Cosa si fa per un iscritto in più: così funziona il mercato degli alunni

La geografia degli alunni ricchi e di quelli poveri sbandierata in home page. Ma anche premi per incentivare le iscrizioni. Il caso dell’Istituto comprensivo “Via Trionfale” ha aperto uno spaccato molto poco conosciuto dei meccanismi alla base della gestione della scuola pubblica.

Il clamore ha poche ore di vita, ma censo e ceto sono entrati anche sulla carta nella composizione delle classi con la legge Bassanini (59/1997) e il Dpr 275/1999, che hanno introdotto tra i banchi le tre “autonomie”: didattica, finanziaria e organizzativa. Una rivoluzione che si è tradotta per gli istituti nell’obbligo di compilare il “Rapporto di autovalutazione” e il “Piano di offerta formativa”. Il primo è un documento che descrive la composizione della popolazione scolastica in base alle sue caratteristiche sociali, economiche e culturali.

In base a queste, poi, il Collegio dei docenti compila il Pof (divenuto con la 107/2015 Ptof con l’aggiunta della specifica “triennale”) che, fermi restando i programmi ministeriali, modula le attività dell’istituto. Si va dalle informazioni circa l’incidenza degli studenti stranieri, quelli con bisogni educativi speciali e sulla presenza di servizi sul territorio e si arriva alle indicazioni contenute nel Ptof dell’Istituto “Champagnat” di Genova, che riporta “i risultati elettorali dei quartieri di riferimento” con percentuali e numero dei voti conquistati da centrodestra e centrosinistra alle politiche del 2018.

Fin qui la fisiologia. Poi arriva il caso di Roma. “Quello che è accaduto è un infortunio linguistico – getta acqua sul fuoco Antonello Giannelli, presidente nazionale dell’Associazione dei dirigenti scolastici – Nelle scuole non c’è discriminazione sociale, tutti noi operiamo per favorire l’inclusione”. È lo stesso meccanismo imposto ai presidi che, spiega il dirigente, genera de facto una mappatura: “Per mettere a punto l’offerta formativa più equilibrata è pacifico assumere informazioni. Se un istituto è frequentato dai figli di immigrati che non parlano bene l’italiano, bisognerà tarare le attività e la composizione delle classi tenendone conto. L’errore della collega – prosegue – è stato quello di dare informazioni che servono solo agli addetti ai lavori e non dovrebbero essere divulgate. È stato un incidente”.

Ma quello di Roma non è l’unico caso. Sulla propria home page la media “G.G. Belli”, due plessi in zona piazza Mazzini, nord della Capitale, spiega che il quartiere è “caratterizzato da un mercato immobiliare molto costoso” e che “la scuola oltre a ricevere alunni provenienti dal territorio, accoglie studenti di zone limitrofe e, in alcuni casi, anche di quartieri più lontani, spesso collegati al pendolarismo (…) degli alunni stranieri figli di immigrati occupati presso famiglie residenti”. E a Bologna l’Istituto Comprensivo n.6 tiene a far sapere che “nel plesso Ercolani/Irnerio il background delle famiglie è medio-alto e la presenza di alunni stranieri è relativamente bassa. Al contrario nel plesso Giordani, situato in una zona della città a forte tradizione immigratoria, (…) le famiglie presentano uno status socio-economico inferiore”.

Altri due casi che contribuiscono ad alimentare il ragionamento di chi pensa che l’Istituto “Via Trionfale” abbia messo in vetrina ceto e censo dei suoi iscritti per indirizzare le famiglie verso un plesso o l’altro. “E’ l’autonomia scolastica ad aver creato una sorta di mercato degli alunni”, spiega Rosaria D’Anna, presidente dell’Associazione italiana genitori. “Ci sono sempre meno fondi e nel periodo delle iscrizioni le scuole competono per accaparrarsi più studenti, e quindi più soldi – prosegue D’Anna – Sembra una lotta tra gli istituti a chi fa meglio agli occhi del ministero”.

Il campionario è variegato e arriva fino all’Istituto tecnico “Caracciolo” di Bari che per contrastare il calo degli studenti ha messo in palio una crociera a Barcellona per il ragazzo iscritto e un genitore. Ricchi premi e cotillon per non restare secco di alunni.

Scuola divisa per ceti: preside verso la sfiducia

Nel 2008, quando gestiva la scuola media “Pisacane” nel quartiere multietnico di Tor Pignattara, la destra romana l’aveva accusata di “relegare gli italiani a minoranza”. Oggi è tacciata di “classismo” e rischia di essere sfiduciata da una fronda agguerrita dei suoi stessi insegnanti. Annunziata Marciano, preside dell’istituto comprensivo “Via Trionfale” di Roma, mercoledì sarebbe stata vista in lacrime, sommersa dalle polemiche sulla presentazione choc pubblicata sul sito dell’istituto in cui le quattro scuole elementari che ne fanno parte venivano distinte sulla base del ceto sociale dei bimbi che le frequentano: da una parte “l’alta borghesia” e “i figli di colf, domestiche, autisti e simili”, dall’altra figli di “famiglie di ceto medio-basso”. La preside, una psicologa napoletana di 58 anni, da 48 ore non risponde a telefonate e messaggi e ieri non era presente in sede. “Ma quell’annuncio sta lì da anni, lo aveva scritto un altro professore, che se n’è andato un po’ di tempo fa”, confida il bidello. “È un fatto gravissimo che getta un’ombra ingiusta sul lavoro di noi insegnanti”, attacca una maestra.

A quanto si mormora, i conflitti interni potrebbero generare presto in una specie di “mozione di sfiducia” che spingerebbe la Marciano al trasferimento. “È una vergogna, sono contenta che abbiano tolto quello schifo”, dice la cuoca della mensa della sede centrale. Ieri mattina, le famiglie sembravano accusare il peso delle polemiche. “È stata male interpretata”, prova a minimizzare una mamma all’uscita dell’ex Vallombrosa, nell’elegante quartiere dell’Acqua Traversa. “La differenza sta nei quartieri, non nelle scuole. I genitori portano i figli in quella più vicina”, dice un’altra, che aggiunge: “Andate a vedere i prezzi delle case”. Che in effetti, per un appartamento di 70-80 metri quadri, nella “popolare” Monte Mario oscillano fra i 160 mila e i 250 mila euro, contro gli oltre 800 mila euro di Acqua Traversa. “Io sono un militare – racconta un papà in attesa della figlia 12enne – ho uno stipendio normale, ma ho l’alloggio qui. Mia figlia non soffre la differenza economica fra le famiglie”. C’è anche chi pensa che far frequentare ai propri figli una scuola “popolare” sia formativo: “Ho scelto per mio figlio la scuola di via Assarotti (quella di Monte Mario, ndr) – dice un padre, avvocato – Impara a difendersi, a stare al mondo e il valore dei soldi”.

Intanto Giorgia Meloni, leader di FdI, dà la colpa ai “radical chic” e “al mondo intellettuale di sinistra” che “ha usato parole di disprezzo nei confronti del popolo”, forse approfittando del fatto che di fianco alla scuola ribattezzata “dei poveri” c’è la storica sede del Msi Monte Mario. È “in parte colpa dei genitori”, invece, per il portale Skuola.net, secondo cui “nella scelta della scuola, 1 genitore su 3 bada al profilo socio-economico dei compagni di classe dei figli e alla presenza di stranieri e disabili”.

No, la revoca no! Atlantia, i debiti e lo speculatore di Etruria

C’è una cosa meravigliosa nel dibattito attorno alla revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia per il crollo del Morandi. No, non ci riferiamo a quei tizi che in tv e sui giornali parlano di “certezza del diritto” perché i contratti non si possono cambiare: evidentemente ignorare per anni gli allarmi sul “rischio crollo” a Genova o non fare manutenzione non integra la fattispecie “inadempimento” o “colpa grave”; evidentemente il codice civile e quello dei contratti pubblici non sono fonti del diritto. No, la cosa meravigliosa è leggere sui giornali report ispirati da Atlantia, la holding controllata dalla famiglia Benetton, che parlano del rischio fallimento di Aspi e a catena del resto dell’impero: Autostrade ha 11 miliardi di debiti! Atlantia ha 38 miliardi di debiti! Non potete revocarci! E ora gli editorialisti che trattavano da speculatori pensionati con 50 mila euro di bond Etruria, piangono per alcune ingenue banche d’affari. Ne deduciamo che il mondo funziona così: tu prendi a debito in concessione dallo Stato una macchina da soldi che potrebbe gestire più o meno chiunque; con quel flusso di cassa ti indebiti di più per ottenere altre concessioni; per aumentare il flusso a un certo punto cominci a non fare manutenzione finché non ti viene giù un ponte. Uno direbbe: il giocattolo s’è rotto. Macché: ora la comunità deve preoccuparsi dei tuoi debiti e del valore delle azioni tue e dei tuoi soci. E allora facciamo così: ci scusiamo noi, è stata tutta colpa di quei 43 stronzi che si sono messi in macchina quell’agosto di un anno e mezzo fa.

La bieca ottusità degli anti-specisti sfiora il ridicolo

L’assessore di Rouen, Francia, ha deciso che dal prossimo anno i bambini della cittadina andranno a scuola in “equibus”, un calesse trainato da un cavallo con l’aiuto di una batteria elettrica. Un’iniziativa intelligente per diminuire, per quel che si può, l’inquinamento, e graziosa per divertire i bambini e metterli a contatto con gli animali di cui, dopo la scomparsa dei circhi, non hanno più alcuna idea.

Apriti cielo. Sono insorti gli animalisti (l’animalismo, per parafrasare qualcosa di ben più importante, è la malattia infantile dell’ecologismo), in particolare gli anti-specisti che sostengono che non c’è, e non ci dev’essere, alcuna differenza tra l’animale uomo e gli altri animali del Creato.

Nel mio personalissimo cartellino ritengo che l’uomo e la donna siano gli animali più stupidi del Creato: è stata Eva, Eva la civetta, Eva la maliarda, Eva la lasciva, Eva la fedifraga, Eva la curiosa a mangiare la mela della conoscenza, proprio quella mela per la quale Domineddio aveva emesso il più reciso interdetto. Ma è mai possibile, porco cane, che di tutti i frutti che c’erano in quel paradisiaco giardino Eva andasse a cogliere proprio quello proibito? Se il Demonio si fosse presentato a un leone costui l’avrebbe respinto con un ruggito per cui quello se la sarebbe data a gambe andando a cercare animali più ingenui o più incoscienti.

Detto questo io credo che l’uomo abbia il diritto di essere antropocentrico, come il leone è leonecentrico, il gatto gattocentrico, il topo topocentrico. Il leone si meraviglierebbe molto se qualcuno gli dicesse che, per motivi etici, non può sbranare l’antilope. Lo sfruttamento da parte dell’uomo degli animali esiste da quando esistono gli uomini e gli animali. Forse gli anti-specisti, invece di inumidirsi per la sorte del povero cavallo costretto a trasportar bambini e ancor più per il toro trafitto dal matador nella corrida o per gli azzoppamenti dei cavalli nel Palio di Siena (tutte attività che servono per dirigere altrove l’aggressività umana, che è una precondizione necessaria della sua vitalità, ed evitare i mostruosi crimini fra gli abitanti delle “villette a schiera” come diceva il mai troppo rimpianto Guido Ceronetti), dovrebbero interessarsi di più a come oggi vengono allevati gli animali per il nostro nutrimento.

Stabulati, sotto la luce dei riflettori 24 ore su 24, perché crescano il più in fretta possibile, gli animali di cui noi ci nutriamo, mucche, maiali, polli, sviluppano malattie prettamente umane, depressione, infarto, ictus, disturbi cardiovascolari, cosa che naturalmente ha riflessi sull’uomo che si nutre di carne malata, di animali malati e che ha una notevole incidenza, insieme a molti altri fattori, sull’aumento esponenziale dei tumori anche in giovane età. È vero che gli anti-specisti per evitare lo stabulamento propongono di arrivare alla carne artificiale ottenuta coltivando in vitro cellule staminali di animali. Ma questa a me sembra una mostruosità, in nome della Scienza, ancor più mostruosa.

E così, il povero Jean-Michel Bérégovoy, assessore ecologista da sempre, con la sua iniziativa intelligente è finito nella lista nera degli anti-specisti che a me non sembrano molto lontani dai più noti “terrapiattisti”. Non c’è niente da fare, come diceva Maurizio Costanzo, parlandone da vivo, “la madre dei cretini è sempre incinta”.

I pochi cronisti corsari sui temi dell’ambiente

Caro direttore, tutti si riempiono la bocca di ambiente, di disastro planetario e però l’informazione sui problemi ambientali non fa molti passi avanti, né sulla carta stampata, né in televisione (tantomeno in Rai esclusi gli Speciali del Tg1 di Maria Luisa Busi e Igor Staglianò). Il fatto che tu abbia aggiunto alle già numerose firme del giornale (penso alle inchieste di Ferruccio Sansa e di altri) e di collaboratori competenti quali Settis e Montanari quella del meteorologo Luca Mercalli dà una risposta al desiderio di molti di saperne e di capirne di più. Nei grandi quotidiani è ormai difficile identificare gli specialisti affidabili, quelli che un tempo “davano la linea”. Tornando molto indietro nel tempo penso ad Antonio Cederna sul Corriere e poi su Repubblica (e pure sull’Espresso), a Mario Fazio sulla Stampa, ad Alfonso Testa su Paese Sera, a Vito Raponi sull’Avanti! e mi ci metto io pure per Giorno e Messaggero. Ma avevano spazio anche commentatori specializzati, emergevano leader oggi introvabili come Fulco Pratesi per il Wwf, mentre Giorgio Bassani e Bernardo Rossi Doria davano spicco e autorevolezza a Italia Nostra.

A un certo punto i giornalisti che si occupavano di beni culturali e ambientali erano tanti che Manuela Cadringher del Tg2, se ben ricordo, promosse una loro associazione per coordinarsi meglio. Un clima nel quale sono cresciuti, credo, gli Erbani, i Cianciullo e tanti altri. Un sole oggi molto pallido. Anche nelle associazioni ambientaliste e/o naturaliste. Grazie anche alla “uccisione” dei Verdi operata dall’operazione-tesseramento di Alfonso Pecoraro Scanio, micidiale.

Non parlo poi della Rai-Tv dove ogni telegiornale aveva anni fa uno o due esperti in materia (penso a Tina Lepri, a Fernando Ferrigno, mai effettivamente sostituito al Tg3), c’erano tante rubriche specifiche. Da Bellitalia ad Ambiente Italia, al Regno degli animali, all’Albero Azzurro. Non abbastanza forse e però se uno va a rivedersi le vecchie puntate, capisce perché siano state poi sterilizzate o (Ambiente Italia) soppresse con scuse risibili. Alla fine del secolo scorso, il Mibac poteva contare sullo 0,40 % del bilancio statale. Con Berlusconi è stato dimezzato, bassa macelleria. Con Renzi non si è risollevato granché. Oggi è tanto se arriva al 25-26%. Facciamo pena.

Diventa gigantesco in materia il problema dell’informazione scritta, parlata, audiovisiva, ma giornali, telegiornali, radiogiornali (forse un po’ meno) arretrano, sono più vaghi e generici, salvo qualche paginata straordinaria. Poi c’è chi reagisce, per esempio il Gruppo dei Trenta, trasversale fra naturalisti e ambientalisti che, ad esempio, con Giorgio Boscagli, già direttore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, realizza un puntualissimo notiziario periodico di fatti e misfatti, forestali e non solo, davvero esemplare fungendo da stimolo pungente.

Ci vogliono più “corsari” dello stesso tipo, le Associazioni tradizionali sembra infiacchite, ma ci vogliono più organi di informazione che ne raccolgano le motivate denunce e anche le segnalazioni di successi. Il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, è stato attivo e spesso convincente in questo accidentato momento governativo. Al Mibac Alberto Bonisoli ha fatto spesso confusione e Dario Franceschini suona di meno le trombe, ma nulla corregge della propria “deforma” che ha scassato la macchina ministeriale puntando (figuriamoci) soltanto sui musei e non capendo nulla del territorio, del Bel Paese che va alla malora. Per questo e altro la collaborazione di Luca Mercalli al Fatto va segnalata e salutata come merita da un vecchio ma non rassegnato cronista di queste e altre materie.

5s, gli stati generali contro la crisi

Non mi iscrivo tra coloro che si compiacciono per il travaglio che affligge il M5S, ma esso va preso sul serio. Pur consapevole dei suoi vistosi limiti, non ho mai condiviso il diffuso, invincibile pregiudizio nei confronti del M5S. Per più ragioni: ho sempre considerato positiva la parlamentarizzazione del potente vento di protesta, tutt’altro che privo di argomenti, contro la politica, che avrebbe potuto prendere una piega più inquietante; vi riscontravo una domanda di partecipazione attiva dei cittadini, specie giovani, ancorché incline a qualche ingenua illusione circa gli istituti della democrazia diretta; apprezzavo la sensibilità in tema di legalità, nella quale non eccelle il costume italico, compresa la discriminante antiberlusconiana (sconcerta la smemoratezza circa la sostanza del berlusconismo che oggi taluni, anche a sinistra, si e ci raccontano come moderato, liberale, europeista. Ma quando mai?). Di più: oggi l’asse Pd-5 stelle è privo di alternative per chi vuole competere con Salvini e ripristinare un nuovo bipolarismo utile alla nostra democrazia. Ciò detto, la crisi del M5S va affrontata alla radice e l’auspicio è che lo si faccia negli annunciati stati generali del movimento. Non ci si deve illudere di venirne a capo con misure tampone, ritocchi agli organigrammi, sanzioni disciplinari.

Si è molto battuto sulla soggettiva “malavoglia” di Di Maio verso la maggioranza giallorossa. Ma non si deve esagerare nella personalizzazione: al fondo, sta il problema irrisolto di un chiarimento circa identità e missione della forza politica di gran lunga maggioritaria in parlamento. Materia precipua di un congresso. Pur nella sua sobrietà, l’annuncio ufficiale sul blog degli stati generali anticipava tre punti cruciali. Cito: 1) “la politica si è radicalmente trasformata negli ultimi dieci anni” e ciò esige dal M5S “nuove parole, nuovi obiettivi, nuova traiettoria, nuova carta dei valori”. Discontinuità, quasi una “rinascita”; 2) non però una nostalgica regressione al modulo antico, ma impegno “dentro le istituzioni” nazionali e locali; 3) nuova forma organizzativa: non lo si esplicita, ma il senso è chiaro, più “condivisione e divisione degli incarichi”, più democrazia interna sin qui decisamente mortificata. Di lì a poco, il fondatore Grillo ammoniva: indietro non si torna, nessuna nostalgia per lo statu nascenti del movimento. Traduco: non si fugga dalla difficile sfida della responsabilità di governo; non si regredisca rispetto al dovere di cooperare con altri; non si consideri una capitolazione, ma, all’opposto, una maturazione, un salto di qualità nella democrazia interna di partito e dunque nella contendibilità delle cariche. Il solo modo per razionalizzare e mettere ordine nella dinamica interna al Movimento altrimenti condannata alla spirale entropica di mediocri conflitti di potere tra persone e gruppi, privi di un riconoscibile costrutto politico. La stessa scelta di campo del M5S, che non può più essere esorcizzata con la teoria ambigua e trasformistica dell’“ago della bilancia” o della “terza via” – un profilo decisivo della questione identitaria che Grillo già, in certo modo, ha anticipato indirizzando i 5stelle verso un rapporto impegnativo con il Pd – è bene tuttavia che sia socializzata e sancita da un solenne rito collettivo, da un confronto aperto e partecipato, appunto dagli stati generali.

Come si conviene a una formazione politica democratica e organizzata, che oggi – chi più lo capisce? – ha un capo, pochi capi, troppi capi… nessun capo riconosciuto e legittimato. Una scelta di campo ineludibile che dovrebbe essere coerentemente coronata con l’avallo a una nuova legge elettorale che spinga a siglare alleanze da sottoporre agli elettori prima del voto. Perché non accettare la sfida di un ripristino del Mattarellum che favorisce coalizioni, bipolarismo e un rapporto tra elettori ed eletto nei collegi uninominali? Anche su questo è lecito attendersi una parola chiara dagli stati generali.

Mail box

 

Io, disabile, pago 160 euro ogni due anni per la patente

Caro Direttore, so che forse non è il luogo adatto quello di Piazza Grande, ma volevo portare a conoscenza di chi ci legge una questione davvero sconcertante, ma soprattutto iniqua. Ho una disabilità riconosciutami al 100% per problematiche renali che mi costringono a sottopormi a sedute trisettimanali di emodialisi da quasi 5 anni, in attesa di un eventuale trapianto.

Non mi lamento certo del servizio ospedaliero nonostante qualche problema ogni tanto ci sia stato. Mi fa gridare all’ingiustizia che mi trovo, proprio in questi giorni, a dover rinnovare la patente di guida. Non è certo in discussione il fattore di dover rinnovare ogni due anni (10 per una persona “normale”). È giusto vista la patologia, ma dover spendere più di 160 euro tra versamenti, marche da bollo e visite mediche ogni 2 anni mi sembra totalmente fuori dal mondo, oltretutto dopo aver sentito i nostri politici riempirsi la bocca con annunci di aiuti al mondo delle disabilità (Salvini su tutti ma non solo lui).

Francesco Ferdico

 

Bettino e Berlusconi, alla faccia dell’amicizia disinteressata

Il 12 gennaio Silvio Berlusconi ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Posso testimoniare che poche altre volte nella vita ho avuto un’amicizia sincera e disinteressata come quella di Craxi”. Ma proviamo a ripercorre gli episodi più significativi e degni di memoria di quella così nobile amicizia. Bisogna ricordare ad esempio le tangenti versate da All Iberian sui conti svizzeri di Craxi per le sue spese personali, sulle quali non è stata fatta chiarezza per anni anche a causa della corruzione del testimone Mills; le intercettazioni risalenti all’agosto 1983 quando Craxi, da poco insediatosi a capo del governo, lamentava i continui attacchi di quella “merdolina” di Montanelli, esercitando forti pressioni sulla redazione del Giornale; e soprattutto i decreti Berlusconi per aggirare la legge che impediva alle tv private di trasmettere di scala nazionale e di fare concorrenza alla Rai, in cambio degli spot elettorali del partito socialista sulle reti Mediaset.

Jacopo Ruggeri

 

L’attitudine tutta italiana di perdonare i potenti

Seguo con voi, non senza preoccupazione, “curiosità”, fondata apprensione, il fenomeno populista e demagogico che si perpetua da oltre 25 anni! Prima con Berlusconi, in parte con Renzi e ora in maniera eclatante e irrazionale con Salvini. Ovvero, il leader di turno viene omaggiato, osannato, inseguito, perdonato di ogni comportamento e nefandezza; ciò nonostante trattasi di personaggi dall’esempio chiaramente censurabile. Signori dalla palese ostentata mala educazione e volgarità, ignoranti e bugiardi, oggetto di processi con imputazioni vergognose; condannati e condannabili. Con il voto regionale in Emilia Romagna, sembra siamo prossimi alla fine del mondo politico sin qui conosciuto. Se non fosse che le conseguenze dell’instabilità italiana si rifletteranno in ambito Ue (che già non gode di buona salute), e che i nostri “fondamentali” sono da brividi, non vedrei l’ora come andrà a finire.

Nulla può fermare il treno senza freni lanciato verso il burrone, quando l’uomo perde l’uso del libero arbitrio. Pensare che la scolarizzazione di massa doveva liberarci dal rischio ricorsi storici!

Paolo Mazzucato

 

Plessi in base al censo: così fallisce la scuola pubblica

Ma se uno non appartiene ai principali ceti alti descritti nel sito della scuola romana? Magari è genitore che porta il figlio/la figlia in Prati perché deve fare un lavoro umile (pulizie, usciere, facchino, etc) o comunque non “aulico” in un edificio istituzionale o in una grande Impresa con sede nei paraggi… Così, con pagine del genere, li si fa sentire a priori una minoranza. Si evidenziano gli “alunni stranieri figli di immigrati occupati presso famiglie residenti”… ma perché? “Minoranza” tollerata? Categoria protetta? A Scuola il ceto delle famiglie dei ragazzi non conta! Alla fin fine anche la Scuola “Trionfale” illustrava uno stato di fatto di differenze fra Plessi. Qui addirittura nello stesso Plesso si evidenziano i ricchi e i poveri, i bianchi e i neri… È questa la Scuola pubblica? Ho avuto una figlia in questo Istituto Comprensivo, so di che parlo.

Fulvia La Macchia

 

Il Belgio senza governo: i politici attuali non servono

C’è da chiedersi perché il Belgio, per la seconda volta in pochi anni senza governo per un significativo periodo di tempo, vada a gonfie vele e i suoi parametri economici siano migliorati negli ultimi mesi. L’unica spiegazione possibile è a mio parere una sola: i governanti, vecchi o appena eletti che siano, nell’ansia di farsi notare, di fare qualcosa di nuovo, finiscono regolarmente per fare solo “cavolate”. Trincerandosi regolarmente dietro parametri, necessità, regole, obblighi che loro definiscono inderogabili, invece non fanno altro che stressare il paese.

I governanti attuali sono impreparati, poco professionali, disinformati, spesso ignoranti e di frequente corrotti e purtroppo ben distanti da giganti della politica di un tempo come Churchill, Kohl, Roosevelt, Mitterrand, La Pira, Berlinguer e Moro, a fronte degli attuali che non nomino per carità di patria.

Enrico Costantini

Per Dessì (M5S) è “l’ultimo leader”, ma che ha fatto oltre ad affossare il Paese?

Ho letto un’intervista rilasciata dal senatore pentastellato Emanuele Dessì al Corriere della Sera del 13 gennaio, in cui, alla domanda di Alessandro Trocino, “Qual è l’ultimo leader politico?”, Dessì ha risposto: “Bettino Craxi”. “Non proprio il vostro modello di politico…”, ribatteva Trocino. E Dessì proseguiva: “Ha portato l’Italia sull’orlo del baratro economico, ma era un leader vero e ha fatto cose importanti”. Che ne pensate delle risposte di Dessì che mi hanno lasciato molto perplesso?

Ognuno ha diritto di pensarla come crede, gentile lettore. E ormai il mainstream è il ripensamento, la riabilitazione, addirittura la santificazione di Bettino Craxi, a vent’anni dalla sua morte ad Hammamet. Che lo facciano i suoi famigliari e chi ne ha condiviso il destino politico, e magari anche le imputazioni processuali, può risultare almeno comprensibile. Più stravagante che agli elogi postumi si associ il senatore di un movimento che ha fatto dell’opposizione al sistema della corruzione il suo tratto distintivo e grazie a questo è diventato il primo partito italiano. Oggi, forse per segnare (o inventare) differenze interne al movimento, c’è chi può affermare in un’intervista che Craxi “era un leader vero” che “ha fatto cose importanti”. Sarebbe stata utile una seconda domanda: quali sono le “cose importanti” fatte da Craxi, che pure “ha portato l’Italia sull’orlo del baratro economico”?

Leader vero lo è stato: era al centro del sistema del Caf, l’asse Craxi-Andreotti-Forlani, che ha bloccato il Paese dentro una rete di poteri che ha legato partiti, boiardi dell’industria di Stato, imprenditori privati amici dei partiti, finanziati dalle banche telecomandate dalla politica. Non senza il contributo di poteri poco visibili, ma molto attivi in quegli anni, come la P2 e Cosa Nostra. Era il leader più visibile – anche per il suo stile ruvido – del sistema che taglieggiava ogni centesimo speso in opere pubbliche e pubblici servizi per riempire le casse dei partiti (e i conti dei politici), compiendo reati che non erano solo l’illecito finanziamento, ma la corruzione, la concussione, la ricettazione, il falso in bilancio. Sì, ha fatto “cose importanti” questo “leader vero”. Importanti e gravissime. Oggi, contando sulla scarsa memoria e sull’effetto nostalgia, molti puntano alla riabilitazione di Craxi, perché rimpiangono non solo la loro giovinezza, ma soprattutto il suo sistema di potere.

Il legno e i pellet inquinano, ma il pericolo vero è altrove

Del malsano accumulo di inquinanti nell’aria si parla ogni inverno, quando nei periodi senza pioggia, neve e vento, le emissioni nocive rimangono intrappolate soprattutto in Pianura Padana, chiusa tra Alpi e Appennini. Ossidi di azoto, monossido di carbonio, polveri fini come le PM10 (dal diametro di 10 micron, ovvero 10 millesimi di millimetro), le PM2.5, fino ad arrivare all’ancor più pericoloso particolato ultrafine (meno di un micron) in grado di passare direttamente dall’apparato respiratorio al sangue. Pur in un quadro di generale miglioramento della qualità dell’aria attestato nell’ultimo trentennio dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, le città italiane si distinguono per i superamenti del tetto di 35 giorni all’anno con almeno 50 microgrammi di PM10 al metro cubo (una settantina di giorni a Padova e Torino nel 2019 secondo il Sistema Nazionale di Protezione dell’Ambiente).

In questo periodo dall’atmosfera avvelenata si è riaccesa la polemica sulle fonti del particolato, tra chi ritiene inutili le misure di contenimento del traffico e chi le restrizioni nell’utilizzo di stufe e caminetti. I dati delle Arpa dicono in effetti che gli impianti domestici a biomassa contribuiscono a circa metà della concentrazione media annua di PM10 nell’aria padana, talora oltre nelle zone di provincia in cui il riscaldamento ha un peso maggiore rispetto al traffico.

A Torino, città tra le più inquinate d’Italia, le PM10 da fonti legnose pesano per il 44% della concentrazione media a fronte del 4% del riscaldamento da altri combustibili, poi c’è il 38% dovuto al settore trasporti, il 6% all’industria, e il restante 8% ad altri comparti tra cui l’agricoltura. Le stufe a legna, soprattutto quelle vecchie e inefficienti, dunque inquinano parecchio, ma demonizzarle a priori è eccessivo.

È corretto limitarle nei centri urbani (tollerando i forni a legna delle pizzerie!), mentre in campagna e in montagna – dove peraltro è più difficile avere altre opportunità di riscaldamento – bruciare legna del bosco vicino a casa, in quantità in equilibrio con la crescita degli alberi, è neutrale rispetto alle emissioni che generano il riscaldamento globale: si emette carbonio non di origine fossile, e che viene bilanciato dalla fotosintesi dalle piante in vita. Più controverso l’uso del pellet, prodotto di lavorazioni industriali che in genere viaggia in camion per centinaia di chilometri.

Il modo di scaldarsi a biomassa più problematico per l’ambiente resta tuttavia il caminetto aperto, molto inefficiente poiché privo di regolazione dell’apporto d’aria e abbattimento dei fumi. Interessante l’approccio del comune di Feltre, che incentiva la sostituzione dei vecchi caminetti con modelli nuovi a inserto chiuso e stufe ad alta efficienza, contrassegnate dalla certificazione a stelle “Aria pulita” di Aiel, Associazione italiana energie agroforestali. Ma occorre intervenire anche negli altri ambiti con azioni a lungo termine e la collaborazione tra politica e cittadinanza, ed è ciò che punta a fare il progetto europeo “Life PrepAir” che vede interagire tutte le regioni del Nord Italia.

Alcune idee. Efficientare anche gli impianti termici a fonti fossili e sostituirli se possibile con pompe di calore; coibentare gli edifici per ridurre le esigenze di riscaldamento, interventi sostenuti in Italia da un sistema di ecobonus tra i migliori al mondo, eppure poco conosciuto e utilizzato; limitare l’abbruciamento di potature e sfalci privilegiandone il compostaggio (un solo fuoco di sterpaglie umide può inquinare come centinaia di stufe).

Quanto alla mobilità, oltre all’ormai frusto ma sempre utile invito a preferire i mezzi pubblici, interroghiamoci sul perché ci spostiamo così tanto, e abbattiamo all’origine la necessità di muoversi grazie al telelavoro oggi possibile con le moderne tecnologie, a un’economia e a un turismo a più corto raggio. Laddove non si può fare a meno dell’auto privata, puntare a una mobilità sobria, condivisa ed elettrica, soluzione che – tra incentivi, risparmio su bollo e carburante, diffusione delle colonnine di ricarica e autonomia su distanze ormai superiori a 300 chilometri – inizia a essere concorrenziale, soprattutto se alimentata con l’elettricità fotovoltaica prodotta sul tetto di casa, rispetto alle vetture a motore termico che ci hanno accompagnato per un secolo.

Fatto tutto questo, forse allora potremo guardare con meno sospetto e sensi di colpa la rassicurante fiamma dietro al vetro di un moderno focolare.

In città apre una sezione della Dia: “Sarà operativa dal 15 febbraio”

La risposta dello Stato c’è e faremo sentire la nostra voce”. Il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, ieri ha ribadito più volte il concetto. E qualche passo concreto è stato fatto. Una data, innanzitutto. Quella del 15 febbraio: “Abbiamo già fatto un Comitato di ordine e sicurezza pubblica alla Prefettura di Foggia. Avevo preannunciato l’istituzione di una sezione della Direzione investigativa antimafia a Foggia e oggi posso confermare che il 15 febbraio sarà operativa con 20 persone”.

Non si tratta dell’unica misura prevista. “Ho chiesto al capo della Polizia – aggiunge il ministro – di inviare delle forze dell’ordine per presidiare maggiormente il territorio. Ci sarà dunque un sensibile incremento per questo periodo perché voglio che lo Stato sia presente e vicino ai foggiani. È importante dare una dimostrazione di unità della parte sana della società”.

E così Foggia si ritrova, caso piuttosto raro se non unico, a ospitare una sede della Dia pur non ospitando, come avviene normalmente, una Corte d’appello. L’ennesimo segnale – frutto anche delle reiterate richieste del M5S – di una situazione ormai oltre il limite.

Nel settembre 2018 fu istituito dal ministero della Difesa e dal Comando generale dell’Arma dei carabinieri il reparto dei Cacciatori di Puglia – omologo dei corpi operativi in Sardegna e Calabria – proprio per contrastare meglio le mafie dell’area garganica. Parliamo di specialisti in perlustrazioni nelle zone impervie, come quelle del Gargano, e nella ricerca di latitanti.

E se è vero che negli ultimi anni sono state molte le operazioni che hanno colpito la “società foggiana”, resta il fatto che non si fermano attentati ed estorsioni. Basti pensare che nei soli primi tre giorni del 2020, due negozi e 7 auto sono state fatte saltare in aria dalla criminalità organizzata. E ieri, con la bomba a “Il sorriso di Stefano”, l’ennesimo segnale che la mafia foggiana non intende mollare la sua presa sul territorio.