Icorpi sono ancora per strada, alcuni accasciati in macchina e altri riversi sulla strada sterrata, tra i palazzi della zona residenziale di Ain Zara. La periferia a sud di Tripoli, negli ultimi mesi è rimasta travolta dalla furia dei combattimenti tra le forze del generale Khalifa Haftar e i gruppi armati della coalizione del governo di Accordo nazionale. “Ci sono anche i corpi di due bambini intrappolati sul fronte. Stavano rientrando nella loro abitazione per recuperare vestiti e documenti, quando sono finiti sotto il fuoco di Haftar”, ha raccontato al Fatto un volontario della Mezzaluna Rossa. Il padre sarebbe sopravvissuto al fuoco dei cecchini insieme a un terzo figlio, ma due sono rimasti uccisi sul colpo. “Eravamo abituati al recupero dei corpi dei combattenti, invece oggi ci tocca recuperare civili, tra cui donne e bambini”, spiega l’uomo che, suo malgrado, da oramai otto anni fa recupero dei corpi sulla linea del fronte. Quel fronte mobile lungo il quale combattono gli “anziani”, ovvero quelli che hanno preso le armi nei mesi della rivoluzione contro Gheddafi, ormai trentenni, accompagnati da fratelli, cugini: sono famiglie intere a comporre l’“esercito” di Sarraj.
Doveva essere un’operazione lampo quella del generale al comando dell’Est del Paese. Avrebbe conquistato la capitale in un paio di giorni, aveva promesso ai suoi principali sponsor, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania e Francia. Invece l’arrivo degli uomini armati da lui istruiti hanno fatto compattare anche i gruppi rivali in controllo del territorio a Tripoli. E da otto mesi si combatte nelle periferie a sud di Tripoli tra i quartieri di Swani, Salah Din, Ain Zara e Wadi Rabi e lungo la strada dell’Aeroporto internazionale.
“Preferisco morire con dignità a casa mia, e non nella palestra di una scuola”, ha detto al Fatto una delle 270 mila persone che vivono nelle aree colpite dal conflitto. All’inizio dei combattimenti molte famiglie erano state sistemate nelle scuole, poi è iniziato l’anno scolastico e hanno dovuto sgomberare anche quel rifugio di fortuna. Gli sfollati dall’inizio dell’offensiva di Haftar a Tripoli sono circa 140 mila. In tanti tra questi fanno la spola con le loro case sulla linea del fronte per recuperare effetti personali. Dei circa 1300 morti nella capitale, 300 sono civili.
I cecchini impediscono
di recuperare i cadaveri
Marwan e gli altri volontari della Mezzaluna Rossa libica vorrebbero recuperare i cadaveri dei civili intrappolati sulla frontline e restituirli alle famiglie, ma i cecchini che affollano la prima linea del fronte continuano a tirare su qualsiasi cosa si muova. Il cessate il fuoco richiesto una settimana fa da Turchia e Russia, e successivamente accettato dai relativi partner sul campo, il premier Fayez Al Sarraj e il generale Haftar, è una tregua fragile. Tanto fragile da non lasciare spazio neanche a corridoi sicuri per i civili.
“L’Europa aveva detto che Tripoli fosse la linea rossa. Ma Haftar ha varcato la linea da mesi. E ancora lo invitano ai tavoli negoziali per discutere la pace”, sbraita un uomo a Tripoli. Tuttavia anche l’interventismo della Turchia sul suolo libico è accolto da tutti in Tripolitania con favore. “Erdogan dice che ci vuole aiutare ma chi vive qui siamo noi. Per loro è una partita da giocare per interessi, per noi è questione di sopravvivenza. I muscoli non ci piacciono”, ha detto al Fatto un uomo di Misurata, la città-Stato che in asse con Tripoli combatte in prima linea sul fronte anti-Haftar. “L’Europa sia assuma le proprie responsabilità per aver lasciato Haftar arrivare fin qui” continua l’uomo. Dalla scorsa estate anche Misurata è sotto attacco dei missili di Haftar.
Misurata e il destino
da città-martire
Le brigate che riforniscono il fronte a Tripoli sono in buona parte della città costiera che, nel 2011, si guadagnò la medaglia al valore di città martire per via dell’alto numero di vittime cadute durante l’assedio sulla città da parte delle forze gheddafiane. Misurata oggi è anche in prima linea sul fronte Est in Tripolitania. Da quando due settimane fa le forze del generale sono entrate nella città di Sirte, Misurata demarca il confine tra la Libia di Haftar e quella di Serraj.
Mentre l’artiglieria pesante tace a sud della capitale, e soprattutto la stop alla campagna di bombardamento aereo su Tripoli concede ore di sollievo alla popolazione, il morale resta basso. “Haftar è stato messo alle strette, ecco perché ha accettato di andare a Berlino. Ma troverà il casus belli per riaprire il fuoco”, dice al Fatto una fonte da Tripoli.
Difatti, mentre Haftar confermava la sua presenza a Berlino, dove gli verrà proposto di firmare un accordo di pace con Tripoli, il suo portavoce Ahmed al-Mismari faceva sapere da Bengasi che le forze dell’Est avevano già proceduto alla chiusura di tutti gli oleodotti che dai pozzi di petrolio nel sud del Paese pompano l’oro nero verso i terminal sulla costa. Di fatti le forze di Haftar controllano tutti i pozzi del Paese a eccezione del campo di Wafa, che rifornisce il terminal Mellita, a Ovest di Tripoli, a bandiera Eni. Ma questo pompa metri cubi di gas e non petrolio. Il presidente della Compagnia Petrolifera libica, Mustafa Sanalla, avverte che la perdita per i libici è di circa 50 milioni di euro al giorno, praticamente quanto basta per tenere in piedi il paese e le sue due amministrazioni nell’Est e nell’Ovest. Già venerdì sera Mismari da Bengasi precisava: “È il popolo che chiude i terminal”, dopo che alcuni gruppi armati locali hanno bloccato il porto di Zueitina, nella regione della Cirenaica sotto il controllo del Generale.
Sotto scacco di Putin, suo alleato ma anche suo garante, Haftar ha accettato, sì, di prendere l’aereo che lo avrebbe portato nella Capitale tedesca, così come ha accettato di rispettare la tregua sulla linea del fronte. Tuttavia il suo istinto allo scontro non gli ha chiaramente impedito di ricorrere a un escamotage per lanciare, ancora una volta, il guanto della sfida in faccia agli avversari. Tocca ora capire se questo, da parte di Haftar, non sia solo un messaggio inviato per interposta persona, perché chi di dovere gli faccia trovare oggi a Berlino una bozza di accordo per lui soddisfacente, o se è l’ultimo colpo di coda prima di dismettere definitivamente i panni del negoziatore e annunciare la guerra totale non solo a Tripoli ma anche ai suoi alleati. La Turchia ha già avvertito nei giorni scorsi Haftar che, in caso di violazione da parte del Generale degli accordi, Ankara non perdonerà.