“Domenica notte. Aspettiamo domenica notte per capire”. Ai vari piani del Nazareno, la reazione al discorso di Luigi Di Maio è questa. Perché il risultato dell’Emilia-Romagna è fondamentale per le sorti del governo, più del “passo di lato” del ministro degli Esteri. Penso che “le eventuali dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico non avranno effetti sul governo”, si precipita a dire il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, prima ancora del discorso.
La speranza, sia tra i dem, sia tra i contiani del Movimento, è che il passo di lato del capo politico sia un elemento di stabilizzazione, che faciliti anche un’alleanza sempre più organica Pd-M5s. “La scelta di Luigi Di Maio di lasciare la guida del M5s mi rammarica, ma è una decisione di cui prendo atto con doveroso rispetto”, dice Giuseppe Conte in una lunga nota. Il premier si ostina a ripetere che ripercussioni sull’esecutivo e sugli equilibri della sua squadra non ce ne saranno, né per la scelta di Di Maio, né per il risultato delle Regionali. Anzi, ricorda pure che tale scelta è stata con lui condivisa. “Bisogna riconoscere a Di Maio il merito di tanti risultati ottenuti”, dice poi. E prevede: “Lavoreremo insieme fino al 2023”. Ma le rivalità tra i due non sono un mistero. E le variabili sono tante. “Reggerà il Movimento oppure alla fine si arriverà a una scissione?”, è la domanda che si fa un po’ tutto il suo Pd.
In teoria, secondo tutte le analisi preliminari, con una sconfitta di Stefano Bonaccini in Emilia, nessuno (né il Pd, né M5s, né Italia viva) avrà la convenienza di andare a votare. Troppa debolezza, troppi rischi. D’altra parte, Zingaretti ha già detto che penserà al Pd, annunciando pure un cambio di nome, Di Maio lavorerà presumibilmente per essere riacclamato a capo di M5S (e consolidare il suo ruolo di ministro degli Esteri), Matteo Renzi cercherà di capire dove lo porta un patto con Matteo Salvini.
In questo senso, il governo di Giuseppe Conte paradossalmente dovrebbe reggere. Anche perché appare difficile che il Quirinale sia d’accordo a dare vita un nuovo governo con la stessa maggioranza. Questo, ovviamente, a bocce ferme: perché con Salvini pronto a chiedere compatto le elezioni con tutto il centrodestra e la compagine di governo sempre più indebolita, comunque il percorso è a ostacoli. Con la vittoria di Stefano Bonaccini, il quadro si fa più complesso. Perché il segretario del Pd potrebbe avere la tentazione di puntare alle urne per capitalizzare. Solo una tentazione, visto che tutto il resto del partito è contrario. Ma a quel punto, potrebbe scattare la “tentazione” Dario Franceschini. L’idea di sostituire Conte con un premier del Pd. Vale sempre la perplessità di Mattarella. Però, questo scenario potrebbe puntellarsi su alcuni rapporti personali. Renzi non sopporta Conte e in questo momento ha comunque un rapporto migliore con il capo delegazione dem. Anche se l’ultimo passo verso la scissione arrivò dopo una lite furibonda tra i due, per i nomi dei ministri e dei sottosegretari. Anche Di Maio ha meno motivi di rivalità con il ministro della Cultura che con il premier. Lo scenario esiste, ma non prende quota: i dem si preparano a chiedere un rimpasto, per ottenere più ministri.
Insomma, il voto emiliano potrebbe non portare a delle conseguenze immediate. Però, la situazione di logoramento proseguirà. Primo osservato speciale, Renzi. Martedì si vota sulla prescrizione e Italia viva ha già detto che voterà con Forza Italia contro la riforma Bonafede. Un modo per ricominciare a posizionarsi, per alzare il prezzo. Perché poi la tentazione del leader di Iv di saldare un patto con Matteo Salvini e di andare alle urne con una legge elettorale che obbliga alle coalizioni rimane. Dunque, non con il super proporzionale a cui si sta lavorando.
Poi, c’è lo stesso Di Maio. Che cosa accadrà dopo gli Stati generali di marzo? Quanta parte del Movimento andrà con lui? Abbastanza per spaccarlo, magari accettare l’ennesima pro-offerta di Salvini di marciare uniti e far cadere Conte? Sempre per restare in ambito M5s, bisognerà capire se riuscirà a nascere un gruppo parlamentare di appoggio al premier. E di quale peso. Non indifferente neanche il percorso del Pd. Perché, comunque vada l’Emilia, in primavera c’è una tornata di Regionali piuttosto importante. Se dovessero andare male, quanto reggerà il partito? E il processo di “scioglimento” preannunciato dal segretario dove porterà? Come andrà a finire, è difficile dirlo adesso. “Ma che si è aperta una fase nuova”, è certo.