Luigi Di Maio è ancora capo, ma è anche un equilibrista, sta sul filo chiamato Movimento e da sotto, tutti guardano se vorrà saltare oppure restare lassù, magari non più da solo. Di certo qualcosa cambierà, dovrà cambiare.
E lui, dalla Calabria, dove si presenta in campagna elettorale assieme a Laura Castelli, ammette da un microfono che una fase sta finendo e che a breve ne inizierà un’altra: “Per la prima volta dopo 10 anni di storia del nostro Movimento ci rivedremo tutti insieme il 15 marzo in una location che stiamo scegliendo, per mettere finalmente in piedi una nuova Carta dei valori e anche un’organizzazione più efficace, perché il solo capo politico non ce la può fare”. Tradotto, lui non potrà restare quello che è, capo in solitario. E negli Stati generali bisognerà lavorare a un organismo collegiale. Cioè, Di Maio ammette che non potranno bastare le decine di facilitatori nazionali e locali con cui pensava di ricostruire il Movimento, fermandosi lì. Quelli regionali verranno votati domani. Poi si vedrà cosa farà lui, il capo, ovvero se andrà avanti con l’idea delle dimissioni.
Nell’attesa, resta più che restio ad alleanze con il Pd a livello locale, ansioso di non contaminarsi con i dem che invece quello chiedono, un’alleanza strutturale. “Per noi importante è che ci facciano approvare le nostre proposte, non con chi stiamo al governo” scandisce il ministro alla platea di Lamezia Terme. E l’insistere sull’equidistanza, sul concetto che per Di Maio è l’eterno scudo, quello di un M5S “ago della bilancia”, e guai a pendere da una parte. Però Beppe Grillo e Giuseppe Conte sempre lì guardano, verso sinistra. E Di Movimento che deve stare nel campo riformista ha parlato dritto anche Stefano Patuanelli, un evidente rivale di Di Maio nell’ottica di un Movimento con nuove gerarchie e nuovi equilibri. E di certo il tema agita i 5Stelle.
Lo conferma quanto accaduto ieri in Veneto, con l’assemblea dei grillini locali che si è spaccata sulla proposta formulata dal palco dal ministro dei Rapporti per il Parlamento, Federico D’Incà: ovvero, votare sulla piattaforma Rousseau se allearsi con il Pd o almeno con liste civiche per Regionali della prossima primavera, oppure andare da soli. Ed è evidente come D’Incà preferirebbe evitare la corsa solitaria. Non a caso, ieri in assemblea ha ricordato gli obiettivi a suo dire finora raggiunti dal governo giallorosso. E comunque poi bisogna sempre tornare al Di Maio che ieri ha di fatto ufficializzato l’idea di un organismo collegiale al posto del capo politico. “Però non deve essere un nuovo Direttorio” si sgolano i suoi, consapevoli che Grillo non ne vuole sentire neanche parlare. Piuttosto, una sorta di segreteria politica composta da big.
Proprio per questo venerdì Di Maio ha incontrato a Roma la sindaca di Torino, Chiara Appendino, proponendole di entrare nell’organismo. Ma non subito, perché dovrebbe prendere forma a marzo, negli Stati generali che non hanno ancora neppure una sede, e figurarsi le regole e un preciso campo di gioco politico. Sono sospesi, come tutto il M5S con lo sguardo all’insù, mentre il trapezista Di Maio sceglie che futuro darsi. A brevissimo.
@lucadecarolis