Tutto ebbe inizio con Michelle. E con quel libro, Michelle Remembers, che l’allora giovane Michelle Smith scrisse, a partire dalla sua storia, con Lawrence Pazder, suo psichiatra (e futuro marito). Novembre 1980. Victoria, Canada. “È come si materializzasse con del vapore… lui mi gira intorno vorticosamente: tutto diventa buio, e io ho paura! Sono terrorizzata!. ‘Tu non appartieni più a me’, mi dice mia madre. ‘You belong to the Devil’”. Nelle oltre 600 ore di sedute tra Michelle e Pazder raccontate nel libro, la donna ricordò, sotto ipnosi, di essere stata molestata dall’età di 5 anni. Strani rituali, orge, coprofagia, omicidi (almeno 6 neonati vittime sacrificali). Il tutto per anni, tra la cantina di casa e il cimitero, per mano di una setta satanica di cui avrebbe fatto parte la madre della giovane. Michelle raccontò anche di essere stata prigioniera, in una sorta di maratona degli orrori, per 81 giorni. Le prove dei racconti di Michelle non esistevano (a casa sua una cantina non c’era; non c’erano denunce di persone scomparse corrispondenti alle sue descrizioni…), ma ci vollero dieci anni, e un’inchiesta del Mail on Sunday, per scoprire che nulla era vero. I rituali descritti? Ispirati al film cult dell’orrore Rosemary’s Baby. Gli 81 giorni di abusi ininterrotti? Michelle risultava presente a scuola.
Questo non bastò a fermare il “contagio”. Spuntarono, dalla metà degli anni 80 in poi, decine e decine di Michelle. Canada, Stati Uniti, Gran Bretagna, Olanda, Nuova Zelanda, Italia. Abusi satanici rituali, abusi sessuali collettivi. Scuole materne. Asili. Intere città. Ma solo in pochissimi casi le accuse si rivelarono fondate.
La tesi del guru
Una delle massime che il fondatore dell’ormai famoso centro Hansel & Gretel, Claudio Foti, ama ripetere è un “prestito”. “Dobbiamo concentrarci sull’ambiente culturale, emotivo, istituzionale che consente la violenza, non sui singoli casi”. I “singoli casi” sono quelli relativi ai singoli preti, e la citazione è di Marty Baron, direttore del Boston Globe che col suo Spotlight scoperchiò lo scandalo della pedofilia nelle Chiesa americana. L’idea di partenza, nel pensiero di Foti, è che “c’è un silenzio opprimente – si legge in una sua prefazione – che impedisce a chi è debole e a chi soffre di parlare e di chiedere aiuto”. Da qui, a tutela dei bambini, il nome della sua associazione “Rompere il silenzio”: con finalità, “il contrasto dell’adulto-centrismo, del negazionismo, della cultura patriarcale”. Per molti, come si è visto, una posizione considerata “progressista”, e in linea con la psicopedagogia contemporanea.
L’idea che si era diffusa molto – come racconta Pablo Trincia nel suo Veleno – era che “quando una persona, specie se minore, viveva un’esperienza traumatica come un abuso sessuale, il suo inconscio espelleva i ricordi, congelandoli in una cassaforte nel cervello”. Solo in seguito, quando la vittima manifestava del malessere all’apparenza inspiegabile, era possibile, tramite un professionista, aprire quella cassaforte per “estrarne il contenuto autentico”. Ma quanto autentico?
Quando gli studiosi di tutto il mondo fecero a gara, a partire dalla fine degli anni 80, per studiare i tanti casi di “falsi abusi sessuali collettivi” (il più celebre rimane quello dell’asilo McMartin, per molti il “caso zero”, il più lungo e costoso processo della storia degli Stati Uniti: 7 anni e 15 milioni di dollari), si trovarono di fronte allo stesso copione. Domande suggestive e inducenti ai minori presunti abusati, “falsi ricordi”, ripetuti interrogatori, “contagio dichiarativo”: tutte tecniche che alteravano, contaminandole, le testimonianze delle presunte vittime, e di conseguenza le investigazioni. Un “metodo” che abbiamo visto ripetersi, a distanza di anni, a Biella, Rignano Flaminio, Milano, Brescia, Vallo della Lucania, Mirandola, Reggio Emilia, Salerno… fino a Bibbiano. E, in tutti questi casi, dietro le perizie, i resoconti delle presunte vittime, gli interrogatori, c’erano Claudio Foti e i suoi associati.
La Carta di Noto
In Italia, la necessità di regolare e arginare queste modalità pericolose con cui spesso sono state – e ancora vengono – condotti i colloqui investigativi su minori si è incarnata nel Protocollo di Venezia (2007) e nella Carta di Noto (2017). Per Claudio Foti e la sua associazione, “un vangelo apocrifo”, “una roba scritta da quattro pedofili”. Inizialmente stilata da avvocati quali Guglielmo Gulotta, e quindi a difesa prima di tutto del presunto abusante, la Carta stabilisce che la tutela del minore passa necessariamente dalla conduzione corretta dei colloqui investigativi.
Lo spiega bene Giuliana Mazzoni nel suo Psicologia delle testimonianza. Le interviste investigative devono essere videoregistrate e con la struttura a imbuto, iniziando con domande aperte e, soltanto quando si è esaurita la possibilità, passando a quelle chiuse; no a domande inducenti e suggestive; chiarire ai bambini che “No” e “Non so” sono ammesse come risposte; non interrompere il minore; non ripetere le domande; non dare feedback.
La teoria del “falso ricordo”
“Un’informazione nuova è in grado di penetrare dentro di noi esattamente come un cavallo di Troia, proprio perché non siamo in grado di capire in che modo ci condiziona”, sostiene Elizabeth Loftus, la prima a parlare dei falsi ricordi. Ma in cosa consiste un falso ricordo? “Un’esperienza mentale – spiega Mazzoni – che presenta dei caratteri definiti: delle emozioni associate e una vividezza immaginifica, come un sogno. Si creano immagini mentali proprie che poi vengono assembliate, ma l’avvenimento non è vero. È così che si forma”.
Michelle aveva quindi mentito o meno? Suo marito e psichiatra Pazder sostenne, a sua difesa, che “qualunque cosa fosse realmente accaduta era meno importante di quello che Michelle credeva fosse successo”. Michelle era sofferente. Possibile che non fosse realmente accaduto quanto da lei raccontato? “È l’effetto nocebo, speculare al più noto placebo. Se un organismo viene trattato come se fosse malato, finisce per comportarsi come tale. Per un essere umano se un fatto è reale, lo è anche nelle sue conseguenze”. E così che da un falso ricordo – stimolato magari involontariamente, magari no, da uno psichiatra o psicologo, da un genitore preoccupato, da un poliziotto che sta indagando – può arrivare a generarsi un fattoide. Come al tempo delle streghe e degli untori. E “le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle”, scriveva Voltaire.