Si inizia con una capziosa lusinga e si finisce all’inferno: la piccola bugia si fa veleno, il veleno metastasi e la metastasi ecatombe. Re Lear, ovvero le gare di retorica vanno sempre a finire in tragedia, soprattutto se a disputarle sono lingue lunghe, biforcute e femminili, come quelle delle figlie del sovrano.
Dark, burlesco, espressionista: questa è la versione firmata da Andrea Baracco con uno strepitoso Glauco Mauri – 90 anni il prossimo 1° ottobre – nei panni del protagonista. Il resto lo fa il testo, ché Shakespeare – dicono alle scuole di teatro – sta in piedi da solo, pur strattonato, stravolto, mutilato, riarrangiato, calpestato. Non è questo il caso, anche se la traduzione di Letizia Russo è un po’ spinta, l’adattamento infila a tradimento il monologo di Amleto in bocca a Gloucester (l’intenso Roberto Sturno), i gesti coreografati paiono a volte forzati, i monologhi dei giovani sono spesso gridati e lo spazio è mal gestito. Ma l’allestimento è coerente e regge, e lo spettacolo commuove.
La pazzia di Lear si manifesta a lacrime asciutte, quando il re non è più in grado di piangere. D’altronde il mondo va alla rovescia, e il matto ha sempre ragione (il luciferino Dario Cantarelli): la vecchiaia è stupidità, capriccio, follia, non saggezza; Lear sembra uscito da Aspettando Godot; la sincerità è crudeltà, il potere cecità, gli anziani sono bambini, le donne sterili, le figlie madri del proprio padre. Ci sono “troppe eclissi, non è un buon segno”, profetizzano gli oroscopi: il mondo va davvero alla rovescia e l’umanità dritta nella tempesta, nella lotta di padri contro figli, fratelli e coltelli.
È la terza volta in carriera, per un totale di 500 repliche, che Mauri affronta questa tragedia shakespeariana, dopo gli allestimenti del 1984 e del 1999: “Per tentare di interpretare Lear – confessa il primattore – non servono tanto le doti tecniche quanto la grande ricchezza umana che gli anni mi hanno regalato”. Il suo infatti è un re di rara umanità e dolcezza e qui, proprio dalla cupezza e durezza della messinscena, sboccia la tenerezza, fin la compassione, fin l’amore: di Lear, ma anche di Gloucester e dei suoi figli Edmund (il seduttivo Aleph Viola) ed Edgar (il tormentato Francesco Sferrazza Papa).
Lo spettacolo è alchemico, nera fattucchieria: si è molto tentati di attribuire il merito solo agli attori (oltre ai succitati, i bravi Enzo Curcurù, Linda Gennari, Paolo Lorimer, Francesco Martucci, Laurence Mazzoni, Aurora Peres, Emilia Scarpati Fanetti), ma sarebbe ingeneroso. Il regista ha previsto e orchestrato tutto: “Quello che mi ha sempre colpito di questa tragedia, che è una delle più nere e per certi versi enigmatiche, è che sotto quel nero sembra splendere qualcosa di incredibilmente luminoso e proprio questa luce sepolta dall’ombra la rende così affascinante”. Detto fatto: applausi.
Roma, Teatro Eliseo, fino a domenica. Re Lear – con Glauco Mauri e Roberto Sturno, Andrea Baracco