Il cardinale Philippe Barbarin si è rimesso per la seconda volta nelle mani di papa Francesco. Lo aveva fatto già lo scorso marzo, dopo la condanna in prima istanza a sei mesi di reclusione (con la condizionale) per non aver denunciato gli abusi che il prete pedofilo Bernard Preynat ha commesso su decine di giovani scout dal 1971 al 1991. All’epoca il potente arcivescovo di Lione, in attesa del processo in appello, aveva incontrato il papa in Vaticano rimettendogli le sue dimissioni. Ma Bergoglio le aveva rifiutate lasciandolo libero di decidere sul da farsi.
Il prelato si era quindi ritirato nell’attesa della fine della procedura contro di lui. E la sentenza in appello che aspettava è arrivata ieri: è stato assolto. “È tempo di voltare pagina per me e per la chiesa di Lione”, ha detto il cardinale parlando per pochi minuti nei locali della diocesi di Lione. Quindi l’appello al papa: “Sono pronto, se vuole ricevermi”.
I giudici di Lione, annullando la sentenza del 7 marzo scorso, hanno scagionato il cardinale da ogni reato. Ma se Barbarin è colpevole o innocente lo deciderà a titolo definitivo la Corte di cassazione. Per le vittime di padre Preynat – anche lui in attesa di giudizio – la sentenza di ieri è molto più di una delusione: “Continueremo per la nostra strada. È un modello di società che è in discussione e oggi abbiamo constatato che la società non è all’altezza della gravità di questo flagello e delle sue conseguenze”, ha detto a France Info François Devaux, che subì gli abusi di Preynat quando aveva 11 anni. Con l’associazione La Parole Libérée, che ha cofondato nel 2015, ha deciso di fare ricorso. Durante il processo, a novembre, Barbarin, 69 anni, aveva riconosciuto di “aver sentito parlare” dei comportamenti molesti del père Preynat sin dal 2007. Nel 2010 lo aveva anche convocato e il prete aveva assicurato che dal 1991 aveva smesso di molestare i giovani scout: “Perché mi viene rimproverato di avergli creduto?”, aveva detto Barbarin ai giudici, aggiungendo: “Non riesco proprio a capire di cosa sarei colpevole”. A fine processo il pubblico ministero aveva chiesto per lui l’assoluzione, sostenendo che bisogna distinguere tra il “caso singolo” e “le colpe morali e penali commesse dalla Chiesa” di fronte alla pedofilia dei preti. I magistrati ieri hanno condiviso questa posizione, ma anche avanzato un altro argomento: non si può parlare di “omessa denuncia di aggressioni sessuali” perché il cardinale non era tenuto a denunciare i fatti al posto delle vittime. Per i giudici cioè Barbarin non ha commesso nessun reato decidendo di non agire quando, nel 2014, Alexandre Hezer, che poi sollevò lo scandalo nel 2015, gli andò a rivelare gli abusi sessuali subiti da Preynat negli anni 80 quando era bambino. Per Emmanuelle Haziza, avvocato di Pierre-Emmanuel Germain-Thill, anche lui vittima di Preynat quando aveva 9 anni, la sentenza dimostra “la scarsa conoscenza della psicologia traumatica delle vittime d’aggressione sessuale”. Si è invece mostrato soddisfatto Jean-Félix Luciani, legale di Barbarin: “Il cardinale ha fatto degli errori. La Chiesa anche ha le sue colpe. Ma lui non incarna la Chiesa. L’ingiustizia è riparata”.
Ora Barbarin, pulito da ogni accusa, è pronto a rimettere di nuovo le sue dimissioni al papa. Per le vittime di Preynat la strada è ancora lunga. Prima della cassazione, un’altra data è importante: il 16 marzo, giorno in cui i giudici di Lione dovranno rendere nota la sentenza su Bernard Preynat, che rischia fino a 10 anni di prigione. L’ex prete è comparso davanti ai magistrati, e a decine delle sue vittime, il 15 gennaio scorso, riconoscendo la maggior parte dei crimini di cui è accusato. Preynat ha ammesso che per vent’anni, mentre era parroco di Sainte-Foy-les-Lyons, ha abusato di decine di bambini tra i 7 e 15 anni, nei locali della chiesa e durante i campi scout. “Fino a cinque bambini a settimana”, ha detto. La chiesa di Lione sapeva da tempo, ma solo nel 2015 il prete è stato allontanato dalla parrocchia e solo nel 2019 gli sono stati tolti i voti.