Da inizio anno sono scattati i controlli dell’Inps sui conti correnti bancari, che includono anche la verifica del valore dei saldi e delle giacenze, di chi chiede la certificazione Isee, vale a dire l’indicatore della situazione economica che serve per calcolare quanto pagare la mensa scolastica, le tasse universitarie, gli asili nidi o per accedere al reddito di cittadinanza. In altre parole, dal primo gennaio sia che si presenti una nuova Dsu (la dichiarazione sostitutiva per ottenere l’Isee) o che si modifichi la dichiarazione Isee precompilata – accessibile per la prima volta da quest’anno – subirà “un controllo automatico volto a riscontrare se vi sia corrispondenza tra quanto indicato nella Dsu e quanto risulta nell’archivio stesso”. Il confronto è, quindi, con i dati contenuti nell’Anagrafe dei rapporti finanziari gestita dall’Agenzia delle Entrate. E risulta, ovviamente, ben più ampio di quello eseguito al 31 dicembre 2019, fino a quando l’incrocio si è limitato a evidenziare se i conti correnti dichiarati corrispondevano a quelli presenti nell’archivio. Dal primo gennaio, invece, vengono verificate anche le cifre. Una novità partita un po’ in sordina, dal momento che solo il 13 gennaio l’Inps ha pubblicato sulla propria home page il messaggio n. 96 in cui dà conto dei cambiamenti. Facciamo chiarezza.
L’evoluzione dell’Isee era prevista da una legge del 2017, che rimandava però l’attuazione a un decreto del ministro del Lavoro, da mettere a punto dopo aver sentito Inps, Agenzia delle Entrate e Garante per la privacy. E che fa seguito all’altra più grande rivoluzione del 2015, quando per stanare i furbetti abituati a dichiarare senza scrupoli di non avere conti correnti e depositi bancari pur di ottenere sconti, sono state introdotte regole più stringenti che prevedono che solo una parte delle informazioni sia inserita dal soggetto richiedente. Le altre, cioè i dati anagrafici, reddituali e patrimoniali del nucleo familiare, devono essere riportate nella Dsu. Inoltre – introdotta pochi mesi fa dal decreto Crescita – c’è anche un’altra novità che riguarda l’Isee corrente, alternativo all’ordinario, che serve ad aggiornare redditi e trattamenti degli ultimi 12 mesi a fronte di un peggioramento o miglioramento delle condizioni economiche del nucleo familiare, come la perdita del posto di lavoro con il reddito complessivo che non deve diminuire di oltre un quarto del totale. Per beneficiare dell’Isee corrente si deve verificare uno solo di questi requisiti: la variazione della situazione reddituale superiore al 25%; la fine o la riduzione del lavoro; l’interruzione di un lavoro nella Pa. Una decisione presa per evitare un’inutile moltiplicazione dei rinnovi dell’Isee in assenza di variazioni. Tanto che secondo l’ultimo rapporto di monitoraggio Isee 2017, pubblicato lo scorso luglio dal ministero del Lavoro, emerge che a fine 2017 su 6,2 milioni di Dsu presentate nel corso dell’anno – 550 mila in più rispetto al 2016 (+9,6%) e in crescita di 1,5 milioni rispetto al 2015 –, i moduli replicati rappresentavano il 20% del totale, lo stesso dato del 2016. In altre parole, le famiglie sono state costrette a richiedere più volte il modello per ottenere diversi benefici.
E ora, da gennaio, un altro deciso passo in avanti per evitare che lo Stato elargisca servizi sociali a chi non ne ha diritto: l’introduzione della versione precompilata dell’Isee (proprio come la dichiarazione dei redditi), disponibile però solo se si fa richiesta tramite il sito dell’Inps, mentre i dati vengono recuperati in automatico dal sistema accedendo alle banche dati dello stesso istituto di previdenza, dell’Anagrafe tributaria e del Catasto. Il modello precompilato non ha, però, soppiantato la possibilità di richiederlo ancora inserendo di persona tutte le informazioni richieste o, comunque, avvalendosi dei Caf. Anche perché la procedura per compilare l’Isee non è tra le più semplici: vanno sempre autodichiarati i patrimoni immobiliare e mobiliare posseduti all’estero e alcune attività domestiche quali le partecipazioni in società per azioni non quotate o società non azionarie, nonché i terreni e l’eventuale debito residuo per mutui. Ricordando che, sempre a partire da gennaio, è stato modificato l’anno di riferimento del patrimonio mobiliare e immobiliare: non è più l’anno precedente a quello di presentazione della Dsu, ma il secondo anno precedente alla presentazione della stessa. Quindi, ad esempio, nel 2020 l’anno di riferimento è il 2018.
Ma se dalla verifica su saldi e giacenze emerge un valore del patrimonio complessivo del nucleo familiare non coerente con quello dichiarato, il richiedente ha sostanzialmente tre possibilità: inoltrare lo stesso l’Isee fornendo però la documentazione che dimostra la propria correttezza; presentare una nuova Dsu rettificata; chiedere al Caf la rettifica, nel caso quest’ultimo abbia commesso un errore materiale.