Mail Box

 

Di Pietro sembra Iago e il Movimento 5S Desdemona

Sul Fatto si è parlato sovente del grande errore compiuto dal M5S a proposito del caso della nave Diciotti. È su questo punto che si dovrebbe indirizzare la critica a Di Maio. Invece, in maniera trasversale, ora lo si attacca facendo credere che il caso della Diciotti sia uguale a quello della Gregoretti. Lo ha fatto anche Di Pietro per il gusto di dare dell’ipocrita a Di Maio che “non poteva non sapere”. Cosa dovrebbe fare ora il capo politico del M5S, sbagliare di nuovo per essere coerente? Con i Cinque Stelle sembra che Di Pietro abbia deciso di vestire il ruolo shakespeariano di Iago: mi pare legittimo sospettare che sia l’invidia e il rancore a ispirarlo. Non tanto per le critiche che sono sempre legittime, e i Cinque Stelle spesso le meritano, ma per la sua velenosità. Nel panorama politico, con l’ampia scelta di obiettivi da colpire, mi sembra che prendersela, in maniera spesso pretestuosa, con i Cinque Stelle sia come sparare sulla Croce rossa. Sono fin troppi (meglio dire quasi tutti) quelli che vorrebbero “strangolare” questa Desdemona.

Enza Ferro

 

Sanità, gli scandali purtroppo sono anche in Lombardia

C’è da rimanere basiti alle pretese della Lega di parlare di scandali nella sanità. Vivo in provincia di Monza e debbo constatare che la sanità in Lombardia è fra le migliori d’Italia come del resto alcuni parenti che vivono in Emilia dicono la stessa cosa della loro Regione. Il problema è che in Italia sono carenti o mancano del tutto i controlli e di conseguenza, visto che a dirigere questo importante e costoso settore vanno spesso i politici, si scoprono scandali e sperequazioni in ogni settore. Sugli scandali sanitari lombardi basterebbe aver letto Barbacetto, Dalla Chiesa e altri giornalisti del Fatto per avere materiale sufficiente per una biblioteca. In Emilia Romagna, dove sono nati i miei figli, le cose funzionano bene, ma a Bibbiano qualcosa è andato storto: in Italia i partiti stentano a riconoscere questi scandali mentre sono occhiuti se le malefatte sono sotto la giurisdizione di altre forze politiche.

Franco Novembrini

 

I talk show televisivi si sono trasformati in “bar sport”

Seguire un talk show politico è avvilente. Il conduttore introduce il tema della riforma del processo penale e sono chiamati a dibattere: un magistrato, un’esperta del fuorigioco, un giornalista tv e uno della carta stampata, entrambi sedicenti “garantisti”, in realtà amanti della giustizia censitaria. Il conduttore si cala nei panni dell’arbitro del rubabandiera. Non si permette di contraddire gli ospiti: il dovere di ospitalità prevale sull’amore per la verità. Lo studio si trasforma nel bar del comico Cacioppo, dove si può dire di tutto. La latitanza diventa esilio, la sentenza di prescrizione diventa assoluzione, la tangente si trasforma in liberalità. L’aspetto deprimente è l’alibi del “pluralismo” per giustificare le grida sguaiate di persone “ubriache”.

Carmelo Sant’Angelo

 

Le ricadute della politica sul voto in Emilia-Romagna

La presidente del Senato Casellati ha votato insieme al centrodestra confermando la data di domani per decidere l’autorizzazione a procedere o meno nei confronti di Salvini: sono d’accordo col Pd nel sostenere che la Casellati, avendo violato l’imparzialità, abbia l’obbligo di dimettersi. Intanto il premier Conte ha annunciato la riduzione del costo del lavoro e una riforma dell’Irpef più equa. Altra buona notizia è quella della Corte costituzionale che ha respinto la richiesta di referendum, avanzata dalla Lega, per l’abolizione della quota proporzionale nella legge elettorale. Vedremo come questo inciderà sul voto in Emilia-Romagna.

Luigi Ferlazzo Natoli

 

Diritto di replica

Gentile redazione, in merito all’articolo pubblicato ieri sul Fatto dal titolo “Il gasolio, lo sconto e la Lega. Rubligate minuto per minuto”, ci preme ribadire ancora una volta che la lettera di referenze citata, assolutamente anomala nel suo utilizzo rispetto alle procedure interne a Eni, è firmata dal sig. Des Dorides, licenziato dalla società per violazione delle procedure interne e dell’obbligo di riservatezza in relazione a un’operazione di acquisto di polietilene, ed era già stata utilizzata nel 2017 con soggetti terzi che nulla avevano a che fare con le vicende in questione. Non si comprende per quel motivo il Fatto continui a mettere in relazione agli eventi tale lettera di referenze, omettendo di specificare come questa sia stata prodotta 18 mesi prima delle circostanze in questione, a iniziativa personale di un ex dipendente di Ets (ora licenziato e denunciato da tempo per altri motivi), e già utilizzata nel 2017 da Euro-ib con una controparte diversa da fornitori russi e nel corso di un tentativo commerciale assolutamente diverso e mai concluso. Spiegheranno Euro-ib, l’avv. Meranda e ogni altro terzo coinvolto (rispetto ai quali l’Eni si è riservata di agire) su quali basi essi abbiano ipotizzato di poterne fare l’uso descritto negli articoli di stampa. Il continuo e costante riferimento a tale lettera genera deliberatamente confusione nel lettore e rappresenta in modo non corretto la realtà pacifica sopra descritta.

Ufficio stampa Eni

Con Renzi, Calenda rischia il canto del cigno (arrosto)

 

“Chi si frega le mani è quel ‘centro’ liberal-democratico composto da Matteo Renzi e Carlo Calenda destinati a convergere, chiosa Pier Luigi Bersani, ‘sotto il simbolo di Narciso’”.

Salvatore Cannavò, “Il Fatto Quotidiano”

 

Carlo Calenda ispira simpatia, come tutti gli estroversi che non si nascondono dietro le parole o su Instagram (l’installazione “Calenda e il cigno” compete con la “Leda” michelangiolesca quanto a forme ed espressività). Del resto, come si fa a non provare ammirazione per uno che a 11 anni recitava sotto la regia del nonno Luigi Comencini e capace di tatuarsi uno squalo sul braccio il giorno prima delle nozze e non completamente da sobrio? Da quando ha fondato “Azione” il nostro brilla per presenzialismo nei talk dove agita la Durlindana cercando di farsi largo tra destra e sinistra. Quando l’ho incrociato, ho avuto modo di percepire una certa non dissimulata acrimonia verso tutti coloro che non erano Calenda, e spiccatamente nei confronti di Matteo Renzi di cui pure è stato apprezzato ministro. Atteggiamento comprensibile visto che i due hanno deciso di cercare spazio (e sopravvivenza) in quel mitico centro che, come l’Araba Fenice, dove sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Purtroppo, secondo i più recenti sondaggi, il centro sta diventando un centrino, come certi indumenti privi di ammorbidente e strapazzati dalla lavatrice. Così che mentre Italia Viva arranca tra il 4 e il 5 per cento, l’uomo del cigno non riesce a schiodarsi da un ingiusto 2 per cento che già lo ricolloca di diritto nel prossimo cast di Maurizio Crozza. Ma poiché la fortuna aiuta gli audaci, ancorché a corto di voti, con le porte del proporzionale che la Consulta ha spalancato bocciando il maggioritario alla Salvini, i Narcisi hanno fatto due più due decidendo di convergere su liste comuni, a cominciare dalle prossime Regionali in Puglia. Poi si vedrà. Ci sarebbe, è vero, il piccolo problema chiamato Google. Dove si possono agevolmente rileggere tutti gli insulti che la strana coppia non ha fatto altro che scambiarsi negli ultimi mesi. Leggiamo a caso: “Calenda a muso duro contro Renzi dopo l’Umbria: ‘È senza vergogna’”. Pronta la replica dello statista di Rignano sull’Arno: “Se ascoltavamo te a quest’ora Salvini era al governo”. Oppure: “Ai tempi del governo Renzi, noi ministri lo prendevamo in giro da morire. Però a bassa voce perché era piuttosto vendicativo”. E ancora a proposito di Renzi, reo ti trascorrere le giornate a “sparare” sul governo che ha promosso: “Se lo avessi fatto per la salvezza del Paese non avresti fatto la scissione dopo il giuramento dei ministri”. Non fa una grinza. Il Calendario antirenziano non finisce certo qui ma, ammettiamolo, questo rinvangare il passato può sembrare abbastanza meschino di fronte alle magnifiche sorti e progressive del centro centrino. E di un’alleanza che potrebbe chiamarsi Azione Viva o Italia Azione oppure Viva l’Azione, proiettata a superare il probabile sbarramento del 5 per cento per poi giocarsi le proprie carte, “prezzemolo indispensabile in qualunque combinazione di governo” (Angelo Panebianco). Se poi malauguratamente non dovessero farcela, gli resterebbe pur sempre il cigno. Da fare arrosto.

Nuovo paletto per i precari Anpal: il gradimento

Ennesima nuova brusca frenata delle trattative per stabilizzare gli operatori dell’Anpal Servizi, i cosiddetti “precari che ricollocano i disoccupati”. Con i sindacati che abbandonano il tavolo, scontenti della proposta ricevuta, e il presidente dell’Agenzia per le politiche attive del lavoro, Mimmo Parisi, che ora sta pensando di andare avanti anche senza accordo e assumerne a tempo indeterminato 400 sugli attuali 654.

È successo tre giorni fa, ma la frattura non è ancora stata sanata. C’è, quindi, il rischio di nuovi scioperi nella società pubblica che sta svolgendo un ruolo fondamentale nella macchina del reddito di cittadinanza. Giovedì, durante l’ultimo incontro, i vertici Anpal Servizi – ente in house dell’Anpal – hanno illustrato una bozza d’intesa ai rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil. Il problema è sorto su un passaggio: “L’assunzione – si legge nel documento – è condizionata alla valutazione positiva delle prestazioni lavorative della risorsa”. Secondo i sindacati, questa frase darebbe all’agenzia il potere di decidere chi far entrare e chi lasciare fuori. “Introduce pesanti elementi di discrezionalità”, hanno denunciato le sigle, che hanno definito “irricevibile” il testo. Quindi si sono alzati e sono andati via. Dopo lo scontro avvenuto nella riunione, venerdì mattina Parisi ha scritto una lettera a tutti i lavoratori: “Anpal Servizi è pronta a dare seguito alle assunzioni a tempo indeterminato delle prime 400 persone. Riguarderanno sia 150 lavoratori a tempo determinato che 250 collaboratori”. L’intenzione, insomma, sembra quella di andare avanti anche senza la firma dei sindacati. Il requisito per ottenere il posto fisso nell’azienda vigilata dal ministero consisterà in almeno 12 mesi di anzianità maturati da precario negli ultimi 10 anni. Per quelli che oggi hanno un contratto a tempo determinato la stabilizzazione sarà automatica. Per i collaboratori, invece, ci sarà una selezione riservata. Ma se in totale sono 520, questo concorso potrà arruolarne solo 250, meno della metà. E anche su questo resta lo scontro.

Tra l’altro, è ancora alta la tensione tra Anpal Servizi e Camere del lavoro autonomo e precario (Clap). Sindacato che rappresenta buona parte dei precari, ma che l’azienda pubblica non riconosce e non ammette alla negoziazione. In pratica, vengono ricevuti dalla ministra Nunzia Catalfo ma non dall’agenzia e per questo ritengono che il modo di agire di Parisi non sia coerente con l’indirizzo del governo e della maggioranza in Parlamento. Il riferimento è a un ordine del giorno approvato a fine dicembre con la quale la Camera ha impegnato l’esecutivo “ad attuare tempestivamente le trasformazioni a tempo indeterminato di tutto il bacino di precari di Anpal Servizi”. In questi giorni, inoltre, si sta lavorando per un emendamento al decreto Milleproroghe che aumenti i fondi per l’Anpal Servizi. L’obiettivo è garantire un posto permanente a tutti gli attuali precari. Parisi, probabilmente in attesa di ottenere risorse vincolate alle stabilizzazioni, per il momento non si muove dal progetto di iniziare solo dai primi 400.

L’investimento nel turismo non fa bene ai conti di Cdp

Il turismo di Th Resorts non sembra un buon affare per Cdp. Il Gruppo Hotelturist, in cui la Cassa attraverso Cdp Equity detiene una quota del 45,9%, a seguito di un aumento di capitale da 20,4 milioni, ha chiuso il 2018 con una perdita di 2,3 milioni. Anche il 2017, anno in cui entra Cdp, ha registrato un rosso di 0,8 milioni per il gruppo turistico guidato da Graziano Debellini, già leader del movimento ciellino veneto ed ex presidente della Compagnia delle Opere, che, assieme agli amici-soci Ezechiele Citton e Igino Gatti, detiene un altro 45,9% attraverso Solfin Turismo, con base in Lussemburgo e confluita nel Trust londinese (caritatevole) Humilitas. Il restante 8,2% fa capo all’Istituto Atesino di Sviluppo, finanziaria e cassaforte della Provincia autonomia di Trento, di fatto controllata dalla Diocesi cittadina e dalla Chiesa locale. Curioso che presidente dell’Istituto sia stato il trentino Massimo Tononi dal 2012 al 2018 anno in cui viene nominato presidente di Cdp.

A oggi Th Resorts è un investimento in perdita per Cdp, la cui holding delle partecipazioni ha chiuso il 2018 con un rosso di 117 milioni di euro rispetto all’utile di 56 milioni dell’anno precedente. La perdita di Cdp Equity, secondo il bilancio di esercizio, è ascrivibile “principalmente alla rettifica di valore” di Ansaldo Energia – 157 milioni ma con un impatto negativo a conto economico di soli 18 milioni rispetto alla rettifica rilevata già nel 2017 su Saipem per 139 milioni – e a “costi di gestione non pienamente controbilanciati dai dividendi percepiti da Fsi Investimenti”. Su questi ultimi l’emorragia è stata di ben 116 milioni ed è lo scarto tra la cedola straordinaria per la cessione del 30% di Fsia Investimenti a Poste Italiane del 2017 (147.398.376) e il dividendo percepito dalle controllate della stessa Fsia Investimenti nel 2018. I nuovi investimenti del 2017 per 70,4 milioni in Bonifiche Ferraresi (50 milioni, saliti a 79,9 milioni nel 2018) e, appunto, in Th Resorts (20,4 milioni) non hanno portato neppure un euro in cassa a Cdp Equity. La differenza tra le due operazioni è che Bf risulta in utile (+0,4 milioni nel 2017 e 0,1 milioni nel 2018) mentre Th in profondo rosso (-0,8 milioni nel 2017 e -2,3 nel 2018).

Dopo l’apporto dei capitali freschi di Cdp, che la considera “d’interesse “sistemico”, Th Resort ha moltiplicato le strutture alberghiere: da 19 a 28 per un totale di 5.000 camere.

Quattro di queste nuove strutture (Pila, Marilleva, Ostuni e Simeri) sono state aggiudicate nella procedura di liquidazione di Valtur. Anche Cdp Investimenti Sgr entra in partita e sempre nel 2017. Per conto del fondo Fiv – Fondo Investimenti per la Valorizzazione, la controllata di Cdp ha sottoscritto un’intesa con Th Resorts per la trasformazione di due complessi immobiliari dismessi: l’ex Ospedale a mare al Lido di Venezia e l’ex colonia marina di Celle Ligure.

Il bilancio di Cdp Equity mette in evidenza che nel 2017 Th Resorts ha conseguito ricavi per 55,9 milioni, Ebitda di 2,4 milioni e disponibilità liquide di 4 milioni; nasconde sotto il tappeto la perdita di 0,8 milioni che aumenta a 2,3 nel 2018, anno in cui anche l’Ebitda si riduce a 1,58 milioni. E la stima-obiettivo dei 100 milioni di ricavi in tre anni che Debellini ha sbandierato al momento dell’ingresso di Cdp sembra lontana dal realizzarsi visto che il valore della produzione 2018 risulta di appena 78,3 milioni. Risultati con cui pare difficile che quest’anno, come annunciato da Debellini, possa essere preso in considerazione lo sbarco in Borsa. Cdp con il suo ingresso nel capitale di Th Resorts ha dato una bella boccata d’ossigeno a un gruppo in profondo rosso.

Diversa sorte è toccata alla Consta Spa, azienda di costruzioni padovana presieduta e controllata sempre dall’imprenditore ciellino e dai suoi amici-soci. Con un rosso di 10 milioni su 104 di ricavi, la società nel 2013 aveva aperto il paracaduta del concordato fallimentare. Non avendo trovato un nuovo azionista che apportasse capitali freschi, è andata fallita e il Tribunale di Padova a giugno 2015 ha nominato il liquidatore. Tra i creditori c’era Banca Popolare di Vicenza, esposta per 13 milioni. Th Resorts, invece, il suo cavaliere bianco l’ha trovato in Cdp.

“Coraggio editori, è ora di investire sui cronisti green”

Caro Direttore, ho letto con molto interesse sul Suo giornale l’articolo di Vittorio Emiliani sui “pochi cronisti corsari sui temi dell’ambiente”. Oggi come non mai si parla tanto – e per fortuna – di ambiente, di cambiamenti climatici, sull’onda emotiva di Greta, dei Fridays for future e di una maggiore attenzione verso il pianeta che ci ospita.

Questo si deve anche al fatto che oggi l’Italia ha assunto una leadership ambientale che prima non aveva: il nostro Paese è, per esempio, leader mondiale nelle tecnologie ambientali e il Green new deal è un’occasione da cogliere al volo per cambiare radicalmente il paradigma ambientale, economico e culturale, che deve trovare nel quotidiano – e negli sforzi congiunti di tutti noi, cittadini ed istituzioni – la cornice operativa per compiere scelte consapevoli e responsabili, rispettose dell’ambiente. Insomma, il momento è propizio per costruire un’Italia basata sullo sviluppo ecosostenibile. Siamo chiamati a dare un segnale forte e immediato, che si possa tradurre in azioni all’avanguardia sul piano nazionale, europeo e internazionale.

Ma come evidenziato da Emiliani nel suo articolo, l’informazione sulle questioni ambientali non ha fatto grandi passi avanti, specialmente nei telegiornali, nonostante i dati del rapporto Ecomedia 2019 ci dicano che nell’ultimo anno l’attenzione nelle edizioni di prima serata delle sette Tg sia cresciuta. Purtroppo ancora poco, siamo fermi ad un 10% del totale delle notizie. E anche per quanto riguarda la stampa, sia cartacea che sul web, mi piacerebbe che ci fossero sempre più giornalisti specializzati e che sempre più testate puntassero sull’informazione ambientale con inserti o pagine di approfondimento.

Il mio è un appello al coraggio, degli editori: che investano sia sulla formazione dei redattori sia sul riconoscimento professionale dei tanti collaboratori competenti che ci sono. Tutti questi sono già in nuce i corsari di cui parla Emiliani, serve loro una nave con la quale prendere il mare e il buon vento. Ma occorre che editori e caporedattori siano pronti affinché nelle pagine dei quotidiani, nelle testate online e nei servizi tv da loro curati ci sia una presenza maggiore e più accurata dell’informazione ambientale, un’informazione basata su conoscenze scientifiche, verifiche delle fonti, imparzialità nel raccontare gli eventi. Un’informazione che sia anche formazione.

La produzione scientifica costituisce la base per un’informazione consapevole ed efficace. Considero importante il rapporto tra scienza e informazione, così come il rapporto tra scienza e politica. La scienza, che ha la necessità di disegnare il quadro in modo oggettivo, deve essere fruibile, affinché diventi formazione – come avverrà in Italia dal settembre di quest’anno, quando la norma sull’educazione ambientale sarà obbligatoria nelle scuole di ogni ordine e grado – e diventi anche informazione. La politica, a sua volta, deve fare un salto supplementare che oggi non ha ancora fatto, ovvero utilizzare la scienza nell’ambito della visione politica. Una visione che sappia guardare al futuro e non solo al presente.

Purtroppo, negli anni, sono sparite dalla Rai e trasmissioni come Ambiente Italia e Scala Mercalli (mi associo alle congratulazioni di Emiliani per aver arruolato nella squadra dei collaboratori del Fatto il meteorologo e climatologo Luca Mercalli). Perché non proviamo a ragionare insieme – tv pubblica e privata, istituzioni, operatori dell’informazione, mondo scientifico, associazioni ambientaliste – a ripristinare uno o più programmi seri sull’ambiente, innovando nei contenuti e nei format, anche per avvicinare il pubblico più giovane, spesso orientato su altre forme di comunicazione, come i social network?

Credo che oggi ci sia bisogno come non mai di un’informazione e di una divulgazione ambientale corretta e accattivante. Informare i cittadini in modo obiettivo è il primo passo per renderli ambasciatori dell’ambiente, parte attiva nella salvaguardia del pianeta che non può più essere rimandata.

 

Gli scout antimafia nel mirino dei clan

“Giovanni Falcone ci disse: noi arrestiamo i padri, voi educate i figli”. È questo monito a dare la forza ai giovani scout siciliani della rete Agesci (associazione guide e scout cattolici italiani) che hanno subito due atti incendiari e un raid vandalico in tre mesi, in tre diverse sedi, una delle quali si trova in un terreno confiscato alla mafia. Un’azione sistematica che è cominciata a Marsala, nel Trapanese e continua a Mineo e poi Ramacca, dove c’è stato l’ultimo atto intimidatorio. Porte rubate, infissi distrutti e devastazioni generali nell’immobile inaugurato 10 anni fa in un terreno confiscato alla mafia. “Stiamo dando fastidio a qualcuno – spiega uno dei responsabili regionali dell’Agesci Sicilia, Giulio Campo – quando si pratica l’educazione, si smuovono le acque e sicuramente questo a qualcuno non piace. Noi non possiamo dire con certezza che sia stata la mafia, ma ci stiamo facendo un pensierino”. I danni, infatti, non sono opera di vandali sprovveduti, ma di gruppi d’azione ben organizzati che hanno deciso di colpire i gruppi scout siciliani con l’intento di fermarli.

Le basi scout assumono infatti un significato diverso in Sicilia: i ragazzi dei gruppi cattolici sono infatti in prima fila a ogni marcia contro la mafia, soprattutto nei territori difficili, come la periferia catanese dove la criminalità è ben presente. Il danno complessivo nelle tre basi, cui si aggiunge anche la sede di Milo, anch’essa oggetto di “visite”, ammonta a circa 100 mila euro, una cifra spropositata se si pensa che per raccogliere offerte al fine di aprire la sede si sono mobilitati i ragazzi e i loro genitori.

A Mineo, altra base danneggiata, erano state le famiglie degli scout a raccogliere i soldi per la struttura che doveva essere inaugurata il 15 dicembre. Un mese prima però tutto è andato distrutto per mano di ignoti che hanno incendiato l’intera ex casa cantoniera, rendendola inagibile. Gli scout però non si fermano: “I ragazzi non hanno paura – spiega ancora Giulio Campo – continueremo insieme a lottare con le nostre finanze anche se non è facile. Sia i giovani che noi non abbiamo voglia di mollare”.

L’ombra della mafia è ben presente in questa vicenda ma i ragazzi di Ramacca, così come gli altri, guardano oltre: “Questo atto ci mortifica ma ci chiede anche se siamo in grado di lottare contro un sistema che vuole svilire ciò che viene creato per il bene comune – dicono Luana Barbagallo e Davide Falcone del gruppo “Ramacca 1” –. Noi abbiamo investito tempo e denaro in questo luogo per renderlo simbolo di una lotta concreta alla mafia e continuiamo”.

E mentre le istituzioni latitano (solo dopo il terzo atto il vicepresidente alla Regione ha chiesto di incontrare i vertici) l’appoggio arriva dal mondo cattolico e da don Luigi Ciotti: “Bisogna continuare senza indietreggiare, con tenacia e con speranza – ha detto il sacerdote –. La riconoscenza verso chi è stato assassinato per noi si paga portando avanti le sue idee, senza rinunciare a mordere le coscienze”.

“Paolo oggi avrebbe 80 anni. Non ha potuto essere nonno”

Salvatore Borsellino è un ingegnere che vive a Milano da decenni. Oggi però è a Palermo. Il 19 gennaio 2020 è una data speciale. Non solo per lui. Oggi suo fratello Paolo avrebbe compiuto 80 anni. E c’è una vena di malinconia nel ricordo.

Perché quest’anno è diverso?

Non solo perché Paolo avrebbe compiuto 80 anni. C’è anche un motivo personale: quest’anno mia figlia mi ha dato la gioia inattesa di un nipotino. Allora mi è venuto da pensare a mio fratello, ucciso a 52 anni senza la gioia di vedere nemmeno uno dei tanti nipotini che i suoi figli gli hanno dato.

Come ricorderete Paolo Borsellino oggi?

Con una grande festa, grazie agli artisti siciliani che parteciperanno a questo evento organizzato dal movimento delle Agende Rosse. Sono tanti gli artisti che hanno risposto alla nostra chiamata e abbiamo voluto fare questo spettacolo alla Kalsa al Real Teatro Santa Cecilia che la Fondazione Brass Group mette a disposizione ogni anno. Il teatro è tutto esaurito ma si potrà seguire sul sito www.antimafia2000.it la diretta streaming. Non voglio ricordare Paolo soltanto il 19 luglio nel giorno della strage. Per me Paolo è vivo e continua a vivere nel cuore di tanti. Continuano a vivere le su idee ed è vivo quello che ha fatto. Quindi è giusto festeggiare il giorno del suo compleanno.

Come immagina Paolo Borsellino a 80 anni, come sarebbe stata la sua vita, se non lo avessero ucciso?

L’immaginazione non serve a niente in questo caso. Lo ricordo sorridente e giovane per sempre, come era quando hanno stroncato la sua vita nel momento migliore. L’amarezza non ci lascia mai. Però le posso dire che ieri per un attimo l’ho rivisto nella Casa di Paolo…

Può spiegare a chi non la conosce, e magari potrebbe un giorno andare a Palermo a visitarla, cosa è La Casa di Paolo?

Non è un caso che festeggiamo proprio da cinque anni il compleanno di Paolo. Lo facciamo perchè da cinque anni è stata fondata La Casa di Paolo che era il mio sogno. Io volevo far ritornare Paolo Borsellino a Palermo nei luoghi in cui era nato e cresciuto. Sono riuscito a trasformare la vecchia farmacia di mio padre in una casa di accoglienza dove i ragazzi del quartiere possono fare attività con i volontari.

La Kalsa dove siete cresciuti era anche il quartiere di Giovanni Falcone. Cosa c’è adesso nella ex farmacia della vostra famiglia?

Come le dicevo lì ho rivisto Paolo ieri pomeriggio (venerdì per chi legge, ndr). Era pieno di bambini che erano lì come se stessero a casa propria. In quel quartiere non è raro che il padre sia carcerato e la mamma debba lavorare per guadagnare qualcosa per vivere. Vedevo la gioia di quei bambini che studiavano insieme ai volontari che li assistevano e mi sono immaginato Paolo vivo e sorridente come lo ricordo io, proprio lì.

Quello è un quartiere difficile, un tempo dominato dal boss Masino Spadaro, morto un anno fa a 82 anni. Secondo lei è cambiata Palermo dai tempi della vostra gioventù?

Io non vivo a Palermo però quel che posso dire è che i ragazzi che incontro sono migliori. I grandi, non lo so. sento dire cose poco belle persino sui magistrati, non lo so…. Ieri (venerdì, ndr) però ho conosciuto tre ragazzi dell’istituto Maiorana che sono venuti alla casa di Paolo per intervistarmi. Sono nati dopo la morte di Paolo eppure ne parlavano come se lo avessero conosciuto. Io mi sono concentrato sui giovani in questi anni. Con loro voglio parlare.

Lei viaggia l’Italia in lungo e in largo per andare nelle scuole e nelle piazze. Quanti ragazzi ha incontrato in questi anni?

Penso di avere parlato a decine di migliaia di studenti e di ragazzi. Non esagero. Appena atterro a Milano al ritorno da Palermo riparto per andare a incontrare i ragazzi di tutte le scuole di Ventimiglia. Gli anni mi cominciano a pesare ed è dura ogni volta. Però mi basta un incontro con i ragazzi e mi torna la voglia. Mi basta sentire i loro occhi su di me che mi seguono attenti mentre gli racconto Paolo. Sento il loro cuore battere. Spero di incontrarne ancora tanti, fino a che avrò la forza per farlo.

Pochi giorni fa sono state depositate le motivazioni della sentenza di appello che conferma l’assoluzione dell’ex ministro Calogero Mannino. Ci sono passaggi che sembrano minare anche alcuni punti della sentenza di primo grado del processo Trattativa.

Io non sono un magistrato e non mi intendo di legge. Però certe volte mi sembra di leggere il principio di Archimede al contrario. Come se la spinta dei corpi fosse verso il basso invece che verso l’alto. L’ipotesi che gli ufficiali del Ros abbiano informato mio fratello Paolo Borsellino della Trattativa con Vito Ciancimino (dopo la morte di Giovanni Falcone, ndr) e che lui sia stato d’accordo, per me è totalmente sbagliata. Per me la verità è un’altra: Paolo Borsellino era contrario alla trattativa e proprio la sua opposizione è stata la ragione per la quale è stato ucciso.

“Lì non si può fare” La nuova discarica a Roma è un miraggio

Una fetta di Agro Romano da sacrificare per ospitare “infrastrutture tecnologiche”, falde acquifere a rischio contaminazione e un aumento esponenziale di volatili tale da provocare gravi incidenti nei pressi di uno degli aeroporti più trafficati del continente. Il progetto di Malagrotta 2, alla periferia ovest di Roma, ha molte carte in regola per fallire. La nuova discarica della Capitale, secondo i tecnici capitolini (e non solo), non si può fare. La cava da 1,5 milioni di metri cubi da riempire in 4 anni, indicata dalla sindaca Virginia Raggi, obbligata dagli aut aut del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, presenta non pochi profili di rischio per la salute dei cittadini, per l’ambiente e per il traffico aereo.

Il sito prescelto con delibera comunale del 31 dicembre 2019, si trova nella Valle Galeria, uno dei territori più inquinati d’Italia, come attestano le indagini epidemiologiche del 2013, realizzate negli anni scorsi nei dintorni dell’ex discarica di Malagrotta, di proprietà del “re della monnezza” Manlio Cerroni, aperta (ufficialmente) nel 1974 e chiusa solo nel 2013 dopo anni di sanzioni milionarie dell’Ue: la nuova cava dista solo 500 metri dalla “buca” non ancora bonificata. Area in cui, secondo l’Eras Lazio, si è riscontrata un’incidenza superiore alla media di “tumori alla laringe, disturbi disfunzionali alla tiroide, problemi cardiocircolatori e respiratori”.

Sulle scrivanie di Raggi e Zingaretti stanno piovendo pareri negativi. Quello che sembra avere un impatto più immediato e dell’Enac. Secondo l’Ente nazionale per l’aviazione civile, che regola il traffico aereo, Malagrotta 2 sarebbe troppo vicina all’aeroporto di Fiumicino, da cui parte e atterra un aereo ogni 40 secondi, con circa 43 milioni di passeggeri l’anno. Nella lettera del 7 gennaio, il direttore Claudio Eminente fa menzione del cosiddetto wildlife strike, il danneggiamento dei motori degli aerei a causa dell’impatto con gli stormi di uccelli che ci finiscono dentro. Si citano le tragedie sfiorate nel 2007 e nel 2012, con i voli della Delta Airlines e della Aerolineas Argentinas messi in salvo dai rispettivi piloti. “Dal 2013 – si sottolinea – con la chiusura della discarica di Malagrotta, in aeroporto la presenza di gabbiani è crollata del 76% in un solo anno e questo ha determinato un calo dell’83% di rischio stabilito dall’Enac, con un notevole miglioramento della sicurezza aerea”.

Critico anche il dipartimento Urbanistica del Comune di Roma. “Nel piano territoriale paesistico regionale (legge 556 del 2007, ndr) – si legge – l’area è inserita nel sistema del paesaggio agrario, quale paesaggio agrario di rilevante valore”. Si parla di Agro Romano, territorio che da secoli regala alla Capitale prodotti agricoli unici al mondo. Ed è anche per questo che, come sottolinea la direttrice Cinzia Esposito, “questa tipologia di rifiuti non è ammessa tra gli usi consentiti in Agro Romano” e dunque “il progetto necessita di apposita variante di destinazione urbanistica, consistente nell’eliminazione dell’intera area agricola” per sostituirla “con una destinazione a Infrastrutture tecnologiche”. Una specie di disastro ecologico ed economico. Non è un caso che la direttrice del dipartimento capitolino Ambiente, Laura D’Aprile, nel suo parere, ricordi che proprio l’avvocatura capitolina alcuni mesi fa aveva avviato un iter per il “ripristino ambientale dell’area”, inerente la bonifica di Malagrotta, ferma per un contenzioso da 30 milioni di euro fra il consorzio Colari di Cerroni e la Regione Lazio. Perfino lo Stato maggiore dell’Esercito, stimolato dal presidente della commissione Ecomafie Stefano Vignaroli, scrive che “la discarica renderebbe non più utilizzabile Parco Antenne di Espansione” dove la Difesa ha in programma “l’installazione di nuovi apparati operativi”.

Di certo, se dovesse andare in porto, Malagrotta 2 rappresenterebbe una specie di terno a lotto per Daniele Piacentini, titolare della New Green Roma srl, società al momento “inattiva”, con appena 30 mila euro di capitale sociale, proprietaria della cava di via Monte Carnevale.

La New Green Roma è una società di scopo appartenente alla Eurobeton srl, la cui amministratrice da 11 anni è la 90enne Maria Tantilli. Sopra la Eurobeton, a sua volta, c’è la Andama srl, con capitale sociale di 102 mila euro, sempre di proprietà di Tantilli e, al 25%, di Andrea Piacentini, 30enne praticante avvocato figlio di Daniele. Dalle ricerche effettuate da Il Fatto, risulta che la Eurobeton sia stata autorizzata al recupero della cava nel 2016 dal consiglio regionale presieduto da Daniele Leodori, attuale “reggente” della Regione Lazio visti gli impegni di Zingaretti con la politica nazionale; sempre gli uffici della Pisana, nel lontano 2004 la Eurobeton aveva realizzato lavori nei terreni circostanti all’attuale sede del Consiglio. Fra l’altro, come si evince dalla relativa visura camerale, la New Green Roma il 7 gennaio scorso (quindi una settimana dopo la firma della delibera della giunta Raggi) ha aperto una pratica per un “trasferimento quote di srl” di cui però ancora non si ha notizia. Un passaggio di proprietà in vista della nuova discarica? Il Fatto ha provato più volte a contattare Daniele Piacentini presso gli uffici di viale Palmiro Togliatti, ma non sono arrivate risposte.

“Craxi, un bandito: rubava e aveva bisogno dei ladri”

Ripubblichiamo l’intervista che nel gennaio 2010 Giorgio Bocca, uno dei grandi del giornalismo italiano, concesse al Fatto Quotidiano. All’epoca la sindaca forzista di Milano, Letizia Moratti, voleva intitolare una via o un parco a Bettino Craxi.

Stupito della proposta di Letizia Moratti?

No, non mi stupisce affatto. La vicenda di Craxi è così assurda, come del resto la vicenda di Berlusconi, che ormai sono pronto a tutto. Tutti sanno che Craxi ha rubato miliardi alle aziende pubbliche e a quelle private e alla fine li ha passati a un barista di Portofino che è andato a spenderli in parte in Sudamerica: se pensano che questo sia normale, va bene così. A me invece non pare affatto normale che uno possa ignorare le leggi e fare i comodi suoi come ha fatto Craxi.

Ma Letizia Moratti dice che Craxi è come Garibaldi, l’eroe dei due mondi, o come Giordano Bruno: anche loro furono condannati, ma oggi hanno piazze e vie a loro dedicate.

Che una sindachessa come la Moratti dica queste cose dimostra che siamo arrivati a un livello di follia impensabile. E rivela un grado di ignoranza abissale. Roba da pazzi: Garibaldi, Giordano Bruno… Ma Craxi era uno che faceva politica come un bandito. Per questo piace tanto a Berlusconi. Perché era uno che, se qualcuno non gli andava a genio, chiedeva che fosse licenziato. Lo ha fatto anche con un Giorgio ‍Bocca che lavorava a Canale 5… Sì. Allora lavoravo per la tv di Berlusconi. E Craxi chiese all’amico Silvio di mandarmi via. Io ero di idee socialiste, ma con Craxi si entrava in un’area di illegalità totale, per cui se uno dava noia, veniva cacciato. Ricordo che ero appena arrivato a Canale 5 e Berlusconi mi disse: ‘Arriva Craxi, dovresti intervistarlo tu’. Craxi arrivò e venendomi vicino mi disse: ‘Ciao professore, come va?’. Me lo disse con la stessa voce, con la stessa superbia con cui aveva detto ‘intellettuali dei miei stivali’ a Norberto Bobbio e ad altri professori di area socialista. Feci l’intervista, in cui lui era ripreso sempre di faccia e io sempre di nuca. Ormai in Italia si era creato un clima sudamericano.

Alcuni di coloro che lo vogliono riabilitare sostengono che avrà fatto anche degli errori con i finanziamenti al partito, ma è comunque un grande politico, un uomo di Stato, anzi secondo Gianni De Michelis “il più grande statista della fine del Ventesimo secolo”.

È una follia. Macché statista. La filosofia di Craxi era quella che mi spiegò un giorno un giovane e intelligente dirigente del Psi a cui io chiesi: ‘Ma gliel’hai detto a Bettino che il partito è pieno di ladri?’. E lui: ‘Sì, gliel’ho detto, e lui mi ha risposto: io per andare al potere ho bisogno di soldi e questi ladri i soldi me li portano; quando poi sarò al potere, allora darò la caccia ai ladri’. Ma vi pare che si possa fare politica in questo modo? È una teoria un po’ strana, una teoria della politica assolutamente senza principi.

Rino Formica ha detto che Craxi è stato un grande innovatore e che proprio per questo fu alla fine stroncato “da una congiura di palazzo”.

Rino Formica è quello che definì il Psi craxiano un partito di ‘nani e ballerine’. Dunque è uno che conosce bene i suoi polli. Oggi se n’è dimenticato?

Ma Craxi non è stato il campione del riformismo?

Mah, il successo di Craxi è dovuto, più che al riformismo della tradizione socialista all’aver dato voce, negli anni Ottanta, alla borghesia emergente della moda, degli stilisti, degli architetti: i protagonisti della ‘Milano da bere’. Ceti che, a conti fatti, non hanno poi dato un gran contributo alla società, ma si sono fatti principalmente i loro interessi.

Molti, per rivalutare Craxi, ricordano l’episodio di Sigonella ed esaltano la sua autonomia dagli Stati Uniti.

Vanterie ridicole. Lo stesso modo di far politica di Berlusconi che si vanta di aver messo pace tra gli Usa e la Russia di Putin o addirittura di aver risolto lui il conflitto in Georgia. La verità è che l’Italia in passato ha sempre avuto scarsa autonomia dagli Stati Uniti e ancora oggi in politica estera conta pochissimo.

Altri ricordano soprattutto i suoi aiuti al dissenso nei Paesi comunisti.

Ecco, la fortuna politica di Craxi, anche presso una certa borghesia socialdemocratica, è spiegata dal suo anticomunismo. È la stessa chiave che spiega la politica di Berlusconi. Non a caso i due erano grandi amici.

Riabilitare Craxi significa sconfessare Mani Pulite. Davvero di Mani Pulite “non rimane più niente”, come dice anche Carlo Ripa di Meana?

Mani Pulite è stata un tentativo di purificare la politica italiana. Siccome la politica italiana è piena di corrotti, tutti d’accordo hanno cercato di seppellire Mani Pulite. Si spiega così l’odio della destra per Antonio Di Pietro: viene considerato il demonio solo perché chiede alla politica di essere una politica di persone per bene e non di ladri.

Il bottino di Bettino: ecco la lista delle spese private

Nel giorno del pellegrinaggio ad Hammamet con figli d’arte, complici, coimputati, miracolati, noti ladroni o aspiranti tali (chi non è capace a rubare invidia tanto chi ci riesce), scassinatori, pali e addetti al piede di porco, ci uniamo anche noi al ricordo dell’indimenticabile statista pregiudicato morto latitante 20 anni fa. Purtroppo il nostro è il ricordo di chi ricorda, non di chi s’è scordato tutto o non sa nulla, come l’intera stampa italiana, che da giorni riempie paginate su Bettino senza mai citare il bottino. L’inviata del Corriere sul luogo del delitto e del relitto, per dire, si domanda pensosa se Craxi fosse “latitante, come accusano gli esponenti del M5S (sic,

ndr) o esule, come vorrebbe la figlia” e si risponde che “l’enigma ancora divide. Ma il tempo della damnatio memoriae può dirsi finito”. Invece è appena cominciato, a giudicare dalla sua, di memoria, e da quella degli altri “giornalisti” all’italiana.

Segnatevi questa data: 29 settembre 1994. Mentre il premier Silvio B. compie 58 anni, il pool Mani Pulite fa arrestare Giorgio Tradati, vecchio amico di Craxi e uno dei prestanome dei suoi conti esteri. Il 4 ottobre il pm Antonio Di Pietro lo fa deporre al processo Enimont. E il suo racconto rade al suolo la difesa di Craxi sui “finanziamenti irregolari alla politica”: “Nei primi anni 80, Bettino mi pregò di aprirgli un conto in Svizzera. Io lo feci, alla Sbs di Chiasso, intestandolo a una società panamense (Constellation Financière). Funzionava così: la prova della proprietà consisteva in una azione al portatore, che consegnai a Bettino. Io restavo il procuratore del conto… il prestanome”. Lì cominciano ad arrivare “somme consistenti”: nel 1986 sono già 15 miliardi. E altri 15 su un secondo: quello che Tradati, sempre su input di Bettino, intesta a un’altra panamense (International Gold Coast) presso l’American Express di Ginevra. Ma stavolta c’è una variante: un conto di transito, il Northern Holding, messo a disposizione da un funzionario della banca, Hugo Cimenti, per rendere meno individuabili i versamenti. Come distinguevate – domanda Di Pietro – i bonifici per Cimenti da quelli per Craxi-Tradati? Risposta: “Per i nostri si usava il riferimento “Grain”, che vuol dire grano…”. Risate in aula. Poi con Tangentopoli tutto precipita. “Intorno al 10 febbraio 1993 Bettino mi chiese di far sparire il denaro dai conti, per evitare che fossero scoperti dai giudici di Mani Pulite. Ma io rifiutai… avrei inquinato le prove… E fu incaricato un altro. I soldi non finirono al partito… Hanno comprato anche 15 chili di lingotti d’oro (poi ritrovati dai giudici elvetici, per un valore di 300milioni di lire, ndr).

Craxi rimpiazza Tradati e affida i suoi conti a Maurizio Raggio, ex barista di Portofino, strano personaggio con interessi in Italia e all’estero, fidanzato con la contessa Francesca Vacca Agusta, vecchia amica di Craxi. Raggio si precipita in Svizzera, svuota i conti e si ritrova fra le mani 40 miliardi di lire. Di Pietro sguinzaglia i carabinieri a Portofino, dove vive con la contessa a Villa Altachiara. Troppo tardi. La coppia se l’è già svignata in motoscafo, prima a Montecarlo, poi in Messico. Cimenti intanto conferma ai pm: Raggio ha lasciato sui conti solo un milione di dollari e trasferito il resto su depositi alle Bahamas, alle Cayman e a Panama. Intanto Tradati continua a raccontare: “I prelievi dai conti svizzeri di Craxi servivano anzitutto per finanziare una tv privata romana, la Gbr di Anja Pieroni (una delle amanti, ndr)… e acquistare un appartamento a New York e uno a Barcellona”.

Donne e motori. Il resto lo racconta Raggio, arrestato il 4 maggio ’95 in Messico, dal carcere di Cuernavaca.

In poco più di un anno di latitanza, ha speso 15 miliardi su 40. Il resto, l’ha riportato a Craxi, latitante ad Hammamet, che gli ha detto come e dove spenderlo. La sua deposizione verrà autenticata dal Tribunale e dalla Corte d’appello di Milano, nelle sentenze del processo All Iberian confermate dalla Cassazione (Craxi e B., condannati in primo grado e prescritti in appello). Ecco quella d’appello: “Craxi dispose prelievi… sia a fini di investimento immobiliare (l’acquisto di un appartamento a New York), sia per versare alla stazione televisiva Roma Cine Tivù (di cui era direttrice generale Anja Pieroni, legata a Craxi da rapporti sentimentali) un contributo mensile di 100 milioni di lire… Dispose l’acquisto di una casa e di un albergo (l’Ivanhoe, ndr) a Roma, intestati alla Pieroni”. Alla quale faceva pure pagare “la servitù, l’autista e la segretaria”.

A Tradati diceva sempre: “Diversificare gli investimenti”. E Tradati eseguiva, con varie “operazioni immobiliari: due a Milano, una a Madonna di Campiglio, una a La Thuile”. Senza dimenticare gli affetti familiari: una villa e un prestito di 500 milioni per il fratello Antonio (seguace del guru Sai Baba) bisognoso di soldi per una mostra itinerante e una fondazione dedicate al santone indiano. Intanto il Psi è finito in bolletta per l’esaurimento delle mazzette e prima il tesoriere Vincenzo Balzamo, poi i segretari Giorgio Benvenuto e Ottaviano Del Turco, non sanno più come pagare i dipendenti. Ma Craxi se ne infischia e tiene tutto per sé. Poi vengono le spese di Raggio: 15 miliardi per “il mantenimento della sua detenzione” in Messico e la latitanza in Centroamerica con la contessa e certe distrazioni piuttosto care: 235.000 dollari “per un’amica messicana”; e una Porsche acquistata a Miami.

Case, aerei e Bobo. Il resto rimase nella disponibilità di Craxi, che da Hammamet commissionò a Raggio alcune spesucce: l’acquisto di “un velivolo ‘Citation’ del costo di 1,5 milioni di dollari”, l’estinzione di un “mutuo personale” acceso da Raggio (circa 800 milioni di lire), le parcelle degli avvocati e una raffica di “bonifici specificatamente ordinati da Craxi, tutti in favore di banche elvetiche, tranne che per i seguenti accrediti”: 100.000 dollari al finanziere arabo Zuhair Al Katheeb; 80 milioni di lire alla Bank of Kuwait Ltd “in pagamento del canone relativo a un’abitazione affittata dal figlio di Craxi in Costa Azzurra”. Il povero Bobo – spiega Raggio – “aveva affittato una villa sulla Costa nell’ottobre-novembre 1993, per sottrarsi al clima poco favorevole creatosi a Milano”.

Dunque, conclude il Tribunale, i conti di Craxi servivano “alla realizzazione di interessi economici innanzitutto propri” e “Craxi è incontrovertibilmente responsabile come ideatore e promotore dell’apertura dei conti destinati alla raccolta delle somme versategli a titolo di illecito finanziamento quale deputato e segretario esponente del Psi. La gestione di tali conti… non confluiva in quella amministrativa ordinaria del Psi, ma veniva trattata separatamente dall’imputato tramite suoi fiduciari, così da mettere in difficoltà lo stesso Balzamo… Significativamente Craxi non mise a disposizione del partito questi conti, se non per soccorrere finanziariamente Gbr, in cui coltivava soprattutto interessi ‘propri’”. E, da vero uomo d’affari,

“si informava sempre dettagliatamente (con Tradati, ndr

) dello stato dei conti esteri e dei movimenti sugli stessi”.

I tesori nascosti. Le rogatorie dalla Svizzera confermano che Tradati non mente. E dimostrano che sui conti di Craxi, nel 1991, mentre l’amico Bettino imponeva la legge Mammì scritta su misura per la Fininvest, Berlusconi bonificava 23 miliardi di lire in più rate tramite la società occulta All Iberian. Nessuna risposta, invece, avranno le rogatorie del pool sugli altri tesori di Craxi: quelli gestiti da altri tre prestanome – Gianfranco Troielli, Mauro Giallombardo e Agostino Ruju – su conti e società fantasma fra Hong Kong, Singapore, Bahamas, Cayman, Liechtenstein e Lussemburgo. Tutti miliardi rimasti inaccessibili, almeno ai giudici. Chissà mai chi ci campa a sbafo da 26 anni.