Quale governo dell’Emilia-Romagna ora che è passata la grande paura di una destra ormai estrema insediata nella regione-madre del riformismo di sinistra e dell’associazionismo laico e cattolico? Quale governo del Paese ora che è passata la grande paura della spallata di una destra in cui Matteo Salvini gareggia con una Giorgia Meloni che si è gettata alle spalle tutto il faticosissimo lavoro compiuto da Gianfranco Fini per staccare completamente Alleanza Nazionale dal fascismo “male assoluto”, sdoganando al contrario Forza Nuova e CasaPound con Salvini che incoraggia e approva?
Qui bisogna ragionare sulle attese dei giovani, degli astensionisti “usciti dal bosco”, del vasto ed entusiasmante movimento delle Sardine che, in nome dell’antifascismo e della democrazia di base, ha dato una scossa formidabile ai rassegnati, ai frustrati, ai silenti, richiamandoli al voto e a linguaggi civili, pacati, netti, ma di confronto e non di odio, né di scontro incivile.
Fra questi semi grandeggia quello dell’ambiente e su questo punto soprattutto, la Pianura Padana (la zona europea più inquinata) e quindi l’Emilia-Romagna, hanno bisogno di una svolta politica. Stefano Bonaccini ha vinto bene, però in questo campo fondamentale, diciamolo ora che ha vinto, non poteva vantare granché (a differenza dell’assistenza, dell’accoglienza, della rete sanitaria e sociale). Né lo stesso Partito democratico, a livello nazionale, deficitario.
Diciamolo con chiarezza dopo la vittoria: la regione è con Veneto e Lombardia quella che consuma più suolo agricolo o boschivo cementificando e asfaltando (vedi tabelle). Il dissesto ha raggiunto, in una pianura completamente disboscata, livelli allarmanti con sprofondamenti di terreni anche di un metro e mezzo, un vero scasso.
La diffusione scriteriata di pozzi artesiani privati col pompaggio di miliardi di litri d’acqua di falda e di pozzi metaniferi privati hanno abbassato talmente i terreni che, in una ricerca presentata nel 1991 ai Lincei (e dico poco) un esperto affacciava il timore che questo facilitasse quanto purtroppo è accaduto nel 2012: il forte terremoto nella pianura fra Bologna e Ferrara (città semidistrutta nel lontano 1570). Quella pianura “pelata” fu riforestata (non solo rimboschita) attorno alle città.
La Regione Emilia-Romagna e i suoi maggiori Comuni, in specie Bologna, erano all’avanguardia in Europa col piano Cervallati-Fanti per il recupero e il restauro delle città storiche a uso dei residenti. Con grandi risultati. Fu anche una delle prime quattro a dotarsi ai tempi della legge Galasso (1985) del previsto Piano paesaggistico. Non è più così: la città storica è minacciata da inserimenti “moderni”, la stessa ricostruzione post-terremoto dell’antico è assai poco “filologica”.
Il piano paesaggistico prescritto, in uno col MiBact, dal codice Rutelli/Settis del 2008 (!) non è stato ancora approvato. La legge urbanistica regionale prevede un incremento del consumo di suolo del 3 per cento il che vuol dire che di sola urbanizzazione Ferrara, Ravenna, Parma, Reggio Emilia, Modena potrebbero ampliarsi di due chilometri quadrati ciascuna, escluse però infrastrutture e complessi industriali, e ti saluto il 3 per cento. Saremmo di nuovo all’attuale maxi-sfruttamento.
“Alla tutela e riqualificazione dei centri storici e del patrimonio edilizio nazionale di interesse culturale” protesta Italia Nostra, “non è dedicato neppure un articolo”. Di peggio: essa “vieta perentoriamente ai Comuni di stabilire la capacità edificatoria e di dettagliare i parametri urbanistici ed edilizi”. Siamo alla più solare “urbanistica contrattata” coi privati, siamo allo smantellamento degli standard urbanistici fissati dalla legge Achilli del 1968 (tot mq. di asili e scuole, ecc). Arretramenti che per una parte esautorano i Comuni e per l’altra “rendono incontrollabili le scelte dei più forti interessi immobiliari privati”. Italia Nostra ha fatto ricorso contro quella legge a dir poco disastrosa, ma l’istanza è stata respinta.
L’Emilia-Romagna, attraversata dal Po e dagli affluenti torrentizi di destra, è spesso oggetto di alluvioni anche gravi. Segno che qualcosa di grosso non funziona a monte e a valle.
Ai tempi dell’Autosole e di altre grandi arterie, va detto, gli alvei furono saccheggiati di sabbia e ghiaia selvaggiamente, con profitti privati da capogiro. Ma anche in anni recenti (vedi tabella) siamo qui su 4 milioni di metri cubi di inerti scavati all’anno, rendendo più veloci le piene. Problema nazionale questo, ovviamente.
Tutti problemi nazionali, quindi del Pd e dei 5Stelle: “ricostruzione” pluriennale idrogeologica del suolo, demolizione degli abusi edilizi negli alvei e nelle golene, legge nazionale di tutela delle città storiche, legge-quadro urbanistica fondata sull’interesse generale e non sulla contrattazione, rilancio dei Parchi e foreste (anche urbane in pianura, attorno alle città). E qui casca l’asino della legge Sfasciaparchi Caleo avversatissima dai naturalisti ed ecologisti e caldeggiata dal Pd che, vistala bloccata, l’ha subito ripresentata (Serracchiani). Si vuole essere alternativi a Salvini-Meloni-Berlusconi (e pure Renzi talora), notoriamente contro le Soprintendenze, contro leggi urbanistiche ispirate all’interesse generale, contro i piani paesaggistici e i Parchi che non siano luna-park. Cosa vogliono fare a livello nazionale?