“Un fronte di scontro lo puoi reggere, due forse, tre no”, dice il leghista Giancarlo Giorgetti con tono grave di un messaggio per Matteo Salvini. “Questa la può attribuire a me oppure a Otto von Bismarck”, scherza. Giorgetti crede in due cose: la squadra di Southampton, che fu fondata in una parrocchia; la pesca al lago, che il nonno ha tramandato al padre e così via. E poi una terza, più politica: “I cortigiani non aiutano il capo, lo affondano. Io sono leale e Matteo lo sa”. A suo modo, quel modo di concetti articolati e un po’ sospesi, Giorgetti racconta il legame con Salvini dopo una settimana di retroscena che li ha raffigurati in ruvidi confronti e nel giorno del consiglio federale che, come fanno i partiti che restano partiti, farà un esame della sconfitta in Emilia-Romagna.
I fronti di scontro di Salvini, abile procacciatore di consensi, secondo la logica di Giorgetti, possono impedire al medesimo Salvini di passare da uomo di comizio a uomo di governo. Non puoi pensare di amministrare l’Italia o di sedere sul trono di Palazzo Chigi sfidando l’alleanza atlantica, cioè gli Stati Uniti; i burocrati di Bruxelles, cioè l’Unione europea; la gerarchia ecclesiastica, cioè la Chiesa di Papa Francesco.
Per un anno con l’incarico di Sottosegretario a Palazzo Chigi e ancora adesso con l’eterna patente di numero due del Carroccio, Giorgetti è sempre intervenuto a riparare lì dove Salvini strappava. È Giorgetti che ha mantenuto i contatti con il Vaticano nel tripudio di rosari baciati, santini sventolati, crocifissi in pugno. È Giorgetti che ha rassicurato la Banca centrale europea dell’amico Mario Draghi durante il capzioso balletto euro sì, euro no. È Giorgetti che ha ripristinato il dialogo con gli americani – già con il viaggio di marzo – inviperiti per le posizioni italiane troppo blande con Russia e Cina. “Avvisai Matteo di prestare attenzione a Gianluca Savoini”, e Matteo niente, ingenuo, non l’ha fatto e s’è beccato lo scandalo Moscopoli che ha sfregiato la Lega.
Per le rimostranze su Huawei e le tecnologie 5G di Internet o per fiutare i movimenti nei palazzi romani, spesso l’ambasciatore americano Lewis Eisenberg si rivolge a Giorgetti. È accaduto pure di recente. Giorgetti è convinto che soltanto uno stolto possa contestare a Salvini il 32 per cento in Emilia o sindacare una strategia di campagna elettorale. Per la Lega, però, è scoccato il momento di decidere che tipo di proposta di governo preparare, come occupare la destra italiana, un territorio già ampio e in espansione, che Giorgia Meloni contende e i reduci di Forza Italia non abbandonano. “Salvini è un generoso. È come un corridore chino sul manubrio, che pedala, pedala, cerca di andare sempre più forte, ma rischia di non vedere cosa gli succede attorno, chi gli copre davvero le spalle, chi gli può tirare la borraccia”.
Il consiglio federale è convocato anche per lanciare un nuovo manifesto politico, che ha il sapore di qualcosa di antico, ma che significa scegliere un gruppo di dirigenti per mettere per iscritto la Lega di domani, un movimento che si candida a guidare l’Italia e non può permettersi più di spaventare Washington o Bruxelles e di assecondare rigurgiti xenofobi e fascisti.
A Salvini spetta il compito di nominare la prima linea del Carroccio, rompere gli equivoci e interrompere (per un attimo) la propaganda per ricaricare la Lega e se stesso. Un posto per Giorgetti c’è. E la prossima volta, chissà, suggerirà a Salvini di non sbattere contro i citofoni. Perché per strappare un voto ci vuole una frase a effetto, ma per governare ci vuole calma. Al lago, se non stai fermo, non prendi neanche una carpa.