La geografia degli alunni ricchi e di quelli poveri sbandierata in home page. Ma anche premi per incentivare le iscrizioni. Il caso dell’Istituto comprensivo “Via Trionfale” ha aperto uno spaccato molto poco conosciuto dei meccanismi alla base della gestione della scuola pubblica.
Il clamore ha poche ore di vita, ma censo e ceto sono entrati anche sulla carta nella composizione delle classi con la legge Bassanini (59/1997) e il Dpr 275/1999, che hanno introdotto tra i banchi le tre “autonomie”: didattica, finanziaria e organizzativa. Una rivoluzione che si è tradotta per gli istituti nell’obbligo di compilare il “Rapporto di autovalutazione” e il “Piano di offerta formativa”. Il primo è un documento che descrive la composizione della popolazione scolastica in base alle sue caratteristiche sociali, economiche e culturali.
In base a queste, poi, il Collegio dei docenti compila il Pof (divenuto con la 107/2015 Ptof con l’aggiunta della specifica “triennale”) che, fermi restando i programmi ministeriali, modula le attività dell’istituto. Si va dalle informazioni circa l’incidenza degli studenti stranieri, quelli con bisogni educativi speciali e sulla presenza di servizi sul territorio e si arriva alle indicazioni contenute nel Ptof dell’Istituto “Champagnat” di Genova, che riporta “i risultati elettorali dei quartieri di riferimento” con percentuali e numero dei voti conquistati da centrodestra e centrosinistra alle politiche del 2018.
Fin qui la fisiologia. Poi arriva il caso di Roma. “Quello che è accaduto è un infortunio linguistico – getta acqua sul fuoco Antonello Giannelli, presidente nazionale dell’Associazione dei dirigenti scolastici – Nelle scuole non c’è discriminazione sociale, tutti noi operiamo per favorire l’inclusione”. È lo stesso meccanismo imposto ai presidi che, spiega il dirigente, genera de facto una mappatura: “Per mettere a punto l’offerta formativa più equilibrata è pacifico assumere informazioni. Se un istituto è frequentato dai figli di immigrati che non parlano bene l’italiano, bisognerà tarare le attività e la composizione delle classi tenendone conto. L’errore della collega – prosegue – è stato quello di dare informazioni che servono solo agli addetti ai lavori e non dovrebbero essere divulgate. È stato un incidente”.
Ma quello di Roma non è l’unico caso. Sulla propria home page la media “G.G. Belli”, due plessi in zona piazza Mazzini, nord della Capitale, spiega che il quartiere è “caratterizzato da un mercato immobiliare molto costoso” e che “la scuola oltre a ricevere alunni provenienti dal territorio, accoglie studenti di zone limitrofe e, in alcuni casi, anche di quartieri più lontani, spesso collegati al pendolarismo (…) degli alunni stranieri figli di immigrati occupati presso famiglie residenti”. E a Bologna l’Istituto Comprensivo n.6 tiene a far sapere che “nel plesso Ercolani/Irnerio il background delle famiglie è medio-alto e la presenza di alunni stranieri è relativamente bassa. Al contrario nel plesso Giordani, situato in una zona della città a forte tradizione immigratoria, (…) le famiglie presentano uno status socio-economico inferiore”.
Altri due casi che contribuiscono ad alimentare il ragionamento di chi pensa che l’Istituto “Via Trionfale” abbia messo in vetrina ceto e censo dei suoi iscritti per indirizzare le famiglie verso un plesso o l’altro. “E’ l’autonomia scolastica ad aver creato una sorta di mercato degli alunni”, spiega Rosaria D’Anna, presidente dell’Associazione italiana genitori. “Ci sono sempre meno fondi e nel periodo delle iscrizioni le scuole competono per accaparrarsi più studenti, e quindi più soldi – prosegue D’Anna – Sembra una lotta tra gli istituti a chi fa meglio agli occhi del ministero”.
Il campionario è variegato e arriva fino all’Istituto tecnico “Caracciolo” di Bari che per contrastare il calo degli studenti ha messo in palio una crociera a Barcellona per il ragazzo iscritto e un genitore. Ricchi premi e cotillon per non restare secco di alunni.