Chiunque entrava in contatto con il gruppo di Claudio Foti dopo un po’ si rendeva conto che c’era qualcosa che non tornava. Le reazioni spesso eccessive e la pretesa di infallibilità dei professionisti che ruotano intorno a Bibbiano è una costante degli atti dell’inchiesta “Angeli e Demoni”. Mai un dubbio. Anzi. Chi si dimostrava titubante veniva accusato di essere un “negazionista” degli abusi e poi veniva cacciato dalla chat dedicata su WhatsApp. Considerato non all’altezza della lotta contro la setta di pedofili e satanisti che si nascondeva nella Val d’Enza, e di cui a tutt’oggi non esiste traccia o prova.
Nel Reggiano si annidavano veri e propri mostri capaci di abusi irripetibili, immondi al punto da far svenire le stesse vittime minorenni con le loro violenze: era questo il leitmotiv di Federica Anghinolfi, responsabile dei servizi sociali, del suo braccio destro Francesco Monopoli, assistente sociale, e di Claudio Foti, terapeuta e dominus morale del gruppo e della moglie Nadia Bolognini, psicoterapeuta. I quattro sono indagati a vario titolo di diversi reati, fra gli altri anche falsa perizia, frode processuale, abuso d’ufficio e depistaggio.
Se un professionista esterno si relazionava con uno dei quattro, per un caso di presunti abusi o affido, puntualmente veniva informato del pericolo: sempre con i telefoni spenti, lontani da occhi indiscreti e telecamere, magari in un luogo all’aperto. Diversi testimoni in questi mesi hanno raccontato della pressione paranoica subita dal gruppo, che arrivava addirittura a suggerire di cambiare percorso in auto quando si rientrava a casa per controllare di non essere seguiti. Le critiche di terzi, anche apparentemente legittime, o il consiglio di rivolgersi agli inquirenti per denunciare questa orrida realtà di sette sataniche, per gli indagati diventavano un motivo valido per escluderli dalla chat WhatsApp. O peggio, per minacciare, velatamente o meno, il non rinnovo del contratto ai precari, come avrebbe fatto Federica Anghinolfi con i suoi sottoposti.
Un film di contro-spionaggio. E proprio come su un set, il copione era sempre lo stesso: quando partiva la comunicazione dell’archiviazione di un procedimento penale, dopo pochi giorni in Procura a Reggio Emilia arrivavano nuove urgenti testimonianze del minore, contro-firmate da Nadia Bolognini. Davanti alle rimostranze di terzi per questo spezzettamento del lavoro e alla richiesta di video-registrare le sedute per avere contezza dei nuovi sviluppi, Bolognini opponeva sempre un fermo rifiuto: la telecamera lede l’intimità del rapporto con il paziente minorenne. A nulla serviva portare gli esempi di altre realtà, pubbliche o meno, di terapia videoregistrata. Bolognini avrebbe avuto in realtà paura di essere ripresa al lavoro, e magari anche di poter essere segnalata all’ordine degli psicologi. Curioso, visto che il marito Foti invece delle video sedute ne ha sempre fatto un vanto. A luglio, il fondatore della onlus Hansel & Gretel ottiene la revoca degli arresti domiciliari proprio grazie a dei filmati, circa venti ore per 15 sedute di psicoterapia.
Claudio Foti era lo psicoterapeuta incaricato dall’Asl delle sedute con la minore protagonista dei video, proseguite poi nel centro “La Cura” di Bibbiano. La madre della bambina accusò poi Foti di aver usato la figlia come “cavia” per le sue terapie, accusa respinta dallo stesso nuovamente in occasione del giudizio favorevole del Riesame. Successivamente però gli stessi filmati sono stati considerati diversamente: l’analisi fatta da un consulente tecnico della Procura di Reggio Emilia ha portato a una valutazione completamente antitetica, ritenendolo piuttosto una prova a sostegno delle ipotesi accusatorie e per questo Foti ha ricevuto il divieto di esercitare la sua attività per sei mesi.
Questa settimana i carabinieri di Reggio Emilia hanno notificato a 25 persone (compresi i quattro) l’avviso di fine indagine che di solito prelude a una richiesta di rinvio a giudizio: 107 i capi di imputazione firmati da Marco Mescolini, capo della procura reggiana, e dalla pm Valentina Salvi.