L’ex Cavaliere e i carcerati “Fanno festa: finalmente arriva uno dei nostri”

 

A Rebibbia si festeggia

si festeggia a San Vittore

Berlusconi presidente

è una gioia incontinente

nel circuito del penale.

Lo spumante lì è proibito

basta l’acqua minerale

s’alza il braccio

s’alza il dito

punta l’occhio all’infinito.

Finalmente uno dei nostri

basta con gli incensurati.

Ci aspettiamo grandi cose

dal Berlusca presidente

un condono di tre anni

ma che dico, di vent’anni,

riduzione dei reati

niente più penitenziari

vanno subito svuotati.

Ieri a Poggioreale

han ballato, hanno cantato,

ebbri d’acqua minerale.

A Palermo, all’Ucciardone

non c’è più desolazione.

Porto Azzurro è cielo azzurro,

mare azzurro, cuore azzurro.

Castiglion delle Stiviere,

Montelupo Fiorentino,

Reggio Emilia

son guariti i detenuti

e ritornano in famiglia.

Noi, reclusi ingiustamente,

scriveremo al Parlamento.

Se han votato, oltre trecento,

che una donna marocchina

detta Ruby Rubacuori

è nipote di Mubarak

presidente dell’Egitto

voteranno certamente

Berlusconi presidente.

Deputati e senatori

son con Silvio, il rubacuori.

Guarente Guarienti

Quelli che sperano non finisca mai

Se non è accettabile l’ipotesi complottistica sull’origine della pandemia, non lo è neanche nascondere che c’è chi ha “colto l’occasione”, trasformando la tragedia di molti nella fortuna di pochi. Nell’ottobre del 2020 già era stato evidenziato (Datazoom) che da marzo dello stesso anno, il patrimonio personale di Jeff Bezos era arrivato a 192 miliardi di dollari, (+69,9% ), quello di Elon Musk a 91,9 miliardi (+273,8%) e quello di Mark Zuckerberg a 97,9 miliardi (+78,6%), solo per citare i più famosi. Oltre ai boom di Amazon, Tesla, Facebook, Microsoft, il lockdown è stato una benedizione anche per il fondatore e ceo di Zoom, Eric Yuan , passato da 5,5 a 24,7 miliardi di dollari (+349%) grazie alle videoconferenze cui siamo stati obbligati a ricorrere. Peraltro, questi capitali, a differenza dei nostri risparmi, sono tassati, grazie a giochi di prestigio geografici, solo dal 12 al 28% massimo. Il perdurare della pandemia ha ingigantito questi capitali e le disuguaglianze sono diventate insopportabili. La povertà è aumentata, malgrado i continui programmi umanitari annunciati e mai resocontati, ci sono ancora bambini che muoiono di fame e una parte del pianeta che non riesce ad avere accesso ai vaccini. Mentre i casi di Covid-19 non si arrestano e aumentano i decessi nel mondo, la Borsa vola in maniera direttamente proporzionale al peggioramento della crisi sanitaria. Vola il fatturato delle aziende farmaceutiche e di quelle produttrici di test diagnostici. Inevitabilmente la pandemia si intreccia con interessi economici e quindi politici. E così, se i miliardari sono diventati più ricchi, i politici sono diventati più inamovibili. Nella maggior parte dei Paesi la pandemia è stata usata per congelare gli assetti politici, anche con il posticipo delle votazioni. È risaputo il tentativo di Trump che si era appellato al pericolo del contagio, cercando di prendere tempo per la sua campagna elettorale. È accaduto un simile tentativo in Israele. Altri Paesi hanno adottato misure di “congelamento” differenti, ma la realtà è che la pandemia a ricchi e politici ha spesso fatto occhiolino. È amaro affermarlo, ma la realtà dei fatti ci lascia supporre che la fine della “nostra” tragedia, per molti non sia la panacea.

Italia Viva Avanza e conquista il mondo

Ci sono giorni,specie in inverno, specie dopo le feste, in cui sembra che manchino le forze per occuparsi delle cose serie e importanti che pur ci stanno davanti e uno semplicemente non vuol pensare a niente. Per questo oggi – essendo proprio uno di quei giorni – parleremo di Italia Viva e lo faremo con particolare affetto visto che i suoi dirigenti hanno voluto dare una loro versione – ancorché sprovvista di quel tanto di autoironia che va attribuita all’originale – di una celebre uscita di Filippo Caria, all’epoca capogruppo socialdemocratico alla Camera, a inizio degli anni Novanta: “Compagni, alle elezioni provinciali di Caserta il Psdi è passato da due a tre consiglieri: la socialdemocrazia avanza e conquista il mondo”. Anche Italia Viva avanza e conquista il mondo e non ci si riferisce certo all’Arabia Saudita, ma ai risultati fatti registrare domenica alle Suppletive per il collegio Roma 1, il centro per capirci, in cui si votava per sostituire alla Camera Roberto Gualtieri: l’affluenza è stata dell’11,3% (sì, avete letto bene) ed è risultata eletta Cecilia D’Elia del Pd (12mila voti, pari al 59,4% del totale), mentre il renziano Valerio Casini s’è piazzato terzo col 12,9% e 2.698 voti. Tralasciando il coro dei famigli, questo è il commento di Matteo Renzi: “Per mesi ci hanno detto: ‘ma dove volete andare col vostro 2%?’. Bene, oggi è arrivato il primo risultato. Altro che 2%, abbiamo preso il 13% (…) Un abbraccio a chi vive di sondaggi e quando ci sono le elezioni ha paura a mettere il proprio simbolo” (il riferimento è ai grillini e forse anche al concorrente centrista Calenda). Italia Viva, insomma, avanza e conquista il mondo proprio come il Psdi di tre decenni fa, a non dire del Partito democratico che – valendo la matematica di Renzilandia – “vale il 59,4%”: forse, a proposito di celebri battute sui socialdemocratici, “il senatore di Scandicci, Impruneta, Signa e Lastra a Signa”, che si vanta giustamente di essere venuto dal nulla, quando parla lo fa per dimostrare che c’è rimasto. Così, si parva licet, Fortebraccio immortalò Antonio Cariglia. Esatto, chi?

Per curarsi non serve un pass: cosa accade alla sanità pubblica?

Il test di Alessia è positivo. Due barrette, ma questo è un buon esito: finalmente, dopo molti tentativi, è incinta. Non tutto però va come dovrebbe: due sabati fa sente che qualcosa non va, ha forti dolori addominali e decide di andare in ospedale a Sassari. Dopo mezz’ora di attesa all’esterno un’infermiera le spiega che, nonostante abbia già fatto due dosi di vaccino, per entrare serve un molecolare. “Siamo in un ospedale, non si può fare qui?”, chiede la ragazza. No, per avere il tampone bisogna andare in una struttura aperta dal lunedì al venerdì, e oggi è sabato. Alessia torna a casa con i dolori al ventre e il consiglio di di prendere una tachipirina e ripresentarsi con un molecolare negativo. Non le servirà: poche ore dopo abortisce in bagno.

Seconda storia dello stesso tenore, nel giro di pochi giorni, anche questa raccontata dal Fatto. “Ci spiace, ma non essendo vaccinata lei non può accedere alla prestazione”. Come avete letto sul giornale di ieri, così è sentita rispondere da un operatore del Policlinico Gemelli una paziente oncologica che da cinque anni combatte contro un carcinoma ovarico (che ogni tre mesi deve fare una ecografia di controllo e ogni sei una Tac). La stessa risposta è stata data a tutti i malati oncologici che, senza vaccino, hanno chiamato per prenotare una visita o un esame. Gli operatori hanno spiegato che per accedere alla struttura erano necessarie tre dosi o due ma con molecolare negativo. Questa procedura in realtà è quella richiesta ai visitatori dei pazienti ricoverati. Scoperto “l’equivoco”, grazie alle verifiche della nostra collega, i pazienti ai quali era stata negata la prestazione sono stati richiamati. Tutto bene? Non proprio.

Alessia ha presentato un esposto alla Procura di Sassari, e ha dichiarato: “Ciò che mi è successo è inaudito e non deve più accadere. So che ci sono tanti medici e infermieri in gamba, che fanno il loro dovere e sono sotto pressione. Nel mio caso è mancato un minimo di umanità”. È un’affermazione piena di buon senso e verità: siamo debitori a medici e infermieri che in questi anni di pandemia si sono sacrificati oltre l’immaginabile. Però non possiamo fermarci qui. La sanità è in sofferenza e dire che è tutta colpa dei no vax è una scorciatoia comoda e pericolosa perché consente ai responsabili di scaricare le responsabilità su altri. Perché il servizio sanitario non è stato riorganizzato – e finanziato – alla luce della pandemia? Gli ospedali vanno in tilt per mancanza di personale: com’è possibile, a questo punto? Sono interrogativi cruciali eppure interessano assai poco il dibattito. Tutto ruota attorno al Pass – super, mega, ultra – e ai suoi meccanismi premiali di inclusione/esclusione. “Tu quante dosi hai?”; “E da quanto tempo?”: sono le uniche domande che ci si sente rivolgere. Eppure abbiamo capito che il vaccino, nemmeno con il booster, protegge dal contagio. Siamo stati totalmente risucchiati dalla spirale dei permessi e dei premi: così succede che un’infermiera ti chieda il tampone per accedere a cure d’emergenza. Oppure che gli operatori di un call center sanitario seriamente pensino che una persona malata per entrare in ospedale ed essere curata debba essere vaccinata. Ormai siamo tutti verificatori di Green pass: è diventata una patente di accettabilità sociale, perfino sanitaria. Già si discute se in caso di scarsità di farmaci o posti letto siano da preferire i virtuosi vaccinati. Molti sono favorevoli: siamo talmente assuefatti dal clima tossico dell’emergenza continua che nessuno, o quasi, si alza per dire: “Ma siete impazziti? Lo Stato organizzi le strutture sanitarie in modo da non lasciare morire nessuno”. Perché questo è un Paese dove vale la pena vivere.

 

Grillo: accuse da dimostrare, ma colpa politica indifendibile

Indifendibile. Non penalmente ma politicamente. Non sappiamo se Beppe Grillo schiverà le accuse che gli rivolge la Procura di Milano. Non è questo il punto. Il punto è che per miseri 240 mila euro il fondatore del M5S ha sputtanato se stesso e il suo Movimento. D’ora in poi sarà dura rivendicare una diversità dal resto della politica. Eppure il M5S ha rinunciato a cifre ben maggiori in passato: 42,7 milioni di rimborsi elettorali solo per le elezioni politiche del 2013. Come ha fatto il “garante” ad accettare dall’armatore Vincenzo Onorato quei 120 mila euro all’anno per le attività redazionali e pubblicitarie svolte nel 2019-20 dalla sua società, la Beppegrillo Srl che edita l’omonimo sito? Come ha fatto a non pensare che, al di là delle accuse penali tutte da verificare, si sarebbe attirato l’accusa politica di aver preso soldi da Onorato come gli altri? Come ha fatto a mettersi nelle condizioni di essere assimilato, con i dovuti distinguo, a Matteo Renzi? Onorato nello stesso periodo ha proposto alla società di Renzi, Digistart Srl, un contratto che prevedeva il pagamento dell’1,5 per cento del maggior fatturato e dei maggiori investimenti realizzati dalla sua Moby grazie all’attività promossa dalla Digistart. Renzi però non lo ha firmato. In compenso Onorato ha donato 300 mila euro di contributi leciti alla Fondazione Open nel biennio 2015-2016 mentre i renziani si spendevano per far approvare una legge favorevole alle compagnie, come Moby, che imbarcano solo marittimi italiani.

Poi è successo che Onorato ha virato sul M5S e quella battaglia è diventata grillina. Così Onorato nel 2018 ha firmato con la Beppegrillo Srl un contratto per i banner pubblicitari e i contenuti redazionali sul sito e anche un secondo contratto da 600 mila euro annui a favore della società di Davide Casaleggio, non indagato, per un piano strategico finalizzato alla promozione di Moby nelle istituzioni e nell’opinione pubblica.

Grillo è indagato perché avrebbe veicolato le istanze dell’armatore ai parlamentari M5S. I pm lamentano “la genericità delle cause dei contratti” e ipotizzano che quelle somme mirassero a pagare in realtà “la mediazione di Grillo in quanto finalizzata a orientare l’azione pubblica dei pubblici ufficiali in favore del gruppo Moby”.

L’accusa è tutta da dimostrare. Resta il fatto che la società di Grillo incassava, da marzo 2018, 10 mila euro al mese mentre Grillo perorava la causa dell’armatore. Ciò basta e avanza per condannarlo politicamente. Basta andare sul sito per leggere cosa scriveva il fondatore e Garante del partito di maggioranza relativa. Il 3 maggio 2018: “Vincenzo Onorato, armatore partenopeo si sta battendo anima e cuore per salvaguardare i diritti dei nostri marittimi (…). Condivido a pieno la battaglia di Onorato e faccio mie le sue parole… ”. L’11 agosto 2018 chiedeva ai suoi seguaci di sottoscrivere la petizione di Onorato su Change.org “per la salvaguardia dei diritti calpestati di migliaia di lavoratori(…). Firmatela, ve ne sono grato”.

Il 29 maggio 2019 scriveva “è stata firmata da 30 mila persone ma adesso dobbiamo fare di più, arrivare a 35 mila firme! Ecco il link per firmare”.

Se un giornale si fa pagare per spot e altri contenuti redazionali e poi il suo direttore firma pezzi sdraiati a favore dell’inserzionista, si dice che quel giornale fa “marchette”, cioé vende la sua linea per soldi. Se un politico si fa pagare da un armatore e perora i suoi interessi si trasforma in un lobbista. Grillo si vanta di non fare giornalismo, non è un politico tradizionale ed è amico di Onorato. Magari ritiene davvero che Onorato pagasse solo per i banner e crede davvero nella campagna per i marittimi italiani. Resta il fatto che quei soldi sporcano la sua battaglia.

Chi ha sottoscritto la petizione su richiesta di Grillo, lo avrebbe fatto se avesse saputo che la società del comico incassava 120 mila euro all’anno? Forse no. La domanda allora diventa un’altra. Perché Grillo è caduto in questo errore?

Una spiegazione possibile la danno i numeri: la Beppegrillo srl vanta ricavi per 240 mila euro nel 2019 e 230 mila euro nel 2018. Senza i soldi di Onorato probabilmente avrebbe faticato. Nel 2020, a causa anche del Covid, la società ha fatto ricavi per 58 mila euro con una perdita di 12 mila euro contro un utile lordo di 89mila euro del 2019 e di 101 mila nel 2018. Grillo potrebbe aver scelto di accettare l’offerta di Onorato più per ragioni di prestigio che di soldi. Proprio nel 2018 Grillo aveva diviso i destini del suo sito da quelli del M5s. Sarebbe stata dura ammettere che il sito faticava a mantenersi. L’orgoglio probabilmente è stato la molla che lo ha spinto a commettere il più grave errore politico della sua vita: errore che non pagherà solo lui.

 

Colle: cittadini ignorati io comunque voto Bindi

Se il Presidente della Repubblica fosse scelto dai normali cittadini credo che verrebbe fuori un personaggio molto diverso da quello che si imporrà. Ma i cittadini comuni non hanno alcuna voce in capitolo, l’hanno i parlamentari e i Grandi Elettori che rispondono a logiche del tutto diverse da quelle dell’uomo della strada. Sono logiche di partito che poco o nulla hanno a che fare con la rispettabilità del personaggio scelto, tant’è che sono mesi che le cosiddette destre van reclamando a gran voce che il nuovo Presidente della Repubblica deve essere un personaggio che sta dalla loro parte. Il che, dal punto di vista costituzionale, è un controsenso perché il Presidente della Repubblica non può, per definizione, stare dalla parte di nessuno. Inoltre le cosiddette destre sostengono che tutti i precedenti Presidenti della Repubblica sono stati di sinistra, o quantomeno scelti dalla sinistra, e quindi adesso tocca a loro. Che i predecessori di Mattarella siano stati tutti di sinistra più che opinabile è un falso. Luigi Einaudi era un liberale, oltre che un uomo di grande levatura culturale e morale (altri tempi) che certamente non può essere confuso con la sinistra, soprattutto con il Pci egemone in quegli anni insieme alla Dc. Giovanni Gronchi, oltre che un ambiguo trafficone (lo scandalo dei “Gronchi rosa”), era di sinistra. Antonio Segni era anticomunista e tendenzialmente di destra. Giuseppe Saragat, socialdemocratico, era di sinistra ed è stato forse il nostro miglior Presidente della Repubblica se si eccettua ovviamente Einaudi. Giovanni Leone, oltre che una macchietta, era politicamente indefinibile essendo stato sostenuto da Dc, Psdi, Pli e Pri. Certamente non era di sinistra. Sandro Pertini era, senza se e senza ma, un socialista. Francesco Cossiga era un golpista di destra. Oscar Luigi Scalfaro era un cattolico di destra. Carlo Azeglio Ciampi era un banchiere e in vita mia non ho mai visto un banchiere di sinistra. Giorgio Napolitano, il “migliorista”, era di una sinistra talmente tiepida da essere quasi irriconoscibile. Solo la mediocrità della classe politica attuale ha potuto rendere importante un personaggio che era stato definito “un coniglio bianco in campo bianco”. Sergio Mattarella, che a mio parere ha svolto molto bene il suo compito, con imparzialità, è stato sia di destra moderata con la Dc che di sinistra moderata con il Pd, ammesso che nel Pd ci sia ancora qualcosa di sinistra. Tra l’altro Mattarella fu eletto soprattutto perché fratello di Piersanti Mattarella, ucciso dalla mafia. Ed è perlomeno curioso che oggi si proponga come Presidente chi ha avuto come braccio destro un condannato per “concorso esterno in associazione mafiosa” (Dell’Utri) e come braccio sinistro Previti (qui basta il nome). Come si vede scorrendo l’elenco dei nostri capi di Stato è un pot-pourri in cui c’è un po’ di tutto.

Nella gran partita del Quirinale quindi noi non c’entriamo, siamo solo degli spettatori. Possiamo però, dagli spalti, quindi parecchio lontano dal campo di gioco, fare il tifo per questo o per quello. Mi permetterò quindi anch’io di dire la mia. Ho due preferenze in ordine di importanza. La prima è per Rosy Bindi. Preliminarmente dirò che mi ha sempre dato fastidio che in questo Paese, dove tutti si dichiarano femministi, la Bindi fosse oggetto di lazzi e scherni per la sua scarsa avvenenza. Uno dei lazzi glielo indirizzò a una trasmissione di Bruno Vespa Silvio Berlusconi che, riprendendo una battuta di Sgarbi (che ora lavora per lui come telefonista, “un grande avvenire dietro le spalle”), che disse: “Lei è più bella che intelligente”. Bindi rispose: “Comunque non sono una donna a sua disposizione”. Perché l’ex Cavaliere fra i meriti che si è attribuito su un’intera pagina pubblicata da Il Giornale, tra gli altri quello di aver posto fine alla Guerra Fredda, dovrebbe anche mettere quello di essere l’uomo più volgare d’Italia (qualcuno ricorderà, forse, quello schiocco di dita televisivo in cui faceva intendere che in quel brevissimo lasso di tempo lui stava guadagnando miliardi, umiliando tutti coloro che ogni mattina si alzano alle sette per guadagnarsi una paga da quattro soldi).

La ragione per cui sto con Bindi è la seguente. Tutti i democristiani han sempre proclamato a gran voce che la politica si fa per “spirito di servizio”. Naturalmente hanno sempre fatto l’opposto. Bindi, insieme a pochissimi altri dc, per esempio Tina Anselmi (e poi il maschilista sarei io), no. Quando ha ritenuto di non essere più utile in politica ha fatto un passo indietro, non si è presentata alle elezioni del 2018, continuando a lavorare, ma in un altro ambito, in particolare nella lotta contro la mafia.

La seconda scelta è Pier Ferdinando Casini, l’eterno Pierferdi. È un vero moderato, a differenza di Berlusconi che ora si dichiara tale ma, sostanzialmente, è un violento (“La moderazione non è un luogo dello spazio – cioè il posto al centro che si occupa in Parlamento, ndr – ma è un modo di essere” disse Mino Martinazzoli). Può essere quindi accettato da tutti, a destra e a sinistra. Non fa parte della gerontocrazia: c’è da sempre, ma ha solo 66 anni. Ed è ancora un bel “ragazzo” che non sfigurerebbe nei vertici tra i leader internazionali.

 

Contro Berlusconi la candidatura (ostile) di Francesco Cossiga

Cossiga candidato. Nella giornata in cui Berlusconi si dimostra più che mai dinamico nel suo bracconaggio dei Cip e Ciop residui, il realismo sembra prevalere sull’ostinazione del contendente Francesco Cossiga: il temperamento non gli fa difetto, nonostante il decesso, ma stavolta la forza dei numeri pare superiore alla tenacia delle ambizioni. È ormai chiaro anche a lui che il Quirinale è al di là delle sue forze; a meno di una caparbietà ai confini dell’autolesionismo, l’ex presidente sassarese dovrà rassegnarsi. Ma come e quando avverrà la rinuncia farà tutta la differenza. La logica vorrebbe che fosse prima del 24, quando a Montecitorio si comincerà a votare. E comunque prima della quarta votazione, quella dei 505 voti sufficienti, in cui gli occhi di tutti seguiranno il conteggio delle schede per misurare quanto sarà profonda la fossa in cui verrà di nuovo calato l’uomo che nel 1992 si dimise dalla carica di presidente per picconare le “estenuanti liturgie e alchimie partitiche” che sono le fondamenta stesse della politica italiana. Cossiga, si suppone, vorrà evitare quel momento. Avrebbe tutto l’interesse a farlo. Quindi si ritirerà con ogni probabilità prima della conta inesorabile, e a quel punto il centrodestra si troverà di fronte all’eterno problema degli ultimi anni: la decadenza della leadership berlusconiana. La destra non ha candidati forti come Cossiga, e la strategia di non assecondare Berlusconi continua a essere avvolta nella nebbia. Tuttavia permette a Salvini di non perdere i contatti con Giorgia Meloni, indecifrabile quando è silenziosa, ma propensa anche lei a non sostenere il Caimano. Quindi abbiamo Cossiga che si auto-candida, impegnato in un gioco complesso a cui è molto avvezzo, e che comprende anche un’idea sul riassetto del governo verosimilmente di tipo presidenzialista. La questione di fondo, però, non riguarda quante probabilità ha Cossiga di essere eletto, eventualità cui non crede quasi nessuno. Invece l’interrogativo è: riuscirà il centrodestra a far pesare in modo decisivo i suoi voti (450) nella scelta del nome? Un presidente di centrodestra — ma non Cossiga, né Berlusconi — eletto da una maggioranza ristretta: Lega, FdI, Forza Italia, gruppi minori più paraculi dal Misto. Lo stesso Renzi ha detto ieri al Corriere di non avere preclusioni di principio a votare un candidato di quella parte politica, se il profilo lo convincesse almeno quanto quello di Bin Salman. Per arrivare a un simile esito, la strada non è poi così accidentata. La contromossa di Salvini, infatti, potrebbe essere quella moderata, che evita strappi e fughe in avanti: Gianni Letta. Il quale sarebbe il primo a restarne stupito, data la sua nota ostilità verso il Salvini sovranista ed euroscettico. Ma è anche vero che ieri la Lega ha votato insieme a una maggioranza trasversale la nuova presidente del Parlamento europeo che succede a Sassoli, il progressista così amato che al suo posto hanno messo una anti-abortista di destra. Un Salvini dialogante potrebbe condividere con Enrico Letta la candidatura di Gianni Letta: come potrebbe il nipote dire di no allo zio? I dubbi però rimangono, e non si può escludere che, in caso di grave paralisi, un Parlamento spaventato dallo spettro delle elezioni anticipate decida di rivolgersi all’altro spettro, Cossiga. Quanto ai problemi del Paese (le disuguaglianze sociali crescenti, lo sfascio del welfare, una politica economica neo-liberista dove i profitti vengono reinvestiti in delocalizzazioni e in finanza non tassata, invece che in lavoro o servizi) sono ormai temi ammuffiti di cui, secondo la testimonianza degli esploratori, si discute ancora giusto in qualche bar di provincia, sempre che si abbia il Green Pass.

 

Da Gianni Letta a Mattarella: Risposte ovvie

Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare

(Sherlock Holmes).

 

Come, per esempio, il colloquio di un’ora, al Quirinale, tra Sergio Mattarella e Mario Draghi. Come, per esempio, l’incontro a Palazzo Chigi tra Gianni Letta e Antonio Funiciello, capo di gabinetto del presidente del Consiglio. Che i giornali hanno interpretato come la prova di una cospirazione ai danni del candidato al Colle, Silvio Berlusconi, da parte del suo ex braccio destro: “L’ira del Cavaliere: non sapevo nulla”. Figuriamoci. Letta zio si farebbe estirpare la chioma azzurrina piuttosto che essere complice di un pettegolezzo che facesse storcere il naso al sultano di Arcore. E poi, quando mai si è vista una cospirazione con annesso comunicato ufficiale? Difatti si parla di una missione autorizzata per rassicurare Draghi sulle ambizioni quirinalesche del proprietario di FI: giammai un atto di ostilità contro il premier, ma al contrario, un Berlusconi pronto a spianargli la strada nel caso non trovasse i voti per sé. È la spiegazione più vera? No, è la più ovvia.

E veniamo al Mattarella-Draghi. L’altra sera a DiMartedì, Alessandro Di Battista ha ripetuto che già un anno fa a Draghi era stato assicurato che da Palazzo Chigi sarebbe poi traslocato al Quirinale. Lo aveva già detto a Piazza Pulita all’inizio di dicembre aggiungendo: “Glielo hanno promesso, ho delle fonti interne”. Tanta sicurezza è motivata poiché quando nel febbraio scorso Draghi fu convocato da Mattarella per sostituire Giuseppe Conte era risaputo che la sua vera aspirazione fosse l’elezione al Quirinale, che in quel momento sembrava già nelle cose. Se dunque nel colloquio di martedì il tema è stato affrontato (ritenere che abbiano parlato solo di pandemia o di varie ed eventuali è da finti tonti) è così assurdo ritenere che l’uno abbia chiesto all’altro se resta un’ipotesi del terzo tipo la sua rielezione? Per il prossimo settennato e non a mezzo servizio come fu con Giorgio Napolitano (su questo punto Mattarella è irremovibile) e poi, strada facendo, si vedrà? Visto che giorno dopo giorno, le cose si complicano, lasciare tutto come sta non potrebbe essere la soluzione che non scontenta nessuno e non fa incartare il Paese? È la spiegazione più vera di quel colloquio? No, è la più ovvia. Succederà? Difficilmente.

I pm sul contratto: “Troppi 240mila euro per 1 articolo al mese”

Due anni di contratto per 240 mila euro, da pagare con rate mensili da 10 mila euro da accreditare presso la filiale di Nervi della banca Passadore. Queste le condizioni economiche che si leggono nell’atto stipulato tra Moby spa e la Beppe Grillo srl che controlla il blog dell’ex comico. Il documento di quattro pagine è depositato agli atti dell’inchiesta della Procura di Milano che vede Grillo e Onorato indagati per traffico di influenze illecite proprio in relazione al contratto giudicato dai pm solo una facciata per pagare a Grillo l’aver veicolato ai suoi parlamentari le richieste dell’armatore campano. Oltre a questo i magistrati stanno studiando anche la proposta di contratto, poi accettata da Moby, fatta dalla Casaleggio associati per 1,2 milioni in due anni. Per il primo contratto, la cifra che alla fine verserà Onorato alla Beppe Grillo srl sarà di 200 mila euro. Troppi, sostiene la Procura, anche dopo la lettura del contratto che prevede, si legge a pagina due, di mettere a disposizione di Moby uno “sky banner 300×500 (…) da utilizzarsi per inserimenti pubblicitari e la cui grafica potrà essere modificata non più di due volte al mese”. Oltre a questo, per l’agevole prezzo di 240 mila euro, la società di Grillo si impegna “su richiesta di Moby all’inserimento sul blog per un determinato periodo di tempo di contenuti redazionali che siano al massimo di uno al mese”. Che a far di calcolo si tratterebbe di 24 articoli in 2 anni, pagati a questo punto 10 mila euro ciascuno. Tra gli argomenti si elencano “interviste a testimonial Moby o articoli su temi specifici”. Gli articoli sono a carico del blog di Grillo e non devono superare “i 2000 vocaboli”. A chiudere il corposo contratto, l’attività di postare i contenuti anche in “pillole” sui canali social.

L’accordo, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, è giudicato fittizio, anche perché analizzando i contenuti del sito su Moby è emerso al momento solo un intervento a firma di Beppe Grillo e poco altro. Per questo i pm negli atti utilizzano il termine “apparentemente” per spiegare i motivi del pagamento. Inoltre, annotano, contemporaneamente alla stesura del contratto “Grillo ha ricevuto da Onorato richieste di interventi a favore di Moby che Grillo ha veicolato a parlamentari in carica appartenenti” al suo “movimento politico, trasferendo al privato le risposte della parte politica o i contatti diretti con quest’ultima”. Ora l’unico articolo dell’ex comico, individuato dagli inquirenti sul blog, tratta della legge sugli sgravi fiscali per i marittimi italiani cara a Onorato. Viene pubblicato nel marzo 2018 a firma di Grillo con il titolo: “Siamo un popolo di navigatori, disoccupati”. Si legge: “Onorato si sta battendo anima e cuore per salvaguardare i diritti dei nostri marittimi”. Una associazione di Torre del Greco (Marittimi Futuri) vicina a FdI che sarà finanziata da Onorato con 10 mila euro. Nel febbraio 2018 a una loro manifestazione partecipano sia Grillo sia il futuro vicepremier Luigi Di Maio (estraneo all’indagine).

Agli atti dell’inchiesta coordinata dall’aggiunto Maurizio Romanelli c’è anche la proposta di contratto che la Casaleggio associati invia a Moby. Contratto che sarà formalizzato a 600 mila euro l’anno dal 2018 al 2020 e per il quale Moby versa alla Casaleggio 1,2 milioni di euro. Il contratto al momento è ritenuto privo di valenza penale anche se gli atti sequestrati martedì sono allo studio della Finanza. La proposta è firmata da Luca Eleuteri (non indagato) destinatario, martedì, di una perquisizione anche domiciliare. L’obiettivo qui è sempre sensibilizzare cittadini e stakeholder sulla necessità di sgravi fiscali per i soli marittimi comunitari. A scorrere le 13 pagine di proposta si comprende che il progetto appare più strutturato con due obiettivi: “Sensibilizzare le istituzioni sul tema dei marittimi e raggiungere una community di riferimento di un milione di persone”. Casaleggio offre un team digitale dedicato, ma esclude dal prezzo molte spese accessorie come eventi e infrastrutture.

Patuanelli: “I messaggi? Da Beppe mai pressioni”

“Non ho ricevuto alcuna pressione da parte di Grillo”. L’attuale ministro Stefano Patuanelli lo ribadisce fermamente. A lui il garante del M5S avrebbe mandato un messaggio whatsapp nel quale si faceva riferimento a questioni che potevano riguardare Vincenzo Onorato, il patron della Moby ora indagato a Milano per traffico di influenze illecite insieme al fondatore del Movimento. Patuanelli – come gli altri politici – non è indagato. Durante il governo Conte-2 era ministro dello Sviluppo economico, ufficio che ha in pancia le procedure di amministrazione straordinaria. E dunque anche il dossier della compagnia Tirrenia. Dossier, spiegano fonti vicine al ministero, del quale Patuanelli non si è occupato direttamente, come invece fece per Ilva e Alitalia, nonostante a lui – come ricostruito dal Fatto – Grillo avrebbe segnalato la questione con preoccupazione per i 6 mila lavoratori che rischiavano il posto. Per Patuanelli non ci fu alcuna pressione, tanto più che del dossier non si occupò direttamente. Linea ribadita anche da altri esponenti del M5S.

L’ex viceministro allo Sviluppo economico Stefano Buffagni spiega: “Non mi sono mai occupato di quel dossier, ma per quel che so faceva parte di un più ampio problema del settore della navigazione nel periodo lockdown”. Di certo durante il Conte-2 (settembre 2019-febbraio 2021) quando si parlava di Onorato, i 5S erano in allerta: a dicembre 2019 infatti uscì la notizia di una segnalazione per operazioni sospette di Bankitalia in cui si parlava proprio del contratto di partnership tra la Moby e la Beppegrillo srl. “Quando uscì quell’articolo – spiega un deputato M5S – l’argomento Onorato divenne kriptonite. Non ci furono pressioni da Grillo, ma dopo quella notizia il tema era diventato per noi un problema”. E forse non avevano tutti i torti: a distanza di anni quelle chat sono finite al centro dell’inchiesta della Procura di Milano. Gli investigatori, secondo quanto ricostruito ieri dalle agenzie, avrebbero in mano le conversazioni tra Onorato e Grillo con tanto di inoltro dal secondo al primo delle risposte ricevute dall’allora ministro Danilo Toninelli, come gli altri estraneo all’indagine. Se quelle chat sono nel telefonino di Toninelli non si saprà mai: il cellulare gli è stato rubato tempo fa. Ma anche lui assicura che non ci furono pressioni: “Non ne ho mai ricevute, né da Grillo né da altri. E mai ho aiutato alcun concessionario. Per quanto riguarda le concessioni marittime per la continuità territoriale verso le isole, io sono sempre stato a favore di una gara pubblica (…). Onorato ovviamente avrebbe preferito mantenere la concessione, in scadenza al 2020, attraverso una proroga. (…) Per me non esisteva, anzi diedi l’indirizzo di preparare le carte per fare una nuova gara”. Toninelli ha incontrato nel suo ufficio Onorato, “come ho fatto anche con altri armatori e con tutti coloro che gestivano servizi in concessione pubblica”, spiega. E aggiunge: “Onorato mi parlò della legge Cociancich riguardante alcune agevolazioni fiscali per chi assumeva personale italiano e/o comunitario, mentre non mi parlò di altre questioni del settore, compresa l’eventuale proroga della sua concessione. Non lo avrei mai permesso”.