Matteo Salvini nelle vesti di astro discendente e Matteo Renzi nel ruolo dell’irrilevante. I due omonimi, simili per carattere e anche per improvvise perdite di lucidità politica, sono i primi sconfitti delle elezioni Regionali. Con loro, perde un tipo di leadership, onnipresente, arrogante, poco rassicurante. Luigi Di Maio non si salva l’anima (e forse neanche il futuro politico) con la mossa di lasciare la guida del Movimento a pochi giorni dal voto. Stravince Stefano Bonaccini, che passa per salvatore della Patria. Ma vince pure Giuseppe Conte, con la scelta di non misurarsi nell’agone. E poi, Nicola Zingaretti, il governatore riconfermato, conquista quello che più gli serve: il tempo per scommettere su un rinnovamento del Pd. Silvio Berlusconi vende cara la pelle e Giorgia Meloni scalda (ancora) i motori. Ma per ora non è tempo di leader d’impatto.
Vince con la scelta di non combattere
Nessuna foto di Narni, nessun intervento forte nella contesa dell’Emilia-Romagna. Giuseppe Conte ha deciso di giocare il ruolo del leader super partes, del premier gradito agli italiani, del baluardo della democrazia (moderata) e del sistema vigente. Ha diviso le sorti del suo governo da quelle della Stalingrado rossa. Solo negli ultimi giorni ha fatto qualche piccolo passo con la firma del Manifesto green ad Assisi e il varo dei decreti attuativi del cuneo fiscale. Ne esce rafforzato. Per ora. Con la scelta di non combattere direttamente, ha vinto. Una vittoria un po’ esangue, ma pur sempre una vittoria.
Giuseppe Conte
La tendenza a esagerare lo punisce un’altra volta
Ha chiesto un referendum su stesso, ha cercato la spallata Matteo Salvini. E ha fallito. Mostrando di nuovo la tendenza a mettere il piede sull’acceleratore e a perdere il controllo. Come al Papeete. Tra ricerca di rivincita (rispetto prima di tutto a se stesso) e delirio di onnipotenza (nello scegliere una candidata fragile) ha messo in atto la dinamica che fu di Renzi: raddoppiare sempre. Un atto di prepotenza come la citofonata al presunto spacciatore tunisino ha fafto il resto. È il perdente. Con un’attenuante: anche stavolta ci ha messo la faccia per primo. E non mollerà.
Matteo Salvini
È il “Salvatore della patria”. E sogna il Pd
Ha cambiato montatura degli occhiali, taglio della barba e si è pure palestrato, Stefano Bonaccini. Una metamorfosi che però ha solo evidenziato il protagonismo con cui ha condotto la battaglia. Dietro di lui aveva un sistema di potere consolidato. Ma poi ha messo in campo le doti del buon amministratore e l’abnegazione del dirigente di partito. Si è volutamente tenuto lontano dalle diatribe nazionali, ma ha utilizzato quest’occasione come un palcoscenico. L’ambizione resta quella di tornare a Roma, magari alla guida del Pd. Oggi è il vincitore indiscusso, il Salvatore della patria.
Stefano Bonaccini
La poca incisività porta risultati. Per ora
A Nicola Zingaretti non piace recitare da protagonista. Stavolta questa attitudine ha pagato. Il Pd è il primo partito in Emilia-Romagna, con un risultato che forse neanche lui si aspettava. L’attitudine a smussare i conflitti e ad agire con prudenza ha dato qualche risultato. Dopo la sofferta decisione di dar vita al Conte 2, adesso si pone come il miglior alleato del premier, “offrendogli” il Pd come forza di riferimento. Ma l’assenza di incisività si nota e potrebbe scioglierlo davvero il Pd. Ora serve il coraggio di cambiare marcia imponendo un’agenda al governo e perseguendo un vero rinnovamento.
Nicola Zingaretti
L’eterna promessa che logora Salvini
Più di destra di Matteo Salvini, ma meno impulsiva. Presente, ma senza sovra-esporsi in maniera irrazionale. Forte del risultato di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni prosegue nella sua strategia di essere più un’avversaria che un’alleata del leader della Lega. E gioca a rubargli terreno: è stata la prima a presentarsi a Bibbiano, promettendo di tornare. Non avendo ambizioni da premier (almeno per ora) può fare più liberamente l’estremista. Ma chissà che anche lei non si consumi in questa battaglia tutta interna al suo schieramento, in un eterno ruolo da promessa.
Giorgia Meloni
FI è in liquidazione ma B. alza il prezzo
Con un filo di voce, ancora domenica sera Silvio Berlusconi ha rivendicato la vittoria della candidata di Forza Italia, Jole Santelli. Il fu Caimano, che a questo punto è il simbolo di un gruppo di fedelissimi più che un vero attore in gioco, ancora una volta segna un punto a suo favore. Anzi due. Che i suoi non amassero Lucia Borgonzoni non è un mistero. Il giorno dopo si racconta che abbiano fatto il voto disgiunto per non sceglierla. Se è per Berlusconi, ha sempre avuto un rapporto migliore con Renzi che con Salvini. Forse è una vittoria di Pirro. Ma di certo alza il prezzo di un partito in fallimento.
Silvio Berlusconi