Luca che conosce gli agenti della sua scorta e torna a casa con loro. Gli anziani ospiti che, quando il tam tam delle notizie li avverte dell’esplosione, si presentano in anticipo al “Sorriso di Stefano”, la struttura bombardata ieri mattina, che li accoglie dal lunedì al sabato. Il Viminale che annuncia: il 15 febbraio sarà istituita una sezione operativa della Direzione investigativa antimafia in una porzione della caserma Miale. E poi la lunga riunione in prefettura, già prevista, convocata dal commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, Annapaola Porzio. È un segnale allo Stato, quello che l’uomo incappucciato e in bicicletta, ha lanciato ieri mattina alle 5:50, quando ha fatto esplodere una bomba carta davanti alla saracinesca del “Sorriso di Stefano”? È una sfida ai 20 mila foggiani che il 14 gennaio hanno marciato con Libera contro la “quarta mafia”? O è un segnale indirizzato a Luca Vigilante, 38enne manager della sanità privata e convenzionata con il pubblico, un uomo che non gestisce soltanto quella struttura per anziani, ma realtà ben più consistenti, come il “nuovo” Don Uva di Bisceglie? Probabilmente è tutto questo insieme e anche molto di più.
Di certo, è il segnale di criminale indifferenza ai bisogni della città, alla necessità che gli anziani possano socializzare e vivere meglio, poiché è il loro centro, innanzitutto, che è stato colpito. I danni non sono gravi. La signora che a quell’ora era all’interno per le pulizie è per fortuna rimasta illesa. Ma la criminalità organizzata non s’è fatta scrupoli nel colpire un luogo che accoglie gente debole e fragile per definizione. Un luogo che – ci spiega Luca Vigilante – nasce come gesto di riconoscenza di Stefano, un giovane utente della struttura che, poco prima della sua morte, chiese a suo padre di donare quel luogo affinché fosse destinato all’accoglienza degli anziani. Fu così che “Il sorriso” si trasformò nel “sorriso di Stefano”. Quel sorriso ieri è stato sfregiato.
E Luca ha dovuto cambiare improvvisamente vita. Non aveva alcuna intenzione di fare l’eroe. Qualcosa gli è esploso tra le mani molto prima della bomba di ieri. Due anni fa fu raggiunto da un paio di criminali che gli chiedevano assunzioni. Lui si rifiutò. Ma non poteva immaginare che i criminali fossero sotto intercettazione, che quelle proposte venissero registrate, che qualche giorno dopo sarebbe stato convocato dagli investigatori, che si sarebbe ritrovato nei panni di una “persona informata sui fatti”.
Luca ha confermato quel tentativo di estorsione. E la sua vita ha iniziato a cambiare. Ma c’è un dettaglio che in questa storia non ci deve sfuggire: non è più un testimone. Gli imputati hanno scelto il rito abbreviato: Luca non sarà chiamato a testimoniare in questo primo grado di processo. E ancora: il 3 gennaio qualcuno ha fatto esplodere il Suv aziendale. Per quale motivo?
Sfida allo Stato? La marcia di Libera, quella che ha mostrato la reazione di Foggia, porterà per strada 20 mila persone, sì, ma soltanto una settimana dopo. Forse Luca non è solo il “testimone” che deve pagare. D’altronde, come lui stesso spiega, “compaio nel 19esimo capo d’imputazione contestato ai processati”. Forse il problema di Luca è un altro: essere un imprenditore di successo e non piegato alle logiche criminali. E la mafia foggiana deve poterlo piegare come imprenditore. Non c’è riuscita due anni fa? Probabilmente vuol farlo adesso. E lo Stato? Le marce antiracket? Forse fanno paura. Ma non tanto da retrocedere. “Chi ci ha colpiti – dice Luca – non è un mitomane, ma appartiene alla criminalità organizzata. Come traduco questo segnale? Ho mille idee per la testa che a volte si annullano tra loro. Non posso escludere che vi sia un altro scopo estorsivo. Da parte di un altro clan. Quando è esplosa l’auto è il primo pensiero che m’è venuto in mente. Ma oggi? È un segnale a me o allo Stato? Non so rispondere. Di certo la mia vita è cambiata per sempre. Non è piacevole tornare a casa con la scorta”. Forse la chiave non è a Foggia, ma a Bisceglie, dove il Don Uva è tornato a fiorire: parliamo dell’ex manicomio, che oggi è gestito dalla “Universo Salute”, gestita anche da Luca, e che s’è trasformato in una residenza sanitaria che vanta circa 1.700 posti di lavoro.
“Recuperare una realtà così grande, che aveva centinaia di milioni di debiti ed era sottoposto all’amministrazione straordinaria”, siega Luca, non è stato facile. Gestiamo appalti notevoli. Abbiamo agito con strategie nuove. E soprattutto: con la massima trasparenza pubblica. Qualcuno può non aver gradito. O magari pensa di pretendere qualcosa. Non so. Non lo escludo. E’ solo un’idea. Una fra tante”.