Gentile redazione, sono uscite finalmente le candidature agli Oscar, che certificano – ancora una volta, mi sembra – il conformismo americano: “Joker” di Todd Phillips è un buon film, per quanto sempliciotto nell’immaginario e nella morale (ahinoi); di certo non vale le undici nomination di ieri. Altro dettaglio stupefacente, ma cronico, è l’assenza di donne registe: a Hollywood sono tutti bravi a difendere le “minoranze” sulla carta, ma poi concretamente nulla si muove.
Giada Benini
Gentile Giada, forse “Joker” non le vale, ma le merita il suo protagonista, Joaquin Phoenix: vincerà, con ogni probabilità, la statuetta, e le restanti dieci nomination vanno considerate “d’accompagno”. Stride su tutte quella per la regia di Todd Phillips, ma detto che candidature e palmarès (cerimonia il 9 febbraio prossimo, diretta su Sky) non sempre collimano, l’exploit va ben oltre la certificazione del conformismo stelle & strisce: l’origin story del clown assassino ha incassato più di un miliardo di dollari (1.066 milioni) nel mondo, traguardo incontrastato nel novero dei nove in lizza per Best Picture; è un comic book movie capace di prendersi libertà inusuali se non inusitate per il genere; incarna, seppure grossolanamente se non semplicisticamente, lo Zeitgeist della rivolta, sì, populista; ha, appunto, in Phoenix – bravo non da oggi, alla quarta candidatura e mai vittorioso – un interprete totalizzante. Insomma, il nobile fine, la statuetta a Joaquin, giustifica l’eccesso di mezzi. Agli annali lo strapotere di Netflix (24 nomination), probabile la vittoria per miglior film e regia di “1917” di Sam Mendes, già laureato ai Golden Globes, la griglia di partenza dei 92esimi Academy Awards accoglie l’impresa di “Parasite” (dal 6 febbraio di nuovo in sala) del sudcoreano Bong Joon-ho: sei statuette potenziali, in cui si condensa la diversity dell’edizione. Inutile cercarla tra i 20, protagonisti e non, interpreti: il bianco trionfa 19 a 1 (la londinese di genitori nigeriani Cynthia Erivo). Inutile, appunto, ravvisarla tra i cinque registi in lizza, tutti uomini: meritava di starci la Greta Gerwig di “Piccole donne” al posto di Phillips? Risposta affermativa, volendo, ma le polemiche divampate negli States et orbi sono abbastanza indifferenti ai valori in campo: succede, anche ai festival, quando alle diseguaglianze a monte (accesso alla professione) si pretende di porre rimedio a valle (parità di riconoscimenti). C’è solo una cosa peggiore delle quote rosa, le quote rosa applicate ai premi: si diceva una volta, vinca il migliore.
Federico Pontiggia