L’obiettivo comune è “dimenticare Fornero”, riformare cioè la riforma più odiata dagli italiani. Come, non è ancora chiaro, anche se ieri la ministra Nunzia Catalfo, il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, i sindacati più grandi, Cgil, Cisl e Uil, si sono prodigati in dichiarazioni ottimistiche. La prima giornata di confronto tra governo e parti sociali ha definito un “cronoprogramma” molto fitto: quattro incontri nel mese di febbraio per discutere di garanzie ai giovani precari, di flessibilità in uscita, di previdenza complementare, ma anche di maggiori tutele per i non autosufficienti. Inoltre la ministra ha avviato i tre tavoli di lavoro sui lavori gravosi, sulla separazione tra previdenza e assistenza oltre alla Commissione di esperti che dovrà riflettere sulla riforma complessiva. Ma il dialogo è solo ai blocchi di partenza è l’uscita dalla Fornero prevede una serie di passi complicati.
Dopo Quota 100. La necessità di individuare delle soluzioni è data dalla natura sperimentale di “Quota 100”. Permettendo l’anticipo della pensione fino a 62 anni con 38 di contributi, invece degli attuali 67, o di 41 anni di contribuzione per la pensione di anzianità, al termine di “Quota 100” si corre il rischio di un nuovo “scalone” di almeno 5 anni. Che occorra intervenire dunque è chiaro a tutti. Ma come?
Quota 102. La proposta di Cgil, Cisl e Uil è riportare l’età pensionistica a 62 anni con un minimo di 20 anni per quella di vecchiaia e 41 anni di contributi per la pensione di anzianità. “Non abbiamo preclusioni”, dicono al ministero però come Catalfo ha già sottolineato, occorrerà studiare i dati, “fare una fotografia della situazione” e valutare l’impatto economico. Ma il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha già bollato come “non realistica” la proposta dei sindacati mentre il responsabile pensioni della Cgil, Roberto Ghiselli, è possibilista: “Lo scarso utilizzo di Quota 100 ha mostrato che, con pensioni ormai quasi integralmente a sistema contributivo, molti lavoratori preferiscono restare al lavoro. Occorre fare bene i conti”.
L’ipotesi a 62 anni, però, non sembra che sia presa seriamente in considerazione. “Se Quota 100 ha destato così tante obiezioni” spiegano fonti molto interne al dossier, “figuriamoci una misura che potrebbe costare circa 20 miliardi all’anno”. In area governativa si parla di 64 anni, quindi “quota 102”, con una serie di flessibilità per far arrivare alcuni settori a 62 anni di età sull’esempio di misure che già esistono come Opzione donna o l’Ape sociale.
Lavori usuranti. Il tema si incrocia con quello dei “lavori gravosi”, mai affrontato in modo definitivo. L’attuale disciplina definisce come “usuranti” impieghi particolari (nella cave, in miniera, palombari, con l’amianto) mentre servirebbe una radiografia adeguata al moderno lavoro (che fare delle maestre, ad esempio, o del lavoro di cura o dei trasporti?). Il fatto che Catalfo abbia istituito una commissione apposita spiega la centralità del problema e con i lavori gravosi si possono introdurre forme di flessibilità in uscita.
Garanzie ai giovani. Come garantire ai lavoratori precari, dagli impieghi incostanti e frammentari, una “pensione dignitosa” in assenza di una contribuzione continuativa? A questo obiettivo tengono sia Catalfo che Tridico, ma anche la Cgil. Solo che oltre ai fondi necessari – che Tridico ha individuato, in parte, nei risparmi di Quota 100 – c’è anche un problema di normativa, a meno di non voler risolvere tutto con la pensione di cittadinanza. Questo punto potrebbe entrare in conflitto con la flessibilità in uscita avviando uno scontro generazionale.
Previdenza e assistenza. L’Inps è un mega istituto che si occupa non solo di erogare assegni previdenziali, ma anche indennità di disoccupazione, maternità, assegni di invalidità e mille altre misure. Che non c’entrano nulla con la previdenza che, va ricordato sempre, è pagata dai contributi dei lavoratori (versati per loro conto dai datori di lavoro) e che non costituiscono parte della spesa pubblica, come il pensiero neoliberista ha fatto credere, ma salario differito. Si vedrà se la Commissione istituita dal ministero partirà da questo assunto o meno.
Complementare. Tridico ha presentato l’idea di affidare la previdenza complementare, appannaggio non solo di fondi privati ma anche di fondi negoziali costituiti da imprese e sindacati, a un fondo pubblico interno all’Inps. A opporsi, però, sono diversi sindacati, in particolare la Uil, che rivendicano i fondi negoziali – a dicembre, tramite la loro associazione Assofondipensione, hanno siglato un’intesa con la Cassa depositi e prestiti per un progetto di finanziamento alle piccole imprese e alle infrastrutture – e contesta l’invasione di campo. Tutti gli altri sindacati, benché più piccoli, sono dalla parte del presidente Inps e l’argomento è oggetto di uno degli incontri del cronoprogramma di febbraio.