Il campione olimpico Marcell Jacobs ha lasciato la Doom, l’agenzia di comunicazione che curava la sua immagine, di proprietà di Fedez e gestita dalla madre di quest’ultimo, Anna Maria Berrinzaghi. La notizia è stata data dal Sole 24 Ore secondo cui l’atleta, insoddisfatto del lavoro di promozione della Doom, avrebbe firmato un accordo con l’agenzia londinese Nexthing. Una faccenda che potrebbe dar vita a una battaglia legale fra le due parti: lo staff di Jacobs afferma della presenza di un solo accordo verbale, stralciato per giusta causa; Doom ha invece detto che la condotta dell’atleta “è priva di alcun fondamento e quindi illegittima”. Per questo l’agenzia di proprietà di Fedez ha confermato di aver fatto ricorso al Tribunale di Milano per accertare l’inadempimento di Jacobs.
Dal rap alle rapine: arrestati i trapper Baby Gang, Neima Ezza e un diciottenne
Due rapper milanesi di vent’anni, Zaccaria Mouhub, in arte Baby Gang, e Amine Ez Zaaraoui, noto come Neima Ezza, sono stati arrestati insieme a un terzo 18enne, Samuel Matheew Samy Dhahri, anche lui nella rap – trap. Secondo l’accusa avrebbero commesso quattro rapine ai danni di altri ragazzi alle Colonne di San Lorenzo, cuore della movida milanese, e a Vignate, facendosi consegnare denaro, gioielli e un’auto. I fatti sono avvenuti il 22 e 23 maggio e il 4 giugno ai danni di quattro giovani alle Colonne di San Lorenzo, e a Vignate, il 12 luglio, quando Mouhub minacciò un automobilista con una pistola, mentre i complici si facevano consegnare gli auricolari Air Pods, 130 euro e le chiavi dell’auto. Si cercano eventuali complici. I magistrati valutano il coinvolgimento dei rapper e del loro gruppo in altri episodi. Mouhub (finito in carcere), Ez Zaaraoui e Dhahri (ai domiciliari) sono considerati pericolosi. Baby Gang, seguitissimo, è già stato al centro delle cronache: la Questura di Sondrio ne ha previsto la sorveglianza speciale per 2 anni.
Dall’Albania a Roma, l’amica dell’ex premier tra moda e B&B
“We love”. Che sia “Colosseo”, “Vaticano” o solo “Rome”. È questo il branddi b&b che Julinda Llupo e il suo compagno Edoardo Lofoco portano avanti da alcuni anni. Anche, secondo gli ispettori di Bankitalia, usufruendo di 67 mila euro provenienti dai conti dell’ex premier Silvio Berlusconi. Lofoco, con la sua Asstri, ha cercato di affermarsi anche come sindacalista. “Eppure agli incontri istituzionali non l’ho mai visto”, dice Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Roma. “Ogni tanto vengono a controllare la situazione”, racconta una donna che abita a piazza Cavour 3, dove il ‘We Love Rome Guest House’ è dirimpettaio del commissariato di polizia Borgo. “Con il Covid sembrava fossero sul punto di chiudere – dice un’altra vicina – poi si mormora che fossero andati a chiedere i soldi a Berlusconi, ma è solo una chiacchiera di vicinato…”, afferma, assicurando di non aver letto alcun articolo prima delle nostre domande. A pochi metri di distanza, in via Germanico, insiste il “We Love Vaticano”, il b&b che Llupo e Lofoco gestiscono in un appartamento di proprietà del giudice di Cassazione, Cosimo D’Arrigo. “Lo hanno ristrutturato per intero, sono ragazzi che si danno da fare”, dice al telefono una zia di Lofoco. Al citofono non risponde nessuno.
Lofoco nel 2021 si era candidato a consigliere della sua città, Sezze Romano (Latina), con una lista civica di centrodestra, escluso in extremis per “un errore di gioventù, ma lo hanno voluto fare fuori”, dice la zia. Julinda invece è nata a Tirana e cresciuta a Riano, comune a nord di Roma. La coppia, con tre figli, viveva lì fino allo scorso anno. Qui la ragazza è molto conosciuta. Una coetanea, al bar, racconta che, in passato, avesse tentato la carriera di modella e che fosse molto amica di Valentina Costanzo, l’ex concorrente del Grande Fratello il cui nome finì (mai indagata) nelle carte del caso Ruby. Ma, se fosse vero, potrebbe comunque essere una coincidenza. Contattati al telefono dal Fatto, sia Llupo sia Lofoco non hanno rilasciato dichiarazioni.
B., nel mirino i soldi ai una donna e al cugino
È passata per le mani della Guardia di Finanza la segnalazione per operazioni sospette (Sos) sul denaro partito dai conti di Silvio Berlusconi e indirizzato in un caso a una giovane donna titolare di una società di affittacamere, in un altro al cugino residente in Svizzera. La Sos è stata trasmessa dal Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza ai colleghi di Milano a dicembre 2020 e poi da questi, a marzo 2021, inviata in Procura. Qui quel documento è confluito in un procedimento aperto nel lontano 2018, di cui non si sa nulla: non riguarda Berlusconi e nessuno degli altri citati in questo articolo, la vicenda molto probabilmente è stata ritenuta priva di rilevanza penale.
Ciò che emerge da questa storia è però quantomeno un Silvio Berlusconi generoso. Ancora una volta con una donna. Si tratta di Julinda Llupo, nata a Tirana nel 1987, che nel 2020 ha ricevuto dal leader di Forza Italia 67.500 euro. Llupo è socia unica della L3l-Co srls, azienda romana di “affittacamere”, in passato è stata titolare anche di un’altra azienda (“Rome by cycle”) che noleggiava bici e scooter. Come ricostruito dagli ispettori di Bankitalia – la Sos è stata rivelata dal Domani – tra il 27 febbraio 2020 e il 9 ottobre 2020 sul conto corrente di Llupo sono stati accreditati da Berlusconi “otto bonifici per complessivi 62.500 euro”, con causale “riconducibile a prestiti o regali”. Poi ci sono altri due bonifici, uno del 5 novembre 2020, l’altro del 4 dicembre dello stesso anno, “per complessivi 5mila euro” e con “causali riconducibili a prestiti”. Totale: 67.500 euro.
Gli ispettori ricostruiscono anche come il denaro sia stato poi impiegato dalla 34enne. “Tra il 27 febbraio 2020 e il 24 luglio” dello stesso anno 12.850 euro sono stati girati su un conto intestato a Edoardo Maria Lofoco, il compagno, che li ha poi usati “per diverse disposizioni di pagamento” a favore di due società a lui riconducibili.
Il 10 giugno 2020, poi, dal conto dell’imprenditrice albanese è partito un bonifico di 2.500 euro con causale “acconto canone locaz (locazione, ndr) per conto Blu Victory srl”: il beneficiario è un conto cointestato al giudice Cosimo D’Arrigo e alla moglie. D’Arrigo è un giudice di Cassazione che ha fatto parte di un collegio che ha assolto Berlusconi nel processo Mediatrade. La sentenza è del 2012, il pagamento del canone di affitto arriva a D’Arrigo nel 2020.
Sentito dal Fatto il giudice spiega: “Io ho fatto parte di questo collegio che ha confermato la decisione del tribunale di Milano nel 2012. Nel 2018, quindi sei anni dopo, tramite un’agenzia immobiliare entro in contatto con una persona che affitta un mio appartamento per usarlo uso b&b. Questa persona (Lofoco, ndr) è estremamente referenziata, è anche presidente dell’associazione nazionale dei b&b. Stipulo un contratto registrato. Questa società, causa Covid, però non riesce a pagare i canoni e a questo punto chiudiamo il rapporto. A rapporto chiuso ricevo un pagamento parziale dell’importo concordato in sede transattiva, con bonifico tracciabile e causale espressa per conto della Blu Victory srl. Il bonifico mi viene eseguito da tale Julinda Llupo, che io fino a quel momento non conoscevo. Non avrei mai potuto verificare i rapporti tra la compagna dell’affittuario e Berlusconi o anche una qualsiasi delle oltre 2mila persone che ho giudicato in quattro anni di servizio come giudice di Cassazione penale”. Poi il giudice conclude: “Peraltro, ai sensi dell’art. 1180 c.c., non avrei potuto rifiutare un pagamento tracciabile con causale basata su un contratto registrato, sebbene proveniente da soggetto diverso ma per conto del mio debitore”.
Ma torniano a Julinda Llupo. Secondo quanto ricostruito da Domani, che cita una “fonte autorevole del collegio difensivo di Berlusconi”, la 34enne “non fa parte delle ragazze coinvolte nelle vicende giudiziarie del nostro assistito”, ma delle “donne e uomini a cui Berlusconi fa libera beneficenza”. “Julinda – aggiunge la fonte al quotidiano – a noi risulta sia stata aiutata nel corso degli anni, a partire dal 2010, prima ancora della vicenda Ruby. Poi con la pandemia non riusciva a far fronte alla crisi dei Bed &Breakfast, settore in cui aveva provato a cimentarsi e così l’ha aiutata di nuovo per non fallire”.
Quelli a Julinda non sono gli unici bonifici di Berlusconi finiti in una Sos. Sempre nel 2020 il Cavaliere ha versato la somma di 1,1 milioni di euro a Giancarlo Foscale, cugino di secondo grado e storico manager della Fininvest. Bonificati con la causale “prestito infruttifero”, i soldi sono arrivati a Foscale e da qui sono ripartiti per atterrare su quelli di non meglio specificate società della Svizzera, nazione in cui la trasparenza bancaria è notoriamente un optional. In un altro rapporto, a proposito di Foscale, la Uif ricorda: “Il nome del cliente, inoltre, nel 2016 è stato riscontrato negli elenchi del fascicolo Panama Papers”. Foscale, 84 anni, fa parte degli amici storici del leader di Forza Italia fin dai tempi della Edilnord. Insieme a Fedele Confalonieri, Adriano Galliani e Marcello Dell’Utri ha accompagnato Berlusconi per tutta la sua carriera. È stato il primo amministratore delegato della Fininvest, membro del cda del Milan. Condannato insieme a Berlusconi per aver contribuito a versare a Bettino Craxi 23 miliardi di lire dai conti esteri del gruppo, si è si salvato in appello grazie alla prescrizione insieme agli altri imputati. In un altro processo a Milano doveva rispondere, in qualità di manager di vertice della Fininvest, di falso in bilancio per i fondi neri creati dal gruppo usando la società offshore All Iberian. Nel 2005 è stato assolto.
Nel 2016 il nome di Foscale è tornato sulle pagine della cronaca. Dall’inchiesta giornalistica Panama Papers viene fuori che l’ex ad di Fininvest era l’amministratore di una società registrata alle Isole Vergini Britanniche, la Sports Image: una offshore creata dall’ex consulente della Fininvest, David Mills. Oggi Foscale ufficialmente risiede in Canton Ticino. In Italia amministra una società a Milano, la Igi Srl, ma è in Svizzera che è più attivo: controlla due società, l’Immobiliare Dalmore SA e la finanziaria Financial Freedom Sagl. La Svizzera non obbliga le società di capitali a pubblicare i bilanci. La segnalazione della Uif non dice dove sia finito il milione di euro “prestito” di Berlusconi, ma gli ispettori scrivono: “Il cliente (Foscale, ndr) di difficile reperibilità non ha permesso di acquisire informazioni o giustificazioni nell’ambito del processo di adeguata verifica circa l’operatività posta in essere”.
Silvio&il pianista. Le due sentenze si contraddicono
“Èdel tutto evidente che rapporti” economici “con un personaggio come Berlusconi costituiscono un movente più che consistente, quasi scontato, per dichiarare il falso su circostanze quali quelle relative ai rapporti sessuali dallo stesso consumati con giovanissime donne, perciò stesso retribuite, in occasione dei ricevimenti nella villa di Arcore che, oltre a poter avere rilevanza sul piano delle responsabilità penali, avrebbero comunque arrecato, quanto meno, imbarazzo a uno degli uomini più potenti d’Italia”. È questo un brano delle 21 pagine di motivazioni con le quali il 13 maggio 2021 il Tribunale di Siena ha condannato a 2 anni Danilo Mariani, il pianista di Arcore. Accusato di falsa testimonianza, per aver mentito ai giudici di Milano nei processi Ruby-1 (con imputato Silvio Berlusconi) e Ruby-2 (imputati Nicole Minetti, Lele Mora, Emilio Fede).
Alla condanna di Mariani per falsa testimonianza è poi seguita l’assoluzione, sempre a Siena, di Mariani e Berlusconi dall’accusa di corruzione in atti giudiziari. Il 21 ottobre 2021, i giudici hanno infatti stabilito che Mariani mentì, sì, ma non c’è la prova che lo abbia fatto per soldi: “La mendace testimonianza non è affatto univocamente indicativa dell’esistenza di un pregresso e/o successivo accordo corruttivo intercorso tra gli imputati”. È possibile, per la seconda sentenza, che Mariani abbia deposto il falso non “in esecuzione di un patto corruttivo stipulato con Berlusconi, bensì in ragione del legame professionale ed amicale che lo legava, da tempo, a Berlusconi”. Nelle motivazioni della prima sentenza, quella di condanna al solo Mariani, si ripercorre la storia del bunga-bunga, delle feste di Arcore del 2010. Cene eleganti, per Mariani, che nega di aver visto “approcci di natura sessuale tra gli ospiti, o tra le ragazze presenti e Berlusconi”. Idem anche nei “dopocena trascorsi nella saletta del piano seminterrato dell’abitazione di Berlusconi – dotata di palo da lap dance, divanetti e angolo bar”. Mariani “falsamente negava di aver assistito ad accadimenti o approcci di natura sessuale”. Accadimenti e approcci che invece sono stati accertati “con sentenza definitiva, nei riguardi di Fede Emilio, Mora Dario e Minetti Nicole”. E “l’escussione delle molte giovani donne che a quelle serate avevano partecipato ha consentito di appurare, come dato certo ed incontrovertibile, in quanto confermato da plurime e concordi testimonianze, il fatto che in quei convegni effettivamente gli ospiti venivano intrattenuti, mediante balletti sensuali o esplicitamente erotici da parte di ragazze che, all’occasione, si prestavano anche a compiere con il padrone di casa e con gli invitati atti sessuali di varia natura”. Ha detto dunque il falso ai giudici, Mariani, quando il 19 ottobre 2012 ha raccontato che le ragazze “ballavano… c’è sempre un tentativo di mettersi in mostra a una persona magari più importante. Però non sono atteggiamenti che sfociano in sesso”. Con Silvio, al massimo, c’era una “stretta di mano”. Nell’udienza dell’11 gennaio 2013, poi, il pianista giura di non aver visto Nicole Minetti nuda (come invece accertato): “purtroppo”, aggiunge. Quanti soldi passano da Berlusconi a Mariani: 474 mila euro dal 2006 al 2011. Per il pianista, invece, solo “regali ogni tanto”. Poi la sua difesa ammette e spiega: Mariani aveva mentito per il timore di una verifica fiscale. Dunque, secondo i giudici che lo condannano per falsa testimonianza, Mariani ha ricevuto un fiume di soldi e ha “consapevolmente voluto negare circostanze a lui ben note, all’evidente scopo di non pregiudicare il suo rapporto fiduciario con l’ex presidente del Consiglio, la cui conservazione evidentemente valeva ben più della minaccia costituita dalla sanzione penale”. Secondo i giudici che invece lo assolvono insieme a Berlusconi dall’accusa di corruzione, il pianista ha sì mentito, ma non perché corrotto dal fiume di denaro ricevuto dal leader di Forza Italia, ma “per il legame professionale e amicale che lo legava, da tempo, a Berlusconi”: Mariani è un professionista, Berlusconi un amico.
“Ora 1 processo su 3 prescritto, servono giudici”
Due dei sintomi della febbre della giustizia a Napoli. Un processo su tre si prescrive in Corte d’Appello. Alcune misure cautelari vengono disposte dal Gip anche due anni dopo le richieste del pm. “Tempi inaccettabili, un fatto dirompente”, sottolinea sul punto il procuratore generale di Napoli Luigi Riello. Che invoca un numero di Gip “almeno triplicato” rispetto agli attuale 45. Mentre per le prescrizioni a tambur battente “che riguardano soprattutto i reati meno gravi, che però sono quelli che danneggiano in concreto la vita di tante parti lese – ricorda il presidente della Corte d’Appello Giuseppe De Carolis – siamo pure migliorati rispetto all’anno scorso, quando le prescrizioni furono il 40%”.
I dati e le analisi anticipati alla conferenza stampa di presentazione dell’anno giudiziario sono cronici. “Siamo costretti a dire sempre le stesse cose” commenta sconsolato Riello: aumento tendenziale dei reati, cresciuti quasi del 10%, con eccezione dei riciclaggi e delle ricettazioni, un numero di clan e di omicidi “che non c’è da nessuna parte”, affrontato con la sproporzione dei vari organici degli uffici giudiziari: ovvero tanti pm e pochi giudici.
Di qui l’imbuto. E la riforma Cartabia, osservata dalla lente del Palazzo di Giustizia di Napoli, sembra un rimedio peggiore del male. “Non riporta soltanto cose particolarmente negative” dice Riello a margine di una domanda. Una bocciatura elegante, perché segue le parole di De Carolis: “Provate a fare fare 57mila processi in secondo grado in due anni con 39 giudici: già sappiamo che la gran parte di questi processi diventeranno improcedibili”. La famosa tagliola dei due anni.
Non tutto il male viene per nuocere, se le improcedibilità e le prescrizioni, come annota paradossalmente De Carolis, tornano utili “per fare i numeri richiesti dal disposition time del Pnnr. Li ottemperiamo con la giustizia formale, mettendo a posto le carte, con le prescrizioni, ma è una cosa triste”.
Come è triste ricordare che la piaga più importante di Napoli non è il traffico. “Dobbiamo attrezzarci all’assalto della camorra con l’arrivo della torta, i fondi del Pnrr” è l’allarme di Riello. Come affrontarlo? “Distrettualizzando i reati, per avere una cabina di regia ed evitare la polverizzazione tra le varie procure delle indagini sui finanziamenti”.
Cartabia: la relazione “fuffa”, il nulla su Csm ed ergastolo per i boss
È il giorno della solita cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione, quest’anno, però, preceduta dal brivido dell’illegittimità delle nomine dei suoi vertici dichiarata dal Consiglio di Stato una settimana fa e ripristinata ieri dal Csm alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. A larghissima maggioranza sono stati riconfermati il presidente Piero Curzio e la presidente aggiunta Margherita Cassano. Oggi al “Palazzaccio” ci sarà anche la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, che sogna il Quirinale almeno da quando fu nominata presidente della Corte costituzionale.
Arriverà dopo la sua relazione al Parlamento, sullo stato della Giustizia, mercoledì, dove ha portato la riforma penale più criticata dai tempi di Berlusconi e il fallimento della mancata riforma del Csm, che avrebbe voluto far varare al governo prima di Natale, per spendersela anche come biglietto da visita come candidata più che papabile al Quirinale, ma che Mario Draghi, che al Colle vuole andare, ha bloccato a Palazzo Chigi. D’altronde, si ragiona nei palazzi della politica, la riforma è troppo divisiva e ogni voto per il capo dello Stato pesa. Ed è in questo contesto che si comprende perché Cartabia ha messo da parte il suo stile ecumenico e si è tolta, durante la relazione, un sassolino il cui destinatario è Draghi. La ministra ha confermato quanto raccontato nella nostra newsletter Giustizia di Fatto e cioè che la sua riforma è pronta ma bloccata: “Gli emendamenti sono all’attenzione del governo” e lei si impegnerà “al massimo nel sollecitare il governo”. Alla Camera l’ex membro laico del Csm Pierantonio Zanettin, Forza Italia, le dà man forte: “È questione assai grave se, da oltre un mese, questi emendamenti non sono stati esaminati dal Consiglio dei ministri. Credo che qualche spiegazione sia dovuta al Parlamento”. La relazione della ministra è stata approvata da tutti i partiti, con l’eccezione di Fdi e Alternativa C’è (i fuoriusciti M5S). Ed è Andrea Colletti, ex pentastellato, che ha messo il dito nella piaga della improcedibilità penale, in Appello e Cassazione, mentre in primo grado è rimasto il blocco della prescrizione della legge Bonafede. Colletti, riferendosi all’apertura della relazione della ministra, che ha letto la lettera di una madre che ha perso il figlio in un incidente sul lavoro, dice: “Ho ascoltato chiacchiere convincenti, ma chiacchiere da candidata in panchina, magari, alla Presidenza della Repubblica. Lei dovrebbe avere il coraggio di dire a quella madre che qualora il processo d’Appello dovesse durare più di due anni potrebbe essere cancellato dalla sua riforma sulla improcedibilità. Ho difeso (come avvocato, ndr) la famiglia di una neonata morta per malasanità, è arrivata la prescrizione in Appello, ma se ci fosse stata in vigore la Bonafede, il processo sarebbe finito con una condanna, se ci fosse stata in vigore la sua riforma sarebbe stato dichiarato improcedibile”. Colletti ha anche criticato la ministra perché ha citato Falcone e Borsellino per ricordare un’altra riforma che la ministra, assicura, vorrebbe concludere, ed è quella sull’ergastolo ostativo e i benefici per i mafiosi detenuti, obbligata da una sentenza della Corte, che ha dato come scadenza per legiferare maggio 2022. Ma, ha detto Colletti, “il suo sottosegretario ha bloccato i lavori perché non avete ancora a disposizione i pareri”. Ci risulta che ieri era atteso il parere della ministra in commissione Giustizia della Camera, non è ancora pronto e quindi se ne riparlerà dopo il voto per il Quirinale.
Un anno fa, all’inaugurazione c’era Alfonso Bonafede, agli sgoccioli come ministro della Giustizia, perché si stava preparando il “Governo dei Migliori”: il Conte-2, che godeva di larga popolarità, fu fatto cadere e saltò pure la relazione annuale che Bonafede aveva pronta, incentrata grazie al Pnrr sugli investimenti nel settore Giustizia.
Generali, scontro in Consob: verso il sì a Donnet&C.
La guerra per il futuro delle Generali innesca uno scontro alla Consob. L’Autorità di Borsa si prepara a rifilare un dispiacere a Leonardo Del Vecchio e Franco Caltagirone – i due anziani imprenditori che vogliono prendersi il colosso assicurativo – ma è spaccata e ieri la vicenda ha assunto risvolti imbarazzanti.
Il presidente Paolo Savona, via Twitter, ha accusato una parte dell’Autorità di ostacolarlo. “Non sono io a tenere in scacco la Consob, ma è la vecchia Consob a tenere in scacco Savona. È in corso l’eterna lotta tra la conservazione e l’innovazione sui cui si gioca il futuro dell’Italia”, ha scritto l’85enne economista, nel 2018 a un passo dal Tesoro nel Conte 1. Mai si era vista una cosa simile.
Savona ce l’aveva con un articolo del Foglio che lo accusava di non decidere sul dossier. Nei mesi scorsi Caltagirone ha chiesto a Consob di esprimersi sulla possibilità che il cda delle Generali possa proporre una lista per il rinnovo del board, in scadenza ad aprile. La lista prevede la riconferma dell’ad, Philippe Donnet, espressione del primo azionista di Generali, Mediobanca. Caltagirone e Del Vecchio vogliono Donnet fuori e daranno battaglia in assemblea contro Mediobanca.
Consob invece di esprimersi subito ha deciso di avviare una complessa procedura, che comprende la “consultazione del mercato” e ha spaccato il collegio: Savona si è schierato coi commissari Paolo Di Noia (in uscita) e Chiara Mosca contro Giuseppe Maria Berruti e Paolo Ciocca. La stessa maggioranza ha negato l’accesso agli atti chiesto da Caltagirone.
Ora la procedura è finita. il collegio deciderà tra oggi e domani, ma l’orientamento – risulta al Fatto – è di considerare legittima la lista del cda uscente, nonostante Berruti e Ciocca insistano che le norme italiane non la prevedono (e infatti gli uffici dell’Autorità hanno sollevato diversi dubbi). Sono queste le forze della “conservazione” che fermano Savona?
Per ogni euro di ricavi, Ita ne perde 2
Ita, la nuova compagnia aerea pubblica che vola da metà ottobre, è una Croce Rossa di lusso per manager di Stato? L’ipotesi ha preso piede dopo che il Fatto del 15 gennaio ha resi noti i preparativi aziendali per apparecchiare remunerazioni milionarie ai vertici aziendali, compensi “di mercato”, come si suole giustificare in questi casi. Peccato che si tratti di un ordine di grandezza tipico di grandi imprese private che generano utili consistenti e non di neonate imprese pubbliche di medie dimensioni, zavorrate sin dall’inizio da perdite rilevanti e senza apparente rimedio. La seconda notizia che rafforza questa ipotesi era ieri su Repubblica. Il vertice bicefalo dell’azienda, sorto con l’arrivo del presidente Altavilla, verrebbe risolto con un’uscita prematura dell’amministratore delegato Lazzerini, anzi con una buonuscita, ovviamente milionaria, come è prassi in questi casi, ad appena pochi mesi dal primo volo. Sono i primi utilizzi dei risparmi derivanti dai tagli “lacrime e sangue” al costo del lavoro, ottenuti assumendo nella nuova compagnia solo un dipendente su cinque della vecchia Alitalia, con condizioni lavorative peggiorate e salari fortemente ribassati, persino inferiori secondo alcuni sindacati ai vettori low cost.
Quanto sia davvero di mercato questa azienda lo ha rivelato lo stesso Altavilla quando in audizione ha informato i parlamentari dei ricavi e della perdita industriale nei mesi finali del 2021, quando la compagnia ha volato. Peccato che abbia dato i due dati in due sedute diverse (la seconda si è tenuta ieri) e che i parlamentari non ne abbiano tratte le implicazioni. Ieri Altavilla ha dichiarato che l’Ebit è stato negativo per 170 milioni ma “in linea con il piano industriale”, mentre la settimana scorsa aveva indicato i ricavi in 88 milioni. Dunque nei due mesi e mezzo finali del 2021 Ita ha sostenuto 258 milioni di costi industriali, di cui solo 88 recuperati coi ricavi e gli altri 170 perduti. Ogni euro di incassi ne ha avuto 3 di costi e 2 di perdite. Quale altra azienda “di mercato” ha valori simili? L’Alitalia statale dei primi anni 2000, ceduta nel 2008 ai “capitani coraggiosi”, aveva 9 euro di ricavi ogni 10 di costi. L’ultima Alitalia privata, gestita da Etihad e poi dai commissari straordinari, aveva 5 euro di ricavi ogni 6 di costi.
Poiché i passeggeri trasportati da Ita nel 2021 sono stati 1,26 milioni, l’incasso pro capite è stato solo di 61 euro, un valore da vettore low cost medio che non sorprende perché Ita opera quasi solo su rotte nazionali ed europee sulle quali subisce la concorrenza dei low cost e dei prezzi che dettano. I passeggeri non raggiungono gli 80 per volo, metà esatta della capienza media della flotta. Nell’ipotesi di riempire al 100% tutti i voli, i ricavi sarebbero stati doppi a parità di costi e Ita avrebbe recuperato coi ricavi due terzi dei costi sostenuti anziché uno solo, perdendo il terzo residuale. Anche in questo caso puramente teorico, il grado di recupero dei costi sarebbe stato il peggiore tra tutte le Alitalia, pubbliche e private, volate negli anni.
Bastano queste cifre per capire che Ita è un progetto industriale senza senso. Stupisce che i vertici del governo, che hanno notevoli competenze economiche, non lo abbiano ancora compreso.
Elkann e la Confindustria da Draghi: vogliono sussidi
Quando ieri mattina è stato avvistato l’aereo di John Elkann a Roma, è apparso chiaro che si stava per realizzare un incontro di alto livello. Che si è poi materializzato all’ora di pranzo quando l’erede di casa Agnelli, oggi azionista Stellantis dopo che la ex Fiat-Chrysler è stata portata in dote alla francese Peugeot, ha varcato il portone di Palazzo Chigi per incontrarsi con Mario Draghi. Un incontro organizzato chiaramente per invocare aiuto verso l’industria automobilistica, come aveva fatto capire due giorni fa l’intervista al Corriere della Sera dell’amministratore delegato di Stellantis, il portoghese Carlos Tavares, secondo il quale il costo produttivo delle fabbriche in Italia è troppo alto.
Ma l’incontro avviene anche nel momento in cui un “potere” di chiaro rispetto italiano e internazionale, come quello degli Elkann – si ricordi che la finanziaria del gruppo, Exor, è azionista del settimanale The Economist – può essere di aiuto al presidente del Consiglio lanciato nell’operazione Quirinale. Come spiegato nell’articolo di pagina 3, i quotidiani internazionali che contano hanno cambiato atteggiamento rispetto a qualche settimana fa quando, all’unisono, chiedevano a Draghi di restare a Palazzo Chigi. Ora invece sembra che il trasferimento al Colle sia la soluzione più gradita per Financial Times, New York Times, lo stesso Economist e anche poteri più solidi come l’Amministrazione Usa, che ha sottolineato la “grandissima sintonia tra il presidente Joe Biden e il premier Mario Draghi”.
Quindi un incontro alla pari in cui però a bussare quattrini è come al solito l’impresa italiana più sovvenzionata di sempre, capofila di un approccio alla cosa pubblica che è immediatamente imitato dalla stessa Confindustria. Ieri, infatti, anche gli industriali guidati da Carlo Bonomi, si sono confrontati con Draghi per discutere del caro-energia e provare a portare a casa un pacchetto di aiuti pubblici. Che sono probabilmente inevitabili, visto quanto sta accadendo al mercato internazionale energetico, ma che questa volta non vengono sbrigativamente derubricati alla voce “Sussidistan”.
L’incontro con Elkann, hanno riferito in Stellantis, “rientra nell’ambito delle attività di relazioni istituzionali” e anche se non è emerso alcun dettaglio, il quadro è costituito da quanto Tavares ha fatto capire anche ieri. L’ad, infatti, di buon mattino, si è recato a Pratola Serra, in provincia di Avellino, per rassicurare sullo stabilimento e sulla realizzazione del motore Euro 7 diesel “pulito” di ultima generazione, che tra 14-15 mesi sarà pronto per essere montato su auto e veicoli commerciali a marchio Stellantis”. Ma resta l’incognita sulla costruzione a Termoli della gigafactory per la produzione di batterie elettriche a zero emissioni. Tavares non ha confermato il piano rimandando la decisione al termine della negoziazione con il governo. Appunto.
Attorno all’energia ruota anche il confronto con Confindustria, che ieri è andata a chiedere interventi immediati contro il “caro-bollette”. Oggi si terrà il Consiglio dei ministri chiamato a prendere delle decisioni e il governo metterà in campo 4 miliardi di euro in un unico decreto in cui ci sarebbe il rinnovo delle aste delle CO2 e la riduzione degli oneri di sistema attraverso la cartolarizzazione di una parte di essi. La prima misura dovrebbe valere 1,5 miliardi, la seconda 2,5. Gli interventi varranno anche per le imprese. Per i sostegni ai settori in difficoltà verranno stanziati invece circa 1,3 miliardi.
L’incontro “va nella direzione auspicata della maggiore condivisione possibile” e del “coordinamento diretto di Palazzo Chigi”, ha detto ieri Confindustria, che esprime il proprio “apprezzamento” per la convocazione, dopo il tavolo di ieri pomeriggio, al tavolo sui rincari dell’energia organizzato dal ministero dello Sviluppo economico con Giancarlo Giorgetti. Quando si tratta di intervenire sui poveri cristi si chiama “Sussidistan”, quando si tratta di salvare l’industria sono “misure di sistema”.