La sentenza “sbagliata” e la lite giudici-avvocati

Una diatriba durissima a colpi di comunicati tra avvocati penalisti e magistrati in Piemonte. I primi si comportano come i “giustizialisti” da loro tanto contestati, mentre i secondi difendono le garanzie di chi si trova sotto accusa, come fanno spesso i primi. Tutto per un errore clamoroso di tre magistrati di Asti che il 18 dicembre scorso avevano letto una sentenza senza sentire prima l’arringa di un difensore. Un errore al quale gli stessi giudici, dopo le rimostranze dell’avvocato, avevano cercato di rimediare stracciando la sentenza e chiedendo di essere sostituiti da altri colleghi. Tuttavia la camera penale “Vittorio Chiusano” del Piemonte e della Valle d’Aosta da allora ha avviato una battaglia sfociata lunedì in una lettera con cui chiede ai tre giudici di andare via.

Il caso riguarda una coppia accusata di violenza sessuale sulla figlia. Dopo la requisitoria del pubblico ministero, prendono la parola l’avvocato di parte civile, che assiste la giovane, e il difensore della madre imputata. La discussione dell’avvocato dell’uomo viene rinviata al 18 dicembre, quando però il collegio (presieduto da Roberto Amerio, affiancato da Claudia Beconi e Giulia Bertolino) entra in aula e legge la condanna a undici anni per il padre e a cinque per la madre della vittima.

Dopo le proteste dell’avvocato, il presidente straccia la sentenza e invita l’avvocato a concludere, ma per il legale è impossibile continuare e quindi i giudici decidono di astenersi. Scatta la protesta della camera penale di Asti, organizzazione che raggruppa i penalisti, poi della camera penale “Vittorio Chiusano” del Piemonte e della Valle d’Aosta e dell’Unione nazionale delle camere penali. Si invocano provvedimenti del Consiglio superiore della magistratura, che valuta l’operato dei giudici e anche un’inchiesta della procura di Milano.

Il giudice Amerio chiede il trasferimento e il presidente del Tribunale, Giancarlo Girolami, fa sapere di avere informato “gli organi e le autorità cui spetteranno le valutazioni e determinazioni nel rispetto del contraddittorio”. Lunedì la camera penale “Vittorio Chiusano” trasmette la lettera ai tre magistrati e per conoscenza al presidente del tribunale, della Corte d’appello, al procuratore generale e al Csm per chiedere ai giudici di fare “istanza di immediata di assegnazione a svolgere le funzioni giudiziarie presso le sezioni civili degli uffici posti fuori dalla sede distrettuale di odierna competenza”. In sostanza, cambiare ambito ma anche Regione.

L’Anm del Piemonte,il sindacato dei magistrati, denuncia “una progressiva e preoccupante ingravescenza nella campagna mediatica e di delegittimazione” fatta da organo che non è “in nessun modo legittimato ad intervenire” soprattutto con una richiesta “esorbitante”, “inaccettabile” e con modalità “gravemente intimidatorie”. Una “deriva demagogicamente giustizialista”, giudica. “Nessuno nega che si è trattato di un caso grave e nessuno contesta il diritto di critica. Ma è un caso isolato”, scrive invece il procuratore generale Francesco Saluzzo secondo cui quelle richieste sembrano “misure sommarie”: “Solo a loro (i giudici, ndr) si vorrebbero negare quei diritti che gli avvocati, per primi, sempre rivendicano”. Ai due lunghi comunicati il presidente della Camera Penale Alberto de Sanctis replica con poche righe: “La nostra era una lettera riservata. Con amarezza notiamo che è stata divulgata, non da noi, per sostenere tesi di un attacco irriguardoso che non c’è stato”.

Allarme di cronisti ed editori “Arriva un nuovo bavaglio”

Mettere d’accordo giornalisti ed editori, categorie solitamente contrapposte, non è facile. Ci sta riuscendo la legge sulla diffamazione che ha come primo firmatario Giacomo Caliendo (Forza Italia), che dalla commissione Giustizia del Senato sta per arrivare in Aula. Perché, se è vero che viene eliminato il carcere per i giornalisti, secondo Fieg e Fnsi (che ieri hanno tenuto una conferenza stampa congiunta), vengono però inserite altre misure “intimidatorie e anacronistiche” che “limitano la libertà di stampa” e rendono “più difficile la vita a giornali e giornalisti, soprattutto sulle inchieste”. Insomma, “un altro bavaglio” all’informazione.

La legge in realtà sarebbe frutto di un accordo tra maggioranza e opposizione, tanto che in commissione diversi sono stati gli emendamenti approvati da M5S e Pd. L’accordo però prevede che prima venga approvata la legge di Primo Di Nicola (M5S) sulle liti temerarie, per la quale manca solo il voto in Aula. Era previsto per il 16 gennaio, ma c’è stato un rinvio. È composta da un solo articolo: chi chiede i danni a un giornalista può essere condannato a pagare egli stesso un risarcimento che parte dal 25% della cifra richiesta se la sua azione è considerata pretestuosa o infondata.

La legge sulla diffamazione di Caliendo è tutt’altra cosa, ma viaggia su un binario parallelo. Finalmente si è tolto il carcere per i giornalisti condannati, ma Fieg e Fnsi puntano il dito su altri aspetti che, a loro dire, “rendono assai difficile il libero svolgimento della professione”. La prima questione è che aumentano le pene pecuniarie. Di più: se l’offesa è recata a un corpo politico, amministrativo o giudiziario, le sanzioni crescono ancora di più. “Così si fanno cittadini di serie A e di serie B. E poi di cosa dovrebbero scrivere i giornalisti se non di esponenti politici e della pubblica amministrazione?”, si chiede Raffaele Lorusso, segretario della Fnsi. Inoltre, sottolineano gli editori con il loro presidente, Andrea Riffeser, “le sanzioni pecuniarie devono tenere conto delle finanze di giornali e cronisti, devono essere proporzionali alle loro capacità di spesa, e nella legge questa proporzionalità non c’è”.

Così com’è, la legge prevede pure una sorta di rettifica automatica: per evitare la querela, il giornale è obbligato a pubblicare per intero, senza controbattere, la smentita del querelante. E aumenta anche il tempo che il querelante ha a disposizione per agire: da 90 giorni a 2 anni. In fase dibattimentale, inoltre, il giudice può ordinare al cronista di rivelare le sue fonti.

Altro punto controverso è che, con la nuova norma, si dà al giudice il potere d’interdizione del giornalista dalla professione, “un’invasione di campo bella e buona, perché l’eventuale sospensione o radiazione dall’ordine spetta solo agli organi competenti”, dice il segretario della Fnsi.

Secondo gli editori, poi, è una norma “vecchia”, perché “fa ancora differenze tra i giornali on line e carta stampata”. Per esempio, un articolo che esce sul web può essere querelato in più tribunali, ovvero quelli dei luoghi di residenza di tutte le persone che si sentono diffamate. “Così, per uno stesso articolo, si rischiano processi in più tribunali, con un aggravio di spese enormi”, osserva il vicepresidente Fieg, Francesco Dini.

Da parte della maggioranza, però, si registrano aperture. “Innanzitutto è una legge dell’opposizione che noi stiamo contribuendo a migliorare. Non vogliamo certo far passare una legge bavaglio o lesiva della libertà di stampa: siamo aperti a ogni eventuale suggerimento”, fa sapere una fonte dalla commissione Giustizia.

Ci sono ancora due giorni per i subemendamenti, poi la legge sulla diffamazione potrà essere modificata nell’aula del Senato e poi ancora, eventualmente, a Montecitorio.

“Una frana sotto il viadotto Cerrano Autostrade ignora il pericolo crollo”

Sotto ai quasi 90 metri di altezza del viadotto Cerrano sull’A14 tra le uscite di Pescara Ovest e Pedaso, balzato ai disonori delle cronache per l’impressionante stato di degrado e per il pilone spostato di sette centimetri, è in corso pure una frana del terreno. Interessa i piloni di sottofondazione, ed è il motivo di un nuovo allarme del Gip di Avellino Fabrizio Ciccone. Il magistrato valuta insufficienti i sistemi di monitoraggio del pericolo adottati dal gestore, Autostrade per l’Italia, che sottovaluterebbe “il rischio crollo dovuto al collasso dei piani di fondazione”.

Giudice e procura irpina guidata da Rosario Cantelmo tornano così a bacchettare l’azienda controllata dai Benetton e il suo “atteggiamento poco costruttivo e fuorviante alle richieste del ministero delle Infrastrutture”, con cui si continua a rallentare l’avvio dei lavori di risoluzione delle criticità, come scrive in un rapporto l’ingegnere Placido Migliorino, direttore dell’Ufficio Ispettivo territoriale del Mit, vigilante sulle concessioni autostradali.

Il tutto si evince dal fitto e quasi quotidiano carteggio tra i magistrati avellinesi e gli avvocati di Aspi, tornati alla carica per chiedere la revoca del sequestro delle barriere bordo ponte (con chiusura di una corsia e cantierizzazione dei lavori di sostituzione dei new jersey non a norma) e del divieto di transito dei mezzi pesanti sul Cerrano.

È bene precisare, e sottolineare, che il viadotto non rischia di crollare da un momento all’altro, infatti è rimasto aperto al transito delle auto. La critica del giudice riguarda la procedura interna di valutazione del rischio adottata da Aspi per monitorare la situazione. Riguarda il complesso di attività compiute attraverso strumentazioni sofisticate (estensometri, inclinometri) per tenere sotto controllo la tenuta infrastrutturale dell’opera. Le sue cosiddette “soglie di allerta”, che se superate, ne imporrebbero la chiusura.

Forti dei rassicuranti esiti dell’analisi del 60% dei campioni di saldature del viadotto “risultati in buone condizioni”, Aspi era convinta di ottenere il via libera. È arrivato invece l’ennesimo stop, perché prima bisognerebbe installare strumentazione che monitori i pali di sottofondazione e gli effetti che la frana sta producendo. Questo però richiederebbe scavi molto profondi e dai tempi non brevi. Il giudice auspica che “finalmente Aspi si attenga” agli input del Mit. Finora non lo ha fatto.

Soldi all’associazione di Toti: alert di Bankitalia in Procura

Finanziamenti per 200 mila euro destinati all’associazione Change di Giovanni Toti. Somme finite, in alcuni casi, su conti personali del Governatore ligure con la causale “spese politiche”. L’Unità di Informazione Finanziaria di Bankitalia ha aperto un fascicolo trasmesso alla Procura di Genova (non ci sono indagati).

I movimenti risalgono al 2019. Un primo filone riguarderebbe finanziamenti per circa 200 mila euro provenienti da tre società: Moby, che fa capo a Vincenzo Onorato, Diaspa e Innovatec. Ci sono poi circa 10 mila euro che dall’associazione Change sarebbero passati al Comitato della galassia Toti. Niente di illecito, fino a prova contraria. Nel 2018 L’Espresso aveva pubblicato un’inchiesta sui finanziamenti a Change (si parlerebbe quindi di altre somme di denaro): “Dei 792 mila euro raccolti… almeno 173 mila euro sono approdati sui conti personali di Toti… poco meno di 30 mila euro usati in un anno e due mesi per dormire nel lussuoso hotel Valadier, un quattro stelle nel centro di Roma. E poi ristoranti tra Forte dei Marmi e Saint Tropez, alberghi, spese da Prada, l’affitto di una casa a Genova, il mutuo”.

In base alla nuova legge oggi i nomi sono visibili sul sito. Ma in passato l’identità era stata taciuta perché, si diceva, occorreva il consenso degli interessati. Era stato L’Espresso a rivelare nomi e somme. Figuravano tra l’altro 35 mila euro del gruppo Gavio, colosso delle concessioni autostradali come la A6 (Savona-Torino dove a novembre è crollato un viadotto). Ma i Gavio con le loro società sono attivi anche nel settore portuale dove hanno ottenuto importanti concessioni. “Non stiamo affermando – attaccarono i Cinque Stelle – che siano stati compiuti illeciti, ma c’è una questione di opportunità. Non è mistero che alla guida del porto, che pur dipende dal ministero, ci siano figure vicine a Toti, come Paolo Emilio Signorini”. Toti negò un ruolo nell’affidamento delle concessioni a Gavio. I nomi dei finanziatori di Toti confermano il radicamento nel mondo dell’imprenditoria, dove il centrodestra ha spazzato via il centrosinistra. Un esempio è Aldo Spinelli, compagno di partite di scopone dell’ex governatore Pd Claudio Burlando, e oggi fan di Toti: dalla Spinelli Srl sono arrivati 15 mila euro per il Comitato Elettorale Giovanni Toti nel 2015 e altri 25 mila euro per Change.

Lo stesso Spinelli, tra le polemiche, nei mesi scorsi si è visto prorogare senza gara la concessione per uno spazio di 14.500 mq in una zona ambitissima del porto. Spinelli è anche socio di Carige e ha sostenuto la lista, poi sconfitta, di Raffaele Mincione. Con loro anche il finanziere Gabriele Volpi e il suo braccio destro Gianpiero Fiorani. Altri 10mila euro per Change sono arrivati dalla Gip spa, il Gruppo di Investimento Portuali (tra gli azionisti la famiglia Schenone, storici imprenditori marittimi), che da anni gestisce il colossale terminal Sech. Gip e il gigante Mcs (che fa capo agli armatori svizzero-partenopei Aponte con cui Toti ha ottimi rapporti) hanno ufficializzato un investimento da 150 milioni per una concessione di trent’anni. Tra i finanziatori anche la Pessina costruzioni: 10 mila euro. Gli ex padroni dell’Unità in Liguria hanno in ballo un progetto da decine di milioni: l’ospedale di La Spezia contro il quale si era scagliato Toti quando era candidato.

Ma i fondi dell’associazione non sono serviti soltanto per Toti. Circa 102 mila euro sono andati a sostegno di Marco Bucci, sindaco di Genova; 67 mila euro avrebbero puntellato la campagna elettorale di Pierluigi Peracchini, primo cittadino di La Spezia, e 5mila sono andati a Ilaria Caprioglio, sindaca di Savona.

Sentito dai cronisti Toti spiega: “I controlli di Bankitalia sono normali. Tutti i bonifici sono registrati e regolari”. Ci sono anche finanziamenti di Moby che opera nel porto di Genova? “Sì, ma l’attività di Moby non è soggetta a concessioni della Regione”. E quei 173mila destinati ai suoi conti privati dove compaiono anche spese per alberghi e cene? “Sono intestati a me, ma le spese sono relative all’attività politica. Le mie spese personali sono su un mio conto privato”. Change ha finanziato anche Bucci e altri sindaci? “Sì, tutto regolare e alla luce del sole”.

La favola di Craxi in onda su Rai1 con figlia e Balivo

“Oggi è la giornata degli abbracci, Craxi ti ha abbracciato mai forte forte?”, dice Caterina Balivo in un programma di Rai1 del pomeriggio che si intitola Vieni da me, come se Craxi fosse un attore americano che l’impegno a Hollywood nel ruolo dei cattivi rende impenetrabile, un Al Pacino nei panni diabolici dell’avvocato John Milton oppure un calciatore che esulta col dito medio. Pure Stefania Craxi, scambiata forse per Romina Power o per Belen Rodriguez, ha patito un momento di smarrimento. E per fortuna che ieri era soltanto la giornata degli abbracci.

Vent’anni dopo la morte di Craxi, un ventenne, che aveva lasciato acceso per pigrizia il televisore su Rai1, si è ritrovato dinanzi a un racconto misterioso. Stefania viene presentata da Balivo come la figlia di un tale Bettino Craxi che lei chiama Craxi e non papà e neppure papà Bettino e il tale Bettino Craxi ha scritto un libro, anzi un libro giallo, non di colore giallo, ma di genere giallo. Il libro giallo è ambientato ad Hammamet, infatti in copertina hanno stampato Parigi sopra e Hammamet sotto, ma Balivo non spiega perché il signor Bettino ha scelto Hammamet, in compenso rivela che l’ha letto, il libro giallo, di ritorno da Parigi.

E male non fa. Per distrazione, ancora scossa dall’avvincente libro giallo e dalle turbolenze nei cieli di Francia, Balivo non precisa una cosa che in Italia, non in Francia, è meglio non precisare mai e cioè che Vieni da me di Rai1 è un prodotto esterno, di una società di nome Magnolia che ha per amministratore delegato Paolo Bassetti, il cognato di Stefania Craxi, e che fa parte del gruppo Banijay, a sua volta con al vertice un Bassetti, il più grande Marco, marito di Stefania Craxi. Per tornare all’intervista, scusate la volgarità, Balivo riprende a esaminare le controversie storiche e l’indubbio valore politico di tale Bettino Craxi con una domanda imbarazzante: “Tuo padre ti faceva arrabbiare?”.

Stefania è lì seduta, davanti a un tavolino Ikea con i fazzoletti per le lacrime in orrenda ostensione, s’immagina non per fare una caricatura compassionevole del padre, un socialista che a un congresso accolse il comunista Enrico Berlinguer con la famosa frase “non mi unisco ai vostri fischi solo perché non so fischiare”, ma per parlare di Craxi oltre Tangentopoli, le condanne giudiziarie, le sentenze definitive.

Allora ogni tanto, con Balivo che trasecola, cita la parola vietata: Tangentopoli. “Lui diceva che non dovevi piangere perché sei una Craxi. Lui piangeva?”, chiede con coraggio garibaldino Balivo. E Stefania: “Io l’ho visto piangere per i tanti suicidi di Tangentopoli, per i compagni che morivano, per Pietro Nenni”. Il ventenne, se ancora non ha cambiato canale, si sarà chiesto: che roba pesante è Tangentopoli?. Non lo saprà mai. “Ti ha mai detto cosa pensava di te?”, insiste Balivo, mentre Stefania menziona Ronald Reagan e Margaret Thatcher, comunica che Bettino Craxi fu presidente del Consiglio, poi torna su Reagan e non cade nell’iconica vicenda di Sigonella, che ha una dignità storica, ma per stupire il pubblico afferma che Reagan si divertiva con le barzellette e gli italiani hanno deriso il barzellettiere Berlusconi.

Nel Craxi di Balivo c’è un nonno che mette a letto i nipotini, che ha il tempo, aggiunge meravigliata, di mettere a letto i nipotini, c’è un uomo che ha vissuto un esilio non dorato, che non ha lasciato più l’esilio non dorato in Tunisia, che conservava tanti scatoloni belli con tante fotografie belle. E un giorno morì, più o meno oggi vent’anni fa. Così finisce una mezz’ora delirante di televisione che non fa onore né ai meriti né alle colpe di Bettino Craxi. Però Balivo ha un ultimo dubbio: “Non hai mai detto da ragazzina vorrei un papà normale?”. E no, lavorava a Hollywood.

“Tony & Tina Show”: al confronto, le nozze trash erano molto sobrie

Selvaggia Lucarelli
Se la celebrazione televisiva del matrimonio kitsch tra Tina Rispoli, vedova del boss Gaetano Marino e del cantante neomelodico Tony Colombo ci era sembrata agghiacciante, è perché non avevamo ancora ascoltato i due neo-sposi difendersi in tv. In effetti, dopo averli visti domenica sera a Non è l’arena mentre convincevano il pubblico di essere due persone perbene, i giocolieri e le carrozze del loro matrimonio sono diventati la parte sobria della vicenda.
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Tony Colombo, codino anni 80, orologio d’oro, sopracciglia ad ali di gabbiano e camicia animalier quella sì da 41 bis sulla fiducia, si è presentato in studio col piglio strafottente di chi è stato ingiustamente scomodato mentre faceva tutt’altro: bisogna parlare del “mio personaggio” e della “mia arte” perché “Io sono solo solito A FARE dei video d’amore”.

La moglie Tina Rispoli, con due strati di fondotinta talmente spessi da poterci nascondere un pentito come in un pilone di cemento armato, era invece molto offesa perché incensurata e stupita che si possa tacciarla di omertà. In effetti la loro difesa è stata così persuasiva che vale la pena farne un sunto.

Intanto, quando a Colombo è stato fatto notare che ha cantato per camorristi di ogni fattura, ha chiarito “non si sa mai se uno è malavitoso, noi lo scopriamo dopo dai giornali, questo mondo naviga sott’acqua, non ti fa mai sapere chi comanda!”. E certo. Del resto le famiglie reggenti a Napoli si sono sempre chiamate non con i cognomi, ma con i nomi dei Pokemon. Notoriamente i Di Lauro, per dire, si facevano chiamare famiglia Goku. Quando qualcuno fa timidamente notare che i nomi dei boss di zona di solito li conoscono tutti, Colombo risponde sarcastico: “Beh, da Cutolo non sono mai andato a cantare!”. Sarebbe stato difficile visto che Cutolo è in carcere da 40 anni, altrimenti chissà, magari una cantatina per l’onomastico ci scappava.

Il direttore di Fanpage.it Francesco Piccinini, quando il neomelodico gli ha permesso di pronunciare due sillabe senza parlargli sopra, gli ha fatto notare che durante il flash-mob per il loro matrimonio in piazza Plebiscito, è entrata una limousine Hammer senza permesso in area pedonale. La risposta di Colombo è stata “Non c’è bisogno di permesso per fare entrare l’Hammer in piazza Plebiscito, lei è arrogante!”. Dunque da domani possiamo organizzare gare di go-kart in piazza Plebiscito, me lo segno.

Ma non è neppure qui che Tony Colombo ci convince definitivamente. Lo fa in maniera netta quando afferma che andava a cantare nelle Case Celesti, una delle più famose piazze di spaccio nonché roccaforte del clan Marino di cui era boss l’ex marito di sua moglie Tina, senza sapere nulla di quel luogo. “Ogni zona di Napoli dicono che ci sono persone che la comandano, io non faccio il giornalista, che ne so! Non sono problemi miei! Lei il tesserino da giornalista lo deve bruciare, lei vede troppo Gomorra vede Netflìx, lei e Saviano!”, urla Colombo a Piccinini. Dunque per Colombo le Case Celesti sono al massimo il villaggio dei Puffi e i giornalisti, a furia di vedere Netflìx con l’accento sulla i, si convincono pure che esista la camorra.

Il povero Piccinini lo invita a rispettare Saviano che vive sotto scorta da anni e Colombo: “Ha fatto delle scelte e ora vive sotto scorta! Ha fatto i libri, ha fatto i miliardi, ha fatto i soldi!”. Insomma, la scorta è una scelta. Tipo decidere di vivere al mare o di portare le basette sfumate.

Poi entra sua moglie, la vedova del boss Marino Tina Rispoli e in effetti lei è di un’onestà intellettuale perfino superiore a quella di Colombo. Lei sì che ci toglie ogni dubbio sul fatto che abbia una mentalità omertosa. Io dopo Non è l’Arena le darei il premio Giancarlo Siani. La premessa è che lei è molto felice perché è la moglie di Colombo e sognava di diventare famosa “fin da quando era piccolina”. Ci sarebbe il piccolo particolare che lei è sposata con Colombo ed è diventata famosa perché la camorra ha giustiziato il suo ex marito ma sorvoliamo.

Ci tiene a dire che suo marito non era un boss, che lei stava sempre in casa, non si è mai accorta di nulla, che suo marito viveva con i 1.000 euro al mese di pensione. Mentre sta per aggiungere che una volta ha dato i croccantini del gatto a un unicorno, qualcuno le fa notare che ha vari immobili intestati e che non è credibile, dunque lei spiega con argomenti granitici il suo benessere economico: “Io nel 2003 ho fatto una vincita al lotto molto importante, documentata!”. Quindi il boss Marino e sua moglie erano ricchi grazie a un biglietto vincente della lotteria.

Nessuno replica che per carità, sarà anche vero, ma vedi il caso, la mafia ricicla da sempre il denaro sporco attraverso vincite alla lotteria. È ben spiegato in un’inchiesta de L’Espresso, in un libro sulla vera storia di Scarface e nel libro L’ultima scommessa: “La mafia si compra i biglietti vincenti di lotterie. Ha i suoi informatori nelle rivendite. Contatta il vincitore di un milione di euro e gli offre un milione e 200 mila, così ha soldi puliti”.

Ma Tina convince definitivamente tutti quando commenta l’omicidio di suo marito, ucciso in un agguato con 11 colpi di pistola, affermando “Si muore anche per sbaglio eh”. O quando dice: “Saviano è una persona malata ragazzi, questo è un pazzo, questo è un depresso, non fa altro che raccontare le stesse cose dal 2004, non ce la facciamo più a sopportarlo, abbiamo capitoooooo!”.

E Colombo ci convince quando aggiunge che i camorristi erano al suo matrimonio, ma da imbucati, che la moglie non ha mai saputo che il marito era un boss perchè le donne del sud vivono tutte così chiuse in casa e alcune manco si fanno la tinta ai capelli, che i problemi a Napoli sono altri, tipo “i bambini vanno a scuola col giubbotto perché in aula non ci sono i riscaldamenti!”. Della serie: il problema a Palermo è il traffico (cit.). Quando urla che Barbara D’Urso è una grande giornalista, l’ha aiutato tanto, “Io la voglio bene!”.

Convince tutti, infine, Tina, quando chiude in bellezza, ricordando che ora è una donna di spettacolo ed è felice.

Che poi è l’unico momento di sincerità della serata. È una donna di spettacolo. Solo che lo spettacolo è aberrante.

Il dott. Nicastri: “Senza vaccini né cure. Usate precauzioni”

“Mi preme che gli italiani sappiano che per il nuovo coronavirus, parente di Sars e Mers, non vi sono né cure né vaccini, pertanto è necessario che chi andrà a Wuhan, la città cinese dove questo virus ha fatto il salto di specie all’uomo, indossi una mascherina nei luoghi chiusi affollati e si disinfetti spesso le mani con i preparati da tasca venduti nelle farmacie”, spiega Emanuele Nicastri, primario del reparto malattie infettive ad alta intensità di cura dell’ospedale Spallanzani di Roma, uno dei centri raccomandati dal Ministero della Salute ricevere diagnosi sicura e i trattamenti disponibili.

Dottor Nicastri come vengono trattati i pazienti che hanno contratto il virus?

Essendo un virus, la polmonite che potrebbe svilupparsi dopo il contagio non è curabile con gli antibiotici. Ciò che utilizziamo sono farmaci antipiretici per abbassare la febbre e soluzioni elettrolitiche per idratare. Possiamo cioè tentare di tenere sotto controllo i sintomi ma non offrire una guarigione farmacologica. Di fatto si utilizzano gli stessi trattamenti impiegati per l’influenza.

Alcune persone contagiate sono morte ma la maggior parte è guarita. Perché?

Il virus può essere letale per coloro che hanno malattie croniche dell’apparato respiratorio, insufficienza renale o per gli immunodepressi. Gli anziani sono più a rischio perché il loro sistema immunitario spesso è indebolito.

Quando è opportuno allarmarsi e cosa bisogna fare in caso di sintomi riconducibili a questo nuovo coronavirus ?

Se ci si è recati nella zona dell’epicentro o si è venuti a stretto contatto con una persona che vi è stata recentemente, bisogna telefonare a un ospedale che abbia il reparto di infettivologia esponendo il problema. È meglio non presentarsi al pronto soccorso per non contagiare altre persone.

Coronavirus, la Cina riscopre la trasparenza “a orologeria”

A quasi un mese dal caso zero, 291 contagiati, 6 morti e casi di infezione in altri paesi – Thailandia, Giappone, Corea del Sud, Australia, Hong Kong e Taiwan e ultimo il malato di Washington, Stati Uniti, il coronavirus partito il 31 dicembre a Wuahan, prima di allarmare il mondo, aveva già destato forti preoccupazioni ad Hong Kong. Era il 5 gennaio, da poco le autorità avevano superato il grande Capodanno di proteste anti-cinesi che aveva portato in piazza un milione di persone, quando Abc news titolava “Hong Kong intensifica la risposta alle malattie misteriose dalla Cina”. Si parlava dell’attivazione, da parte del sistema sanitario dell’ex colonia britannica di un livello di “risposta seria”, mentre si diffondeva la paura che riportava alla memoria i contagi della Sars, dell’aviaria e dell’influenza suina.

I casi accertati di virus “misterioso” erano tre: due donne e un uomo che avevano viaggiato a Wuhan e avevano avuto febbre, infezione respiratoria o sintomi di polmonite. La leader contestatissima, Carrie Lam, abbandonata la guerra ai manifestanti, visitava stazioni ferroviarie per rivedere le misure di prevenzione sanitaria, esortando i viaggiatori che avessero sviluppato sintomi respiratori a indossare mascherine, consultare il proprio medico indicargli i propri spostamenti. “La maggior parte dei casi è stata rintracciata nel mercato alimentare della città del pesce della Cina meridionale nella periferia del tentacolare Wuhan, dove si dice che le offerte includano animali selvatici che possono trasportare virus pericolosi per l’uomo”, riportavano i quotidiani. “La commissione ha dichiarato che il mercato è stato disinfettato”, concludevano. Una solerzia che nei commentatori internazionali che seguivano le agitazioni hongkonghesi aveva destato il sospetto di voler spostare l’attenzione dai problemi politici a un’allerta sanitaria che in altri casi – ricordavano – era al contrario stata tenuta bassa proprio dalla comunicazione governativa.

Un mese dopo, individuata la malattia “misteriosa” a mostrarsi a volto scoperto al mondo è la Cina, che per la prima volta, dopo il 2003, non si fa trovare impreparata. E, soprattutto, collabora da subito con l’Organizzazione mondiale della sanità, dove oggi arriverà la delegazione cinese e si valuteranno i dati del coronarovirus. “Non sottovalutate i sintomi”, esortano i leader politici cinesi, affinché fin dal primo dubbio di un possibile contagio, ci si rechi dal medico. “Non tacete sulle condizioni dei pazienti”, è l’appello che gli stessi lanciano ai dottori. “Si tratta di fermare l’epidemia perché non si trasformi in pandemia”, avvertono. “Stiamo facendo le cose giuste, nel modo giusto e al tempo giusto. Anche perché rispetto alla Sars le autorità cinesi sono state più tempestive e anche più sincere nel comunicare questo allarme”, riconosce anche il professor Walter Ricciardi, già presidente dell’Istituto Superiore di Sanità e presidente del “Mission Board for Cancer” della Commissione europea.

Mentre il Centro europeo per il Controllo delle Malattie (Ecdc) ha alzato a moderato da basso il rischio che si verifichino in Europa casi del coronavirus cinese. Il Centro ricorda come “la fonte dell’infezione sia sconosciuta, e potrebbe essere ancora attiva, mentre la trasmissione da uomo a uomo è stata confermata, ma servono più informazioni per valutarne la piena portata. Tutto questo, mentre a Wahuan, dove tutto è partito, è stato aperto il centro per il coordinamento, il controllo e il trattamento dell’epidemia (2019-nCoV).

La struttura, guidata dal sindaco, Zhou Xianwang, supervisiona anche la circolazione degli animali selvatici, la chiusura dei mercati correlati e controlli della temperatura corporea delle persone negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie e nei porti. Il quartier generale ha poi il compito di divulgare le ultime informazioni sul virus. Al contempo sono state prese strette misure di sicurezza, anche in vista dei festeggiamenti del Capodanno cinese che cade il 25 febbraio e che attira turisti da ogni latitudine. Tutta un’altra storia rispetto alle epidemie precedenti, sottolineata anche da Xi JinPing: “È assolutamente cruciale fare un buon lavoro di prevenzione e controllo epidemiologico, la sicurezza e la salute della popolazione sono la priorità massima”, ha fatto sapere il presidente che ha richiamato i funzionari alla “massima trasparenza”. La stessa a cui si era già appellato per la Via della Seta, appunto.

Greta a Trump “La casa brucia e la colpa è solo vostra”

Meglio Greta che Nancy. E così Donald Trump vola a Davos nel giorno in cui a Washington si apre il dibattimento del processo d’impeachment: preferisce affrontare l’adolescente che anima la rivolta dei giovani contro il riscaldamento globale, piuttosto che la quasi ottuagenaria che gli orchestra contro la guerra in Congresso. Al Forum economico mondiale, il magnate presidente non trova il clima ideale – e non è un gioco di parole –: le preoccupazioni per le disuguaglianze crescenti, in un pianeta dove poco più di 2mila ‘paperoni’ detengono la stessa ricchezza di quattro miliardi di ‘paperini’, travalicano le spacconate di Trump sui successi delle sue politiche economiche e commerciali. Greta Thunberg, che è influenzata e che non ha sempre un’aria da fanciulla, dice: “La nostra casa è ancora in fiamme e la vostra inazione le alimenta … Mi chiedo come spiegherete ai vostri figli di averli costretti a fronteggiare il caos climatico che voi avete provocato. La mia generazione non vi lascerà fare senza lottare. Chiediamo a tutti i partecipanti del Forum, società, banche, istituzioni, governi, di fermare subito la metà degli investimenti nell’esplorazione ed estrazione di combustibili fossili e di disinvestire subito dai carburanti fossili”.

Da ostinato negazionista, Trump l’ha trattata da “profeta di sventure”, sostenendo che “non è l’ora del pessimismo sul clima”. Con estro buonista, ha annunciato che gli Usa partecipano all’iniziativa “Un miliardo di alberi contro il cambiamento climatico”, Plant-for-the-Planet. A dargli man forte, c’è il Brasile di Messias Bolsonaro, secondo cui “la povertà è il nemico dell’ambiente”.

Bibi cerca sponda nei leader mondiali

Oltre 40 leader mondiali arrivano oggi in Israele per partecipare al Quinto Forum mondiale sull’Olocausto, in occasione del 75° anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. “Ricordando l’Olocausto, combattere l’antisemitismo” è il titolo del meeting di quest’anno, che si terrà domani allo Yad Vashem, il Memoriale dell’Olocausto a Gerusalemme. Le cerimonie iniziano stasera con una cena ufficiale nella residenza del presidente Reuven Rivlin.

Tra i leader mondiali attesi il presidente russo Vladimir Putin e quello francese Emmanuel Macron, il vicepresidente americano Mike Pence. Ci saranno tutti i leader dell’Unione Europea, così come il Principe Carlo e molti altri capi di Stato, compreso Sergio Mattarella. É il maggiore evento politico e diplomatico in Israele dai funerali di Yitzhak Rabin e Shimon Peres. Molti gli incontri bilaterali a margine delle celebrazioni e si prevede che il primo ministro Benjamin Netanyahu cercherà di sfruttare la presenza di decine di leader mondiali per trovare sostegno agli sforzi di Israele per impedire alla Corte Penale Internazionale di indagare sui suoi presunti crimini di guerra contro i palestinesi in Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme Est. Il premier – come fa capire il suo staff – vorrà discutere anche della minaccia regionale rappresentata dall’Iran.

Netanyahu vorrebbe chiedere ai leader che incontrerà – Pence, Putin, Macron e altri – di rilasciare dichiarazioni ufficiali a sostegno della pretesa israeliana secondo cui il tribunale de L’Aia non ha giurisdizione nei Territori palestinesi occupati. Negli ultimi mesi, Israele ha condotto una campagna per ottenere il sostegno politico per la sua posizione.

Netanyahu ha contattato diversi leader mondiali, ma solo pochi hanno accettato la sua richiesta. La posizione ufficiale israeliana è che i palestinesi non possono essere considerati residenti di uno Stato sovrano, e quindi non sono sotto la competenza della Corte Penale Internazionale.

Nelle visite e incontri di rito non è coinvolto solo il versante israeliano, ma anche quello palestinese. Putin ha in programma un incontro con il presidente Abu Mazen domani a Betlemme, dove visiterà anche la Basilica della Natività. L’Autorità nazionale palestinese (Anp) spera che l’incontro serva a rafforzare le relazioni bilaterali con la Russia. Anche Macron e il principe Carlo hanno in programma meeting a Ramallah.

Il presidente Putin, Macron, Carlo d’Inghilterra e Pence – in rappresentanza delle potenze Alleate nella Seconda Guerra Mondiale – saranno i principali oratori del Forum, oltre al presidente tedesco Frank Walter Steinmeier, il presidente israeliano Reuven Rivlin e Netanyahu.

Non ci sarà invece il presidente polacco Andrzej Duda che alla fine ha declinato in polemica con il fatto che non sia stato previsto un suo intervento. Al suo posto l’ambasciatore di Varsavia in Israele. Il 27 gennaio, per il Giorno della Memoria, Rivlin volerà invece in Polonia ad Auschwitz.