Al Nazareno sono i giorni della grande paura. I sondaggi che circolano nel quartier generale del Pd sul risultato dell’Emilia-Romagna sono preoccupanti. Perché Stefano Bonaccini è ancora sopra Lucia Borgonzoni, ma nel voto di lista la Lega è nettamente avanti. E dunque, l’attuale presidente della Regione può vincere solo se la percentuale del numero dei votanti è alta, e dunque il voto disgiunto ha un peso notevole. Da notare che nel 2014 le Regionali registrarono solo il 44% di affluenza. Ma allora (era il primo anno di Matteo Renzi a Palazzo Chigi) nessuno si sarebbe sognato di considerarlo un test nazionale.
C’è una sola certezza in quel che accadrà lunedì prossimo se la Borgonzoni diventerà governatrice: Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia andranno compatti da Sergio Mattarella a chiedere di andare a votare. Poi, potrebbe esserci una verifica parlamentare.
Per quel che riguarda il Pd, la strategia è meno definita, ma gira comunque intorno a un punto fermo: perso lo zoccolo duro del potere rosso, non ha nessun senso lasciare pure il governo, che sarebbe più o meno l’unica cosa che rimane. Anzi, i dem potrebbero approfittarne per chiedere un rimpasto.
Certo, nella lettura preventiva che si fa al Nazareno, proprio la scelta di dare vita al Conte 2 ha caricato l’Emilia di quel significato che potrebbe portare alla sconfitta. Ma a questo punto, il danno è fatto, meglio evitare danni ulteriori.
Mentre dunque si materializza il fantasma di un vero e proprio incubo, il Pd cerca di elaborare piani. Il primo riguarda il partito: al netto delle sue intenzioni personali, le dimissioni di Nicola Zingaretti non sono all’ordine del giorno. Non fosse altro perché nessuno saprebbe come sostituirlo oggi. E il gruppo dirigente che lo puntella ha tutte le intenzioni di lasciarlo al suo posto, scaricandogli addosso anche tutte le responsabilità di una fase difficile: un po’ perché nessuno ha voglia di gestire la sconfitta; un po’ perché potrebbe essere l’inizio di una slavina che travolge tutto. Ci sono le Regionali di primavera, il congresso annunciato dallo stesso Zingaretti (la minoranza ex renziana di Luca Lotti e Lorenzo Guerini ha tutte le intenzioni di prendersi il partito attraverso un proprio candidato, che allo stato è Giorgio Gori); il governo.
Proprio il governo, in realtà, è al centro dei ragionamenti. Tra gli elementi che hanno complicato la corsa di Bonaccini c’è la scelta dei Cinquestelle di presentare un proprio candidato: non solo i voti mancanti di M5S potrebbero essere determinanti, ma la percentuale che prenderanno sarà centrale negli scenari che si fanno. Se sarà particolarmente bassa, il Pd è pronto ad addossare ai colleghi di governo le colpe principali.
Ha detto ieri a Repubblica Graziano Delrio che non è in dubbio Palazzo Chigi, ma che qualcosa dovrà cambiare. Il Pd è pronto a chiedere un rimpasto, per ottenere più ministri dei Cinque Stelle. Si racconta che lo stesso capogruppo dem e il vicesegretario Andrea Orlando aspirino a un ministero. Si vedrà. Anche perché le valutazioni di Zingaretti & C. contano fino a un certo punto rispetto all’eventuale forza dell’onda verde.