giovedì a Cassino e scortato anche quello in via Folchi. Dove sono ricoverati anche “12 pazienti provenienti da zone della Cina interessate all’epidemia”, si recita il primo bollettino medico. Altre 9 persone sono state dimesse dopo il test negativo e “ulteriori 20 soggetti asintomatici” sono in osservazione.

“Siamo quasi del tutto tranquilli che non ci siano stati altri contagi – spiegava in mattinata Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive – il rischio reale di trasmissione si verifica con persone sintomatiche”. “Bisogna evitare allarmismi – ha aggiunto quindi il prof durante l’incontro tenuto coi giornalisti poco dopo le 14 – ma dire che non ci saranno altri casi, significa non guardare alla realtà”. I timori riguardano in primis “tre possibili contatti” con la coppia, tutti “posti in sorveglianza domiciliare”.

“Il sistema Paese ha adottato una linea di precauzione con una soglia più elevata”, ha assicurato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Parole che nella pratica si traducono con lo stanziamento di 5 milioni di euro da parte del Consiglio dei ministri e la dichiarazione, la prima nella storia, dello stato di emergenza per sei mesi. Alla gestione di quest’ultimo arriva il capo della Protezione civile Angelo Borrelli, nominato commissario straordinario. C’è un precedente: nel 2003, in seguito all’epidemia di Sars, il governo Berlusconi scelse per lo stesso ruolo Guido Bertolaso.

Borrelli ha già cominciato ad abbozzare un piano d’intervento e potrà agire in deroga alle norme per implementare le misure che verranno via via decise. Nelle prossime ore sarà firmata un’ordinanza contenente la sua nomina, l’indicazione della struttura commissariale che lo supporterà e la definizione dei tempi di presentazione del Piano d’intervento. Uno dei problemi da affrontare sarà il rimpatrio delle migliaia di cinesi che si trovano in Italia e non possono tornare a casa per lo stop dei voli deciso fino al 28 aprile. Enac e Farnesina lavoreranno a un programma di partenze, mentre dovrà essere gestita l’ospitalità dei cittadini cinesi: solo negli aeroporti romani ce ne sarebbero 500 bloccati. Per questo si ragiona sull’ipotesi di requisire gli alberghi. Dovranno poi essere stabilite le modalità dei controlli in porti, stazioni e aeroporti e individuate le aree nei terminal da dedicare agli screening sanitari. In agenda ci sono poi un eventuale blocco di voli da altri Paesi e le regole da seguire quando arrivano passeggeri dalla Cina, ma anche per chi fa scali intermedi.

Il piano dovrebbe prevedere anche l’adozione di sistemi di protezione individuale per tutti gli operatori di sanità che hanno a che fare con l’emergenza e una più completa informazione da parte delle autorità sanitarie a istituzioni e aziende che sono a diretto contatto con il pubblico: dalle ferrovie alle poste e ai trasporti pubblici locali, dai vigili del fuoco alle forze di polizia.

Si stanno definendo, intanto, gli ultimi particolari per il rientro dei circa 80 italiani residenti a Wuhan, metropoli della Cina centrale epicentro del virus. Dopo giorni di attesa dovuta alla mancanza delle autorizzazioni necessarie da parte di Pechino, una settantina di loro rientrerà lunedì con un aereo militare, un KC-767A del 14° Stormo dell’Aeronautica Militare, su un volo organizzato dai ministeri di Difesa e Salute. Alcuni di loro tuttavia hanno scelto di rimanere a Wuhan, per non allontanarsi dai familiari cinesi. “Nessuno di loro è stato al momento contagiato”, ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, annunciando il via libera al rientro.

Il volo italiano atterrerà nell’aeroporto militare di Pratica di Mare. Da lì i connazionali saranno trasferiti in una struttura per far il periodo di “osservazione” di 14 giorni, in cui si stima avvenga l’incubazione del virus. La struttura che li ospiterà non è stata ancora annunciata, ma dovrebbe trattarsi di una caserma nel complesso della Cecchignola, zona sud di Roma.

Sono 11 mila i connazionali che si trovano in questo momento in Cina. In 500 hanno chiesto assistenza all’Italia per poter rientrare in patria. Per agevolare le procedure, dopo la decisione del governo di interrompere i voli da e verso la Cina, Di Maio ha annunciato il varo di un’Unità Operativa speciale.

Giovedì sfiorata la rissa al Tg2: redazione divisa su Sangiuliano

“E tu chi ca… sei?”. “Ora ti rompo il c…”. “Ti aspetto fuori…”. Non siamo al bar dello sport ma all’assemblea di redazione del Tg2 andata in scena giovedì per quasi 8 ore. Una lunghissima riunione dove sono deflagrate tutte le perplessità di una parte consistente (ma non maggioritaria) della redazione nei confronti della linea sovranista imposta dal direttore Gennaro Sangiuliano che, a loro dire, è anche causa del preoccupante calo di ascolti sia nell’edizione delle 13, la più importante, che in quella delle 20.30. Le critiche però non sono state prese per niente bene da quella parte della redazione che sta dalla parte del direttore nominato in quota Lega. E così sono andati in scena insulti, urla e minacce. Fino alla rissa quasi sfiorata, con il giornalista Roberto Taglialegna che si è scagliato contro il segretario dell’Usigrai Vittorio Di Trapani. Per fermare il caporedattore del Tg2 sono dovuti intervenire un paio di colleghi. Ma Di Trapani era stato pesantemente insultato anche poco prima da Mario Scelba, omonimo e nipote del ministro democristiano, anch’egli caporedattore del telegiornale. “Nelle assemblee di redazione può capitare che l’ambiente si scaldi e volino parole grosse, ma quello è accaduto giovedì pomeriggio non si era mai visto. Una situazione intollerabile”, racconta chi c’era. Molti hanno poi parlato di un clima intimidatorio nei confronti dei giornalisti non schierati sulla linea di Sangiuliano. A una conduttrice che aveva espresso critiche è stato detto: “Qui si fa così, se non ti va bene puoi andartene…”. Alla fine la parte critica della redazione non è riuscita nemmeno ad approvare un documento di dissenso (morbido) verso la direzione. Il timore dell’Usigrai è che ora i giornalisti che si sono schierati contro Sangiuliano possano essere vittime di ritorsioni professionali. “Per questo monitoreremo la situazione giorno per giorno”, dicono dal sindacato.